Lungo il transito dell’apparente dualità…
Si nasce con due braccia, due gambe, due occhi e sempre più di frequente accade che una stessa vita si sdoppi.
Questo succede quando il nostro passato non coincide più con quello che siamo nel presente e così la vita di ieri e quella di oggi sono come il latte e l’olio in un bicchiere: vorremmo che si amalgamassero eppure ci affascina vederli così, uno sull’altro che non riescono a mescolarsi.
Capita che quando il presente è sdoppiato le due vite scorrono parallele senza incontrarsi mai: a volte sono gli stessi protagonisti a desiderare che ciò non accada, a cominciare dal protagonista di Brucia l’origine, il nuovo romanzo di Daniele Mencarelli in cui Gabriele Bilancini, un trentacinquenne cresciuto nella periferia del quartiere Tuscolano di Roma, realizza il suo sogno a Milano affermandosi come uno dei dieci designer emergenti più quotati al mondo.
A scovare questo talento il grande maestro milanese Franco Zardi, un artista rinascimentale, ma le capacità di Gabriele erano state già rese note dalla sua maestra delle elementari, che fece notare alla madre come il bambino fosse stato in grado di progettare una casa, con tanto di “divano comodo e spazioso”, così recitava la legenda; non a caso, dopo aver creato la poltrona Bilancia che gli aveva aperto le porte del successo sarà anche padre del divano Nov... continua a leggere
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La Repubblica di Pisa era una delle quattro Repubbliche Marinare italiane, ma Pisa non si trova sul mare, essa fu costruita sul fiume Arno e per proteggere la sua flotta aveva attrezzato e fortificato il Porto Pisano, posto alla foce del fiume, che allora era adiacente a un piccolo borgo prevalentemente di pescatori, chiamato nel tempo “Labro”, poi “Liburnus” e alla fine “Livorno”. il Porto Pisano divenne quindi il maggior porto della Repubblica marinara di Pisa, dove attraccavano e partivano navi che instauravano commerci con tutto il mar Mediterraneo, oltre che fungere da rifugio alla potente flotta da guerra. La cura che la repubblica marinara dedicava al suo porto è anche documentata da importanti opere pubbliche al servizio delle attività portuali. Tutta la zona circostante assunse importanza militare ed economica.
Dal 1156 con l’intensificarsi degli assalti genovesi al porto per ostacolare l’egemonia pisana nel Mediterraneo occidentale, venne avviata una sua fase di fortificazione, cominciata con la costruzione di una prima torre, e proseguita l’anno successivo, nel 1157, con l... continua a leggere
tag: Fanale, Faro, Livorno, Luce, Mondo dei fari
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«Quando il silenzio viene interrotto dal sibilo del vento, dal fragore dei flutti o dallo stridio dei gabbiani, quando di notte le ore e i minuti sono scanditi dal ticchettio del meccanismo di rotazione di una lanterna, quando sul mare un raggio di luce sferza l’oscurità e le tenebre, siamo certi di trovarci al cospetto di un faro marittimo».
Dalle parole tratte dal bellissimo libro di Giovanni... continua a leggere
tag: arte, Fari, letteratura, musica, poesia
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«Se studiate il Medioevo vi accorgerete che è diverso da ciò che siamo, da ciò che l’Europa è oggi diventata. Avrete come l’impressione di fare un viaggio all’estero. Occorre non dimenticare che gli uomini e le donne di questo periodo sono i nostri antenati, che il Medioevo è stato un momento essenziale del nostro passato, e che quindi un viaggio nel Medioevo potrà darvi il duplice piacere di incontrare insieme l’altro e voi stessi».
È nelle pagine del volume Il Medioevo spiegato ai ragazzi (ma non solo) che Jacques Le Goff (Tolone, 1° gennaio 1924 – Parigi, 1° aprile 2014) si rivolge alle nuove generazioni per raccontare quel lungo periodo chiamato “Medioevo”, per rappresentare la vita quotidiana degli uomini e delle donne, le loro mentalità e il loro immaginario che furono alla base della genesi dell’Europa e, in definitiva, per sottolineare l’importanza di apprendere la storia.
Animato da una straordinaria passione per la ricerca e la diffusione della conoscenza storica, l’opera di Le Goff si mosse nel solco delle nuove prospettive aperte dalle Annales – dal nome della rivista fondata nel 1929 da Marc Bloch e Lucien Febvre – occupandosi con rigore scientifico e grande talento narrativo di figure apparentemente di secondo piano rispetto alla tradizione storiografica, come il mercante, il banchiere, l’in... continua a leggere
tag: Alessandria d’Egitto, Diari di viaggio, Faro, Fonti letterarie, Jacques Le Goff
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Il Mediterraneo, un mare che deve il suo nome al fatto di collocarsi in ‘mezzo alle terre’, ai tre continenti - Europa, Nord Africa, Asia occidentale- che separa e allo stesso tempo unisce, è stato la principale via di comunicazione per i popoli che vi si affacciavano e che, fin dalla più remota antichità, lo hanno percorso in tutte le direzioni per conoscere nuove terre, per commerciare, per conquistare, per cercare altre possibilità di vita. Già alle origini della letteratura europea è presente, con il fascino che emana e i timori che suscita, con le isole che lo punteggiano e le terre che vi si affacciano, come la quinta scenica del viaggio di Ulisse. Il mare che vide la spedizione dei Greci verso Troia, gli scontri navali fra Roma e Cartagine, gli assedi ottomani di Rodi, Cipro e Malta e la battaglia di Lepanto fu sì teatro di conflitti sanguinosi, ma anche lo spazio di scambi commerciali e culturali destinati a segnare nel tempo e in profondità la civiltà come la cultura scientifica: un esempio è quello del pisano Leonardo Fibonacci (il padre era un notaio al servizio dei mercanti alla dogana di Bugia) che con il suo Liber Abaci introduceva in Europa ... continua a leggere
tag: Consoli del mare, Livorno, Mediterraneo, mercanti, navigazione
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Introduzione
Gli animali hanno rivestito fino a tempi recentissimi un ruolo essenziale nella vita delle comunità umane. Per le società medievali, in maniera particolare, la loro presenza è pervasiva: gli uomini avevano una relazione molto intensa con gli animali da cui dipendevano quasi totalmente per l’aiuto e il nutrimento e, allo stesso tempo, essi stessi rappresentavano un soggetto rilevante nella riflessione artistica, filosofica, scientifica, economica e teologica del periodo.
Da diversi decenni gli studiosi che si approcciano al tema hanno potuto trarre vantaggio dalle scoperte in campo archeozoologico. Attraverso l’analisi di grassi, residui cornei, peli, pelli, ossa, impronte e fonti fornite dalla genetica regressiva, gli archeologi sono pervenuti a numerose informazioni sulle metodologie di caccia, gli inizi dell’addomesticamento, l’allevamento e l’agricoltura, i trasporti, la lavorazione dei prodotti di origine animale, i riti funerari, l’utilizzo di animali come simbolo, compagnia, difesa o strumento d’attacco.
Pertanto, il lavoro di storici, storici dell’arte, geografi, giuris... continua a leggere
tag: animali, Animals, Authority, Autorità, Basso Medioevo, Emilia-Romagna, Late Middle Ages, Statutes, Statuti
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Le modalità con le quali la città di Roma si è trasformata a seguito dell’Unità d’Italia per assumere il ruolo di capitale del nuovo Regno d’Italia sono state indagate soprattutto dal punto di vista dell’urbanistica e dell’architettura delle nuove costruzioni. Alcune trattazioni generali hanno dedicato spazio alle reazioni degli abitanti della città, e di chi la visitava nel periodo successivo al 1870, inclusi alcuni intellettuali stranieri, davanti al radicale rinnovamento che Roma stava attraversando. Tuttavia, nonostante la fascinazione per la “Roma sparita” e la fortuna di questo termine coniato dal pittore e fotografo Ettore Roesler Franz, manca ancora uno studio specifico dedicato agli edifici storici distrutti e ai paesaggi naturali stravolti per fare spazio alle nuove strade e ai nuovi quartieri, nonché alle sensazioni che queste sparizioni e alterazioni suscitarono nei contemporanei.
Attraverso questo saggio si intende perseguire proprio questo obiettivo, offrendo una prima panoramica sull’argomento, che comprenda non solo le posizioni opposte, come quelle dei fautori e dei critici della mo... continua a leggere
tag: architettura, demolizioni, Roma, urbanistica
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1.Introduzione. Cosa sono i podacst?
Nel 2004 Ben Hammersley, giornalista e sviluppatore britannico, è il primo a nominare pubblicamente i podcast, scrivendo su “The Guardian” riguardo al successo che le radio online stavano riscontrando grazie all’enorme diffusione degli iPod, di software economici per la lavorazione di prodotti audio e dei blog online. In quegli anni i podcast vedono la luce, ma senza riscontrare un grande successo di pubblico: restano appannaggio di pochi fruitori che usano il nuovo medium per diffondere insegnamenti o pensieri su determinati argomenti (professori, persone appartenenti a circoli culturali o gruppi religiosi, attivisti, ecc…). È solo a partire dal 2013, con la diffusione del podcast Serial di Sarah Koenig, che si può parlare di una larga diffusione dei podcast come prodotto di consumo, inizialmente soltanto in ambito anglosassone, poi nel resto d’Europa.
Il fattore che più di tutti ha contribuito alla diffusione su larga scala dei podcast è stato lo sviluppo tecnologico (e la conseguente semplificazione dell’uso delle nuove tecnologie). I po... continua a leggere
tag: ambiente digitale, digital environment, giornali, journals, Podcast, pubblico Podcasts, public, remediation, rimediazione
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Sorge a Bologna in Via Galliera il Palazzo Dalla Tuata, ora Bellei, un edificio di sobria eleganza eretto nei primi anni del ‘500.
Esso in qualche modo soccombe nell’attenzione del viaggiatore che percorre questa via a fronte della grandiosità dell’attiguo Palazzo Montanari o alle architetture raffinatissime del quasi antistante palazzo del Monte.
Se da oltre un secolo gli studiosi si sono occupati di questo edificio non è dunque per le caratteristiche intrinseche della sua architettura, ma per la presenza nel portico della facciata di due capitelli che una lunga tradizione ha plausibilmente voluto identificare con due reperti provenienti dall’antico Palazzo dei Bentivoglio, quasi completamente distrutto nel 1507 e poi infine cancellato nel corso dell’anno successivo.
Fu questa una perdita rilevante per la cultura italiana anche se con ogni probabilità le definizioni iperboliche circa il suo fasto e la sua bellezza intessute dai contemporanei (e non solo bolognesi) non paiono del tutto credibili.
Di quello che comunque era uno straordinario scrigno di capolavori pittorici, scultorei ed architetto... continua a leggere
tag: fall of the Bentivoglio, loyalty towards the Bentivoglios, Renaissance epigraphy, Tuate House
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Le teorie sulla guerra rivoluzionaria non nascono durante la guerra fredda ma di questa si alimentano, anche sulla base delle esperienze dei movimenti indipendentisti africani (soprattutto la guerra d’Algeria) e dei risultati dei conflitti indocinesi e coreani.
Questa ripresa e diffusione è direttamente collegata all’idea che il comunismo internazionale guidato da Mosca, attraverso una penetrazione costante nel mondo occidentale e dopo aver preso il controllo di alcuni degli elementi di congiunzione delle società, della stampa, delle strutture di rappresentanza del mondo operaio, fosse sul punto di compiere il salto definitivo per la conquista del potere in alcuni degli stati occidentali più deboli o sensibili. Una conquista non necessariamente violenta, ma alla quale rispondere con una guerra psicologica, di propaganda, di condizionamento e di controllo aggressivo (fino all’uso della violenza) delle opinioni pubbliche che non potevano essere lasciate “sole”.
Il punto che toccheremo è la questione di come la guerra rivoluzionaria e la controinsorgenza siano giunte in Italia,... continua a leggere
tag: anni 60, anticomunismo, convegni, Italia, strategia della tensione, Suzanne Labin
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De l’homme-oiseau représenté, sur les parois de Lascaux, étendu avec une raideur cadavérique devant les cornes mortelles d’un taureau éventré, tandis qu’un rapace perché sur une sagaie épie la scène tragique jusqu’aux installations contemporaines mettant en scène des carcasses animales, en passant par les vanités à l’oiseau de proie fréquentes dans la peinture flamande, le sujet de la condition humaine, envisagé à travers le prisme de la figure de «nos frères inférieurs», hante depuis toujours l’imagination des artistes et imprègne leurs créations. En effet, il serait fructueux d’étudier l’expression artistique de la condition humaine en se focalisant sur l'angoisse liée à la perspective de la mort, et ce à travers les représentations que subit l’image de l’animal, car, de tout temps, la figure de la bête sert à révéler l’homme, à dire sa condition et ses contradictions. Rappelons qu’en se détachant de l’animalité, l’Homo sapiens, devient, plus que ses prédécesseurs, conscient du tragique de sa condition, si bien qu’«il n’a pas hésité à se représ... continua a leggere
tag: angoisse, animalité, humaine, Zoomorphes
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Pierre Granier-Deferre est le réalisateur du film intitulé Le Chat, une adaptation du roman de Georges Simenon, paru en 1967. Le résumé du film est le suivant: un couple de retraités Julien Bouin, ancien ouvrier et sa femme Clémence, ancienne trapéziste de cirque, après 25 ans de mariage, tentent tant bien que mal de continuer à cohabiter dans le même pavillon. Néanmoins, ces derniers n’arrivent plus à se supporter finissant chacun dans son coin par communiquer uniquement par petits papiers. Pour rompre avec cette vie solitaire, Julien Bouin adopte un chat errant, (qu’il appelle Greffière ou Pépère) sur qui il concentre toute son attention et son affection tandis que Clémence, face à tant d’indifférence, finit par égarer le chat en question pour attirer une once d’attention de son mari. Dès lors, une guerre silencieuse aussi redoutable qu’inhumaine s’installe entre les deux personnages en raison de ce chat qui prend toute la place au centre du couple.
Ainsi, d’un point de vue narratologique cet animal se trouve au centre même du dispositif fil... continua a leggere
tag: film, Le Chat, le félin, Pierre Granier-Deferre, Simenon
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1 Il cinghiale che uccise Liberty Valence de Giordano Meacci est un texte choral, postmoderne et protéiforme, à la structure complexe, abondant en citations littéraires et cinématographiques. Ce premier roman, finaliste du Premio Strega en 2016, se caractérise en particulier par la recherche stylistique de l’auteur, qui associe une langue riche, expressive et inventive, à une syntaxe souvent expansive, parfois contractée, mais rarement conventionnelle. Une autre originalité du livre réside dans le choix d’ériger au rang de protagonistes à part entière, à côté des habitants de la petite ville provinciale imaginaire de Corsignano, un groupe de sangliers dotés d’un langage propre. Apperbohr en est le guide. Ce sanglier est le véritable protagoniste du roman. Il observe avec curiosité les hommes et commence miraculeusement à comprendre leur langue dont il tente d’expliquer certains concepts à ses homologues. Au point de vue humain sur les animaux, Meacci confronte donc ce «point de vue animal» qu’Éric Baratay a invité à adopter dans les animal studies. Pour ce faire, il invente... continua a leggere
tag: animalité, cinghiale, Giordano Meacci, instinct, Liberty Valence, nature
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INTRODUZIONE
Sono cinquantadue i trattati che formano il compendio enciclopedico di Iẖwān aṣ-Ṣafāʾ (Fratelli della Purezza) – società segreta islamica attiva tra il IX e X secolo nella zona geografica dell’attuale Iraq. Tra questi, la ventiduesima epistola, dedicata agli animali, è senza dubbio la più nota al pubblico perché contiene il famoso Processo intentato dagli animali contro la dominazione umana e celebrato davanti al re dei ǧinn (Fī tadā‘ī al-ḥayawānāt ‘alā al-insān ‘ind malik al-ǧānn) .
In questa favola mistica, ambientata in un’isola favolosa, gli animali appartenenti alla categoria del bestiame chiedono udienza al re dei ǧinn e intentano un processo contro gli esseri umani per i maltrattamenti subiti, rimettendone in discussione la superiorià. Consapevoli di non poter vincere da soli e convinti che l’unione fa la forza, essi decidono di fare appello alle altre sei comunità animali al fine di ottenere il loro appoggio durante il processo. Inizia allora il confronto tra ... continua a leggere
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La Seconde Guerre mondiale a fait naître de nombreuses œuvres littéraires, accordant une place importante au sort des individus et aux comportements qu’ils devaient adopter afin d’essayer de survivre à cette période sombre de l’Histoire. Face à la violence de la guerre, les frontières de l’humanité se voient repoussées. L’homme se retrouve confronté à sa propre bestialité (ce qui, par définition, l’assimile à une bête) ainsi qu’à celle des autres, comme le montre le poète et dessinateur polonais Krzysztof Kamil Baczyński (1921-1944), mort tragiquement et prématurément dans la lutte contre l’occupant nazi à l’âge de 23 ans. C’est de ce poète, le plus connu de ceux de la « Génération des Colomb » disparus pendant la guerre, dont nous proposons d’étudier l’œuvre lyrique et plastique sous l’angle de l’animalité.
Sous la plume et le pinceau de Baczyński, la notion d’animalité ne renvoie pas seulement à l’humanité malmenée de l’homme face aux situations extrêmes qu’engendre la guerre. En pareille situation, les compo... continua a leggere
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Sarà vero che a Cuma una lumaca consuma la giornata sull’amàca?
Tra le tante città dell’Atlante di Toti Scialoja, popolate da comuni animali dalle stravaganti abitudini, Cuma compare un’unica volta. Il poeta però intitola un’intera silloge alla Sibilla cumana, Le sillabe della Sibilla (1988), e ai vaticini sibillini affidati a foglie che il vento scompiglia: «tutte le foglie vogliono / che la Sibilla sillabi». Anzi, già dalla malinconica raccolta Scarse serpi (1983), si ha l’epifania della Sibilla:
Il fermaglio scintilla
se la Sibilla sibila:
«Quale alibi sobilla
e assilla ogni tua labile
sillaba?» Soffia un vento
nell’antro […]
(SS, p. 44 /50).
Non per caso si chiama «La Sibilla» una delle riviste che, fondata a Napoli, ispira i suoi giochi enigmistici all’antro della sacerdotessa di Apollo e ai suoi criptici responsi. Sillabe sibilate che volteggiano al vento, formando figure sonore misterios... continua a leggere
tag: #animali, #poesia, #TotiScialoja
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Perché raccontare il mondo animale
Per una serie di circostanze nei primi decenni del XVI secolo Bologna fu teatro di eventi di enorme risonanza che coinvolsero personaggi e istituzioni sovranazionali e che interessarono più o meno direttamente non solo la gran parte dei paesi europei, ma anche i vasti quadranti delle terre d’Oltreoceano da poco sottoposte alle conquiste europee. A quella transitoria visibilità concorsero, oltre alle congiunture e alle opportunità politiche del momento, la fama e il prestigio internazionali che le derivavano dall’esser stata un fulcro culturale che aveva conservato una capacità di richiamo e di rispetto che travalicava le sempre più nette confinazioni degli stati europei. Si trattava di una vocazione cosmopolita che tutti le riconoscevano e che ne faceva la sede adatta per quegli incontri al vertice per i quali la scelta di una delle capitali dei negoziatori avrebbe significato un eccessivo vantaggio dell’uno sull’altro.
A rendere ancora più opportuna questa sua funzione di centro ideale per gli incontri diplomatici di carattere internazionale c’era il fat... continua a leggere
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Nel romanzo vittoriano per l’infanzia The Water-Babies dello scrittore inglese Charles Kingsley (1819-1875), edito per la prima volta a puntate tra il 1862 e il 1863, si trova la seguente riflessione:
«Did not learned men, too, hold, till within the last twenty-five years, that a flying dragon was an impossible monster? And do we not now know that there are hundreds of them fossil up and down the world? People call them Pterodactyles: but that is only because they are ashamed to call them flying dragons, after denying so long that flying dragons could exist».
In queste poche righe Kingsley connette il drago volante allo pterodattilo ovvero unisce la dimensione fantastica a quella scientifica, mostrando come finzione e realtà sovente finiscano per combaciare. E l’autore fa tutto questo in un libro destinato ai bambini i quali amano moltissimo tanto i draghi, quanto i dinosauri: proprio a partire da questa considerazione il contributo intende esplorare le dimensioni narrative della presenza di animali fantastici nella l... continua a leggere
tag: animali fantastici, draghi, fantasy, infanzia, letteratura
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Una delle sfide più delicate e controverse che scaturiscono dalla nostra relazione con gli animali riguarda l’esercizio della giustizia, ovvero le modalità, gli strumenti e i limiti dei nostri interventi per garantire il rispetto delle loro vite, impedendo (o riducendo) abusi e maltrattamenti. Prima di sviluppare l’argomento nelle prossime pagine sono pertanto necessarie due premesse di ordine metodologico.
Sviluppatisi a partire dagli anni Settanta del Novecento, gli animal studies sono un campo di ricerca inter-transdisciplinare che coinvolge, assieme all’etologia e alle scienze veterinarie, la pluralità delle discipline umane e sociali. Anche rispetto al tema della giustizia e della convivenza interspecifica, la filosofia, l’etica, il diritto, la storia, l’antropologia, la scienza politica, la sociologia forniscono altrettanti approcci e interpretazioni. Gli animali sono titolari di diritti soggettivi e, se sì, quali? Cosa significano “giustizia” e “ingiustizia” applicate ad essi? Abbiamo il dovere di proteggere gli esemplari selvatici dalla fame e da... continua a leggere
tag: animali, giustizia, legislazione, protezione
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Fin da tempi molto antichi racconti mitologici e leggende comprendevano ampie descrizioni ed accurate raffigurazioni visive di mostri e mostruosità animali, alla cui genesi venivano comunemente associate cause metafisiche o simboliche, quali rappresentazioni di manifestazioni demoniache o incarnazioni divine.
Sull’origine delle ‘difformità’- altrimenti definite ‘mostruosità - umane ed animali è solamente intorno al XVI secolo che si comincia ad ipotizzare la responsabilità della natura ed a dissertare su cause e concause che possano avere interferito con l’ordine naturale delle cose.
Dagli animali mitologici o forieri di significati simbolici dei bestiari medioevali si attraversano duecento anni di storia, fino ad arrivare al 1500, secolo nel quale, anche grazie a nuove rotte navali e nuove scoperte geografiche, con la conoscenza di nuovi territori fino a quel tempo inesplorati e confinati nel regno della fantasia, incominciano i tentativi di ricerca del vero, così come le indagini di matrice scientifica negli studi sulla natura in tutte le sue espressioni. Inizia la catalogazione, la raccolta, nuove ... continua a leggere
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La strage di piazza della Loggia è stato un evento che ha profondamente segnato la memoria collettiva della città di Brescia a prescindere dall'orientamento politico e dall'essere stati o meno testimoni diretti dello scoppio della bomba. Un evento che per la galassia della sinistra radicale si può definire «periodizzante». Infatti, dopo l'esplosione della bomba per alcuni attivisti si avvia una profonda radicalizzazione dei toni e delle modalità di fare politica che sfocerà, in taluni casi, anche nell'utilizzo della violenza armata.
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tag: Luoghi della memoria, Monumenti, Politica della memoria, strategia della tensione
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Il presente saggio si propone di indagare, ricostruire e analizzare la personalità e l'eredità di Giovanni e Luigi Federzoni, due figure di rilievo che hanno impresso un segno nel panorama culturale e politico italiano della prima metà del XX secolo. vanessa wu basket
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tag: bologna, Carducci, cultura, culture, dante, Fascism, fascismo, Federzoni, nationalism, nazionalismo
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Durante la guerra di decolonizzazione algerina, una parte della gioventù francese fu interessata dal fenomeno dell’“insoumission”: il rifiuto del servizio militare e di prendere parte a un conflitto ritenuto ingiusto. Lo storico Tramor Quemeneur stima che furono all’incirca 10 mila i giovani francesi che, con modalità diverse, si rifiutarono di prendere parte alla guerra coloniale. harmont blaine
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tag: Algeria, decolonization, decolonizzazione, insoumission, left, resistance, resistenza, sinistra
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Il giornalismo popolare ha da sempre posizioni minoritarie in Italia rispetto alle più diffuse tipologie di stampa universale e d’opinione. In generale, i Paesi dell’Europa meridionale si sono storicamente connotati per una bassa percentuale di lettori di quotidiani e per uno scarso radicamento della stampa popolare. Questa peculiare forma di giornalismo, infatti, inizia a propagarsi soltanto dagli anni Novanta, mentre un dibattito scientifico sul tema si sviluppa dagli anni Duemila, fino a quel momento ignorato perché considerato di bassa qualità.
Uno dei grandi esclusi dalla ricerca storica sul giornalismo è “L’Indipendente”. Questo giornale è da considerarsi a tutti gli effetti un appartenente alla categoria dei popular papers essendo, da una parte, un erede della tradizione della stampa popolare italiana, e, dall’altra, un suo grande innovatore. Il più importante protagonista della storia di questo giornale è il direttore editoriale Vittorio Feltri che, tra il 1992 e il 1994, porta le vendite delle copie del quotidiano dalle neanche ventimila iniziali a più di centotrentamila. Il contest... continua a leggere
tag: Giornalismo italiano, L'Indipendente, Tangentopoli, Vittorio Feltri
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Nel corso degli anni Ottanta, sia in Italia, sia a livello europeo e internazionale, hanno operato numerose e profonde trasformazioni, con differenti influenze ed esiti. Un decennio sul quale la storiografia si è interrogata a lungo consolidando valide interpretazioni , ma di cui restano ancora ampi spazi da esaminare e da approfondire, in particolare se osservato attraverso il prolungamento dei suoi effetti e caratteri fin oltre il nuovo millennio.
Anziché ricercare una cesura netta tra il vecchio e il nuovo, il prima e il dopo il crollo di quella che è stata definita la «repubblica dei partiti», è necessario rintracciare la crisi di quel mondo, di quella società, in un intreccio assai più profondo nel tempo, nella storia, nella collocazione geopolitica e nelle tradizioni radicate dentro la cultura, i costumi, il sentire comune del Paese. Pur riconoscendo nel 1992 un crocevia di questa transizione tra passato e presente , un anno che segna l’inizio e la fine di un’era, è piuttosto nel corso del «decennio lungo» degli anni Ottanta che si sono coagulati sia i grandi cambiamenti economici e sociali nel compl... continua a leggere
tag: antimafia, crisi dei partiti, moral question, Palermo, party crisis, questione morale
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«E quindi l’appello che io faccio ai giovani è questo: cercare di essere onesti, prima di tutto, la politica deve essere fatta con le mani pulite. Se c’è qualche scandalo, se c’è qualcuno che dà scandalo, se c’è qualche uomo politico che approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi, deve essere denunciato!»
Presidente della Repubblica Sandro Pertini, 1983
Alla fine del secondo conflitto mondiale l’Italia versa in gravissime condizioni: è un Paese distrutto, materialmente e moralmente; bisogna ricostruire l’economia ma anche le istituzioni democratiche dopo l’avvento del fascismo, l’armistizio dell’8 settembre 1943 e il conseguente vuoto di potere biennale.
La ricostruzione è messa in atto dalle forze politiche protagoniste della guerra di liberazione: i grandi partiti di massa, come la Democrazia cristiana, il Partito socialista italiano e il Partito comunista italiano, ed altre formazioni antifasciste, come il Partito d’azione.
Il primo governo del dopoguerra è... continua a leggere
tag: Achille Lauro, Corruzione, Francesco Rosi, Le mani sulla città, Napoli
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Il presente contributo si propone di indagare e mettere in luce una particolare declinazione dell’idea felicità che, per la sua novità e l’influenza che ha esercitato, meriterebbe un ruolo di primo piano in un’ipotetica storia di questa idea. Mi riferisco all’idea di felicità che emerge nel cosiddetto romanzo di formazione (Bildungsroman). Come si evince infatti dalle ultime parole che pronuncia il protagonista dell’opera considerata il capostipite del genere, i Wilhelm Meisters Lehrjahre (Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato, 1795-1796) di Goethe: «Io non conosco il valore di un regno; ma so che ho raggiunto una felicità che non merito, e che per nulla al mondo vorrei cambiare», il romanzo di formazione è incentrato sulla ricerca della felicità. Ciò in realtà può essere detto di molti racconti, se non di tutti. Tuttavia, come cercheremo di mostrare seguendo il fondamentale studio di Franco Moretti, la «retorica della felicità» propria del Bildungsroman non costituisce un semplice stilema letterario motivato dalla ricerca... continua a leggere
tag: Anni dell’apprendistato di Wilhelm Meister, Bildungsroman, felicità, Franco Moretti, narrativa
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Quando nel marzo del 1867 il Segretario di Stato statunitense William Seward e il diplomatico russo Eduard de Stoeckl conclusero le trattative per la cessione dei territori dell’Alaska, dalla Russia agli Stati Uniti, sancirono con esse anche il destino di migliaia di persone: «The population of Russian America is about 60,000, of whom at least 50,000 are Esquimaux. The remaining portion of the inhabitants are Russians, Creoles, Kodiaks and Aleoots.» Gli interessi sui territori alaskani erano stati ed erano principalmente di natura economica: mentre i Russi «understood their American experience almost exclusively in economic terms; their chief objective was exploitation of the available resources, mostly furs, on the least costly terms possible», l’opinione americana si concentrava sul passaggio dei commerci già stabiliti nelle proprie mani — «The fisheries are very extensive, but the principal commercial wealth of the country is in its fur trade, which would, henceforth, be altogether controlled by American merchants.» In questo scenario avevano ben poco spazio le opinioni delle popola... continua a leggere
tag: Alaska, Ernestine Hayes, memoria, Nativi, trauma
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1. Secondo l’etimologia corrente, la parola felice continua il latino felix / felīce(m), corradicale di fecŭndus ‘fecondo, fertile’, e significa in origine ‘che produce frutti, fertile’, da cui poi ‘felice, propizio’. Mi pare che, come sempre, il significato ‘fertile, fecondo’ sia un adattamento neolitico (decimo millennio a.C.) di tipo agro-pastorale, legato a un’idea – ancora molto attuale – di benessere come qualcosa originato dalla produttività, ma che per cogliere il senso profondo della nostra parola – o meglio il suo iconimo – sia necessario indagare quale esso potesse essere stato nei milioni di anni che precedono questa evoluzione semantica, vale a dire nelle comunità nomadi e pre-stanziali del Paleolitico.
2. Non mi pare in questa prospettiva complicato individuare l’area semantica che questa parola porta incastonata dentro di sé in quella rappresentata dalla radice *fē-, la cui forma indoeuropea originaria viene abitualmente ricostruita come *dhē-. Si tratta cioè di un termine connesso alla parola – una di quelle appartenenti ... continua a leggere
tag: etnofilologia, felicità, iconomastica
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I guardiani della Repubblica di Platone vengono descritti come individui giusti e felici, che esercitando la propria funzione – governare – nella città e, avendo un’anima ordinata, avranno una buona vita. In alcuni passaggi del dialogo, però, Platone mostra incertezza sulla piena felicità dei governanti, anche se conclude l'intera opera dicendo che la descrizione dei dieci libri riguardava le persone giuste e felici al contempo (Repubblica, 621d).
Martha C. Nussbaum, Bernard Williams, Hannah Arendt, solo per citare alcuni dei più importanti filosofi contemporanei che hanno rivalutato il pensiero degli Antichi come modello regolativo per la riflessione sulle questioni moderne, si sono confrontati con il pensiero di Platone, spesso criticandolo, in altri casi valorizzandolo e il presente lavoro si propone di riprendere e approfondire alcune delle riflessioni su Gorgia e Repubblica proposte da Williams. In particolare, su come sia possibile concepire di armonizzare l'orizzonte eudemonistico con il benessere delle persone che vorrebbero agire per il bene... continua a leggere
tag: eudemonistico, felicità, giustizia, governanti
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The ideology of positive thinking is rooted in the history of New Thought, a spiritual and secular movement dating back to 19th-century transcendentalism in the U.S., with profound implications in the religious, cultural, economical, and political aspects of American history. More precisely, New Thought is «a spiritual and philosophical movement based on religious and metaphysical concepts, along with the ideas of mental science», which spread on a worldwide scale in the 20th century and has recently come under scrutiny again with the figure of Donald Trump. Among its contemporary core beliefs, we find the following statement: «There is power in meditation, prayer, and positive thinking». Hence, positivity is listed as an integral part of New Thought, which «[…] set the stage for what we now know as the prosperity gospel and all the contemporary societies, organisations, institutes, books, and training programs dedicated to improving an individual’s mental, physical, social, and economic well-being».
Positive thinking is now understood as the sum of those practices or discourses that: 1... continua a leggere
tag: Conspiritualità, cospirazionismo, pensiero positivo, positività tossica, ricerca della felicità
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Dando avvio all’orazione inaugurale del corso dedicato agli scrittori latini di cose agresti, tenuto presso l’Università di Bologna nell’anno 1494 (gli autori letti e spiegati furono il Virgilio delle Georgiche per la poesia e il De agri cultura di Columella per la prosa), Filippo Beroaldo Seniore così si rivolgeva al suo dotto uditorio bolognese: «Magna res est, viri ornatissimi, et omnibus horis, omnium votis expetita felicitas: huc tendunt cunctorum vota mortalium. Haec est summa curarum, haec est summa rerum expetendarum. Felicitate terminantur nostra desideria. Cui felicitas adest, huic nihili prorsus deest. Inveniuntur qui regna non optent, qui vero felicitatem repudiet nullus existit. Nemo enim non felix esse vult, nemo non felicitatem summum bonorum esse consentit. Quocirca de felicitate humana, tamquam de re rerum omnium maxime expetibili maximeque expetenda, hodierno die dissertare constitui, et in hac dissertatione ex latissimo pratorum virore flosculos non paucos hinc inde decerpere, quorum odoratu olfactantes recreentur»
Ovvero:... continua a leggere
tag: De felicitate, felicità, Filippo Beroaldo Seniore, Rinascimento, Umanesimo bolognese
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Attenzione a questa parola: “immateriale”. È la parola-chiave per cogliere il senso della candidatura della Cucina italiana – presentata dal Governo il 23 marzo scorso – a entrare nella “Lista rappresentativa del patrimonio culturale e immateriale” dell’Unesco, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. Questa Lista comprende, secondo la convenzione approvata nel 2003, «le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale», ricreandolo e rivitalizzandolo di generazione in generazione – giacché le identità culturali sono un prodotto della storia, dunque in continua evoluzione. Il dossier di presentazione della candidatura, che sarà valutato dall’Unesco entro il 2024, è stato redatto da un Comitato scientifico da me presieduto; ritengo quindi opportuno condividere i princìpi di fondo che ci hanno ispirato, oltre ad alcune informazioni di natura procedurale. Intanto è utile precis... continua a leggere
tag: Biodiversità, Cucina, patrimonio, Unesco
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Nel corso dei secoli gli avvenimenti legati alle mafie sono stati raccontati in maniera differente: immagini alle volte eroicizzate o martirizzate di vittime innocenti si sono spesso affiancate a quelle stereotipate delle mafie e dei mafiosi, diffuse dai media tradizionali - e non - e poi penetrate all’interno dell’immaginario collettivo.
Fortemente influenzato da film e romanzi che «hanno contribuito a conferire alla mafia un’aura di sinistro splendore» - paradigmatico è il caso del film “Il Padrino” di Francis Coppola -, come scrive lo storico Marcello Ravveduto, l’immaginario delle mafie «è stato a lungo un racconto di un ectoplasma»: un’ombra che prende «consistenza» grazie allo specchiarsi nei media che, in un continuo di «rifrazioni e rimbalzi tra specchi diversi, costruiscono l’immaginario collettivo.» In questo contesto, nel «circuito autoreferenziale dei media», riprendendo l’antropologo Benedict Anderson, Ravveduto sottolinea come, anche nel caso della narrazione delle mafie, si sia di fronte a una «comunità immaginata» in cui gli «spettatori non cono... continua a leggere
tag: mafia, media, rappresentazione, stragi
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La diffusa presenza dell'apparato repressivo fascista, che nelle Puglie si era dimostrato sin dalle origini particolarmente violento, perché costituito da mazzieri assoldati dagli agrari, non fu in grado di prevenire l'onda lunga delle proteste sociali e delle rivendicazioni economiche delle tabacchine che nel Salento cominciarono a manifestarsi già a metà degli anni Venti.
L'unica soluzione, che Concessionari e autorità seppero praticare per contrastare le proteste delle lavoratrici, fu quella della repressione istituzionale, ricorrendo, come agli albori del movimento operaio, al "braccio violento della legge" per incarcerare, per fermare e per minacciare chi scioperava o semplicemente protestava.
In una recente pubblicazione Salvatore Coppola ha tracciato un preciso quadro cronologico e geografico delle numerose lotte sostenute dalle tabacchine nel Salento tra le due guerre mondiali, che precedettero e seguirono il drammatico e tragico eccidio di Tricase del 15 maggio 1935.
Innanzi tut... continua a leggere
tag: 15 maggio 1935, Eccidio di Tricase, fascismo, Lotte sindacali, memoria
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Demeure-t-il des mythes actifs dans les sociétés sécularisées, dont la science aurait désenchanté le monde, pour reprendre l’expression célèbre de Max Weber? Si la science les a dévitalisés, peut-on elle-même la considérer comme mythe? Or il semble que tout oppose l’une et l’autre: à la première la vérité – ou son perpétuel perfectionnement –, au second la fabulation. L’évolution du sens des mots en témoigne: à l’époque moderne, le «mythe» est devenu une «construction de l’esprit sans rapport avec la réalité», quand «la science se dit de la connaissance exacte, universelle et vérifiable exprimée par des lois». Il est pourtant une fonction que la science aurait hérité du, ou dérobé au, mythe de jadis, qui est d’énoncer la vérité, en expliquant les phénomènes humains et cosmiques. La science serait le discours de la vérité juste, le mythe celui de la fausse vérité, à laquelle on croyait jadis, ou croit toujours, mais ailleurs: «le ‘mythe’ se ferme sur l’illusion des autres» écrit l’historien de l’antiquité Marcel Détienne dans L... continua a leggere
tag: futur, monstre, mythe, science, Science-fiction
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Daniel Aaron scrisse: «we in the 20th century have become more cynical about human perversity and can smile at the simplicity of progressive paradises» immaginati nel XIX secolo. La tesi di molti intellettuali (fra i quali Claeys Gregory e Raymond Trousson) è infatti che il XX secolo sia stato molto più vicino alle immaginazioni distopiche che alle immaginazioni utopiche dell’Ottocento. Per molti “occidentali” anche la “scoperta” dell’inconscio freudiano, oltre alle turbolente e globali vicende del Novecento, fece inclinare le creazioni letterarie in modo più netto verso le distopie (e le paure e le angosce che sono solo parzialmente reali e/o razionali). Ovviamente entrambi i tipi di narrazioni sorgono dal presente in cui si vive/va.
Burrhus Skinner, Herbert Marcuse, Aldous Huxley e Lewis Mumford si chiesero quanto e come le utopie e le distopie fossero legate alla sociologia, alla psicoanalisi e all’economia che le aveva prodotte e che le produceva, ma non c’è dubbio che l’utopia e la distopia contribuiscono a loro volta e significativamente anche alla ... continua a leggere
tag: dystopia, People’s Party, populism, utopia
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Le cyberpunk serait mort en 1995, affirment Arthur et Marilouise Kroker dans Hacking the Future: Stories for the Flesh-Eating 90’s, soit le jour de la sortie en salles du film Johnny Mnemonic, adaptation de la nouvelle éponyme de William Gibson. Pour eux, l’échec de cette œuvre s’explique par des changements culturels rapides, alors que les métaphores cyberpunk des années 1980 ne fonctionnent plus dans les années 1990 et que «la phase charismatique de la réalité numérique» n’est plus, cette dernière étant devenue banale depuis. Il est vrai qu’à partir des années 1990, le numérique s’est infiltré dans toutes les facettes de notre quotidien et qu’aujourd’hui, les technologies dépeintes dans le cyberpunk n’ont plus rien d’exotique aux yeux des lecteurs avec un recul de près de quatre décennies. Toutefois, la culture contemporaine n’en a pas fini avec lui et la rubrique nécrologique d’Arthur et Marilouise Kroker semble hâtive, car on constate au cours de la dernière décennie un engouement pour ce sous-genre de ... continua a leggere
tag: alternate history, cyberpunk, meta-cyberpunk discourse, retrofuturism
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Desolata e inospitale, come un pianeta sconosciuto anteriore alla comparsa delle prime forme di vita, si presenta la Terra ove un giorno si risveglia il protagonista di Dissipatio H. G. dopo aver covato torbidi progetti di suicidio. Ma, stranamente, al mattino è il genere umano ad essere scomparso, in ottemperanza forse ad una beffarda logica inversa per cui ad essersi suicidati in blocco – in maniera paradossalmente involontaria – sono stati tutti gli altri abitanti della Terra, che dei piani dell’uomo non sapevan... continua a leggere
tag: Dissipatio H. G., Guido Morselli, letteratura italiana, Narration épilogale, Oggetti desueti
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La ricostruzione storica di grandi eventi traumatici avvenuti nel recente passato si muove sempre in un delicato equilibrio tra vissuto personale e storia collettiva, tra documenti privati e fonti istituzionali, amministrative, giudiziarie, militari etc. Entrambi gli aspetti concorrono nella definizione della ricostruzione, essendo la traccia dei molti livelli su cui si è giocato lo sviluppo degli eventi. Questo assunto è sicuramente noto a chiunque si sia approcciato allo studio della Resistenza e delle deportazioni, ancor più se la ricerca è portata avanti mediante la raccolta di testimonianze orali e memorie personali: qui gli eventi minuti, minimi, vengono spesso fusi dai e dalle testimoni con le date e i fatti del racconto ufficiale; il racconto pubblico mediato e regolato da fonti intime spesso gelosamente conservate.
In questo scenario la ricostruzione del processo attraverso cui si è costruita la memoria pubblica - e il lavoro storiografico - sul campo nazista di Bolzano e su quanto ruotava dentro e attorno ad esso si arrricchisce di caratteristiche ancor più particolari, legate alla sua geografia di confi... continua a leggere
tag: Anita, Bolzano, Franca Turra, Polizei-Durchgangslager Bozen, resistenza
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Fredric Jameson once wrote that it is easier for us to imagine the end of the world than the end of capitalism. This quasi-ubiquitous statement has by now achieved an almost axiomatic status among scholars of utopias and dystopias, as they set to analyse seemingly endless versions of the future and end up smashing into the impenetrable wall of capitalism. This socio-economic system survives in idealised, collapsing and, at times, post-apocalyptic societies, signalling that not even the end of the world might make away with it. Yet, as Ursula K. Le Guin countered in one of her last public appearances, «We live in capitalism. Its power seems inescapable. So did the divine right of kings. Any human power can be resisted and changed by human beings. Resistance and change often begin in art, and very often in our art—the art of words.» Although Le Guin certainly inspires hope for change, one that can take us beyond the constraints of capitalism as we know it today, for the time being we are without a doubt still trapped within it. More precisely, we are deep into what has been called late capital... continua a leggere
tag: capitalismo, Cory Doctorow, fantascienza, Philip K. Dick
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Il 25 luglio 1943 e il 25 aprile 1945 sono diventate due date simbolo nell’immaginario storico collettivo. Queste, oltre che rappresentare la caduta del regime fascista e la successiva Liberazione, diventano due momenti fondamentali nel ripercorrere la difficile esperienza giudiziaria relativa alla punizione dei crimini fascisti. All’interno di questa cornice si collocano momenti contrastanti e densi di significato politico: da un lato, l’estate del 1943, carica di aspettative a seguito della caduta del regime e caratterizzata da momenti spontanei di gioia collettiva originati dall’atto di distruzione delle effigie della passata dittatura; dall’altro lato, i giorni della liberazione, anch’essi connotati da tale esplosione di violenza unita alla esultanza per aver sconfitto la potenza occupante nazista e fascista. È proprio durante i lunghi venti mesi, il celebre spazio grigio, che separano questi due momenti topici che si devono cogliere alcuni eventi cruciali, quali la caduta delle istituzioni statali dopo l’armistizio dell’8 settembre e la nascita di un corpo giuridico parallelo come fu la Repubbli... continua a leggere
tag: collaborazionismo, Corti d’Assise Straordinarie, giustizia di transizione, guerra civile, resistenza
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Il seguente contributo intende approfondire le tematiche fantastoriche, sviluppatesi tra il 1982 e il 2022, proprie della serie a fumetti Martin Mystère, edita in Italia da Sergio Bonelli Editore. Questo titolo è stato molto apprezzato dalla critica contemporanea, che l’ha definito «il più colto fumetto italiano». In particolare, costituiscono oggetto di analisi del saggio gli approcci degli sceneggiatori della serie, a partire dal creatore del personaggio, Alfredo Castelli, in merito alla reinvenzione del mito di Atlantide. L’omonimo protagonista di questa serie è un “Detective dell’Impossibile”, una definizione che compare anche nel frontespizio della testata. Si tratta, cioè, di uno studioso e divulgatore il cui campo di analisi è costituito dai “mysteri”:
«l’esotica ypsilon definisce iconicamente e sinteticamente per il lettore la natura di questi misteri, giacché non di casi irrisolti si tratta, bensì di tutta una casistica di fatti inspiegabili e para (o pseudo) scientifici c... continua a leggere
tag: Atlantide, fumetti, Martin Mystère, Mu
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Se a partire dai primi anni Duemila le narrazioni fantascientifiche hanno cominciato a saturare il panorama mediale globale, la responsabilità probabilmente è da attribuire alla televisione statunitense. In questo periodo, è cominciata quella rivoluzione industriale e creativa del medium televisivo che ha permesso al racconto seriale di espandere i propri confini a territori fino ad allora più marginali, come quelli della fantascienza. Nonostante programmi fantascientifici come Twilight Zone (CBS, 1959-1964), Star Trek (NBC, 1966-1969) e Battlestar Galactica (ABC, 1978-1980) abbiano segnato tappe fondamentali nella storia del piccolo schermo statunitense, questo genere ha cominciato a essere associato a una vera e propria tradizione televisiva solo a partire dagli anni Novanta, quando è nata una vera e propria Science Fiction Television. Distinguendosi da molte delle produzioni dell’industria culturale degli ultimi vent’anni, che invece sembrano privilegiare una declinazione più formulaica e commerciale del genere, la serialità televisiva ha favorito la ... continua a leggere
tag: fantascienza, rivoluzione, serie TV, sperimentazione
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Según los datos brindados por el Ministerio de Salud de la Nación Argentina, en 1982 se registró el primer caso de Vih-sida en el país. La evolución de la epidemia alcanzó su pico máximo en 1996 con 2.098 defunciones como consecuencia de dicha enfermedad, número significativamente inferior al registrado en el país vecino de Brasil para el mismo año, en donde se llegó a 15.017 muertes. A partir de entonces, se observó un descenso en la tasa de mortalidad, coincidiendo con la disponibilidad de la terapia antirretroviral.
Actualmente, se estima que 140.000 personas viven con Vih y el 17% de ellas desconoce su diagnóstico. Con respecto a la distribución de los casos según sexo asignado al nacer, existe una predominancia histórica en varones cis, alcanzando para el año 2020 casi el 70% de los casos diagnosticados. Según los datos registrados, entre 2019 y 2020 se diagnosticaron 2,4 varones cis por cada mujer cis, con una mediana de edad de 32 y 35 años respectivamente. Caso contrario se observa entre las personas trans, ya que de los 4.500 diagnósticos anuales que se vienen regi... continua a leggere
tag: AIDS, campagne santiarie, HIV, omosessualità, stigmatizzazione
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L’idea di una concezione temporale capace di canalizzare gli eventi proviene dallo studio del mondo passato. Lo storico che svolge un’analisi meticolosa spulciando tra i cavilli delle epoche trascorse, studia la sequenza dei fatti, schematizza le vicende dei periodi antecedenti rendendoli più fruibili ai posteri. Ciò non significa semplificare o minimizzare l’accaduto descritto in maniera oggettiva, ma riconsegnare il tracciato storico pervenuto all’interno di un confine spazio-temporale ben definito.
La suddivisione tra medievale, moderno e contemporaneo diviene garanzia di un miglior rendimento scolastico per il discente che decide di dedicarsi agli studi storici cercando di assimilare e comprendere secoli e secoli di vicende umane. Tra passato e presente si instaura una sottile linea di continuità in grado, a volte, di richiamarsi quasi con la stessa funzionalità ontologica e con la medesima intensità emotiva. Un rapporto innovativo che cercherà di dimostrare con criticità una visione oggettiva del reale.
La realtà rappresentata dal pas... continua a leggere
tag: guerra, luoghi, memoria, rimembranza
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Durante gli anni Ottanta il compositore William Basinski incide su nastro magnetico alcune tracce audio, composte da found sounds tratti da programmi radiofonici e da brevi frammenti strumentali da lui stesso eseguiti col sassofono o il clarinetto. Dimenticate per oltre un ventennio nel silenzio di uno scatolone etichettato The Land That Time Forgot, poche settimane prima dell’attentato al World Trade Center Basinski decide di convertire il suo archivio analogico in formato digitale.
Così ho messo questo loop sul Revox e l’ho acceso, ed era semplicemente così austero, così bello e maestoso. [...] Sono andato ad accendere il mio sintetizzatore Voyager, l’ho modificato e mi è venuto questo controcanto dall’arpeggiato casuale, con un suono simile a un corno francese, ho acceso il registratore, impostato i livelli e iniziato a registrare. Sono andato a preparare una tazza di caffè in cucina, sono tornato ad ascoltare, e ho iniziato a notare che qualcosa stava cambiando. Tutt’a un tratto, ho guardato e si vedeva la polvere nel percorso del nastro. [...] Mi sono seduto lì,... continua a leggere
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I suoi occhi sono eccezionali: vi leggo uno strano, costante ghigno sarcastico, e al tempo stesso una sorta di eterno stupore di fronte al mondo. In questi occhi c'è qualcosa di voluttuoso, come di femminile, e nel profondo una segreta paura.
M. Bulgakov, La vita del signor de Molière, 1962
«Non ho nessun desiderio di tornare indietro... è una gran misericordia divina che il passato riesca a distruggersi, con i suoi morti, le sue larve, le scenate orribili, gli equivoci, la gelosia, l'invidia, il dolore... Forse soltanto il primo tempo della mia infanzia vorrei che riapparisse... Ma quei primissimi anni riguardano me e non so cosa c'entrano col nostro colloquio, un colloquio con lei che conosco appena».
G. Macchia, Colloquio immaginario con la figlia di Molière, 1975
[Ho la presunzione] che il teatro di Molière sia portatore di un sistema di idee, di un messaggio che ci è oggettivamente contemporaneo. Questo messaggio appartiene al teatro, ma appartiene anche alla scienza dell'uomo. E sotto questo punto di vista Molière è un classico, a mio parere... continua a leggere
tag: Liano Petroni, molière, teatro
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All’interno della vasta opera di Luca Canali (uno dei massimi latinisti contemporanei, autore, fra l’altro, di una acclamata traduzione di Lucrezio), la figura del poeta può apparire quella meno rilevante. Una lettura come quella di Elisabetta Brizio ne evidenzia, invece, l’assoluto valore, e l’organico, necessario rapporto con l’insieme dell’attività dell’autore.
Era, del resto, un lettore d’eccezione – anch’egli, come Canali, sapiente navigatore degli abissi verbali e musicali, pullulanti di gorghi, allucinazioni, giochi d’eco, inganni rivelatori, abbacinanti morgane – quale Andrea Zanzotto a sottolineare, recensendo La deriva, che «non si passa impunemente attraverso quell’oceanico incastro di contraddizioni che è la Roma antica, in cui un ostinato tentativo di prassi ‘logica’ resta travolto e fratto nella più surreale delle putrefazioni di palazzo e di massa, nella frizione continua fra un teatro della ragione e un teatro della follia». Il mondo antico, con le sue rovine, i suoi frantumi, la sua «catena di fantasmi», guidava, e insieme vincolava,... continua a leggere
tag: Luca Canali, malattia, Ottiero Ottieri
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La risposta della Repubblica di Corea al COVID-19 è stata talmente significativa da essere unanimemente considerata tra le più efficaci al mondo. Basandosi sulla esperienza maturata nella gestione delle pandemie, in particolare della Sindrome respiratoria mediorientale (MERS CoV) – che ha condotto il paese a ripensare per tempo il suo impianto legislativo e organizzativo volto alla prevenzione e al controllo dei contagi – la Corea del Sud è stata in grado di “appiattire” rapidamente la curva epidemica – malgrado la densità abitativa della nazione e la sua prossimità all’epicentro cinese – senza ricorrere a lockdown generalizzati, limitare la libertà di movimento della popolazione o attuare molte delle misure più severe adottate da altri paesi fino alla fine del 2020. Quali sono stati i fattori esplicativi che hanno consentito alla Corea di “imparare la lezione” in modo da rispondere efficacemente alle sollecitazioni del COVID-19? Seoul è riuscita ad avere la meglio sulla pandemia sviluppando linee guida chiare di comportamento per il pubblico, conducendo sin dal ... continua a leggere
tag: Covid-19, gestione della crisi, Repubblica di Corea
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Le dimensioni, la dilatazione dei tempi e i nuovi mezzi in uso nel primo conflitto mondiale (aerei da bombardamento, impiego di gas tossici), avevano creato una inattesa situazione, che richiedeva una organizzazione sanitaria civile e militare al passo con i tempi moderni. Dato il “vasto campionario di nuove lesioni e tipologie di ferite, la sanità militare doveva cercare di rispondere con adeguate tecniche sanitarie”, cosa che non avvenne subito, tanto è vero che ovunque, in Europa, l’opinione pubblica denunciò i ritardi dell’organizzazione sanitaria militare al fronte. Alla prova del fuoco, persino la Germania si stava trovando in difficoltà, per quanto beneficiasse di un servizio di sanità militare che godeva di grande prestigio e autonomia, ereditato dall’organizzazione prussiana – i cui vertici potevano riferire direttamente all’Imperatore – e perfezionato dalla scienza medica tedesca. Nel corso delle ostilità si aggiunsero anche le critiche rivolte dai medici francesi e inglesi ai colleghi tedeschi, considerati «criminali di guerra» per non aver programmato e garan... continua a leggere
tag: Francia, Giuseppe Sanarelli, igiene, Prima guerra mondiale, sanità militare
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Aprire i Pensieri diversi di Francesco Algarotti, usciti postumi nel 1765, significa accedere direttamente ai materiali e ai ragionamenti di uno scrittore pronto a registrare con lucidità sobria e acuta i fatti culminanti del Settecento italiano ed europeo. Vi rifluiscono recensioni e appunti, pronti per un eventuale impiego, pieni di vita e di colore, di figure e di notizie singolari, torniti in forma di aneddoti di varia lunghezza, privi di titoli o numeri progressivi, a differenza delle riflessioni del barone di Montesquieu o degli schemi lemmatici dell’Encyclopédie. I Pensieri diversi, temperati da una scioltezza nobile e naturale che piacque anche a Leopardi, sono capaci di indicare le ragioni più generali di una società in trasformazione, dove si confrontano le discussioni sui conflitti militari e le scoperte scientifiche del giorno, le strategie del nascente giornalismo nell’orientare l’opinione pubblica, le responsabilità dei legislatori nel perseguire la «pubblica felicità. »
Quando si tratta di Algarotti,... continua a leggere
tag: mass-media, opinione pubblica, pandemia, scoperte scientifiche
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Per secoli l'unico modo per tenere sotto controllo le ricorrenti incursioni di malattie epidemiche e limitarne la diffusione è stato quello di mettere in campo un sistema complesso e articolato di quarantene, cordoni sanitari, isolamento degli infetti in lazzaretti, fumigazione e disinfezione, regolamentazione e controllo delle categorie sociali a rischio. Esso era il frutto di una lunga elaborazione cominciata nelle città italiane durante la terrificante epidemia di peste nera del 1347-48, portata da equipaggi contagiati dalle navi provenienti dalla Crimea e approdate in quel mare epidemico che era il Mediterraneo. Dalla città di Messina, il contagio aveva serpeggiato per l’Italia decimando la popolazione di potenti città-stato come Firenze, Pisa, Venezia, Genova che persero circa 1/3 dei loro abitanti.
La peste aveva tutti i crismi per incutere terrore: la brevissima incubazione, la capacità di diffusione rapidissima, l’acuzie del quadro clinico (febbre, dolori, tosse, emottisi, tumefazioni linfoghiandolari), la prognosi inesorabile quando la forma era quella d... continua a leggere
tag: epidemie, isolamento, quarantena, tensioni sociali
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Il pensiero eroico, «vero idolo della nostra modernità», continua a produrre distorsioni nei momenti di maggiore stress. Le grandi emergenze sanitarie, in particolare, fanno affiorare la tendenza ad esaltare immancabilmente come eroi coloro che sono chiamati a compiere il loro dovere professionale e a porre invece in un cono d’ombra altri comportamenti. Nelle pagine che seguono si cercherà di gettare un po’ di luce sulla gestione italiana della principale emergenza sanitaria del Novecento, la pandemia di influenza “spagnola”, andando sulle tracce di eroi veri, di antieroi e di eroi mancati. Descriveremo, in altre parole, quell’ampia zona grigia nella quale, normalmente, si collocano gli esseri umani.
Sotto il profilo storico, ciò che sappiamo di quell’evento che investì anche la Penisola a partire dalla primavera del 1918, lo si deve a poche ricerche che hanno utilizzato un numero limitato di fonti documentarie, oltre alla letteratura medico-scientifica e alla stampa generalista dell’epoca, che essendo sottoposta a censura fornisce un quadro ampiamente edulcorato e d... continua a leggere
tag: eroismo, infermiere, Influenza spagnola, medici
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Dall’alba dei tempi, e ancora oggi, le epidemie sono parte integrante delle vicende umane, ne segnano irrimediabilmente il corso, portando cambiamenti radicali e talvolta imprevedibili. Tra esse il colera, nei suoi circa 200 sierotipi di vibrione, è stata fin dall’antichità forse tra le più devastanti, in particolare per la città di Napoli. Anche per questo, l’infezione è stata oggetto di studio approfondito da prospettive assai disparate, non solo dal punto di vista medico-scientifico, ma anche per le conseguenze economiche, demografiche, sociali, religiose e culturali che ha generato nella città partenopea.
Nel 1973, il presidente della Repubb... continua a leggere
tag: colera, epidemia, Napoli, vaccino
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Dal gennaio 2020 la vita di tutti in ogni suo aspetto è stata condizionata dal Coronavirus. Con la diffusione dei primi contagi l’intero pianeta si è scoperto fragile e impreparato di fronte a una pandemia che si cerca ancora di contenere e sconfiggere. Ciò significa non solo arginare e risolvere l’emergenza sanitaria, ma anche gestirne le conseguenze socio-economiche, interrogarsi sulle cause e ridurre la gravità degli effetti.
In un momento così difficile e “fuori dall’ordinario” è tornato forte tra gli studiosi e gli appassionati di storia l’interesse per le grandi epidemie del passato. E come non ricordare, fra queste, la più funesta e devastante, vale a dire la Peste Nera del Trecento, che sterminò – si stima – almeno un terzo (circa trenta milioni di persone) della popolazione europea complessiva.
Da questa premessa, il presente contributo si prefigge un duplice obiettivo. Da un lato, intende ripercorrere, a grandi linee e senza alcuna pretesa di esaustività, i cambiamenti intervenuti nel corso del XIV secolo, prima e dopo il dilagare dell’epidemia, alla luc... continua a leggere
tag: Crisi del Trecento, medio evo, Peste nera, Tardo Medioevo
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Is the life of the mind a history of interesting mistakes? More pertinently: is the surest way to a fructive western idea the misunderstanding of an eastern one?
‘Occidente’ e ‘Cina’ come opposti linguistico-cognitivi
Se si leggono le opere dei non pochi autori occidentali che hanno scritto di Cina senza una vera e propria formazione linguistica e sinologica ci si imbatte con certezza quasi matematica in un’interpretazione della scrittura cinese come alternativa radicale a quella alfabetica. Tale circostanza ha fatto sì che nel corso della storia intellettuale moderna e contemporanea dell’Occidente alla lingua e al pensiero cinese sia stata attribuita un’essenza sui generis, di norma di natura olistica, pittorica e concreta. Diversamente le civiltà occidentali sarebbero portatrici di un modo di esprimersi e di pensare di tipo analitico, concettuale e astratto, caratteristiche ascritte alla modernità in quanto tale.
Così raccontati e concettualizzati in una miriade vorticosa di discorsi, ‘Occidente’ e ‘Cina’ stanno a indicare due p... continua a leggere
tag: dao, filosofia cinese, individuazione, Jung, Sé
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Il colera asiatico, o cholera morbus, ha interessato il territorio italiano a macchia di leopardo in ben otto occasioni: nel 1835-1837, nel 1849 (quando in Ode a Venezia Arnaldo Fusinato compose i celebri versi: «Ehi, dalla gondola, qual novità?/ Il morbo infuria, il pan ci manca, / sul ponte sventola bandiera bianca») e, a seguire, nel 1854- 1855, nel 1865-1867, nel 1873, nel 1884-1887, nel 1893 e nel 1910-1911. Per un totale (stimato) di 705.000 decessi.
«Per secoli, nell’Occidente cristiano, l’antica nozione di una malattia/destino fece tutt’uno con la concezione religiosa del male; la volontà divina è padrona del destino dell’uomo. Dio gli manda la malattia per i suoi peccati. perché è per natura peccatore: essa è avvertimento e punizione».
Da qui la convinzione che «i principali mali non vogliono essere curati, onde non molestare la natura», cioè la “volontà divina”, un paradigma che sarà ribadito con particolare enfasi dalla Chiesa soprattutto in occasione delle epidemie (peste, tifo, colera) almeno fino alla spagnola del 1918... continua a leggere
tag: diffidenza, epidemia, morte, paura, religiosità, sepoltura
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Sarebbe assurdo considerare la patologia veicolata dal Covid 19 (per essere preciso: il ronairus isease from SARS-CoV2) come la prima pandemia della storia?
A prima vista, sì, sappiamo tutti che ci sono state centinaia di epidemie da quando il primo essere umano è apparso sulla terra. Certe furono devastanti come, alla fine del secondo secolo dopo Cristo, la Peste Antonina descritta dal medico greco Galeno di Pergamo; la Peste Nera del Trecento, descritta da Boccaccio, che uccise probabilmente la metà e forse due terzi della popolazione europea; il colera che, nel prima parte dell’ottocento, attraversò tutto il continente europeo-asiatico, a partire dall’India fino all’Europa occidentale; o, dal 1918 al 1920, la Spagnola, epidemia responsabile di parecchi milioni di morti. Senza contare la moltitudine di propagazioni microbiologiche che distrussero intere popolazioni, ma sono state dimenticate - perché nessun cronista ne ha parlato. Questa sparizione nel nulla di malattie che forse uccisero migliaia di persone non sorprende, le epidemie che ... continua a leggere
tag: Covid 19, epidemia, pandemia, Privilegio dei paesi ricchi, Vulnerabilità dei paesi poveri
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Il dibattito sullo statuto della world literature negli ultimi decenni ha acquisito un ruolo sempre più centrale dentro e fuori l’accademia, e ha toccato anche il Giappone, portando all’attenzione della critica un tema finora poco esplorato, quello del rapporto fra la letteratura e la lingua madre, che interseca e collega generi e sottogeneri apparentemente molto diversi quali la letteratura bilingue, la letteratura della migrazione, la letteratura della diaspora. Fra gli scrittori più studiati spiccano Hideo Levy (1950), Minae Mizumura (1951) e Yōko Tawada (1960), accomunati dalla scelta di scrivere in una lingua che non è la loro lingua madre, incorporando liberamente espressioni e parole straniere nelle loro opere, e soprattutto di fare della riflessione sulla lingua il centro della propria ispirazione. Specularmente in anni molto recente si è assistito all’emergere di una nuova generazione di giovani scrittori e scrittrici in bilico fra due lingue e/o fra due mondi: Shirin Nezammafi (dall'Iran), Yan Yee (dalla Cina), Arthur Binard (dagli Stati Uniti) e Tian Yuan (dalla Cina) hanno scelto liberamente e ... continua a leggere
tag: identità, Letteratura nippo-canadese, Lingua, memoria, World Literature
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L’idea di raccogliere fonti documentarie sulla Pro Deo e il suo fondatore padre Felix A. Morlion, conservate negli istituti pubblici o privati di mezzo mondo, è nata dal fatto che manca ancora uno studio storiografico su di un personaggio parte dei vertici del servizio segreto del Vaticano che svolse attività complesse operando in simbiosi con il potere laico e religioso. Dunque, nel solco della minoritaria tesi che cristallizza il frate domenicano belga essere uomo dell’intelligence vaticana presenteremo documenti editi e non, per avviare un confronto costruttivo tra gli studiosi ridimensionando la persistente oscurità riguardante problemi e avvenimenti legati a doppio filo ad un movimento cattolico nato negli anni ’30 del secolo scorso in Europa. La relazione presentata in occasione degli incontri “Pomeriggi alla Minerva” promossi dalla Comunità del convento Santa Maria sopra Minerva, nonostante usi toni apologetici, di contro mostra una certa apertura al dialogo sullo storico personaggio da parte dell’ordine Domenicano. Leggiamo, ad esempio, che le opere dallo stesso compiute... continua a leggere
tag: Felix Andrew Morlion, Novecento, Pro Deo, Servizi segreti, vaticano
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«Mentre il comizio rappresenta la temporanea conquista sonora degli spazi pubblici, i manifesti costituiscono una forma di occupazione ben più longeva, che modifica l’arredo urbano e ridefinisce con i propri colori e simboli l’aspetto delle città.»
Nel corso di quella che Maurizio Ridolfi ha definito la «lunga campagna elettorale››, le città sono state oggetto di una massiccia diffusione di manifesti e volantini elettorali, in una dimensione quantitativa inedita rispetto al passato. La loro affissione su tutti gli edifici cittadini, dai monumenti storici alle abitazioni, passando per le Università e per i parchi, ha contribuito a ridefinire l’aspetto urbanistico di ogni città. In particolare, nei momenti immediatamente antecedenti le elezioni la «propaganda spicciola››, la forma semplice di propaganda basata sulle scritte murali e l’affissione di giornali di partito nei luoghi più frequentati, ha trovato le sue massime applicazioni sul suolo cittadino. È questo lo scenario ripreso e descritto nelle fotografie ... continua a leggere
tag: 1946, elezioni, monarchia, propaganda, repubblica
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31 ottobre 1926. Attacco fascista a casa di Gino Alfani, sindaco comunista di Torre Annunziata, provincia di Napoli. Un testimone racconta: "Dopo aver sfasciato a colpi di manganello e di calcio di moschetto tutto quanto aveva l'apparenza di politico o culturale, gli incursori si trovarono di fronte al busto di Marx. Attimi di perplessità, poi la storica sentenza del caposquadra: "Questo lasciatelo stare. Garibaldi non si tocca!".
Emilio Lussu (Armungia, 1890- Roma, 1975), scrittore brillante e ironico e politico di primo piano, ha vissuto da protagonista i momenti più importanti del cosiddetto «secolo breve»: la Grande Guerra; le lotte contadine nella sua Sardegna; l’attività parlamentare nel ’21-‘24 per il Partito Sardo d’Azione; l’antifascismo militante che l’ha portato in carcere, al confino e infine in esilio; la guerra civile spagnola, la Resistenza italiana; di nuovo l’incarico parlamentare nel secondo dopoguerra con la partecipazione alla «Commissione dei 75» per l’elaborazione della Costituzione repubblicana; ministro sotto il governo Parri e d... continua a leggere
tag: fuga, oppressione, sardismo, squadrismo, trasformismo
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Raramente - forse mai con tale smaccata sproporzione - un evento sportivo di portata e riconoscimento globale subisce una “damnatio memoriae” delle proprie origini e dei propri padri fondatori, popolarmente generalizzata come quella che continua a gravare sul “Giro d’Italia” di ciclismo.
L’evenienza è tanto paradossale quanto clamorosamente appare estesa non solo la letteratura scientifica, ma anche la pubblicistica divulgativa - rivolta ad un trasversale bacino di tifosi - che a tutt’oggi insiste in un profluvio di analisi statistiche, disamine nozionistiche e rievocazioni romantiche dai più svariati angoli visuali.
A ben guardare, il fattore di fibrillazione tra la ricerca storiografica e la memorialistica comune degli appassionati sembra risiedere in un difetto d’attenzione della prima, che tende a concentrare lo sforzo di “ricostruzione validata” sul tracciato novecentesco della “Corsa Rosa”, lasciando troppo poco presidiati - anche per via di una grave penuria di fonti archivistiche - i momenti embrionali di una grande competizione sportiva pur tenuta a b... continua a leggere
tag: Armando Cougnet, ciclismo, Eugenio Costamagna, Giro d'Italia, Tullo Morgagni
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L’attrazione che lo sport del calcio esercita sul popolo italiano rappresenta un fenomeno che travalica la dimensione ludica e abbraccia la sfera storica, sociale e antropologica. Uno dei più incisivi e visionari intellettuali italiani, Pier Paolo Pasolini, durante un’intervista, del 31 dicembre 1970, rilasciata al giornalista Guido Gerosa del settimanale l’Europeo, definì questo sport come «l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo… Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro».
Esempio tipico di questa moderna liturgia è l’estasi collettiva che segue immancabile le vittorie conseguite dalla nazionale nelle fasi finali dei campionati europei e dei mondiali di calcio.
Un rito catartico e collettivo magnificamente rappresentato sul grande schermo dal regista Dino Risi nel celebre finale del film “In nome del popolo italiano” (D. Risi, 1971).
L’improvvisa esplosione di entusiasmo, esplicitato dall’ostensione di bandiere e vessilli nazionali, in un paese che per complessi... continua a leggere
tag: Arpinati, bologna, calcio, fascismo, storia
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All’interno dello sconfinato panorama storiografico riguardante il fascismo, lo sport si ritaglia sin dall’inizio uno spazio dedicato. I primi a scriverne, ancora una volta, sono i protagonisti, prima come apologetica di regime, in seguito come memorialistica. È il caso di Fabrizio Felice con Sport e fascismo. La politica sportiva del regime, 1924-1936 (Guaraldi 1936) e di Lando Ferretti con Lo sport (L’Arnia 1949). Desta senz’altro interesse il fatto che, dopo un’iniziale produzione, l’attenzione storiografica si riduca notevolmente, per accrescersi nuovamente all’inizio del secolo successivo. Seguono infatti lavori di ampio respiro, come Lo sport nella propaganda fascista di Andrea Bacci (Bradipolibri 2002), Sport e fascismo, curato da Maria Canella e Sergio Giuntini (Franco Angeli 2009) e Gli atleti del duce. La politica sportiva del fascismo 1919-1939 di Enrico Landoni (Mimesis Edizioni 2016). Parallelamente, sempre in anni recenti, sono state pubblicate alcune ricerche legate a specifiche tematiche ... continua a leggere
tag: CONI, fascismo, guerra, nazionalismo, sport
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Come notava Aurelio Lepre nella sua storia della prima Repubblica,
dopo la Liberazione il solo campo possibile in cui l’orgoglio nazionale si espresse senza riserve diventò quello sportivo. Sembrò che in esso potessero trovare una rivalsa anche le frustrazioni lasciate dalla sconfitta e nacquero le leggende di Coppi, di Bartali e della squadra di calcio del Torino.
La vittoria di Bartali al Tour del France nel luglio del 1948 generò la leggenda dell’atleta che aveva salvato l’Italia dalla guerra civile dopo l’attentato a Togliatti. Secondo una rappresentazione veicolata principalmente dalla pubblicistica cattolica, con la sua impresa Bartali aveva unito gli italiani e depotenziato le tensioni politiche e sociali.
Il 4 maggio dell’anno successivo la tragedia di Superga trasfigurò la squadra granata in un mito che fu incanalato nel processo di nation-building entrando nel «pantheon identitario della nuova Italia repubblicana».
Nel contempo, le divisioni che caratterizzavano il contesto politico e sociale italiano tendevano... continua a leggere
tag: calciatori stranieri, calcio, legge truffa, politica, stadio olimpico
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Mentre si disputa il primo campionato europeo di football in un grave contesto pandemico e la geopolitica è tornata a riaffacciarsi attraverso le rivendicazioni di nazioni quali l’Ucraina e la Macedonia del nord, può risultare di qualche interesse tornare sui rapporti instaurati col calcio dal movimento più identitario del panorama politico italiano tra Prima e Seconda Repubblica. Vale a dire quella Lega Nord che, specie durante la lunga segreteria federale di Umberto Bossi, ha largamente investito in termini simbolici e materiali sullo sport come strumento di costruzione e affermazione delle identità locali. D’altronde fin dalle origini essa si diede una precisa e consolidata vocazione localistico/amministrativa. Un localismo capace di contemperare “ethnos e demos” e di radicarsi tramite la rivalutazione di tradizioni, costumi, lingua, territorialità. Localismo e territorialismo che nella loro essenza richiamano emblematicamente l’antico e moderno campanilismo, il dualismo città/campagna, capitale morale/capitale/politica, settentrione/me... continua a leggere
tag: calcio padano, identità, mito, mondiale dei popoli, radici
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L'Athletic Club è la squadra di Bilbao nota in tutto il mondo calcistico per la sua filosofia di tesserare soltanto giocatori nati o cresciuti calcisticamente nella geografia di lingua e cultura basca, ovvero nei territori dell'odierna Comunità Autonoma Basca (formata dalle province della Biscaglia, Guipúzcoa e Álava), della Comunità Forale della Navarra e della parte meridionale del dipartimento francese dei Pirenei Atlantici. Questa scelta ha destato da sempre sentimenti contrastanti: dall'ammirazione del quotidiano sportivo "L'Équipe", che descrisse l’Athletic negli anni Sessanta come «un caso unico nel calcio mondiale», e di Gianni Mura, per il quale il teambasco rappresenterebbe ancora oggi «un'ostinata eresia»; alle critic... continua a leggere
tag: Bilbao, calcio, franchismo, identità, nazionalismo
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El 12 de julio del 2010 el presidente del gobierno de España, José Luis Rodríguez Zapatero, esperaba a la entrada de su residencia del Palacio de la Moncloa al autocar que traía al cuerpo técnico y a los jugadores de la selección española de fútbol. Por primera vez en su historia, este país acababa de conseguir la victoria en el Mundial que se había celebrado en Sudáfrica. Uno a uno, el presidente dará la bienvenida de forma calurosa a todos los miembros del equipo. Posteriormente, en la ceremonia de recepción, Zapatero subrayó la importancia de este triunfo futbolístico, como símbolo de la victoria de toda una nación y por su impacto inmediato en la imagen exterior del país:
«Enhorabuena a los campeones y enhorabuena a España por este gran triunfo histórico. […] Esta es la victoria de los veintitrés jugadores de la selección, pero detrás a tenido la fuerza unida de todos los españoles para que la mejor imagen de España brille en el mundo como hemos hecho ganando este campeonato mundial.
Esta Copa la han ganado ellos, pero es de todos ... continua a leggere
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La rappresentazione e la narrazione dell'identità costituiscono un interessante campo di analisi se rapportate alla semiotica. Uno studio semiotico, infatti, può essere condotto a partire dall'esplorazione dei sistemi di segni e dei discorsi che essi producono, fino a contribuire alla comprensione del carattere sociale, culturale e artistico del mondo nel quale l'opera si presenta o meglio – in termini semiotici – è enunciata, narrata, rappresentata per mezzo di un sistema segnico. In relazione al tema di questo numero, l'articolo propone un'analisi dedicata alla produzione artistica di Jean-Michel Basquiat (1960-1988) considerandola in termini semiotici e in particolare... continua a leggere
tag: immagine, Jean-Michel Basquiat, scrittura, semiotica, sport
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Nel giugno del 2013, in occasione della Confederation Cup, milioni di brasiliani scendono in piazza per protestare “contro tutto” e “contro tutti”, per riprendere un titolo del quotidiano “Folha de São Paulo” divenuto emblematico del caos politico-semantico che aleggiava in quei giorni sul paese. Scaturite a inizio giugno a causa del caro trasporti, le manifestazioni passano poi, nel giro di una settimana, a contemplare una serie nebulosa e variegata di temi e rivendicazioni: contro il “sistema”, contro la “casta”, contro la corruzione, per la sanità e l’istruzione pubblica, contro la riforma costituzionale n. 37, per il trasporto pubblico gratuito, contro la FIFA e la costruzione degli stadi per i mondiali del 2014 che si sarebbe tenuti da lì a un anno. Le principali avenidas delle metropoli brasiliane, come la Avenida Paulista di San Paolo, vengono invase da una moltitudine di bandiere nazionali, drappi verde-oro e maglie della seleção, la nazionale di calcio brasiliana, note anche come uniformi canarinho. Parte ... continua a leggere
tag: Brasile, calcio, cultura, politica, semiotica
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Going on up to the spirit in the sky,
It’s where I’m gonna go when I die,
When I die and they lay me to rest
I’m gonna go on the piss with Georgie Best
(coro dei tifosi del Manchester United)
La vicenda personale di George Best si può leggere semplicemente come uno dei numerosi esempi di sregolatezza di un campione calcistico. Il primo, probabilmente, e dopo di lui ci sarebbero stati il caso più famoso di Diego Armando Maradona o quello, meno noto in campo internazionale ma altrettanto celebre in Gran Bretagna, di Paul Gascoigne: in un primo momento ammirato e odiato dai tifosi ma comunque omaggiato per le sue doti in campo, Best ha quindi condotto una vita riassunta da lui stesso con una frase famosa che gli è stata più volte attribuita: «Ho speso un sacco di soldi per bere, per le donne e per le auto veloci. Il resto l'ho sperperato». Infine, durante l'ennesimo ricovero in ospedale per le conseguenze di un trapianto di fegato, chiese al più noto tabloid inglese del tempo, il "News of the World", di pubblicare una sua foto, itterico e intubato, accompa... continua a leggere
tag: calcio inglese, George Best, questione nordirlandese, rivoluzione giovanile
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Quando parliamo di eroismo calcistico facciamo riferimento a calciatori che, in virtù di una particolare eccellenza sportiva e di risultati non comuni, riescono a innescare nei loro tifosi rilevanti e permanenti gratificazioni emotive legate alla condivisione simbolica della gioia e della fierezza che vittorie e meriti sul campo possono suscitare.
Simile forma di benessere psicologico si fonda su un meccanismo detto BIRGing – basking in reflected glory – il crogiolarsi della gloria riflessa, che porta a identificarsi nei successi dei campioni e delle squadre in cui ci si riconosce.
Su questo legame emozionale di fondo possono innestarsi in maniera plastica molteplici forme di identificazione, territoriale, nazionale, etnica, di genere o connesse a significati più individuali.
Alla base di questi processi risiede la natura rituale del calcio. Le partite sono, infatti, dei rituali sociali che alimentano l’appartenenza, la solidarietà e l’identità sociale di chi sente di partecipare a un destino comunitario, di chi condivide felicità e sofferenza attorno alla dedizione per i ... continua a leggere
tag: calcio, eroe sportivo, identità, Maradona, memoria
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Uno dei fatti salienti del Novecento poetico europeo, e soprattutto italiano, è stato la costruzione del libro di poesia secondo un piano compositivo prefissato o comunque abbastanza rigido. Questo è un dato intuitivo se, ad esempio, si comparano mentalmente le opere dei poeti dell'Ottocento più conosciuti con quelle di autori novecenteschi: degli uni si ricordano più facilmente singole poesie, ad esempio A Silvia o Il cinque maggio, degli altri i titoli dei libri, come Ossi di seppia o Sentimento del tempo.
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Uno degli errori in cui più sovente cade lo studioso che voglia affrontare in maniera critica il pensiero occidentale è senza dubbio quello di entrare in competizione con un avversario sul terreno che a quest’ultimo è più favorevole. È il caso di Hegel, come giustamente ha fatto notare Gilson, che è stato duramente combattuto proprio sul terreno a lui più congeniale, quello appunto della filosofia dello spirito ed è il caso di molti altri, che qui sarebbe troppo lungo citare, ma che comunque rappresentano una parte considerevole di quella storia delle idee che troppo spesso viene accettata come l’unica possibile dalle ristrette visioni di un lettore contemporaneo inconsapevolmente chiuso nelle ideologie delle mode correnti.
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Vorremmo affrontare in questo saggio una problematica nei cui confronti la cultura critica contemporanea (particolarmente nell’ambito artistico-letterario, ma anche in quello più squisitamente filosofico) del XX secolo, in generale, si è già dimostrata sensibile, ma che è stata anche attualmente oggetto di nuove riflessioni e indagini (a livello internazionale) soprattutto in riferimento all’attenzione che sia le teorie estetiche (le riflessioni sull’arte) che le poetiche (le teorie degli artisti e le loro pratiche creative) più recenti hanno dimostrato di attribuire a tale problematica stessa.
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L’ardente e ricca personalità di Salvator Rosa, spirito vivido e mordace, apprezzato pittore ed incisore, scrittore e attor comico d’indubbio talento, non cesserà forse mai d’interessare ed attrarre chi non sia indifferente al fluire complesso e imprevedibile della cultura.
Liberato, grazie soprattutto alle puntuali indagini compiute da studiosi del novecento da mitizzazioni settecentesche e romantiche tanto avventurose e seducenti quanto infondate, Rosa non ci appare più né un crudele bandito non privo d’ingegno, né una sorta di poète maudit lontano dal suo tempo né, tantomeno, un romantico ante litteram, ma si presenta invece come un’individualità che, pur atipica e controcorrente, è solidamente radicata nel contesto storico, politico, sociale e spirituale del Seicento: separandolo da tale temperie, infatti, sarebbe impossibile comprenderne non solo le idee e le ansie, ma pure gli ideali estetici ed i modelli di riferimento.
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Pétrarquisme. Pétrarque est l’un des rares poètes à avoir donné son nom propre à un type de poésie : avec lui, le nom propre d’un poète devient le nom commun d’une classe de poèmes unis par un genre. Si c’était aussi, avec les difficultés que l’on sait, le cas d’Orphée, ce destin est partagé par peu : telle antonomase est généralement réservée aux philosophes dont on peut recomposer les dogmes sans trop d’égard pour le système: Platon lègue le platonisme, Hegel et Marx l’hégélianisme et le marxisme, mais Dante ? mais Baudelaire ? mais Celan enfin ?
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Nel capitolo 11 di Dante, La poetica della conversione - un libro decisivo per dimostrare la dipendenza di Dante da Agostino, sia in numerosissimi loci sia sul piano strutturale complessivo della Commedia, un cammino di conversione che trova il suo archetipo principale nelle Confessioni -, il Freccero ricorda che Bruno Nardi, nell’introduzione ad una famosa raccolta di saggi dedicati alla cultura filosofica dantesca, trattando della Commedia, indicò una strada da percorrere che “non ha ancora trovato adeguata ed esaustiva applicazione nell’esegesi dell’opera del poeta fiorentino”
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Come segno di riconoscenza per la guarigione1, Asclepio, Sose di Cos ti fa dono di una coppa d’argento; tu, o dio, te
ne sei andato, dopo aver cancellato in una sola notte la sua pena durata sei anni e, insieme, la malattia sacra
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Nel Prometeo incatenato di Eschilo il Titano afferma di avere escogitato le tevcnai (v. 477), che
fanno partire la civilizzazione, anzi "pa'sai tevcnai brotoi'sin ejk Promhqevw"” (v. 507), tutte le
tecniche ai mortali derivano da Prometeo.
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Nato di bassa lega, in una società in cui soltanto i “potenti” valevano (fossero essi principi, regnanti, alti prelati o artisti di genio); subito irretito dall’astio del proprio stato e dalla volontà di progredire e di primeggiare puntando su innegabili “qualità” naturali (che via via si affinavano, rodandosi, nei contrasti della vita e nella rapida ascesa al potere), l’autore di quest’opera “incriminata”, relegata frettolosamente fra le cose turpi della nostra letteratura, è tal personaggio che meriterebbe una considerazione maggiore e un esame più attento di quelli che fino a pochi anni fa gli erano riservati. Oggi si può almeno discutere senza scandalo dell’Aretino come di una figura rappresentativa, tipica e anche importante; come di un “grosso” scrittore, a cui per essere grande, davvero grande, mancarono una più riposata attenzione allo svolgersi ed emanciparsi del proprio lavoro e meno interessati pretesti per esibirsi in pubblico, disdegnando misura e studio (“ho partorito ogni opera quasi in un dì”; “né di mio si vede mai lettera che passasse un foglio”).
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Il laico pensiero è il pensiero che ha mille problemi, nessuna paura. È travolto, mai sommerso, da dubbi di ogni genere ma mai dalla disperazione. E’ l’albero posto al confine di un bosco infuocato, ma per sé non ha confine.
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In una situazione in cui la percezione del reale si muove, per citare le parole di P. Florenskij, attraverso una prospettiva rovesciata, appare inevitabile che la poesia di Montale e Sereni si rivolga al passato e alla memoria. Non vi è – è ovvio – una visione storicistica o dialettica della vita ma la ricerca di un qualcosa di fermo e stabile da salvare. In questa ricerca sta forse la divergenza più importante fra Montale e Sereni perché, se per il secondo il passato si giustifica alla luce del presente e riviverlo è l’unico modo per vivere nell’adesso, per il primo la storia degli errori resta imperturbata.
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Gadda ha seguito tutto il corso universitario di Filosofia: ha anche in casa, come lui si esprime, «dei pacchi, anzi nu' cuofeno 'e meditazioni filosofiche» (VM,93). Il polo d'interesse, per il quale egli trova un punto d'incontro tra la meccanica combinatoria di Leibniz e il positivismo, va ricercato nell'ambizione ad allargare il campo delle conoscenze, secondo un metodo di scandaglio: una sorta di «Annales Brunsvicenses» dell'umanità, dilatato alla storia naturale, alla biologia, alla geologia, introducendo quelle che Darwin chiamava classificazioni genealogiche.
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The question to what extent Schopenhauer’s thinking about music can be considered the key to Nietzsche’s interpretation of Greek tragedy opens up a wide range of issues. Nietzsche’s work Die Geburt der Tragödie is definitely influenced by the philosophical heritage of Schopenhauer’s thinking but Nietzsche regrets in his “Versuch einer Selbstkritik”, a later comment on Die Geburt der Tragödie, that he was employing the familiar terms of Kant and Schopenhauer to develop his own understanding of tragedy
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Grandezza inesauribile di Virgilio. Ad apertura del libro, trovo (II libro) il racconto della fine di Priamo, fatto da Enea. E’ la catastrophé finale di Troia, una situazione che ciclicamente si ripete lungo la storia del mondo. Leggerla oggi, dopo l’esperienza del 1945, aggiunge significazioni nuove alla compostezza dei versi latini, e fa risuonare la radicale profondità di parole elementari e decisive. La scena di Ecuba e delle figlie abbracciate all’ara degli dei e che
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Barba Pietro lo chiamavano i suoi alpini della prima e terrificante guerra mondiale. “Agente ottimo ma impromovibile” lo definivano i suoi capi nella Ferrovia e gli agenti della polizia durante il ventennio fascista. “Con che silenziosa ostilità”, confidava, “ho portato i miei vent’anni di miseria e di soprusi”. Infine, ancora: “Confino e prigione spirituale! La persecuzione Fascista mi ha privato dello scrivere, ma non mi ha impedito di pensare!”. E durante la seconda guerra mondiale, relegato (in effetti, confinato da Firenze) a Bologna, affermava con convinta durezza: “Ho solo il problema di conservarmi”.
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La storia delle parole è la storia degli uomini che le usano. Con questo non si vuole spacciare per una novità quella che in realtà è la scoperta dell’acqua calda: solo, si tratta di non negarsi al problema di scavare le viscere delle parole che usiamo per capire l’autentico significato attraverso l’uso che ne facciamo. Giacché è l’uso, non il vocabolario, non il codice civile, che alle parole dà il loro valore semantico. E guardando all’uso, si finisce per incontrare sorprese: come parole che contengono in se stesse il significato e insieme il contrario del significato, pur rimanendo lessicalmente identiche a se stesse. Ma è proprio possibile?
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Per i più Erasmo da Rotterdam è soltanto l’autore di una fortunatissima operetta, l’Elogio della follia, scritta quasi per gioco, durante uno dei suoi innumerevoli viaggi, nel 1509, tant’è che Stefan Zweig apre con toni quasi sconsolati una sua memorabile biografia: «Erasmo da Rotterdam, un tempo la gloria più alta e luminosa del suo secolo, è oggi, non possiamo negarlo, non più di un nome» (S. Zweig 1994, p. 7).
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Vorrei, per una volta, parlare di Petrarca e non del petrarchismo, dunque soltanto del poeta e del suo umanesimo cristiano, lasciando per un attimo da parte il petrarchismo della nostra lingua letteraria, sul quale sono tornato varie volte, da Siamo ancora petrarchisti? del ’93 fino a Univocità ed eclettismo del 2004.
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Nella personalità di Henri-Irénée Marrou lo storico è quasi inseparabile dall’uomo. Lo stesso Marrou ha scritto: «Sì, la storia è inseparabile dallo storico, non è che quello che è, perché uno storico si è incontrato per modellarla con le risorse, le capacità – e i limiti – del suo spirito, della sua personalità»
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«Mérimée è una maschera». Così scriveva, nel 1870, all’indomani della morte dello scrittore francese, Ivan Turgenev, che proprio a lui, appassionato conoscitore delle lingue e delle letterature slave, doveva per larga parte la sua fortuna in Francia. La geniale metafora critica dell’autore di Padri e figli illumina, certo, uno degli aspetti più rilevanti della personalità di Mérimée, e uno dei motivi di maggior interesse che essa può avere agli occhi del lettore d’oggi.
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Se vogliamo parlare, per gli ultimi tre decenni del secolo appena trascorso, come molti studiosi fanno, di condizione postmoderna, dobbiamo tener presente che una condizione presuppone una istituzione, l’atto del fondare (il condere latino) e che, come insegna Livio, tutte le istituzioni umane hanno alla loro origine le storie. Anche la condizione postmoderna ha, come radici, delle storie e continua ad attuarsi per mezzo di storie: alcune di queste sono le seguenti.
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Domenica 11 agosto 1968. Nei Feuillets d'Hypnos di René Char, scritti nel '43-'44, molte “illuminazioni” (il richiamo a Rimbaud è d'obbligo, per Char). Una mi colpisce, soprattutto: “Etre du bond. N'être pas du festin, son épilogue” (n. 197).
Char è partecipe del bond, come militante consapevole della Resistenza.
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Vi sono autori che vengono ricordati per l’insieme della loro opera, la cui summa costituisce un tutto omogeneo; mentre altri spiccano per un solo lavoro, capace di dare loro fama, ma anche di oscurare il resto della loro produzione. Frederic Manning appartiene indubbiamente a questa seconda categoria.
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Il meritorio lavoro di Maria Antonietta Terzoli ha portato nel 1983 a dignità di corpus annotato ed ordinato 23 poesie e 2 traduzioni composte da Carlo Emilio Gadda, per la maggior parte manoscritte e inedite; undici di esse stavano “contenute in una busta piccola di color arancione (fondo Roscioni) che risale a un riordinamento operato dall’autore in anni più tardi” ed erano (come Gadda aveva annotato sulla busta) risalenti agli anni tra il 1919 e il 1921.
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Nel proporvi di colloquiare insieme su Molière, non è mia intenzione trattare tutti i problemi – vastissimi – concernenti la sua opera. Qui desidero soltanto “toccare” quei punti che in essa a me sembrano essenziali per riconfermare ancora la validità del suo teatro, anzi la sua vitalità, la sua attualità, il suo perenne durare, poiché Molière ha prodotto un’opera di grande vigore per arte, cultura, creatività, acuta osservazione, e coraggiosa.
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Rosalie Beatrice «Ruth» Scherzer alias Rose Ausländer è originaria della leggendaria Czernowitz, la città fiorente nella «verde madre» Bukowina (Bukowina III) – alveo geografico della grande, clamorosa poesia «rumena» («Czernowitz/patria dei sognatori», In memoria di Elieser Steinberg).
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Bushidō: letteralmente, la “via del guerriero a cavallo”. Il termine è composto da diversi ideogrammi: bu sta per il concetto di “guerriero”, ed è composto a sua volta da un ideogramma che sta per “dominare” o “fermare” e da un altro che sta per “alabarda”. Shi corrisponde forse all’anèr greco, poiché indica l’uomo considerato in tutto il suo valore virile e spirituale, ed è composto dal segno del dieci e da quello dell’uno, a simboleggiare la concezione buddista secondo cui l’uomo compendia in sé il cosmo.
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Nella sua classificazione degli organismi Carlo Linneo non esaurì la casistica degli animali di cui gli uomini hanno parlato nei loro libri. Ne era ben consapevole Jorge Luis Borges, visto che nel 1957 pubblicò in collaborazione con Margarita Guerrero il Manuale di zoologia fantastica, opera che mirava a colmare le lacune della tassonomia ufficiale, fornendo una descrizione di quegli esseri che dalla notte dei tempi popolano la letteratura mondiale, nonostante non abbiano acquisito diritto di cittadinanza nella scienza della modernità. Del resto, non ci si poteva aspettare troppo da una civiltà che prima si è costretta sul letto di Procuste della prova sperimentale e poi è sprofondata nella nevrosi collettiva per grave carenza di sogni.
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Pietro Bubani, nato a Bagnacavallo di Romagna nel 1808, era, secondo quanto egli stesso ricordava, un giovane sanguigno e appassionato, preso dai più svariati interessi
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Viaggio a ritroso nel tempo e ritorno al presente, samurai e kamikaze. Metamorfosi di ideali, coraggio mescolato a disperazione, spirito di dedizione e valore all’ennesima potenza. Codici di comportamento guerriero medievali e strategia militare nella Seconda Guerra Mondiale, acciaio forgiato per la lama di una spada e ricomposto nella forma aerodinamica e micidiale di un caccia A6M della Mitsubishi (i celeberrimi Zero dell’aviazione giapponese).
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Nel suo Dizionario moderno. Supplemento ai Dizionari Italiani pubblicato a Milano per i tipi Hoepli in editio princeps nel 1905, Alfredo Panzini così annotava alla voce “sfregio”
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Montesquieu è stato uno dei tuoi primi interessi e poi su questo pensatore sei ritornato a più riprese nel corso della tua vita di studioso; vorremmo ricostruire con te come ti sei avvicinato a questo autore e poi come si è sviluppato nel tempo l’interesse per lui.
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Del tutto sterile sarebbe, crediamo, ripetere ancora una volta l’ormai classico repertorio di truismi relativo ai pochi splendori, alle molte miserie e alle infinite ovvietà che caratterizzano la televisione; sarebbe, in altre parole, inutile demonizzare acriticamente – seguendo peraltro un facile costume talora praticato pure da alcuni fra i più insospettabili
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Il Natale invece di essere, nella mente di noi poveri mortali, il dies natalis Solis invicti, come di fatto è, perché, se alziamo gli occhi al cielo nell’ora del crepuscolo, vediamo che gli estremi bagliori della Sua luce benedetta indugiano qualche minuto in più, e apre il cuore alla gratitudine, alla gioia
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A metà tra scienza e arte, il colore è fisica, antropologia, psicologia, religione, storia della pittura, del costume e tanto altro ancora. In questo scritto, cercherò di ricostruire un percorso letterario, necessariamente parziale, attraverso alcune opere narrative e poetiche che hanno visto a tinte bianche aspetti rilevanti dell’esperienza individuale e collettiva
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In occasione del 250° anniversario della morte del celebre filosofo bordolese, avvenuta nel 1755, trentaquattro studiosi – coordinati da Domenico Felice, ideatore e curatore del progetto – hanno voluto documentare la vasta diffusione e penetrazione delle idee e teorie montesquieuiane, mediante una ricostruzione delle più rilevanti interpretazioni, letture
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De iure e de facto, il grande indiano è oramai entrato nel pantheon dei miti contemporanei, al pari di Che Guevera, di Martin Luther King o di Madre Teresa di Calcutta, riconosciuti e idealizzati, “iconizzati” e “santificati” – spesso peraltro senza un’autentica consapevolezza metodologica – come patrimonio dell’umanità
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Nonostante le numerose ribellioni, la presenza in Italia della Massoneria a metà dell’Ottocento era confinata all’attività di poche logge e mal tollerata dai vari governi presenti sul territorio. Le officine italiane dipendevano da Grandi Orienti stranieri ed i rapporti tra loro erano quasi nulli
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La ‘condanna’ di Benedetto Croce contro il “secolo senza poesia” (dalla morte di Petrarca all’emergere del gruppo laurenziano) ha dato i suoi frutti nefasti, e ne sono stati avvelenati anche molti di coloro che avrebbero dovuto esserne immuni. Solo recentemente, sulla scorta di quel maestro de race che è stato Eugenio Garin
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Su Vittorio Sereni pochi dubbi sembrano possibili, che pure ci sono, per me incomprensibili. Sereni è per me la coscienza del nostro tempo, che pure – la sua voce umana e viva – tace da oltre vent’anni. Una coscienza e una voce che si rifacevano a Ungaretti e a Montale
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La breve vita di Luc de Clapiers, marchese di Vauvenargues, offre tutti gli elementi per trarne un’agiografia edificante e patetica: la nascita aristocratica nel 1715 a Aix-en-Provence, un padre magistrato, severo
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Un fenomeno così complesso come quello dell’antisemitismo in Italia richiederebbe ben più ampio spazio di quello disponibile in un volume miscellaneo sui problemi che nel secolo scorso hanno contrassegnato la storia d’Italia. Mi limiterò, quindi, a focalizzare alcuni punti della tematica
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La Storia dell’antisemitismo di Léon Poliakov, nell’edizione italiana più recente (Firenze 1990), si articola in quattro volumi per un complesso di circa millecinquecento pagine a stampa e analizza un segmento cronologico che dai tempi di Cristo si estende fino al fatidico 1933, anno della salita al potere in Germania di Adolf Hitler
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Ciò che rende incomprensibile la “devozione” al re nella règia spelonca di traditori e ladri, di quelle anime care dai contorni funesti, non è un fatto d’ordine eminentemente umano, o meglio, legato allo stereotipo degli atti umani
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Guillermo Cabrera Infante è uno dei più celebri scrittori cubani e non solo perché ha ricevuto nel 1997 il Premio Cervantes, massimo riconoscimento letterario per le opere di narrativa ispanoamericana. Altre motivazioni della sua fama si possono rintracciare
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Carlos Castaneda, laureato in antropologia all’UCLA di Los Angeles nel 1962, è autore di libri che hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo e sono divenuti non solo un importante punto di riferimento nella vita di moltissime persone ma anche
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Il pensiero della modernità è un pensiero scisso, disavvezzo ad ogni approccio olistico; la frantumazione sta alla base dell’avanzamento tecnologico moderno, così come del moderno smarrimento antropologico
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Nella storia letteraria dell’azzurro la lirica di Georg Trakl è un mosaico di tinte accese e contrastanti. I temi intorno ai quali si polarizza la sua ricerca sono il senso del peccato, la lontananza di Dio, la solitudine dell’individuo e
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Il 30 aprile del 1932, commemorando il centenario della morte di Goethe presso la Sorbona, Paul Valéry – uno dei pochissimi scrittori novecenteschi d’intelligenza, spessore e respiro assimilabili a quelli goethiani – esordì con queste parole eloquenti
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La questione dell’insorgere della poesia è un problema centrale in tutte le epoche in cui se ne è smarrito il senso. Fra i poeti tardo-alessandrini o fra i rimatori petrarchisti del Cinquecento, il problema diventa infatti una questione di analisi critica
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Dinanzi alla grave crisi che la politica sta vivendo nelle società contemporanee avanzate e che appare in larga misura riconducibile alla crescente incapacità del mondo occidentale a mettere in scena conflitti su progetti orientati a valori, Dimitri D’Andrea interroga i testi di Max Weber
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Nel giorno in cui la civiltà europea festeggia l’apparizione della Buona Novella, il giorno dell’esultante Natività, proprio in quel giorno Robert Walser andò invece incontro alla morte. Era il 25 dicembre del 1956 quando
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Maria Pascoli – nelle sue memorie – negò decisamente l’appartenenza del fratello alla Massoneria: "Quando Giovannino chiuse per sempre i suoi buoni occhi e l’animo sua s’involò da «questa bassa valle di dolori e di lagrime», alcuni giornalisti, nei loro articoli riguardanti la via di lui, non si peritarono di asserire che egli era massone...."
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È stata recentemente riedita presso Bollati Boringhieri, con un’ampia introduzione di Davide Bidussa, L’accusa del sangue. La macchina mitologica antisemita, un’opera di Furio Jesi ch’era apparsa per la prima volta in «Comunità» nel 1973 con diverso titolo: L’accusa del sangue: il processo agli ebrei di Damasco; metamorfosi del vampiro in Germania
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Lo storico del diritto Marco Cavina, che è da tempo autore di importanti contributi allo studio del singulare certamen, offre in un’opera uscita di recente un’accurata ricostruzione della fertile e plurisecolare storia del duello. Appannaggio pressoché esclusivo del ceto aristocratico e del sesso maschile, il duello rappresenta un istituto – «polimorfo per definizione» – che «storicamente fu in grado di cogliere inflessioni di enorme raffinatezza e sottigliezza, nonché di rimodulare assai variamente funzioni e struttura in differenti contesti sociali e culturali».
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Colore prediletto da romantici e simbolisti, elemento cromatico distintivo dell’avanguardia espressionista, l’azzurro è il tono cromatico più carico di valenze simboliche nell’opera lirica di Baudelaire. Nella poetica delle corrispondenze, il colore del cielo e dell’oceano traduce l’ansia di libertà, la sete d’infinito che divorò l’autore, nella dolorosa ed insopprimibile monotonia della vita. La prima nota celeste de I fiori del male risuona ne L’albatro (L’albatros).
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Paolo Prodi: A mio avviso, stiamo vivendo davvero una svolta epocale nella quale tutto il patrimonio che abbiamo ereditato dalle precedenti generazioni, e in particolare lo Stato di diritto e la democrazia, è in profonda crisi e non si intravedono ancora i lineamenti del nuovo mondo che sta nascendo tra le tempeste della globalizzazione
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Due recenti lavori di un giovane ed intraprendente italianista inglese, John Butcher, invitano il lettore d'oggi a riprendere in considerazione i versi di Vittoria Aganoor (1855-1910), poetessa di origine armena che, al crocevia fra Ottocento e Novecento, lambendo, e in parte assorbendo, atmosfere ed inquietudini che contraddistinguevano la nascente modernità letteraria italiana, diede corpo ed espressione ad un'esperienza umana e poetica certo umbratile
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Gli studi hanno perlopiù considerato il romanzo, nell’ambito del Surrealismo, come un genere condannato, cui era rifiutato il diritto di cittadinanza letteraria. Inconfessabile in seno al gruppo, il romanzo era frequentato furtivamente, nella clandestinità, oppure come messa in opera di meccanismi destinati, nel corso del loro funzionamento, ad eludere il romanzesco
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Vincenzo Cuoco sosteneva che «scrivere d’istoria eterna dell’umanità, è un’invenzione in cui l’ingegno italiano non ha veruno rivale. Platone aveva appena traveduta Atlantide. Vico, al pari di Colombo, fu il primo a navigarvi». Grazie a Vico dunque, sembra suggerirci Cuoco, veniva meno la polemica sulla sudditanza filosofica dell’Italia alla cultura francese
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Chi visita Worms non può mancare di fermarsi davanti all’ottocentesco Lutherdenkmal, che mostra al centro Martin Lutero e ai quattro angoli altrettanti personaggi che si vorrebbero precursori o anticipatori della Riforma: davanti a sinistra, l’italiano Girolamo Savonarola; davanti a destra, il boemo Jan Hus; dietro a sinistra, l’inglese John Wyclif ; dietro a destra, Pietro Valdo
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Vorrei partire da un’occupatio (da una qualche parte bisogna pur partire) e anticipare la probabile osservazione che il lettore ci muoverà dopo aver scorso il seguente saggio: considerando le finalità della rivista in cui esso appare, non sarebbe stato più adeguato chiamarla Bibliophilie? Probabilmente è così, ma l’arbitrio dei fondatori fu una felix culpa, giacché – oltre all’ovvio riferimento platonico – consentì loro una interferenza linguistica tra il francese e l’italiano che nel secondo caso sarebbe stata semplicemente preclusa
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La decisione di Leopold Mozart di portare in Italia il giovanissimo figlio Wolfgang, che qualche lustro dopo sarà massone e rivoluzionario d’ingegno superbo, si colloca nella tradizione dei viaggi “artistici”, che non avevano soltanto lo scopo di conoscere e farsi conoscere, ma pure quello di percorrere le strade del Paese dell’Arte per eccellenza
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Nella stagione primaverile che si è appena conclusa, dal 13 marzo al 15 giugno 2008, la National Portrait Gallery di Londra ha ospitato una mostra di rilevante interesse storico e culturale, che ha attirato un pubblico prevalentemente femminile e che alle donne, in particolare, era dedicata: Brilliant Women: 18th-Century Bluestockings
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Lo studio – che segue in tutta la produzione filosofica e letteraria di Montesquieu, tenendo largamente conto delle numerose e poco note opere postume, «il graduale processo di formazione di una scienza empirica della società»– ha costituito e costituisce tuttora la più equilibrata alternativa all’interpretazione ‘globale’ di Montesquieu proposta da Shackleton (ritenuto da più parti il maggior studioso del filosofo francese)
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I temi dominanti (e di conseguenza alcune caratteristiche stilistiche) della poesia caproniana nel suo trentennale sviluppo, a partire dalle Stanze della funicolare, contenute nella raccolta Il passaggio d’Enea del 1956, fino a Il conte di Kevenhüller, del 1986, mi paiono i seguenti
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Domenico Fisichella cominciò ad interessarsi precocemente agli scritti e alle concezioni di Charles Maurras (1868-1952). Sotto la guida di uno degli indiscussi maestri della filosofia del diritto in Italia, Sergio Cotta, egli decise di laurearsi in Giurisprudenza – con scelta coraggiosa – sul pensiero politico di questo autore provenzale che, all’epoca, il mondo accademico – in Italia come all’estero – tendeva a marginalizzare a causa sia delle sue idee radicali ed intransigenti, “reazionarie”, sia del suo sostegno attivo agli occupanti nazisti in Francia e alla Repubblica di Vichy durante la Seconda guerra mondiale
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All’epoca in cui Luigi XIV incarna fastosamente l’assolutismo di Francia, Jacques-Bénigne Bossuet (1627-1704) ne teorizza con stile vigoroso e perentorio le ragioni, fondandole tutte quante sulle Sacre Scritture: ciò risulta evidente in special modo ne La Politique tirée des propres paroles de l’écriture Sainte (1679), ma anche nel celebre Discours sur l’Histoire universelle (1704)
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Come sempre accade, quando l’interesse per un grande ‘classico’ del pensiero filosofico-politico torna ad essere particolarmente significativo, cominciano ad apparire, accanto a pubblicazioni pregevoli, studi o raccolte di studi quanto mai discutibili: questo è il caso del recente volume Montesquieu, l’État et la religion, in cui sono riunite le relazioni presentate al colloquio organizzato a Sofia, nei giorni 7-8 ottobre 2005, dalla Società Montesquieu e dalla Nuova Università Bulgara
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La letteratura, per Guido Gozzano, è un esercizio labile: “un libro di rima dilegua, passa, non dura”. Consapevole di essere predestinato alla transitorietà tanto vale, come ebbe a dire Edoardo Sanguineti – interprete sommo di Gozzano – fare letteratura obsolescendo, mediante la codificazione non di versi nuovi destinati all’invecchiamento, ma già fin dall’inizio sorpassati e desueti, inadeguati al presente
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Come sempre accade, quando l’interesse per un grande ‘classico’ del pensiero filosofico-politico torna ad essere particolarmente significativo, cominciano ad apparire, accanto a pubblicazioni pregevoli, studi o raccolte di studi quanto mai discutibili: questo è il caso del recente volume Montesquieu, l’État et la religion, in cui sono riunite le relazioni presentate al colloquio organizzato a Sofia, nei giorni 7-8 ottobre 2005, dalla Società Montesquieu e dalla Nuova Università Bulgara, in occasione del 250° anniversario della morte dell’autore dell’Esprit des lois. Chi si aspettasse una ulteriore originale messa punto dello studio, assai articolato e complesso, di Montesquieu sulle religioni, resterà deluso
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Il Novecento è secolo traversato dal fremito dell’incertezza, e le forme letterarie si spezzano, facendosi brevi. Non che sia il secolo che ha inventato la forma breve, tutt’altro, ma è quello che le ha dato impertinenza, causticità, malinconia. È il secolo che ne ha fatto un genere letterario, tanto più solido quanto più concluso nella perfezione di se stesso. E tra le forme brevi troneggia l’aforisma, che alla concisione associa la ricerca di uno stile
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Con il recente Abitare nella possibilità la ricerca di Antonio Spadaro sul significato più profondo della letteratura sembra giunta ad esiti tali da consentirgli una prima organizzazione sistematica alla materia. Il libro costituisce, infatti, il punto di arrivo (almeno per ora) di una lunga riflessione che ha percorso buona parte dei suoi scritti nel corso degli ultimi anni. In particolare, molti spunti di Abitare nella possibilità erano già presenti in quel A che cosa serve la letteratura? che costituisce il primo importante tentativo dell’autore di disciplinare il proprio pensiero secondo alcune linee guida: non a caso, a segnalare la continuità dei suoi studi ma anche un ininterrotto lavoro di approfondimento, alcune parti di quel testo sono riprese, con le opportune integrazioni, in questa sua ultima fatica
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Che profondo rimpianto, che amarezza struggente suscita in ogni animo non distratto o inaridito sapere come Persio, una personalità di respiro, intelligenza e coraggio – stando in primis a quanto ci lascia, ma pure a quel che di lui ci dicono fonti attendibili – affatto rari ed encomiabili, sia stato strappato all’esistenza ben prima d’aver compiuto il trentesimo anno. Questo poeta-filosofo, difatti
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Mediante la predicazione successiva alla fuga da Firenze di Piero di Lorenzo de’ Medici (1471-1503), avvenuta il 9 novembre 1494, l’ormai popolarissimo frate domenicano Girolamo Savonarola da Ferrara (1452-1498) – priore del convento fiorentino di San Marco, vicario generale della neonata Congregazione omonima e da molti fedeli considerato «profeta»– intende orientare il cammino storico degli abitanti della città toscana verso il ritorno con purezza di cuore a Cristo e verso la costruzione di un reggimento politico che sia solido e a misura d’uomo, e che garantisca la pace, la giustizia e la prosperità
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Chissà quale peso grava sulle palpebre di quest’uomo, quale potere strega la sua attenzione, quale dio è riuscito ad affrancare il suo sguardo dal mondo terreno, quale demonio gli ha strappato l’anima lasciandola appena in vita... È l’eternità del dolore l’argilla utilizzata per modellare il suo sguardo, lo sguardo di una persona che ha patito sofferenze indicibili e gli assalti impietosi della spada del tempo
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In una storia della letteratura intesa come metropoli letteraria, in quale quartiere si localizzerebbe il romanzo La coscienza di Zeno, che Italo Svevo scrisse tra il 1919 e il 1923? Sicuramente in quella fertile zona di confine, di periferia, che sono gli orli smangiati ed irregolari di una città che dilaga in paesaggio. La liminarità del percorso sveviano segna il romanzo fin dall’inizio: la particolarità della città di Trieste, porto aperto a tante culture, la vicinanza/influenza dell’impero asburgico, la mescolanza di culture, religioni e lingue, la presenza di grandi scrittori europei, l’accoglienza precoce della nuova scienza psicoanalitica, sono elementi che arricchiscono la scrittura di Svevo ma allo stesso tempo la isolano rispetto all’idea di letteratura che l’Italia macinava in quegli anni
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Desidero innanzitutto dire che, fin da ragazzo, ho sempre nutrito una grande ammirazione per il popolo ebraico, e perciò sono davvero onorato di essere in questi antichi luoghi, perché ciò assume per me e per tutti noi una particolare valenza simbolica e spirituale, conferendo un rigore speciale ai gesti che compiamo, alle parole che diciamo e all’esplorazione di nuove prospettive. Si è qui per conoscere e per apprendere, sapendo bene che l’apprendimento non è uno sparo di fucile, ma un volo di farfalla e la memoria è il nostro granaio, il vero salvadanaio dello spirito
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In queste pagine, non fornirò considerazioni ulteriori al problema filosofico del nichilismo nella peculiare versione jüngeriana, anche se è innegabile che di qui si debba comunque prendere le mosse. Il mio intento precipuo è quello di inquadrare il tipo di intellettuale che Jünger ha a modo suo incarnato nella vita con riguardo all’ideale delineato in senso teorico nei suoi scritti, romanzi, saggi, memorie e interviste, osservando in che rapporto i due stiano fra loro, se siano divergenti o perfettamente sovrapponibili
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Nell’àmbito della sua inappellabile condanna dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese, il pensatore e diplomatico savoiardo di fede cattolica Joseph de Maistre, nato a Chambéry nel 1753 e morto a Torino nel 1821, accusa i philosophes settecenteschi – da Voltaire (1694-1778) a Condorcet (1734-1794) e da Jean-Jacques Rousseau (1711-1778) a Condillac (1715-1780) – di aver coltivato una filosofia della volontà che metteva capo ad un fare umano non più assistito da Dio e sprezzante dei legami col passato. Egli, tuttavia
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Di Jean-Jacques Rousseau in questo scritto si è cercato di dare un inquadramento sommario e complessivo di quanto le sue idee abbiano superato le barriere e i confini che si consideravano insormontabili per l’epoca, e come si siano diffusi quegli ideali che, mostrandoci l’autore ora esaltatore della natura, ora libertario insofferente, o come acceso individualista e socialista, o come puro sentimentale, rivoluzionario dei valori tradizionali, abbiano contribuito a cogliere un pensiero unitario, universale, e sempre più attuale dell’uomo e del filosofo, rifacendosi a quelle idee fondamentali di lui, che, sgorgate dal suo essere, si rivolgono ad ogni tempo
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Nell’attraversare di notte il Quartiere Latino per recarsi a convegno con una bella amante, il cui nome è rimasto ignoto, il giovane Alexandre Dumas, «touriste noctambulant» privo di bastone, di pugnale e di pistole, passava sempre dinanzi a una «porte voutée, à barreaux de fer», chiusa con una catena, e attraverso le sbarre della porta vedeva una foresta inestricabile e impenetrabile come quelle dell’India o dell’America: un parco più che isolato, misterioso, suscitatore di un incanto che cedeva a una sorta di terrore allorché
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La première lecture des nouvelles de Poe a provoqué en Baudelaire un choc extraordinaire. Charles Asselineau, ami intime du poète, rapporte dans Charles Baudelaire : sa vie, son œuvre combien celui-ci fut marqué par cette découverte, qu’il date de la parution du Chat noir, traduit par Isabelle Meunier, dans La Démocratie pacifique le 27 janvier 1848: «Dès les premières lectures il s’enflamma d’admiration pour ce géni inconnu qui
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Più del silenzio carico di inestinguibile rancore di Aiace, come lo leggeva l’Anonimo del Sublime, più del leggendario ammutolire di Arthur Rimbaud, più del muso di sfinge del vecchio Pound, più del tacere di Antonioni, una poetica fattasi carne e sofferenza, più insomma di qualunque altro cecidere manus, l’abbandono della scena (e della parola) di Iago è il paradigma di come il sublime, appunto, coincida a volte con un taglio radicale, e la letteratura attinga il più alto grado di sé fuori da sé, o annullandosi
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Negli Amori garibaldini si può seguire tutta la storia della campagna del Cinquantanove, nella gioia delle prime battaglie e nella costernazione dell'armistizio peggiore di una sconfitta, nel riso squillante dei giovani volontari e nell'interno sgomento innanzi all'ignoto avvenire”. Così Dino Mantovani, autore della più antica biografia critica di Ippolito Nievo
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L’Apocalisse viene dopo. La catastrofe, la caduta degli astri, l’ultimo giorno: tutto questo è aggiunto, interpretato, quasi posticcio. Se in principio fu l’Apocalisse di Giovanni, su ciò che si dice nel testo di partenza è stata rovesciata una rete interpretativa, e apocalittico ha trovato la sua collocazione nei dizionari, accanto a bovarismo, donchisciottesco, kafkiano
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Achille Lodovisi è uno dei più profondi conoscitori della storia, della cartografia, dell’idrografia e degli ambienti culturali ed artistici dei territori di Reggio Emilia, Modena, Ferrara e Bologna, nonché della Toscana settentrionale. Da diversi anni sta studiando la vita e le opere di una delle maggiori personalità italiane dell’Ottocento, l’insigne chimico, letterato e patriota Francesco Selmi; inoltre, sta partecipando all’inventariazione del ricco fondo documentario Selmi di Vignola. Lodovisi è pertanto in grado di parlarci in maniera approfondita e a tutto campo di questa interessantissima figura del nostro Risorgimento
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Es posible que la contemplación de las tragedias provocara, como escribiera Aristóteles, una catarsis colectiva entre los espectadores, pero para el lector moderno significa sobre todo inyectarse una buena dosis de cordura con la que hacer frente a cierta inocencia o a la inercia y demás venenos de lo rutinario. Y eso, me parece, ocurre incluso con la más desazonadora de todas, la que mayor desasosiego produce inicialmente en el alma de quien desprevenidamente se acerca a ella por primera vez o sin saber de lo que va, porque una madre que deliberadamente sacrifica a sus hijos no sólo viola las leyes de la naturaleza en el corazón, no sólo inmola el amor en su propio altar, sino que regala al odio un festín extra en el mundo de la razón
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Montale considerava il Dizionario Moderno, volume che Alfredo Panzini (1863-1939) aveva pubblicato nel 1905 (nuove edizioni arricchite nel 1908, 1918 e 1923), «uno dei suoi lavori più significativi», nel quale l’autore aveva raccolto «una selva di neologismi e di parole di conio quanto mai avventuroso». E davvero si tratta di opera che, sebbene poco nota, reclama attenzione proprio in virtù di quella selva di parole avventurose che ne fa un repertorio di tutto quel che all’epoca suonava inusitato
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Quando, nel 1977, Heiner Müller pensa ad Amleto, pensa probabilmente al giovane Laurence Olivier, che dall’alto della scogliera apostrofa verboso («BLABLA») le onde, mentre alle sue spalle – l’anno del celebre film è il 1948 – si innalzano ancora i fumi apocalittici di un’Europa in rovine. La medesima Europa dove, nel dramma shakespeariano, Norvegia, Polonia e Danimarca si combattono per un lembo di terra senza valore, nemmeno grande a sufficienza da ospitare le tombe degli uomini che vi moriranno. La stessa Europa che, di lì a poco, si getterà a capofitto nell’immenso carnaio della Guerra dei Trent’Anni
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Il frutto più avvelenato del vetero-marxismo, o, il che è lo stesso, del marxismo volgare (la faccia vera, a dispetto delle apparenze, dell’ideologia capitalistica imperante), è che il pensiero, qualunque pensiero, deve essere utile, qui e ora, altrimenti non esiste. La celebre affermazione di Cartesio: penso, dunque sono, è falsa. L’affermazione vera è un’altra: sono utile, dunque sono. È l’utilità che fonda l’esistenza e le dà senso. Il che è come dire, tutto è profitto. Ovvero, con una formula à la Heidegger: l’essere è il profitto
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Il frutto più avvelenato del vetero-marxismo, o, il che è lo stesso, del marxismo volgare (la faccia vera, a dispetto delle apparenze, dell’ideologia capitalistica imperante), è che il pensiero, qualunque pensiero, deve essere utile, qui e ora, altrimenti non esiste. La celebre affermazione di Cartesio: penso, dunque sono, è falsa. L’affermazione vera è un’altra: sono utile, dunque sono. È l’utilità che fonda l’esistenza e le dà senso. Il che è come dire, tutto è profitto. Ovvero, con una formula à la Heidegger: l’essere è il profitto
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Gli Amori garibaldini, secondo uno schema di palese ascendenza ortisiana, seguono la trama di un duplice amore, l'amor di patria e l'amor di donna. Lo stesso Nievo accredita le derivazioni tematiche ortisiane, parlando più volte di "primo amore" - l'amor di patria - e di un altro amore - l'amore per Bice
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Dopo alcuni anni trascorsi come quadro dirigente della Democrazia Cristiana, partito di cui fu anche vicesegretario, ed esauritasi da poco la fertile stagione delle «Cronache sociali», nell’estate 1952 Giuseppe Dossetti abbandonò completamente la vita politica per dedicarsi agli studi e organizzare a Bologna il Centro di documentazione, nell’ambito del quale egli desiderava si formasse una comunità di giovani ricercatori capace non soltanto di misurarsi con la grave crisi di lungo periodo del cristianesimo che traeva origine dal XVI secolo, ma anche di scorgere la direzione di un nuovo cammino in una fase storica che, secondo la sua interpretazione, stava ormai vedendo il mondo occidentale approssimarsi all’epocale fuoriuscita dall’eone della Controriforma e dello Stato moderno
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Chi abbia avuto la ventura di aprire la Storia confidenziale della letteratura italiana di Giampaolo Dossena, almeno il primo volume, nel periodo in cui il libro si affermò come indiscutibile successo editoriale, conserva forse il ricordo di una lettura continuamente interrotta, fatta di scarti in avanti, di ritorni al punto di partenza (ne parlo al plurale: giunto il lettore alla metà del libro, essi si erano moltiplicati in numero tale da smarrirlo), di pagine rovistate in fretta per assecondare le svolte repentine del discorso
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La conquista dell’emancipazione dal matrimonio è per una donna un reale segnale di libertà spirituale, di presa di coscienza in senso lato dei doveri che la vita impone verso se stessi, prima che verso gli altri? O è piuttosto un debole, mal celato schermo dietro cui nascondere, sebbene velato da una forma superficialmente più apprezzabile, la vacuità?
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L’opera d’arte universale rappresenta il grande miraggio culturale nel periodo compreso tra la seconda metà dell’Ottocento e l’affermazione delle avanguardie storiche. Intesa come unione simultanea di diversi linguaggi artistici o come evocazione delle sottili corrispondenze interiori tra le diverse forme dell’arte, la contaminazione interdisciplinare incantò alcuni tra i maggiori scrittori dell’epoca da Baudelaire fino a Marinetti
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La trama delle Affinità elettive è ordita a intreccio dalle relazioni affettive che si combinano attorno a due poli, quello della vita e quello della morte (intese rispettivamente come nascita di una relazione o il suo contrario), che tra loro interagiscono secondo la prospettiva alchemica del morire per vivere. Della vita e della morte i sentimenti sono sia la causa – perché partecipano attivamente alla nascita o alla fine di un rapporto – sia l’effetto: il risultato della fine di un rapporto è un sentimento che può portare a unirsi di nuovo con qualcuno o a restare soli fino a quando, secondo la prospettiva goethiana, non si troverà una persona compatibile, alla stregua di una reazione chimica che può legare o dissolvere gli elementi che si incontrano in natura, per poi riunirli con altri e di nuovo allontanarli. Proprio su di essa Goethe ha modellato il titolo del romanzo
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Le invenzioni del canzoniere, di cui questo libro ospita una Sinossi di sessantasei componimenti, senza costituire un mero recupero archeologico di forme prosodiche codificate, non dissimulano risonanze collegate alla tradizione poetica italiana e a quella fondativa della poesia francese. Tuttavia sembrano provenire da un mondo altro che però non è il mondo della lirica passata. L’impianto architettonico – trecentotrentatre ricercari ordinati in sei libri – sembra alludere a una tradizione sapienziale basata sul numero, ossia alla Cabalà. I titoli dei libri che la compongono – “Miserie, compassioni e mutamenti nell’ansietà dell’humana condicio”, “Crimini e decadenze del presente”, “Passioni che sostengono la vita”, “Abissi e labirinti dell’amore”, “Presenze delicate d’amicizia”, “Tacito dialogo non interrotto con la gran Luce che orienta ogni passo” – fanno pensare a tratti di un cammino iniziatico
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Nel rileggere Gozzano a quasi un secolo dall’uscita quello che fu il più rappresentativo dei suoi libri di rime, I colloqui, e dopo vaste e multivoche investigazioni sui versi gozzaniani e ardue ricognizioni intorno alla loro posizione nel nostro Novecento, e definizioni di formule riassuntive (Gozzano come l’ultimo dei classici, colui che inaugura la linea crepuscolare della poesia in negativo, un prosatore in versi, ovvero un ironista essenzialmente estraneo al crepuscolarismo, un occasionale autore di plagi, un poeta che lambisce la soglia del divino, per nominarne solo alcune tra le più note ed emblematiche) almeno un aspetto, in particolare, ancora suscita una certa perplessità, un
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Come scriveva il Vico, e come ripeterono i Romantici, «la sapienza poetica, che fu la prima sapienza della gentilità, dovette incominciare da una metafisica, non ragionata ed astratta qual è questa or degli addottrinati, ma sentita ed immaginata quale dovett'essere di tai primi uomini, siccome quelli ch'erano di niuno raziocinio e tutti robusti sensi e vigorosissime fantasie». Comparsi sulla terra, gli uomini notarono, terrorizzati, i fulmini arroventare il cielo
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Xénos en tôis biblíois, straniero, estraneo fra i libri, eppure curioso e innamorato indagatore, e ápolis, senza patria, ovvero, proprio per questo, cittadino di tutte le patrie: tale, a quanto dice Luciano di Samòsata in Come si deve scrivere la storia, la condizione dello storico. Universalità e straniamento paiono, in effetti, connotare, in linea generale, il ruolo e la situazione esistenziale dello storico
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I romanzi polizieschi di Willard Huntington Wright (in arte S.S. Van Dine, Chattersville, Virginia, 15 ottobre 1888 - New York, 11 aprile 1939), appartengono a pieno titolo alla “Golden Age” della detective story (1920-1940), e in particolar modo al cosiddetto whodunnit (“giallo deduttivo”), il cui capostipite, ovviamente, è l’immortale Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle (Vance, Poirot, Miss Marple, Nero Wolf, sono tutti eredi del grande deduttore inglese): un investigatore (professionista o dilettante), conduce indagini su un delitto avvenuto in circostanze misteriose e inspiegabili (un inquietudine soprannaturale sembra anzi percorrere le oscure vicende narrate), generalmente in un ambiente chiuso, e lo scrittore, che racconta la vicenda dal punto di vista di testimoni del tutto incapaci di sbrogliare l’intricato filo della matassa, affida al suo “eroe” il compito di ricostruire, attraverso percorsi logici e deduttivi alquanto rigorosi, l’esatto e imprevisto svolgimento dei fatti
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«La definizione di povero e del suo stato non può dunque che essere molto larga. Il povero è colui che in modo permanente o temporaneo si trova in una condizione di debolezza, di dipendenza, di umiliazione, contraddistinta dalla mancanza – diversa a seconda delle epoche e della società – degli strumenti di potenza e di considerazione sociale: denaro, relazioni personali, capacità di influenza, potere, cultura, qualificazione tecnica, alti natali, vigore fisico, intelligenza, libertà e dignità personali. Il povero vive alla giornata e non ha alcuna possibilità di sollevarsi senza l’aiuto di altri. In questa definizione vivono tutti i frustrati, tutti i rifiutati, tutti gli asociali, tutti gli emarginati
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Gli eventi storici non possono essere completamente compresi se non viene dedicata una particolare attenzione alla guerra, poiché essa rappresenta non solo lo scontro tra due o più eserciti, fra strutture logistiche e strategie, ma fra Stati; i conflitti armati sono il luogo di confronto tra economie industriali, tra la determinazione e la motivazione di due popoli o sistemi di alleanze. La guerra ha una storia antica quasi quanto quella dell’uomo
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All’origine di uno tra i massimi autori contemporanei – poeta e drammaturgo, romanziere e filmmaker –, vi è un numero di matricola: 192102. Nell’asfittica clinica ostetrica Tarnier di Parigi, il 19 dicembre 1910, Jean Genet nasce da Camille Gabrielle Genet. Senza padre, nell’estate del 1911 è abbandonato anche dalla madre (che morirà di malattia nel 1919). Dalla clinica al brefotrofio, è immatricolato (e già orfano) all’Hospice des Enfants-Assistés. Camille non è più madre: Genet è figlio della pubblica assistenza
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In questa analisi del background storico precedente e successivo al Mein Kampf, evidenziamo aspetti poco noti, in grado comunque di offrire un punto di vista complementare ed integrativo rispetto a quelli già conosciuti. Si è scelto qui di utilizzare la visione junghiana del nazionalsocialismo, perché rivela più di altre talune caratteristiche chiave di Hitler, che divengono evidenti se esaminate sotto questa luce, e ben riconoscibili nel Mein Kampf: caratteristiche che lo accomunano, più in generale, a tutta la cultura völkisch. Ma vediamo dunque qual è stato l’apporto di Jung in questo contesto
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Con rara misura e carsica presenza Cristina Campo – nome connotato di Vittoria Guerrini (Bologna, 1923 - Roma, 1977) – attraversa la letteratura italiana dal dopoguerra agli anni settanta. E la sua forma di “critica poetica” costituisce, ad avviso oramai di molte voci de race, un unicum nel panorama della seconda metà del secolo
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Pur se in maniera certamente meno palese rispetto agli altri "maggiori" del suo secolo, anche Leopardi, nell'arco di tempo che va dal 1837 all’inizio del secolo scorso, ha avuto una schiera di epigoni, che ne hanno evidenziato alcuni tratti a scapito di altri, in consonanza generalmente con lo spirito romantico prima, tardo romantico poi dell'epoca. Il che, tra l'altro, anche a prescindere dalla statura letteraria dei protagonisti, ha provocato una sensazione diffusa di esaurimento delle possibilità del magistero poetico del Recanatese alla svolta del nuovo secolo, poco prima che altra svolta, questa di intima intelligenza dell'autore da parte di una nuova generazione di poeti, gli desse nuovo impulso
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Non solo e non tanto perché, da anni, vado occupandomi di questioni culturali cinquecentesche, mi sembra di aver trovato tre buone ragioni per discorrere, pure in questa occasione, di Rinascimento – e più precisamente, ratione materiae, della ricezione del Rinascimento in epoca risorgimentale. La prima è legata alla rilevanza assoluta, forse incomparabile – è communis opinio fra gli storiografi europei dal Settecento ad oggi – di questo movimento socioculturale, almeno per quanto concerne l’Italia moderna. Ma vorrei proporre sùbito, in tal senso, uno spunto di riflessione
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I colloqui uscirono con Treves un secolo fa, verso la fine del febbraio del 1911. Il titolo del secondo libro di rime di Guido Gozzano ha carattere programmatico, esplicativo insieme di una intenzionalità artistica e di una intonazione verbale. “Cum loquere”, “parlare con”. O, detto altrimenti, “colloqui”, “parlare insieme”: codificare un messaggio che supponga un interlocutore, e nel canone crepuscolare tale presupposto finisce per dar luogo a una conversazione deliberatamente informale, in abbassamento tonale rispetto al carduccianesimo e al dannunzianesimo - si è detto e ripetuto fin quasi all’esaustione. Ma, al di fuori del luogo comune immediatamente ci immettiamo in un’altra considerazione non meno convenzionale, tuttavia non altrettanto marginabile: è in questione, con il diffuso versificare in dimessità di ritmo dei crepuscolari, una reazione alla contemporaneità attraverso lo smascheramento del sublime ipocrita della fatiscente borghesia protonovecentesca e dei valori dell’età giolittiana, il “tempo nostro mite e sonnolento”
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La teoria della conoscenza rappresenta da sempre uno dei luoghi più complessi e stratificati della riflessione filosofica o, latu sensu, gnoseologica. Tuttavia, ai fini euristici del presente saggio, possono essere individuati almeno due grandi modelli di lungo periodo, quello iconico e quello proposizionale. Per il primo modello, che ha origine nello stoicismo e prevale nella filosofia europea del Seicento per arrivare fino a Kant e all’idealismo tedesco, la conoscenza è un’immagine mentale adeguata dell’oggetto di conoscenza. Per il secondo modello, cha da Aristotele attraversa la filosofia medievale
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Negli stessi anni dell’esperienza poetica di Pianissimo, Sbarbaro faceva anche quella dei Trucioli, frammenti in prosa che, sebbene pubblicati da Vallecchi nel 1920, furono scritti tra il 1914 e il 1918. Era già in ritardo come frammentista. Un critico liquidò Sbarbaro e i Trucioli con questa immagine: «La vecchietta che a chiesa vuota seguita a borbottar preghiere, senza accorgersi che la funzione (= il frammentismo) è finita». Gli dava insomma dello scrittore in ritardo sui tempi e Sbarbaro se ne vendicò: quando quello stesso critico pubblicò un eccellente vocabolario, Sbarbaro disse
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Rispetto alla sua prima canzone con lo stesso titolo, composta nel 1834, la seconda A Giacomo Leopardi (1848) di Alessandro Poerio si presenta incentrata su una rispondenza ancora più stretta tra analisi critica - o precritica - dell'opera leopardiana, e destinazione, fruizione, nonché rinvii testuali utilizzati quasi a contrappunto dei passi ideologicamente più significanti. Facili vi appaiono i riscontri testuali: "eterna idea"(v.3), "beate larve"(v.7), "Invocata morte" (v.12), "d'amor cura segreta" (v.16), "e lamentavi che la tua (giovinezza) perisse / come vecchiezza" (vv.32-33) - evidente qui la citazione diretta da Il sogno, vv.51-52: "giovane son, ma si consuma e perde / la giovanezza mia come vecchiezza"-, "care pupille", "mortal velo"(v.42), "te certo ella porrà"(v.74), "se fatta ignara e stolta, / servitù non l'aspetti un'altra volta"
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La figura sull’estrema sinistra che, ostentando con nonchalance un evidente mancinismo, impugna una lunga bacchetta e illustra la stanza a tre notabili ospiti, abbigliati alla spagnola (copricapo piumato, gorgiera, mantellina, farsetto rigido, correggia con sciabola d’ordinanza, calzabraca e pianelle di cuoio), non può essere che il naturalista napoletano Ferrante Imperato. Dell’ampia sala si scorgono tre pareti, due delle quali ingombrate da pesanti scaffalature modanate e una, quella di fondo, parzialmente libera, seppur interrotta da un finestrone centrale a bovindo. Il soffitto poi
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1801: il giovane Alessandro Manzoni lascia il Collegio Langone, retto dai Padri Barnabiti, in cui aveva studiato dal 1799, per ritornare nella casa del padre. All’adolescente irrequieto e solitario, nella cui mente si stavano già delineando idee razionalistiche e libertarie, testimone degli orrori della guerra nella disastrosa ritirata dei Francesi a Castellazzo dei Barzi, l’ambiente austero e repressivo della famiglia, intriso di ipocrisia e formalismo religioso, si rivela di certo arido e soffocante
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Sono persuaso che la miglior ragione per cui io – uno fra i tanti studiosi di civiltà letteraria europea che si trovano a spaziare, più o meno plausibilmente, dal Rinascimento al Romanticismo – meriti d’essere ascoltato su questo non agevole argomento risieda nella mia ventennale collaborazione ed amicizia con Roberto Roversi (1923) ed Ezio Raimondi (1924): nel fatto – in altri termini – che da gran tempo io abbia l’immeritata fortuna di dialogare mensilmente (salvo, ça va sans dire, imprevisti di varia natura) con questi due maestri “di color che sanno”, certo assai differenti, eppure, al tempo stesso, vicini per diversi aspetti non secondari – dati anagrafici, amicizie, letture ed autentiche passioni letterarie, storiografiche e speculative ed altro ancora confermano, si creda, tale posizione
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Tutto sommato non è trascorso troppo tempo da quando uno storico di inusitata sensibilità come Carlo Ginzburg, in parte introducendo e in parte giustificando la propria ricerca, ricordava che, quanto alla questione della stregoneria, «quello che ancora nel 1967 K. Thomas poteva a buon diritto definire “un argomento che la maggior parte degli storici considera periferico, per non dire bizzarro”, è diventato, nel frattempo, un tema storiografico più che rispettabile, coltivato anche da studiosi poco amanti delle eccentricità». Un ragionamento non troppo dissimile, mutatis mutandis, potrebbe essere svolto intorno alla narrativa horror
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A diferencia de Spinoza o Hume, quizá no sea Racine uno de los autores tras los que el espíritu revolotee cuando tiene necesidad de mantener en pie de guerra la bandera de la cordura en estos tiempos de tórridas turbulencias, pero sí cuenta en su patrimonio con encantos que fácilmente lo seducen en casi toda circunstancia. Uno de ellos es el imán de la belleza, que lo atrae con pasión hacia sus versos y le conduce a peregrinar entre ellos con el éxtasis de quien camina en el interior de una perpetua obra de arte; otro es la singular capacidad de hacernos asistir al parto de la sociedad moderna en medio de escenarios y sujetos en principio del todo ajenos, como la Corte o el Héroe. De ello da fe la segunda de sus obras y primera de sus obras maestras, su Alejandro Magno, un texto escrito cuando el genio contaba apenas veinticinco años, y sobre el que me propongo reflexionar aquí
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Alcuni decenni addietro, in uno dei suoi studi più acuti e originali, Montesquieu. La politique et l’histoire, Louis Althusser ha rilanciato con forza l’ipotesi interpretativa, di origine settecentesca - divenuta successivamente un vero e proprio Leitmotiv della letteratura critica -, secondo cui il dispotismo teorizzato da Montesquieu nell’Esprit des lois avrebbe ben poco o addirittura nulla a che vedere con le concrete realtà storico-politiche (per lo più orientali) cui costantemente, in modo esplicito o implicito, allude o rinvia, ma sarebbe piuttosto un concetto polemico o ideologico, ovvero una «caricatura» dell’assolutismo moderno (nella fattispecie di quello di Luigi XIV), la cui funzione principale, se non esclusiva, sarebbe stata quella di mettere in guardia i monarchi europei settecenteschi, anzitutto francesi, sui rischi insiti nelle loro ‘inclinazioni’ e ‘tentazioni’ dispotiche
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Nel 1820, in seguito alla pubblicazione del Carmagnola (elaborato a partire dal 1816), Manzoni si dedicò alla lettura dei Rerum Gallicarum et Francicarum Scriptores e dei Rerum Italicarum Scriptores di Muratori. L’amico Fauriel, col quale era impegnato, nel frattempo, in un serrato confronto su problemi teorici, gli suggerì l’idea di dedicare una tragedia al personaggio di «Adolphe», ovvero Ataulfo, re dei Visigoti. Il 17 ottobre di quell’anno, però, Manzoni
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Per quanto la conversione costituisca un fatto determinante, capitale, nel destino di uno scrittore e di un uomo, Manzoni non amava parlarne. Restano solo poche allusioni: una, ellittica, a san Paolo, e alcuni racconti riferiti, ma probabilmente degni di fede, su ciò che accadde in quel famoso 2 aprile 1810, quando Manzoni con la giovane moglie, Enrichetta, si trovò a Parigi, nel pieno dei festeggiamenti per le nozze di Napoleone. Si sa che a un certo punto, nella confusione generale, la moglie svenne, e i due restarono divisi. E finalmente Manzoni si ritrovò nella chiesa vicina di San Rocco, con una sorta di nuova epifania
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Da circa quindici anni in Argentina l'attivismo della diversità sessuale si dedica intensamente a elaborare le memorie del suo recente passato. Gli attivisti e le attiviste hanno articolano le loro rivendicazioni verso lo Stato a partire dal recupero delle esperienze delle persone gay, lesbiche e trans durante l'ultima dittatura militare nel paese sudamericano, caratterizzata dalle più orrende violazioni dei diritti umani.
Tra il 1976 e il 1983, trentamila dissidenti politici, personalità della cultura e delle arti e persone comuni sono state illegalmente detenute dalle forze armate, trasferite in centri di detenzione clandestina, torturate e assassinate. I corpi della maggior parte di questi trentamila desaparecidos non sono mai stati recuperati: molti prigionieri sono stati gettati in mare ancora vivi, altri sepolti in fosse comuni in luoghi mantenuti segreti.
A causa dell'aumento delle persecuzioni, nel 1976 la militanza gay organizzata si è dissolta. Nel 1983, alla fine della dittatura, il movimento gay si riorganizza per resistere alla persecuzione quotidiana della polizia che, nonostante il passaggio alla d... continua a leggere
tag: Argentina, Desaparecidos, dittature latinoamericane, Memory Studies, omosessualità, queer history
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Fin dalla sua scoperta, il fenomeno dell’Aids è stato accompagnato da significati metaforici, ideologici e politici. L’Aids, come sostiene Paula Treichler, si innesta in un punto d’intersezione tra molteplici narrative – trovando così posizione in una rete già dotata di senso. La “carriera discorsiva” del fenomeno si rivela, ad un’attenta lettura, molto consistente: non solo il senso circolante nei vari contesti sociali si rivela molto diversificato (con competenze variabili sull’argomento da parte dei diversi attori sociali) ma, ben più profondamente, sono proprio i discorsi specialistici delle discipline interessate ad adottare, nei riguardi del tema, diversi approcci e chiavi di lettura.
Il silenzio accademico nel contesto italiano denunciato da Luigi Lombardi Satriani nel 1995 può in effetti dirsi di gran lunga superato: a partire dagli anni novanta, l’Aids è stato oggetto di studio privilegiato in numerosi campi del sapere, tanto da condurre Eileen Moyer – in un saggio che si propone di offrire una cornice teorica degli studi in merito – a definire il compito di offrire una ricos... continua a leggere
tag: AIDS, GRID, omosessualità
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La reciente publicación de Avram Finkelstein Odio a l*s héteros: separatismo y sida en los años 80 (2020), nos sirve como referente para posicionarnos en la actualidad. Después de siglos de ocultamiento, encontraremos que el trabajo sobre materiales de archivo queer se sostiene como un trabajo que nos interpela aún hoy en día. Según Finkelstein, tras varias décadas de asimilacionismo queer impuesto, «la radicalidad queer no ha podido ser eliminada fácilmente de las conceptualizaciones reflexivas que abordan nuestra identidad en forma crítica o exhaustiva». Frente a una historiografía LGBTIQ+ española que enfatiza en los avances en materia de inclusión legislativa y social, pienso que recuperar algunos archivos e imágenes donde se explicitan claramente la opresión de las mal consideradas sexualidades minoritarias, permite también rescatar y resignificar el potencial disruptivo de una cultura politizada a través del sexo y la disidencia que se ha mantenido posteriormente en las formas de interpretación y contemplación de los materiales sobre SIDA, en el que el panorama mediático ha privil... continua a leggere
tag: AIDS, corpo, infezione culturale, omosessualità, patologia
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The First Republic of Czechoslovakia came into being at the end of the First World War in 1918. The National Revolutionary Assembly in Prague elected Tomáš Masaryk, one of the philosophers and politicians who championed Czechoslovakism, a political or cultural conception based on the concept of the existence of a Czechoslovak people and a Czechoslovak language, as President of the Republic. As has been noted by some scholars, the Czechoslovak provisional government had succeeded in a singular feat, namely gaining recognition by the international community in the absence of a real state. The First Czechoslovak Republic existed until 1938 and consisted of Bohemia, Moravia, Silesia, Slovakia and Subcarpathian Ruthenia. After 1933, Czechoslovakia remained the only functioning democracy in Eastern Europe, as the other eastern states had authoritarian or autocratic regimes. Until the German invasion and its dismemberment in 1939, Czechoslovakia remained the only country of liberal principles in Central and Eastern Europe. In March... continua a leggere
tag: Primavera di Praga, Rudé právo, Sessantotto
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Il termine Tongzhi 同志, comunemente utilizzato in Cina per designare un omosessuale, è relativamente recente. Tuttavia, due caratteri che lo compongono - 同tong (stesso, comune) e 志zhi (ideale o aspirazione) – erano già presenti nel cinese classico. Risale al 1911 l’utilizzo di questo binomio con un’accezione del termine completamente diversa. Il 1911 fu l’anno in cui diversi ribelli antigovernativi cinesi lanciarono una protesta politica con connotazione anticoloniale ed antioccidentale verso la dinastia Qing, a cui fra le altre cose contestavano l'aver consegnato il progetto per lo sviluppo della rete ferroviaria alle potenze occidentali, che in quel periodo storico occupavano la Cina, uscita sconfitta dalla seconda guerra sino-giapponese. Per la prima volta nella storia cinese moderna, questi due caratteri vennero associati per alludere a una forma di cameratismo e condivisione di ideali politici ed ideologici.
L’origine di questo binomio è riconducibile al motto di di Sun Yat-Sen (1866-1925): «革... continua a leggere
tag: Cina, omosessualità, prostituzione omosessuale, Tongzhi
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L’omosessualità è un tema centrale, costitutivo, nell’opera di Pier Vittorio Tondelli. Eppure è stata per molto tempo, soprattutto negli anni successivi alla scomparsa dell’autore, affrontata con riserbo, perlomeno dalla critica italiana. Nel contesto anglosassone, invece, ha costituito la preoccupazione principale attraverso la quale molti studiosi si sono avvicinati alla sua opera. Le ragioni di questa difficoltà sono molteplici, tra cui sicuramente figura la morte prematura dell’autore a causa dell’Aids, nel 1991. È inoltre possibile che abbia agito un qualche pregiudizio nei confronti di orientamenti critici, influenzati dagli studi culturali, in cui l’identità dell’autore è un tema di rilievo centrale. Fa testo, per esempio, uno studio tra i più comprensivi dell’opera di Tondelli – dove peraltro non mancano pagine importanti dedicate all’omosessualità – nel quale Roberto Carnero sostiene che «Tondelli, in realtà, non legge l’omosessualità in termini ideologici e neppure identitari». Carnero rileva che Tondelli stesso, nelle interviste, è scettico nei confronti di categorie quali la ... continua a leggere
tag: formazione, omosessualità, Rimini, Tondelli
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Le riviste LGBT
Storie ed evoluzione
L’immagine del Sessantotto è notoriamente quella di una comunità alternativa, in contrasto con la società esistente e con la società dei “padri”. In tutto il movimento si riscontrano nuovi legami, la tradizionale forma familiare viene rovesciata e la comunanza di sangue cede il posto ad un’unità di tipo politico, in cui liberazione individuale e collettiva coincidono.
Con il Sessantotto mutano i linguaggi, lo spazio politico è destinato ad essere riscritto attraverso un linguaggio che possa essere al contempo espressione intellettuale e corporea, in una comunicazione intersoggettiva.
Negli anni a cavallo tra il 1968 e il 1970, le riviste divengono punto di incontro e di scambio critico con la cultura ufficiale. Soprattutto nell’area di intervento della New Left, queste documentano e testimoniano la presenza di un nuovo movimento di massa. In assenza di tali organizzazioni e giornali, la Nuova Sinistra – a sua volta – non avrebbe potuto far circolare le sue notizie, idee, tendenze, opinioni... continua a leggere
tag: controcultura, LGBT, movimenti di liberazione sessuale, stampa alternativa
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L’impegno del presente saggio è illustrare l’articolato percorso che ha condotto alla formazione delle correnti storiografiche relative agli studi passati e recenti sul soggetto queer. L’analisi proposta in questa sede cerca di agire in maniera orizzontale attraverso le epoche storiche, riassumendo le tappe fondamentali dell’orizzonte storiografico risoltesi nella progressiva maturazione della “coscienza storica” relativa al sesso e alle sue declinazioni. L’emblema del controverso cammino di affermazione del paradigma teorico del queer, in concomitanza con la lotta per i diritti civili della comunità LGBTQ+, ad oggi è rappresentato nell’ambito storiografico dal termine omnicomprensivo di storia della sessualità. Com’è facile intuire all’interno di tale paradigma, che pur sembra generico, coesistono diverse prospettive e storie, che si adattano alla pluralità dei protagonisti stessi, delle loro esperienze sessuali e della percezione propria o esterna riguardo al genere di appartenenza. La scaturigine politica d... continua a leggere
tag: omosessualità femminile, Queer, Storia della sessualità, studi di genere
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Il 18 luglio 1960 l'Assemblea nazionale francese, sotto la presidenza di Charles de Gaulle, approvava una legge (la numero 60-773) con la quale si autorizzava il governo a procedere per ordinanze (ossia per decreti presidenziali che non necessitano a tutti i costi di un voto parlamentare) al fine di proteggere la società francese da “flagelli sociali” come l'omosessualità, l'alcolismo, la tubercolosi, la prostituzione e il prossenetismo, ossia il sostentamento con i proventi della prostituzione. Tale legge permetteva, il 25 novembre dello stesso anno, la promulgazione di un'ordinanza (la numero 60-1245) con la quale si integrava l'articolo 330 del codice penale col comma 2, al quale si prevedeva il raddoppio della pena per oltraggio al pudore «nel caso esso consistesse in atti contro natura con un individuo dello stesso sesso, [...] inclusi i casi di rapporti omosessuali.»
Parallelamente, in Italia, il 22 gennaio 1960 veniva presentata alla Camera dei Deputati una proposta di legge che aveva come obiettivo quello di rendere l’omosessualità un reat... continua a leggere
tag: omosessualità, repressione
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Ogni forma di stigmatizzazione, pregiudizio, persecuzione di un gruppo sociale può essere analizzata dal punto di vista dei soggetti che subiscono tali manifestazioni identitarie violente, trattando ad esempio dei gravi costi a vari livelli che esse provocano nelle loro vite; ma può anche essere studiata concentrandosi sui soggetti che le producono, e dunque sulle dinamiche culturali, politiche, psicologiche che a livello collettivo sono alla base di simili fenomeni di ostilità. In quest'ultimo caso, naturalmente, l'analisi può rivelare molto non tanto dell'identità soggetta al pregiudizio, quanto di quella da cui proviene il pregiudizio stesso.
In queste pagine si proverà a trattare alcuni aspetti storico-culturali dell'omofobia maschile (ovvero intramaschile: da parte di uomini nei confronti di altri uomini), e lo si farà precisamente in questa seconda prospettiva: con l'obiettivo, cioè, di comprendere cosa l'omofobia dica dei soggetti che la praticano e la alimentano, e a quali loro urgenze, insicurezze, contraddizioni identitarie essa venga concepita – consapevolmente o meno ― essere una risposta.... continua a leggere
tag: gender studies, omofobia, omosessualità, virilismo
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Jacques Jaufré o Jacopo Gaufrido secondo l’uso quasi univoco delle fonti coeve rappresenta una tipologia peculiare in seno ai letterati.
E tuttavia nuovi moduli interrelazionali fra potere ed intellettuali nell’ ”Autunno del Rinascimento” accomunarono gli scrittori di questo periodo così che non pochi tra essi conoero un susseguirsi di alterne fortune al pari del Gaufrido. Va poi sottolineato che di tale personaggio la valutazione, quasi esclusivamente negativa, proveniva da figure che avevano condiviso con esso la partecipazione a numerose Accademie culturali,: con Gaufrido avevano inoltre in comune molte esperiene esistenziali a cominciare dai contatti con i grandi nobili all’interno di una sorta di proto République des Léttres e dall’ambizione, concretata o meramente ipotizzata, di acquisire un ruolo politico formale o, in subordine, di entrare de facto nella cerchia dei potenti nelle vesti di informatori o spie.
Per dare una definizione rapida ed ovviamente semplicistica del contesto in cui operò il Gaufrido si può osservare che, dalla natia Francia, egli si calò in un contesto ... continua a leggere
tag: cultura e potere nel XVII secolo, intellettuali in area padana, Politica farnesiana, vita di Jacopo Gaufrido
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È del giurista francese Boucher d’Argis la voce Sodomie dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert ben collocata in quella operazione culturale di grande portata e cristallizzata in poche righe a sintesi di sedimentate opinioni sul tema. Un manifesto di ciò che la storia ha raccolto su questo crimine e sui suoi autori:
«est le crime de ceux qui commettent des impuretés contraires même à l’ordre de la nature; ce crime a pris son nom de la ville de Sodome, qui périt par le feu du ciel à cause de ce désordre abominable qui y étoit familier».
Sodomia, come si sa, deriva dalla città di Sodoma, distrutta e punita da Dio con tutti i suoi abitanti per non aver accolto nel modo giusto gli angeli inviati dal cielo. La narrazione dei fatti è presentata in Genesi 19 e sulle interpretazioni riguardanti i motivi della sua distruzione e le colpe dei suoi abitanti il dibattito si è ampliato soprattutto tra XIX e XX secolo. Quello che però a noi interessa riprendere, sia pur in forma non sistematica, è la persistenza ... continua a leggere
tag: giustizia criminale, omosessualità, Sodomia, studi di genere
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Interrogarsi sulla natura del tempo, cercando di darne una spiegazione razionale in rapporto alla storia e, perché no, alla nostra quotidianità, è molto complicato. Sebbene la concezione del tempo sia andata trasformandosi nel corso della storia in modo frequentissimo e spesso radicale, cronologicamente possiamo cominciare l'analisi dello spinoso argomento da due teorie tra loro opposte di matrice antichissima: la concezione ciclica del tempo, risalente alla tradizione del mondo classico pagano, e la concezione lineare, appartenente ai costumi giudaico-cristiani antichi...
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La canzone è una forma di comunicazione che riflette e influenza il contesto sociale nel quale viene prodotta, può contribuire alla formazione di identità individuali e collettive talvolta in contrapposizione; produce consapevolezza, appartenenza, socializzazione e meccanismi profondi di identificazione. Per lungo tempo una certa tipologia di musica non è stata considerata dagli storici, soprattutto quella popolare ha scontato pregiudizi dovuti alla natura della fonte, ma non sono mancate eccezioni. Oggi è più chiara la necessità di lavorare sulla musica per l’importanza che riveste nella vita delle persone e nella costruzione dell’identità individuale e collettiva. Il senso comune storico, che la forma canzone può determinare in una comunità e il suo uso come mezzo d’identificazione sociale, è riscontrabile nella musica neomelodica. La sovrapposizione di piani semantici diversi, l’analisi dei testi, della musica e dell’ambiente in cui il genere si sviluppa, restituisce il quadro di un periodo storico e i cambiamenti sociali che influenzano anche la produzione artistica. Il genere... continua a leggere
tag: mafie, musica, neomelodico
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Il punk è un fenomeno musicale, culturale e politico. Le sue radici si trovano in un ampio contesto culturale anglosassone, tra la Gran Bretagna e gli USA, generativo dei suoni, dei simboli e dei significati che dalla seconda metà degli anni Settanta si diffondono in tutta Europa. Il punk è un fenomeno plurale che va storicizzato: nel 1977 incarna una soglia generazionale e abita uno spazio a metà tra cultura pop e controcultura, ma le diverse forme e caratteri, anche coesistenti, che via via assume, spesso non rispondono alle stesse logiche. Come molte altre declinazioni del punk europeo lontane da Londra, quello italiano è un «punk di provincia» o di «periferia», esito, cioè, dell'interazione e negoziazione tra la dimensione simbolica del punk, messa in circolazione dai media e dalle industrie culturali, e la dimensione materiale dell'Italia dell'epoca. La temperie del movimento del '77 e l'alto livello di politicizzazione giovanile nel paese offrono il contesto in cui il punk viene accolto e integrato tra i modelli e i prodotti culturali di giovani e adolescenti. Il punk in Italia mostra importanti eredi... continua a leggere
tag: anarchismo, fanzine, guerra fredda, iconografia, Italia anni Ottanta, Punk
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Chi argomenta procedendo per suggestioni afferma che gli anni ’80, per gli appassionati di musica, iniziano con l’omicidio di John Lennon da parte del venticinquenne Mark David Chapman, un suo fan, che gli spara davanti al Dakota Building (New York), dove Lennon risiede assieme alla moglie Yoko Ono, l’8 dicembre dell’anno Zero del decennio. Si può dire, «ecco il devoto fanatico che uccide il suo idolo», e proseguire su questa via, ma si può anche leggerlo, quest’omicidio, in termini di pensieri e parole, di punti di vista reali, quelli dell’assassino e della vittima che si confrontano in uno spazio pubblico già “global” come New York. Il morto, John Lennon, da ex Beatle, ha scritto con Yoko Ono Imagine e Happy Xmas (War Is Over): entrambe nel 1971, sono rispettivamente una ballad e un folk morbidi, semplici e rotondi come la Colomba della pace di Picasso (1949) e facili, fra il resto, da cantare in coro. Il linguaggio delle due canzoni è tutto al “noi”, identifica il mondo in termini collettivi: l’umanità è sempre comunità, tanto nell’utopia futura q... continua a leggere
tag: Bret Easton Ellis, Italia anni Ottanta, musica, polifonia, Treno di Panna
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Se Bologna celebra oggi le stars internazionali del jazz che l’hanno frequentata nelle centralissime via Orefici e via Caprarie (con tanto di stelle di marmo incassate nel selciato, a mo’ di una felsinea walk of fame), oppure i suoi cantautori (Lucio Dalla in primis, le cui note risuonano in Via d’Azeglio, la cui sagoma si affaccia su Piazza dei Celestini), è doveroso ricordare che, a cavallo tra gli anni 1970 e 1980, il capoluogo emiliano è stato la città più punk d’Italia. In inglese, punk può significare «rifiuto», «scarto», «delinquente», «prostituta», varie accezioni che rimandando comunque sempre alla trivialità e alla marginalità. Il movimento punk stesso è polisemico: trattasi innanzitutto di una corrente musicale che esaspera l’urgenza del rock’n’roll, aumentando i battiti per minuti, saturando ancora di più il suono delle chitarre. Le canzoni sono brevi, i testi essenziali esprimono disagio sociale, rabbia politica, distacco ironico. Il punk è anche una subculture, come la definisce lo studioso Dick Hebdige che dedica uno dei primi studi al... continua a leggere
tag: bologna, Italia anni Ottanta, Punk
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Nella primavera del 1980 “L’Espresso” attraverso la penna di Roberto Gatti, lancia l’allarme che i giovani di destra si stanno appropriando della musica pop, essendo – evidentemente – convinti che un fenomeno così importante non debba essere lasciato esclusivamente alla sinistra. Così – si dice – si sta dipingendo di “nero” quello che è stato sempre colorato di “rosso”. L’autore dell’articolo si riferisce al fatto che un “certo” mondo si sta avvicinando, ormai da tempo, ad un fenomeno musicale che non sembrerebbe essere stato di suo appannaggio. Nei mesi precedenti, infatti, una serie di articoli è stata pubblicata su un periodico della cosiddetta Nuova Destra, “Linea”, che dimostra che è presente un sempre più marcato interesse per questo genere musicale nell’ambiente giovanile di destra.
Al di là dell’analisi di questo dibattito specifico, l’esistenza di questa diatriba dimostra che anche all’interno di “quel mondo” è presente una certa attenzione verso ... continua a leggere
tag: canzone militante, musica alternativa, neofascismo
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A partire dagli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento si è affermata in Italia un'importante corrente di studi storici ed etnografici dedicati alla canzone popolare di protesta. Tra le molte opere che vennero pubblicate, si ricordano il volume «I canti sociali» e il contributo «la canzone popolare» entrambi curati da Roberto Leydi. Si trattava, nella maggior parte dei casi, di raccolte di canzoni molte delle quali registrate dalla viva voce dei protagonisti, attraverso un minuzioso e capillare lavoro di interviste di storia orale. Questi studi costituiscono delle ricerche di fondamentale importanza, poiché riuscirono a fissare su nastro magnetico quel tradizionale repertorio canoro, spesso legato all’oralità, che altrimenti sarebbe andato scomparendo senza lasciare traccia negli archivi. Lo scopo di quell'intensa stagione di ricerca era di far emerge, all'interno della storiografia ma anche nell'opinione pubblica, la presenza di un vero e proprio corpus di canzoni di protesta radicato nelle classi "subalterne", che testimoniava «l'esistenza di una viva tradizione politica nella nostra espressività popolare».... continua a leggere
tag: Canzone sociale, Cultural studies
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«La Banana Comix è lieta di presentare un fumetto pieno di violenza gratuita! […] Ecco a voi: Rank Xerox il Coatto!». È il giugno del 1978 e nelle edicole affiora per la prima volta una copertina rosso amaranto, su cui è raffigurato con realismo fotografico un uomo ipertrofico che si auto-divora con coltello e forchetta. Ha già mangiato tutto ciò che c’è tra sterno e coccige, lasciando intatta una gamba per sorreggersi e l’intestino crasso, appoggiato sulle ossa del bacino. Lo sguardo è tagliente e lui viene colto nell’atto di allontanarsi la forchetta dalla bocca con il filo di carne sgocciolante che ne consegue.
Il titolo della rivista non lascia spazio all’immaginazione: “Cannibale”.
Tra le sue pagine si trovano riunite le opere di cinque tra i migliori autori di fumetto della scena underground italiana degli anni Settanta e Ottanta: la fantascienza di Fi... continua a leggere
tag: fumetti, stampa alternativa, underground
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New York, 8 dicembre 1980. John Lennon è assassinato da uno squilibrato davanti alla sua abitazione. Quarant’anni dopo è forte la tentazione di leggervi un passaggio d’epoca, come si è fatto a proposito dello scioglimento dei fab four nel 1970, un evento assunto dagli storici a metafora della fine dello spirito pubblico del decennio della protesta.
Lo stato ancora molto embrionale della riflessione storiografica su Lennon suggerisce invece di mettere le metafore da parte e riannodare pazientemente le conoscenze a disposizione, partendo da una rassegna dei principali contributi biografici che si sono accumulati in questi quattro decenni su di lui. Sono in tutto una decina di lavori, scelti fra la miriade di saggi di vario genere sull’ex beatle.
Condividono con la letteratura sui Beatles, e più in generale sulla musica pop e rock, il fatto di essere scritti in larghissima maggioranza da uomini, bianchi, anglosassoni, quasi equamente distribuiti fra Regno Unito e Stati Uniti. I lavori britannici, com’è consuetudine del settore, sono opera di giornalisti, musicali e non, alcuni provenienti dal “p... continua a leggere
tag: beatles, john lennon
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«La definizione di povero e del suo stato non può dunque che essere molto larga. Il povero è colui che in modo permanente o temporaneo si trova in una condizione di debolezza, di dipendenza, di umiliazione, contraddistinta dalla mancanza – diversa a seconda delle epoche e della società – degli strumenti di potenza e di considerazione sociale: denaro, relazioni personali, capacità di influenza, potere, cultura, qualificazione tecnica, alti natali, vigore fisico, intelligenza, libertà e dignità personali. Il povero vive alla giornata e non ha alcuna possibilità di sollevarsi senza l’aiuto di altri. In questa definizione vivono tutti i frustrati, tutti i rifiutati, tutti gli asociali, tutti gli emarginati. Questa definizione non è specifica di un periodo, di un’area geografica, di un ambiente e non esclude nemmeno coloro che per ideale ascetico o mistico hanno abbandonato il mondo o per dedizione hanno scelto di vivere poveri in mezzo ai poveri.»
Non sorprende, di conseguenza, che appaia articolato – quando non ambivalente – l’atteggiamento che la cultura occidentale e cristiana ha riservato alla miseria, anche prima che l’etica protestante ravvisasse nell’affermazione personale e nella conseguente ricchezza un segnale patente della grazia divina. L’abbrutimento psicofisico al quale l’indigenza conduce è lo stigma evidente di quella deprivazione sociale ed economica a cui, come a la morte,... continua a leggere
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Il diritto d’autore è un diritto moderno.
Non esisteva nel diritto romano. Nessuno dei testi raccolti nel Corpus Juris di Giustiniano tratta della proprietà letteraria. In quell’ordinamento, non erano riconosciuti diritti della personalità; ogni diritto era una creazione della legge, dipendeva dalla volontà incondizionata del legislatore (stat pro ratione voluntas, si diceva). In più, nel diritto romano, l’esercizio delle arti liberali non rientrava nella figura giuridica della locazione d’opera: solo quest’ultima prevedeva una retribuzione, mentre dall’esercizio delle arti liberali poteva (ma non doveva) conseguire solamente una remunerazione a titolo di gratitudine, un honorarium.
Non esistette nemmeno nel Medio Evo, ai tempi dei nostri glossatori, che si richiamavano al diritto giustinianeo.
Dopo l’invenzione della stampa, si cominciò a porre concretamente la questione della tutela dei libri, peraltro in un’ottica di difesa degli editori. Nacque il sistema dei privilegi librari, che a quanto pare fu ideato e realizzato nella Repubblica Veneta. La natura del privilegio librario era analoga, si può dire, a quella di un brevetto di invenzione, e consisteva nel diritto esclusivo di stampare e commerciare un libro per un tempo determinato. La dizione “cum privilegiis” cominciò ad apparire sempre più frequentemente sui frontespizi delle opere a stampa.
È forse all’interno di questo... continua a leggere
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La vicenda dei Nuclei Armati Rivoluzionari è probabilmente quella maggiormente conosciuta, in particolare grazie a diverse pubblicazioni di taglio giornalistico, della storia del neofascismo italiano. Una parabola breve, di pochi anni, e tremendamente tragica che ha trovato il suo fulcro narrativo nella responsabilità della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, attribuita giudizialmente a quattro esponenti di primissimo piano del più importante gruppetto di lotta armata dell’estrema destra italiana. Luigi Ciavardini, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro hanno sempre rifiutato l’accusa di aver compiuto quell’attentato, pur ammettendo la responsabilità di molteplici omicidi e rapine che hanno costellato la loro attività; stesso discorso per Gilberto Cavallini che, recentemente condannato per concorso nella strage dalla Corte d’Assise di Bologna, ha continuato ad affermare l’estraneità del gruppo al terribile attentato del 2 agosto.
Lo stesso iter giudiziario, complesso, travagliato, prolungatosi per più di trent’anni, addensato da un notevole coinvolgimento pubblico, nonché dalle... continua a leggere
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«Noi, popoli della Padania, solennemente proclamiamo: la Padania è una Repubblica federale indipendente e sovrana. Noi offriamo, gli uni agli altri, a scambievole pegno, le nostre vite, le nostre fortune e il nostro sacro onore». Con questa celebre dichiarazione, il 15 settembre 1996, il segretario della Lega Nord Umberto Bossi proclama la secessione della Padania di fronte a centinaia di migliaia di militanti convenuti a Venezia nei pressi del «grande fiume». Con la caduta del primo governo Berlusconi materializzatasi il 17 gennaio 1995, la Lega Nord ristruttura la propria identità dirottando tutte le forze propagandistiche e organizzative verso la definitiva costruzione del disegno indipendentista. Anche se priva di alcun valore legale nell’ordinamento giuridico italiano, la Padania si propone come un’entità politica indipendente, dotata di tutte le strutture e gli organi rappresentativi che costituiscono una nazione: nell’arco di due anni designa un parlamento, una bandiera, una capitale, un inno, una moneta, una Guardia Nazionale, dei comitati, dei... continua a leggere
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La ‘ndrangheta è il fenomeno criminale che ha interessato e occupato, specialmente negli ultimi 15 anni, le cronache giudiziarie e le imponenti operazioni antimafia, portando alla luce aspetti nascosti dell’organizzazione criminale più potente al mondo.
Lo sviluppo storico-scientifico del fenomeno viene visto come un intreccio di continuità e trasformazione. Lo storico inglese John Dickie, con «Mafia Republic, Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndragheta dal 1946 ad oggi» ci illustra la prima storia comparata fra le tre mafie. Scrittori del calibro di Enzo Ciconte e Rocco Sciarrone si immedesimano nel dare una spiegazione plausibile nei processi di infiltrazione ‘ndraghetista e conoscenza nel percorso di mutamento in «mafia di ieri» e mafia di oggi»: il primo attraverso il testo «‘Ndrangheta», edito da Rubbettino nel 2011, mentre il secondo con «Mafie vecchie, Mafie nuove», edito da Donzelli nel 2009.
Grazie agli studi affrontati da Fabio Truzzolillo, docente e storico lametino, attraverso la rivista di storia e scienze s... continua a leggere
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In Italia la prima legge in materia di radiotelegrafia e radiotelefonia risale al 1910, anno in cui il Parlamento emana una legge apposita con la quale dettare norme riguardanti le prime comunicazioni senza filo, pensate per soli scopi di natura militare e sicurezza nazionale.
La legge 30 giugno 1910, n. 395, infatti, stabilisce il principio dell’interesse e del controllo pubblico in materia radio. In Italia l’interesse per le comunicazioni radiofoniche rimane circoscritto, almeno inizialmente, agli ambienti militari, della marina in particolare, e a quelli della ricerca in campo tecnologico.
Nei primi anni venti in Italia non si è ancora sviluppato, nonostante la legge del 1910, un sistema radiofonico articolato ed efficiente. L’unico apparecchio simile a quella che poi sarebbe diventata la radio è per il momento l’Araldo Telefonico dei fratelli Ranieri, un’emittente di programmi sonori trasmessi tramite cavi telefonici e istituita nel 1909.
Il Governo italiano deve poi far fronte alle vicende belliche del periodo 1915-1918, che rallentano in maniera decisiva la crescita d... continua a leggere
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Estate 1980. Il primo sabato d’agosto.
Chiusi i cancelli delle fabbriche, abbassate le saracinesche dei negozi, gli italiani si preparano a partire per le ferie estive: le città iniziano a svuotarsi e famiglie, giovani e turisti si riversano in autostrada e affollano le stazioni.
È gremita anche quella di Bologna, nodo ferroviario nevralgico dell’Italia Settentrionale, crocevia imprescindibile per le destinazioni del versante Adriatico e, in generale, per il Mezzogiorno del Paese.
L’inflazione è al 22%, la cassa integrazione ha toccato anche la Fiat, gli effetti della crisi economica internazionale si fanno sentire e una violenza incessante ha scandito gli ultimi mesi.
A gennaio la mafia ha assassinato il Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, mentre il mese successivo è caduto per mano brigatista il Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Vittorio Bachelet, seguito a maggio da Pino Amato (Consigliere Nazionale della Dc) e dal giornalista Walter Tobagi, vittima di un’altra formazione terroristica di estrem... continua a leggere
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Occuparsi della vicenda di Ustica in termini di comprensione storica implica considerare una pluralità di storie. Vi è innanzitutto la perdita del DC-9 Itavia, avvenuta il 27 giugno 1980. Una strage avvenuta nella più totale opacità e su cui è sempre mancata la benché minima spiegazione ufficiale. Come noto, diciannove anni di indagini e svariati processi, penali e civili, hanno concluso che la caduta dell’aereo è avvenuta nell’ambito di “un’azione militare di intercettamento”, ma hanno anche dovuto constatare che gli autori della strage rimangono “ignoti”.
È ormai certo che nei cieli di Ustica, al momento del passaggio dell’aereo civile italiano, erano in atto manovre aeree militari, e che tali manovre hanno determinato la tragedia. Le numerose perizie condotte sui tracciati radar non hanno lasciato alcun dubbio sulla presenza di aerei militari nei pressi del luogo dell’incidente. Aerei di cui non è stato possibile conoscere la nazionalità – o le nazionalità. Di conseguenza non si è finora potuto risalire alla natura e agli scopi dell'a... continua a leggere
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Come va rubricato il 1980? Coda degli anni di piombo o avvio della sfolgorante parabola della Milano da bere? Uno sguardo alla cronologia farebbe propendere per la prima opzione. Vediamo, in rapida carrellata: la strage di Ustica, quella di Bologna, il terremoto in Irpinia, le uccisioni del presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, del vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet, dei magistrati Guido Galli, Girolamo Minervini e Mario Amato, del giornalista Walter Tobagi, del generale dei carabinieri Enrico Galvaligi, il sequestro di Giovanni D’Urso, altro magistrato, il blitz dei carabinieri a Genova in via Fracchia, la rivolta nel supercarcere di Trani. E a Torino la marcia dei 40 mila della Fiat, a segnare simbolicamente il passaggio da un decennio all’altro. È l’anno delle Olimpiadi di Mosca, boicottate dall’Occidente, ma anche quello della vittoria presidenziale di Ronald Reagan. Un anno, sempre a proposito di simboli e di passaggi, che si chiude con l’assassinio di John Lennon, 8 dicembre, ma giusto poche settimane prima esce l’album di debutto di una sconosciuta rockband irlandese, chiamata U2. È... continua a leggere
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Difficile spiegare a un lettore giovane, nel 2020, perché su Rimini di Pier Vittorio Tondelli, romanzo pubblicato da Bompiani per la prima volta nel 1985, valga la pena di spendere il proprio tempo. Leggerlo, perché costituisce un modello di narrativa onnicomprensiva, sistematica ed ‘estendibile’, così come richiedono le fiction del presente? No, perché Rimini chiude vicende che dovrebbero, almeno in base ai loro significati, rimanere aperte e differibili nei tempi, e ne lascia aperte altre il cui senso richiederebbe un compimento sintetico, un the end definito. Per l’originalità del linguaggio, allora? Neanche. Rimini parla con la voce del best seller: limpidezza espressiva, limpidezza emotiva, limpidezza sintattica, limpidezza lessicale. L’espressionismo di Altri libertini (1980) è soltanto un vago ricordo.
Ultima possibilità: perché Rimini è il primo romanzo italiano che dà la parola alla società dello spettacolo (Baudrillard), della terziarizzazione del tempo libero, e all’industria del divertimento; in ultima analisi, dunque, il ... continua a leggere
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Nel 2018 viene distribuito in Italia “Sono tornato” un film che, sulla scia di quanto già visto in Germania tre anni prima con “Er ist wieder da” (Lui è tornato, 2015), immagina il ritorno di Benito Mussolini nel tempo presente. L’ex dittatore d’Italia si risveglia dal mondo dei morti con l’obiettivo – tra un selfie e l’altro con i suoi fan –di “ricreare l’impero”.
Non considerando lo scarso successo di pubblico e i commenti dei critici che stroncano la pellicola all’unanimità per il revisionismo “soft” che propone, il solo merito da riconoscere a questa produzione è l’aver posto l’accento sulla inattualità dell’estetica e del linguaggio mussoliniano. Il dittatore, interpretato da Massimo Popolizio, parla in modo vetusto, è spesso vittima di equivoci grotteschi dovuti al diverso clima culturale in cui è inserito. Mussolini è inattuale per i tempi contemporanei.
Lasciando da parte il cinema, virando la riflessione verso la politica e il linguaggio, sarebbe impensabile oggi, in democrazia, avere un esponente di partito, per quanto di destra t... continua a leggere
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Per quanto la conversione costituisca un fatto determinante, capitale, nel destino di uno scrittore e di un uomo, Manzoni non amava parlarne. Restano solo poche allusioni: una, ellittica, a san Paolo, e alcuni racconti riferiti, ma probabilmente degni di fede, su ciò che accadde in quel famoso 2 aprile 1810, quando Manzoni con la giovane moglie, Enrichetta, si trovò a Parigi, nel pieno dei festeggiamenti per le nozze di Napoleone. Si sa che a un certo punto, nella confusione generale, la moglie svenne, e i due restarono divisi. E finalmente Manzoni si ritrovò nella chiesa vicina di San Rocco, con una sorta di nuova epifania.
È probabile che in tutto questo pesi l’umiltà dello scrittore: vi sono pagine straordinarie, nelle Osservazioni sulla morale cattolica, intorno alla modestia e all’umiltà. All’uso della parola «io», Manzoni preferiva il «noi». Non aveva neppure l’inclinazione straordinaria di Newman, a cui pure può essere avvicinato, nelle omissioni o nel gioco malizioso dei riferimenti agli scrittori. Il rapporto di Manzoni con i lettori non è mai semplice, e viene da chiedersi come mai, da un evento di cui non ha mai parlato, abbia ricavato due temi principali del romanzo.
Nei Promessi sposi vi sono due storie di conversione: quella di padre Cristoforo, già Ludovico, e quella dell’Innominato, due personaggi tra i più significativi del romanzo. La parola «conversione» rimbalza una volta nelle pagine su padre Cristofor... continua a leggere
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26 gennaio 1855: il corpo di Gérard de Nerval viene trovato in un sottoscala di Rue de la Vielle Lanterne, appeso per il collo. «Quel luogo infame che invitava all’assassinio e al suicidio», ad oggi non esiste più, e solo sopravvive in un’incisione di Gustave Dorè, La mort de Gérard de Nerval, che rappresenta il corpo del poeta circondato da uno stormo etereo, mentre l’anima luminosa viene liberata dal braccio della Morte. La tesi del suicidio è generalmente ammessa. A Parigi «la sua morte ha scavato un vuoto che non è stato colmato», scrive in un ricordo Théophile Gautier, caro amico dell’artista sin dai tempi del liceo Charlemagne
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Pessimismo e nichilismo vanno a braccetto, ma solo in Albert Caraco raggiungono quella tonalità oscura che impedisce ogni speranza e chiude ogni spiraglio d’illusione. Dalle sue pagine si esce guariti da ogni miraggio sul mondo, preparati per il macello prossimo futuro – e definitivamente redenti da ogni viziosa idea di soavità dell’uomo e della realtà. Rispetto a lui, i grandi pessimisti sono roba dolciastra, profeti zuccherati, voci infiacchite dalla chimera che “l’uomo ce la farà”.
Non altro che questo può succedere con chi ha scelto la strada di una scrittura ossessiva e disperata, un uomo che rifiuta ogni ottimismo delirante – simile secondo lui all’erezione dell’impiccato –, un dandy solitario i cui gesti misurati celano una soffice contiguità col tragico, che egli accetta come segno della libertà («Il rifiuto del tragico è proprio degli schiavi», annotava). Tentare di classificare Caraco lascia sgomenti per i tanti aspetti che incarnò: invasato che impreca contro tutto e tutti; barbaglio gnostico nelle tenebre del mondo; creatura garbata in devota attesa che lo spirito femminile affranchi l’orrore maschile; ebreo convertitosi per convenienza familiare al cristianesimo, ma del quale disprezza la viltà e la bassezza; cantore di una fulgida sterilità che finalmente impedisca all’uomo di perpetuarsi.
Un’intelligenza che medita su tutto questo genera infine una sola requisitoria: quella sul male e sull’apoc... continua a leggere
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Dopo avergli annunciato, alla fine di marzo, l’intenzione di scrivere una tragedia che avesse per soggetto la morte di Francesco Carmagnola, il 13 luglio 1816 Manzoni informava l’amico Fauriel: «J’ammasse des idées et des observations pour un long discours qui doit accompagner ma Tragédie»; tornando a scrivergli nel 1817, l’11 giugno, precisava:J’ai aussi commencé quelques discours sur la tragédie, mais c’est des sujets si rebattus que je n’ose presque pas vous les nommer. C’est… ah ! vous allez vous écrier… c’est, oui, c’est sur les trois unités. Mais que voulez vous s’il me paraît que ma manière d’envisager cette question est neuve ? et si elle ne l’était pas, ce me serait un malheur commun avec presque tous mes Confrères en écrivaillerie. C’est encore sur la moralité de la Tragédie. Eh bien ! je me suis donné à croire qu’il y a des difficultés de Bossuet, de Nicole, et de Rousseau qu’on peut résoudre, qu’on n’a jamais résolues, et que je résous. Je crois aussi avoir quelque chose de nouveau à dire sur les deux systèmes modernes de tragédies sur lesquels on dispute...
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Presuntuoso e, di fatto, impossibile delineare, in questa sede, un ritratto fedele e, comunque, accettabile di Ezio Raimondi. Fortunatamente, tuttavia, numerose opere di taglio enciclopedico (tradizionali e telematiche) ne offrono, ora, un profilo che può informare – in maniera ora più ora meno adeguata, va da sé – gli interessati; per di più, studiosi di fama quali Andrea Emiliani, Claudio Magris, Carlo Ossola, Andrea Battistini, Giorgio Zanetti, Alberto Bertoni ed altri hanno dedicato al critico felsineo contributi egregi ed accessibili.
Nelle righe che seguono, vorrei invece offrire alcuni elementi di base sulla figura e l’opera utili a qualunque lettore di cultura – docenti di area non umanistica, ma pure studenti universitari, magistrati, diplomatici, liberi professionisti, imprenditori etc. – non troppo avvezzo a frequentare le terre e i mari delle scienze filologiche. Ho deciso di muovermi in tal modo poiché sono persuaso, come del resto tanti altri, che l’essenza d... continua a leggere
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Potevamo scegliere, per ricordare Giuseppe a vent’anni dalla scomparsa, anche un luogo diverso, contando sul fatto che la sua figura aveva via via nel tempo assunto un ruolo istituzionale ed intellettuale che varcava i confini della Facoltà di Giurisprudenza e, più in generale, del diritto.
Abbiamo scelto, invece, di ricordarlo qui perché, a distanza di tempo, il suo luogo, il fondale di teatro dove io continuo ad immaginarlo è e rimane pur sempre l’aula universitaria.
C’è qualcosa nella dimensione di totalità con la quale Giuseppe Caputo aveva abbracciato ed esercitato questo mestiere che ancora colpisce ed affascina: il rapporto con le generazioni più giovani costituiva per lui una sorta di linfa vitale non sostituibile con nessun’altro alimento spirituale ed istituzionale.
Non ho mai conosciuto un’incarnazione più significativa dei tedofori di cui parlava Giorgio Federico Hegel: di coloro, cioè, deputati a trasmettere di mano in mano la luce del sapere in grado di illuminare la tenebra della nostra provenienza.
Quella stessa luce ho visto accendersi negli occhi di studenti che affollavano le aule, stipatissime ed oceaniche, delle sue lezioni allorquando riusciva ad interpretare, attraverso il suo magistero, le loro stesse vite: quella luce che ancora vedo accendersi quando riesco, a tratti, a ricalcare le tracce dei suoi insegnamenti.
In questo senso Giuseppe Caputo si è rivelato maestro insuperato e insuperabil... continua a leggere
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Chi ha trascorso molto tempo sulle poesie di Rebora, sulle lettere, sulla documentazione edita e sulla letteratura critica (che sta diventando immensa, a testimonianza che davvero, come disse una volta Raboni, Clemente Rebora è tra i dieci poeti novecenteschi da salvare) è discretamente accompagnato dalla figura di Lydia Natus, la baccante maddalena, la lucciola rivelazione. Una sensazione attraversa molti di coloro che seguono la vicenda di Rebora: Lydia spicca onorevolmente nella biografia del poeta, non è figura negativa, non è elemento di perdizione o distruzione. È anzi invidiabile, per uno spirito poetico, la relazione con una donna che riesce a farsi levatrice di creatività. È come se con Lydia sia capitata a Rebora l’esperienza dell’Eterno Femminino di goethiana memoria.
Fu la sola donna da lui amata, pur nelle tante e anche intense amicizie femminili: Daria Banfi Malaguzzi, Sibilla Aleramo, Bice Jahn Rusconi. Lydia era una donna colta e sensibile, madre di una bimba scomparsa in tenera età, un matrimonio infelice alle spalle: insomma una donna provata dalla vita, e per questo capace di conforto, di senso materno, di forza ispiratrice.
C’è un complesso scambio simbolico tra gli elementi delle coppie femminili Eva-Maria, Serpente-Madre e infine Lydia-Madonna: il termine negativo (nelle diverse incarnazioni di Eva-Serpente-Lydia) è coessenziale alla formazione della diade, che sarebbe nuda se fosse composta solo da Maria-Madre-... continua a leggere
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Più volte ho ragionato sul problema di come fosse nato in me il gusto dell’insegnare. E dicevo – ma è sempre difficile congetturare su se stessi – che forse molto nacque da uno stato di necessità.
Avevo frequentato l’università solo per due anni, tra il 1941 e il 1943: invece, il ’44 e la prima metà del ’45 furono assorbiti, quasi ingoiati, da altre avventure e da altre ragioni, lontane da quelle universitarie. Mi trovai a essere uno degli insegnanti di cui il Comune di Bologna si serviva per tappare i buchi delle assenze improvvise in questa o in quella scuola. Ed ero una specie di maestro picaresco, che si spostava qua e là, nei vari luoghi della città, usando naturalmente il tramvai, mentre all’università andavo soltanto di pomeriggio, salvo i rari casi in cui le supplenze riguardavano corsi pomeridiani.
Durante quegli anni feci esperienza di molti ragazzi e di molte classi. Il primo problema che si presentava era che succedeva arrivasse in una classe di quarta o di quinta un ragazzo di diciassette, diciotto anni, vestito alla meglio (anche se in modo decoroso), e i bambini, immediatamente, si approfittavano dello sconosciuto. Io allora, per cercare di tenere a bada queste persone e ottenere il loro rispetto, dovevo mobilitare tutti gli espedienti possibili e tutte le arti didattiche.
Usavo due mezzi: da una parte, cercavo di memorizzarne rapidamente i cognomi, poiché a quel tempo i ragazzi venivano chiamati pe... continua a leggere
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Mi è impossibile delineare in questa occasione un’immagine completa o, comunque, accettabile di Liano Petroni (1921-2006). Fortunatamente, tuttavia, studiosi di fama internazionale come Ezio Raimondi, François Germain, Pierre Brunel, Robert Jouanny, Giorgio De Piaggi ed altri hanno dedicato al Nostro saggi puntuali, affettuosi ed accessibili, i quali contribuiscono, specie se esaminati comparativamente, a restituirne un profilo appagante e fedele.
Nelle righe che seguono, desidererei invece offrire alcuni elementi sull’uomo e l’opera che possano risultare utili a qualunque lettore di cultura – docenti di ambito non filologico, così come studenti universitari, magistrati, diplomatici, liberi professionisti, imprenditori etc. – non troppo avvezzo a frequentare le impervie regioni delle scienze filologiche. Ho deciso di muovermi in tal modo poiché sono persuaso che l’essenza del magistero lungamente ponderato e ampiamente rappresentato da Liano Petroni sia in grado di giovare ad ogni cittadino europeo da più punti di vista non certo marginali. A onor del vero, la totalità d... continua a leggere
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Il 13 novembre 1872, come d’abitudine ormai da qualche mese, Giovanni Verga scrive all’amico Capuana, divenuto frattanto sindaco di Mineo, e gli annuncia la sua imminente partenza per il capoluogo lombardo: «Mio caro Luigi, lunedì prossimo probabilmente partirò per Milano». Né, al solito, perde l’occasione di sollecitare dal suo corrispondente, ben più inserito, eventuali raccomandazioni, seppur in modi garbati e manierosi e non senza promettere in cambio premurosi servizi: «Se in qualche cosa potrei esserti utile a Firenze o a Milano, scrivimi, sicuro di farmi un piacere. Se sei nel caso di presentarmi per lettera a qualche editore o direttore di giornale l’avrei assai caro e se per mezzo tuo potessi ottenere un’occupazione modestissima in qualche giornale te ne sarei assai grato». Giacché, poi, una strategia promette maggiori garanzie di successo se impiegata contemporaneamente su due fronti, il catanese suggerisce la stessa cortesia anche al vecchio Dall’Ongaro, che nel frattempo ha lasciato Firenze per occupare la cattedra di Letteratura Drammatica all’Università di Napoli
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“La vie meme prise sur le vif” è uno dei proclama che ha accompagnato la nascita del cinema. O, forse, darebbe meglio dire del cinematografo. “La vita colta sul vivo” era infatti uno degli slogan che circolava insieme alle prime proiezioni dei film dei fratelli Lumière, istantanee in movimento di avvenimenti quotidiani che altro non erano che una pionieristica documentazione video.
Che si tratti di vita colta sul vivo è forse l'unico criterio che ci siamo date nello scegliere cosa proiettare. Per il resto, i titoli sono venuti uno dopo l'altro, in ordine, seguendo un percorso più simile al flusso di coscienza che non ad una ricerca vera e propria. Non c'è nessun intento storiografico o di analisi: solo una proposta di esplorazione di un genere cinematografico che ha vissuto e continua a vivere – nella distribuzione ma non nella produzione, vivacissima – negli spazi residuali del cinema di fiction.
Oltre che all'esplorazione, vorremmo anche che fosse un invito alla proposta. A chi ha girato piccoli documentari, ma non trova spazi per proiettarli. Ma anche a chi, semplicemente, ha in mente una sua personale “playlist” e vuole condividerla.
Docuforum #0 | Proiezione #1
Cecilia Mangini, Firenze di Pratolini (1956) | Pier Paolo Pasolini, Comizi d'amore (1965)
“Gli devo molto io, ma tutta l’Italia gli deve molto. Il mio incontro con lui? Lo cercai sull’elenco del telefono per chiedergli di collaborare, e lui ... continua a leggere
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Anche al cospetto di Ezio Raimondi (1924), specie se lo si incontra nel suo studio, «caverna scolpita di libri», può sorgere spontanea, a un visitatore sprovveduto, la stessa domanda ingenua e pleonastica che, nel ricordo affabile di Contini, veniva da rivolgere a Spitzer: «Sta lavorando, come al solito?».
È però molto improbabile che, nel caso nostro, si possa avere un tipo di risposta collimante con quella del maestro viennese («Lavorando? No, no, godendo, come al solito, godendo»), non solo perché a Raimondi non si conviene la definizione di «sibarita» concessa da Contini a Spitzer, per niente adatta a un round head inquieto e turbato da un ricercare inesauribile in cui il piacere della lettura è inseparabile dalla fatica e dalla responsabilità, ma soprattutto perché molto del suo tempo consacrato al lavoro viene messo a piena disposizione degli allievi, tenacemente perseveranti nel sottoporgli i loro scritti, siano essi piccole esercitazioni, capitoli di tesi o saggi o libri destinati alla pubblicazione.
Eppure, per quanto non tutti gli esercizi di lettura siano ameni, vengono sempre fatti di buon grado, quando non sollecitati, sorretti comunque da un entusiasmo didattico che molto spesso affiora nella bontà dei risultati, nei quali a volte non si riesce nemmeno più a distinguere la penna originariamente incerta dell’allievo da quella sicura ed elegante del maestro generoso.
L’impegno del Raimondi docente non differisce... continua a leggere
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Il libro sulle pievi medievali bolognesi, edito dall’Istituto per la Storia della Chiesa di Bologna, segue la pubblicazione di due grossi volumi quali lo studio del Codice diplomatico della Chiesa bolognese e quello del Codice Angelico 123.
Alcune ricerche su singole pievi erano già state date alle stampe, ma questo volume “poderoso” (così lo definisce il Cardinal Carlo Caffarra nella Introduzione) risulta fondamentale per ampiezza di visione del quadro d’insieme, per la copiosa produzione di documenti, nonché per un’attenta e approfondita rilettura degli stessi, che porta gli autori a formulare nuove (e fondate) ipotesi sull’origine delle pievi, sulla complessa vita plebana medievale e il suo sviluppo nel tempo.
Il curatore del volume, Lorenzo Paolini, nell’ampia Introduzione, delinea un esauriente affresco del tema delle pievi, precisando anzitutto che, dalla prima era cristiana all’alto Medioevo, il nome “pieve” (plebs) ha subito varie trasformazioni: inizialmente indicava o l’intera comunità dei cristiani (plebs Dei) o la singola comunità dei battezzati laici; infine, verso la fine del VII secolo (in Toscana e, gradualmente, nell’Italia centro-settentrionale), anche la chiesa battesimale fu chiamata “plebe” (plebs baptismalis).
Nell’VIII secolo il nome cominciò a riferirsi al territorio di competenza, al “pievato”, quando Carlo re dei Franchi, con i capitolari del 782 e dell’813, introdusse il pagam... continua a leggere
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Lo scopo dichiarato dell'indagine filosofica di Mario Untersteiner intorno al pensiero mitico è ritrovare le tappe del passaggio dal mito al logos:<
“Che l'evoluzione del pensiero greco, dalle sue più remote origini alla sofistica, si possa definire un graduale passaggio dal mito al logos, può considerarsi come un principio ormai chiaro [...] Ma finora, per quello che a me sembra, sono state messe in rilievo solo le tappe successive di questo moto spirituale, senza che ne venissero rintracciati gli spunti genetici nel loro formarsi e negli interni sviluppi progressivi”
.
Non c'è problematicità irrisolta quindi nel rapporto di filiazione storico-genetica che dal mito ha portato al logos, e il principale – e meno dubbioso all’apparenza - filo conduttore dell'indagine è ritrovare l'esatto percorso delle tappe di questo passaggio, e il vero quesito da risolvere è, secondo Untersteiner, l’equivoco mai chiarito nella giusta articolazione della questione; essa è stata mal posta perché “si è avuto di mira il logos più del mito, il punto di arrivo invece del punto di partenza. Si tratta perciò di indagare e portare alla luce i successivi cambiamenti del mito all'interno delle varie fasi della civiltà ellenica per ritrovare quel filo rosso della razionalità che ha condotto allo sviluppo della cultura occidentale. Nel mito il logos ritrova pre-formate le proprie categorie perché “il logos s... continua a leggere
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«Inglesi. Con loro me la sono dovuta sbrigare da solo. Chiusi nella stessa isola, io e loro, sempre a contatto». Luigi Meneghello annota questo appunto il 15 ottobre 1966, schernendo con l’ironia che gli appartiene il rapporto con un popolo e una lingua che segnarono a fondo la sua vita di dispatriato. Partito dall’Italia nel settembre del 1947, Meneghello giunse a Reading, «la città rossa in riva al Tamigi», con una borsa di studio del British Council: l’intento era quello di condurre una ricerca sugli orientamenti del pensiero inglese contemporaneo e in particolare sul filosofo inglese Robin George Collingwood e i suoi rapporti con il neoidealismo italiano...
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Nel panorama degli studi italiani su Montesquieu della seconda metà del XX secolo, le ricerche di Salvatore Rotta (1926-2001) occupano un posto eminente Raro esempio di passione e di intelligenza critica per il «lavoro intellettuale come professione» e verso gli autori e la materia trattati, esse – a dispetto del logorio del tempo – hanno illuminato e illuminano aspetti e princìpi essenziali del pensiero dell’autore dell’Esprit des lois (1748), aspetti e princìpi con i quali l’età presente, più delle passate, non può non fare i conti, se vuole seriamente porre un qualche argine alla crescente barbarie dei suoi insani stili di vita...
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Nel Quattrocento e nel Cinquecento assai diffusa in Europa è un’immagine positiva della Repubblica di Venezia, della quale si celebrano in special modo – oltre all’eccezionalità del sito geografico – la stabilità dell’ordinamento, le virtù e la libertà dei cittadini, la concordia regnante all’interno della società e le ricchezze pubbliche e private provenienti in massima parte dai commerci, tutti caratteri che i trattatisti e pure i semplici osservatori fanno sempre derivare dalla natura della sua plurisecolare costituzione, che parecchi autori esplicitamente considerano mista...
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Che cosa si può dire, oggi, di Roberto Roversi riferendosi all’odierna poesia? Intanto del silenzio steso sulla sua opera da molti anni, oramai, da parte della critica e non solo, salvo alcuni - e qui vorrei citare due persone su tutte: Fabio Moliterni che con il suo Roberto Roversi. Un’idea di letteratura I (Edizioni dal Sud, 2003), ha tracciato un quadro ampio e informato; e Arnaldo Picchi, che ne sta curando il lavoro teatrale, facendolo rappresentare e ripubblicandolo. Alcuni, dicevo, che continuano a seguire il suo lavoro, a promuoverlo (nel senso di farlo conoscere, farne oggetto di discussione, riflessione, connessione con quanto ci circonda). Salvo questi pochi, attorno alla sua opera c’è un assordante silenzio, e direi anche desolante per la nostra poesia e la nostra letteratura. Intanto questo (che non è poco, direi); poi si può dire della sua attività, che continua appartata ma non solitaria: appartata perché distante dalle luci, dalle scene illuminate, dalle telecamere e dalle varie ribalte (dove tutto viene ribaltato), lontano dalle istituzioni, ma non ritirato a vita privata; non solitaria perché Roversi da sempre è presente sia per le persone che per le vicende.
Roversi ha usato e usa tuttora la parola scritta sotto molteplici aspetti: ha pubblicato importanti libri di poesia e lavori per il teatro; come spettatore attento alle vicende politiche ha scritto e scrive su quotidiani, riviste, piccoli samiztad, fogli volanti e aut... continua a leggere
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Se mille voci si fanno parole di un libro, è come ridurre sul tavolo di casa, sotto gli occhi o vicino al cuore, un bosco di mille alberi che ci copre intero; che fruscia con tutte le foglie per non lasciarci assopire; che inquieta con inesorabile temperanza la nostra immaginazione, il nostro cauto lento sapere, il nostro desiderio di sonno (il sonno della ragione) o la nostalgia di esso.
Quindi, per me, ho un preoccupato timore mescolato a una curiosità che vibra, nel guardare prima il mucchio ordinato e intero dei fogli, poi nello scorrere con lentezza attenta (partecipata) questo decalogo di sospirata saggezza. Che può essere sfiorata (mai del tutto raggiunta e conquistata) solo, a mio parere, con una insistenza vorace, con uno scavo fra i pensieri minuto, approfondito, al fine di scioglierli, correggerli, sistemarli, integrarli.
Può essere l’inizio di una cura prolungata (ma necessaria) per gli autentici guasti che ciascuno di noi nasconde nei risvolti più segreti, spesso neanche disposto a condividerli.
Ma sappiamo davvero se questi grani, dall’aspro sapore di una sapienza centellinata, riusciranno a scrostare la nostra intemperanza? Quella supponenza reale mescolata alla falsa umiltà di facciata, che è la caratteristica della società contemporanea, dalle nostre parti intanto?
Allora, se l’opera chiede per necessità di essere letta adagio, in profondo, e non di essere solo scorsa – come dicevo – con impazienza, il ... continua a leggere
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Vorrei avere molti libri da
leggere. Ancora. Tempo davanti.
Libri con segni sconosciuti,
vecchie tipologie, polverosi
libri trovati nel ripostiglio di casa,
odore di tonaca e di cera davanti a una chiesa,
sull’argine del fiume, sulla
balaustra di un ponte di ferro fra paese e paese
– aspettare un foglio portato dal vento dentro alla stanza.
è più facile che una voce si conservi sotto la neve.
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Nato di bassa lega, in una società in cui soltanto i “potenti” valevano (fossero essi principi, regnanti, alti prelati o artisti di genio); subito irretito dall’astio del proprio stato e dalla volontà di progredire e di primeggiare puntando su innegabili “qualità” naturali (che via via si affinavano, rodandosi, nei contrasti della vita e nella rapida ascesa al potere), l’autore di quest’opera “incriminata”, relegata frettolosamente fra le cose turpi della nostra letteratura, è tal personaggio che meriterebbe una considerazione maggiore e un esame più attento di quelli che fino a pochi anni fa gli erano riservati. Oggi si può almeno discutere senza scandalo dell’Aretino come di una figura rappresentativa, tipica e anche importante; come di un “grosso” scrittore, a cui per essere grande, davvero grande, mancarono una più riposata attenzione allo svolgersi ed emanciparsi del proprio lavoro e meno interessati pretesti per esibirsi in pubblico, disdegnando misura e studio (“ho partorito ogni opera quasi in un dì”; “né di mio si vede mai lettera che passasse un foglio”).
Ma era la “brama” a spingerlo, a pungolarlo, con una persistenza amara, cattiva (e per brama intendo una precisa fame di cose e di risultati, di successi mondani pubblicamente largiti); la brama di accumulare e primeggiare, seguendo gli esempi del tempo; costringendolo essa ad un operare rapido, secondo una programmazione di fini e di lucro “m... continua a leggere
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Tanti e tanti anni fa, quando ero un ragazzino, si correva in Italia una gara automobilistica su strada aperta, la Mille Miglia, che partiva da Brescia e arrivava, lungo la via adriatica, a Roma; per ritornare sùbito a Brescia passando per Firenze, per il passo della Futa, per Bologna.
A Borgo Panigale, seduto tutto solo su un muretto, davanti al cancello di una villa molto vicina alla strada, aspettavo con emozione.
Alle mie spalle si protendeva il ramo di un albero di fichi.
Al passaggio delle macchine più veloci e potenti – che a me, quella prima volta, sembrò quasi di poter sfiorare con le mani – per le zaffate dell’aria, alcune foglie e alcuni fichi ancora in fiore mi scivolarono, in un certo momento, sulla schiena.
Un ricordo. Un ricordo da niente, naturalmente.
Ma anche allora ho pensato, con la infantile meraviglia che mi accompagnava in tante occasioni, che le macchine velocissime lì passavano perché Bologna era il centro del mondo.
Era il centro del mondo.
Un passaggio obbligato, dovuto alla signora del regno.
A quel tempo, da noi, c’era ancora un re.
Mi sentivo, non so come, partecipe di un tale insigne destino. Così che la città, ritornandoci verso sera, mi sembrò ancora una volta bellissima.
Bologna è ancora bella, bellissima? E’ ancora il centro del mondo?
[…]
E allora, direi che Bologna non ha più potuto, forse non ha più saputo, conservare
i ritmi t... continua a leggere
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1. Il laico pensiero è il pensiero che ha mille problemi, nessuna paura. E’ travolto, mai sommerso, da dubbi di ogni genere ma mai dalla disperazione. E’ l’albero posto al confine di un bosco infuocato, ma per sé non ha confine.
2. Il pensiero laico crede al buon inesausto pensare, al buon e inesausto fare, al buon dialogare e a una libertà del fare pensare dialogare che non si arresta ai limiti delle convinzioni.
3. Il pensiero laico è quello che pensa (che crede) che le cose parlano sorgendo dalla terra, non precipitando paurose, ammonenti dall’alto dei cieli. E inoltre è quello che pensa, e ascolta, che gli oggetti intorno (il rassicurante beneficio della compagnia), le mille viventi realtà del creato, continuamente lo richiamano al suo leggendario dovere: “Qua siamo, con te; non ignorarci; non dimenticarci. Ascolta, ascolta, ascolta”.
4. Il pensiero laico è anche quello, dunque, che rifiuta il silenzio; e ha sempre come sottofondo lo scorrere dell’acqua del pensiero (tumultuoso rifluire di un fiume che fuoriesce da una caverna). Come un invito stressante a non assopirsi, a non stupirsi; ad essere sempre inquieti. Ad essere sempre pronti alla vivificante, aspra schermaglia delle idee. Sicché il pensiero laico è un camminatore imperterrito fra gli sterpi (intriganti) del pensiero.
5. Il pensiero laico ha lo sguardo basso, striscia anche per terra, ed è impietoso; perché procede sui sassi a piedi nudi.
6. Il... continua a leggere
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La promulgazione nel 1938 delle leggi razziali colse Angelo Fortunato Formíggini del tutto impreparato, al punto che scelse di mettere in atto, in maniera consapevole, la forma più strepitosa di protesta, il suicidio, gettandosi il 29 novembre 1938 dalla torre Ghirlandina di Modena. Se ci s’interroga sulla ragione di questi fatti sorprendenti in relazione a un intellettuale ebreo, la risposta che sembra ormai assodata è che Formiggini giunse fino al 1938, l’anno fatidico della campagna e della legislazione razzista in Italia, senza sentirsi né ebreo né antifascista. La biografia di Formiggini testimonia di una lucida sagacia: eppure egli non capì. Gli eventi della sua tarda biografia testimoniano qualcosa che, per comune sensibilità, fatichiamo a cogliere: che l’estrazione culturale di molti uomini dell’epoca impediva di captare la pericolosità degli eventi.
In che senso Formiggini non era ebreo? in quello comune a molti ebrei italiani: non praticava i riti tradizionali, proveniva da una famiglia ampiamente cristianizzata e lui stesso aveva contratto matrimonio con una donna non israelita. L’identità ebrea che per le leggi del 1938 costituiva motivo di discriminazione era identità da lui non riconosciuta. La tarda Epistola agli ebrei d’Italia, pubblicata assieme ad altri testi degli ultimi mesi di vita di Formiggini nel volume delle Parole in libertà, è documento straordinario per entrare nella mente di un ebreo laicizzato che si ... continua a leggere
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L’Hôtel de Bourgogne fu il primo edificio ad ospitare la mise en scène dell’L’Île des esclaves di Marivaux, nel 1725. Come poté questa pièce, ibrido tra favola filosofica, farsa all’italiana e terapia curativa, essere replicata ben ventun volte prima di essere messa in scena a Versailles?
La vicenda trattata è tutto sommato molto lineare: dopo essere naufragati sull’isola, schiavi (Arlequin e Cléanthis) e padroni (Iphicrate ed Euphrosine) sono costretti a scambiarsi le rispettive posizioni sociali per un tempo limitato, alla fine del quale i loro reciproci rapporti saranno risanati. È il capo del governo repubblicano che vige sull’isola, il «maestro di cerimonia» Trivelin, a prescrivere l’inversione di ruoli: «Non fatevi scrupoli, sfogatevi pure con furore, trattatelo per miserabile, e fatelo anche con noi: adesso tutto vi è permesso. Ma trascorso questo momento, non scordatevi che siete Arlequin, che lui è Iphicrate e che voi siete per lui ciò che lui è stato per voi». Il suo intento è chiaro e dichiarato fin da subito: «Vogliamo cancellare la barbarie dei vostri animi». I servi ottengono pertanto la facoltà di dare personalmente ordini agli ex-padroni, la loro incondizionata obbedienza ed il pieno utilizzo della parola in quanto forma di potere. Quest’episodio, che si richiama alla pratica dei Saturnali romani, si svolge in un luogo chiuso e protetto al di fuori del quale i rapporti di potere verranno (in un certo se... continua a leggere
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Non dai preziosi Diari, che sono lacunosi proprio alla fine del 1912, ma dalla corrispondenza con la fidanzata Félice abbiamo la cronaca precisa della stesura de La metamorfosi, Die Verwandlung, che occupò una ventina di giorni di scrittura travagliata, dal 17 novembre al 7 dicembre, e rappresentò il secondo racconto lungo e compiuto prodotto da Franz Kafka ventinovenne.
Un raccontino, così lo definisce l’autore, che sbuca fuori in giornate vorticose per nervosismo, ansia, oppressione. Kafka ha conosciuto da pochissimo Félice, si è aperto tra loro un epistolario sentimentale, ma le lettere si susseguono, si rincorrono o latitano in una ossessione amorosa che già è segno di un rapporto non equilibrato: «Oggi, probabilmente scriverò ancora, anche se dovrò andare molto in giro e scrivere un breve racconto che mi è venuto in mente a letto nella mia pena, e incalza dentro di me» (17 novembre)
«Mi sono riaccostato al mio racconto di ieri con un infinito desiderio di espandermi, chiaramente pungolato dalla sconforto – le scrive il giorno dopo – […] con l’ardente desiderio di continuare il nuovo racconto... continua a leggere
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A dispetto di quanto “predica” Catherine Larrère, taluni recenti studiosi e interpreti di Montesquieu (tra i quali Larrère stessa, quando “razzola”) sembrano perseguire come unico scopo quello di imposer aux lecteurs le ‘loro’ conclusioni, ossia le ‘loro’ opinioni – sempre che si possano definire così gli ‘arzigogoli’ – su come dovrebbero andare, ma non vanno (ed è la loro fonte di perenne angustia), le cose di questo mondo. Le ultime, ‘fresche’ dimostrazioni di quanto appena affermato sono offerte da quattro nipotini di Voltaire ancora in circolazione, e segnatamente: Pierre Rétat, ‘direttore’ del tomo 7 della nuova edizione delle Œuvres complètes de Montesquieu, contenente la Défense de l’Esprit des lois; Marco Platania, nel suo saggio Montesquieu e la «necessità» della religione, pubblicato nel volume dal titolo (che è in realtà solo l’ultimo ‘programma italiota’ degli ‘atei da salotto’) I filosofi e la società senza religione (Bologna, il Mulino, 2011); e la coppia Catherine Volpilhac-Auger–Philip Stewart, curatori del seguente libretto ‘in vendita nei supermercati’ (basta guardare la vogliosa immagine di copertina o la carta in cui è stampato, per sincerarsene): Montesquieu, Histoire véritable et autres fictions (Paris, Gallimard [“Folio classique”], 2011)....
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“Nella vita ci sono cose che ti cerchi e altre
che ti vengono a cercare. […]
Arrivano e dopo non sei più uguale”
Giorgio Faletti, “Io Uccido”
Scegliere è la condizione necessaria al fine della concretizzazione di un’idea, un progetto, un desiderio, un sogno. Credo che la parte più difficile della scelta sia quel bivio che immancabilmente si spalanca di fronte a noi; quel bivio che, a volte, ci paralizza perché non possiamo avere la certezza di cosa troveremo e cosa perderemo in entrambe le direzioni, ecco, non lo sappiamo….
Quando è arrivato il momento di scegliere su quale argomento scrivere la mia tesi, la risposta è arrivata in modo spontaneo e naturale, senza titubanza. Volevo parlare di qualcosa che fosse importante per me, e che valesse la pena di essere raccontata. Come non pensare a qualcosa riguardante la musica, da sempre mia più grande passione?
Quello della musica è un mondo immenso. Affascinante per via dei suoi mille volti, magico perché coinvolge la sfera emotiva degli individui come poche altre cose sanno fare. E’ un labirinto dove scegliamo di perderci e di rifugiarci, dove riponiamo i nostri sogni nascosti, dove il nostro mondo prende forma e i nostri ricordi rimangono intatti, immortalati tra le membra delle melodie di quelle canzoni, quelle che erano il sottofondo del presente prima che si trasformasse in ricordo….
Il rapporto tr... continua a leggere
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Il Mounier conclude la sua giustificazione con questo argomento: «Perché noi fossimo in colpa, bisognerebbe che avessimo potuto prevedere con certezza tutte le circostanze che dovevano condurre i Francesi sotto il giogo della tirannia popolare». No davvero. Sarebbe troppo iniqua la condizione dell’uomo se per discernere il diritto dal torto, ci fosse bisogno d’esser profeta
Confinato in un luogo meno che marginale, al fondo della lunghissima novantesima nota, questo passo, soprattutto con quella chiusa fortemente gnomica, esprime in nuce tutto il senso del vasto lavoro inconcluso di Alessandro Manzoni, il Saggio sulla Rivoluzione francese del 1789 e la Rivoluzione Italiana del 1859: il suo intendimento e la sua aporia. Di fronte all’evento inaugurale dell’età moderna, al più drammatico laboratorio storico-sociale degli ultimi due secoli, a un fascio di fatti così carichi d’avvenire, l’interrogazione sulle conseguenze dei propri gesti si pone come un crocevia ineludibile. E addita il dramma perenne della condizione umana, che è sospesa tra l’impossibilità di vedere il futuro, compreso quello contenuto nelle proprie azioni, e la necessità, oltre che il desiderio, di provare non diremo a divinarlo, bensì a produrlo. Con tutte le approssimazioni e gli errori del caso.
Ciò che il Manzoni chiede ai suoi lettori, e a se stesso, e a ogni uomo degno di tale nome, è per l’a... continua a leggere
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Con l’avvento al potere del fascismo, sul finire del 1922, Gaetano Salvemini, spirito indomito e coraggioso, temprato dagli stenti nella tenerà età, la famiglia era numerosa e scarsi erano gli averi, e dalla tragedia nella maturità, a Messina perse sotto le macerie del terremoto del 1908 una sorella, la moglie e i cinque figli, ingaggia la sua battaglia più aspra e lunga, per la difesa della libertà e della democrazia; altre già ne aveva combattute contro il ministro della malavita, per il Mezzogiorno, per gli insegnanti, per il suffraggio ai poveri cristi, per l’intervento nella guerra mondiale, e ne portava adosso, tutt’interi, i segni e le fatiche.
In un primo momento la reazione di questo veterano coriaceo e dalla scorza dura all’ascesa fascista non fu ostile, perché giudicò l’esperienza mussoliniana, dopo un periodo di grandi e violente convulsioni, come utile al ripristino dell’ordine civile, ed anche in considerazione dell’indignazione profonda e di vecchia data per la classe dirigente liberale (per gente come Giolitti, Facta, Bonomi e Salandra) e della sfiducia maturata via via verso i socialisti, ritenuti settari e indolenti con il Mezzogiorno, e troppo inclini al compromesso con il governo: lasciò il partito in aperta polemica nel 1911.
Nel marasma generale la soluzione estrema del fascismo prendeva quota e faceva meno paura: era per Salvemini una carta che si poteva giocare, un rischio che si poteva correre, data la... continua a leggere
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Presentare Angelo di bontà al lettore del 2013 impone, prima di tutto, una riflessione sulle ragioni del recupero, non solo per il fatto che la tradizione critica ha relegato questo testo fra le opere minori di Nievo, facendone niente più che una delle tappe di avvicinamento, in un percorso all’interno di uno stretto giro di anni (esattamente, la prima edizione risale all’anno 1856), alle Confessioni di un italiano (terminato nel 1858), ma anche perché si tratta di un romanzo nato in un’epoca che a noi, genti in fase di allontanamento dalla condizione postmoderna, non ha forse più nulla da dire: per essere un poco più precisi, un’epoca che non suscita in noi nessun senso di appartenenza, né alcuna familiarità.
Invero, il Risorgimento, i Savoia, i patrioti, i liberali piemontesi, i Mille etc. non rappresentano più nulla di significativo per l’Italia di oggi, neppure nella propaganda mediatica. Basti pensare a cosa abbia lasciato nella memoria della società civile il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, celebrato nel 2011. Le idee, gli ideali, gli idealismi di quella cultura si sono spenti addirittura prima, forse, di quell’esperienza di “fine della storia” dalla quale noi stessi cominciamo solo ora a emanciparci; il concetto di letteratura come mezzo di «progredimento civile della nazione» – come scrive lo stesso Nievo nei suoi Studi sulla poesia popolare e civile massimamente in Italia (1854) – semplicemente svanisc... continua a leggere
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Da quando è principiata l’“età del treno”, si è assistito a una rivoluzione pressoché copernicana nei modi e negli stili del viaggiare per il Paese, inducendo – inter alia – una modifica sostanziale dei tessuti urbani e rurali che ha generato, agli esordi, timori e sospetti gravi.
A ogni modo, tutte le stazioni ferroviarie hanno costituito e costituiranno – per almeno due secoli tondi tondi… – uno strumento affatto inedito di emancipazione, di conoscenza, di avventura, di lavorio impietoso dentro se stessi, di officia familiari, di vacanza, di divertimento etc.
D’altra parte, l’universo cognitivo e affettivo connaturato al perenne divenire del treno – e di chi guarda il treno passare con intelligenza responsabile, un giorno dopo l’altro – appare singolarmente vicino: il treno sul ponte, il treno nell’anima della campagna, che corre fulmineo sotto la pioggia, il fumo denso e pesante che avviluppa tutto (“sembrava un giovane puledro che appena liberato il fumo mordeva la rotaia con muscoli d’acciaio”), il vapore, il rumore “che mi porta lontano” e il treno che incrocia un altro treno, quasi lo prendesse in pieno.
Nella Penisola, con la Napoli-Portici del 1839, era la prima volta che un uomo andava così veloce, dimostrando nero su bianco non solo una vera e propria rivoluzione complessiva, ma pure un’idea di viaggio utilissima a diverse professioni nuove.
Ma ecco apparire, giusto in tale congiuntur... continua a leggere
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La NWOBHM in Inghilterra generò un’irrefrenabile mania tra gli appassionati di Metal, rendendo la scena musicale sempre più grande e frequentata: i fan supportavano le bands presenziando ai concerti e acquistando il loro merchandise. Le location che fino ad allora avevano ospitato i concerti (per lo più pub e centri sociali) iniziavano ad essere troppo piccoli per ospitare il numero sempre crescente di fan.
Le case discografiche iniziarono ad accorgersi di questo fermento, e fu così che – per la prima volta – una major mise sotto contratto una band Heavy Metal: gli Iron Maiden. Fu la major inglese EMI a rilasciare sul mercato l’album di debutto Iron Maiden del 1980, che riscosse un immediato successo in Inghilterra; con l’uscita di Piece of Mind (1983) e Powerslave (1984) la band conquistò la fama mondiale. Gli Iron Maiden vennero così definiti la band che consacrò l’Heavy Metal come fenomeno di massa.
La “massificazione” dell’ Heavy Metal causò una frattura all’interno della scena. Da una parte vi erano i defenders of the faith, i quali sostenevano che la scena metal dovesse rimanere underground, lontano dalle masse e dalle major; dall’altra vi erano band che aspiravano al successo commerciale, e che si dedicarono quindi alla produzione di un genere più appetibile per le masse. Questi ultimi vennero additati come “poser” e accusati... continua a leggere
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«L’alcova è un cronotopo della letteratura, luogo e tempo del racconto che sarebbe superficiale limitare al teatro di un’occasione erotica e di un incontro galante. Vi è ben altro. Il letto è uno dei tanti modi di narrare la vicenda umana che si dipana fra gli ambienti concreti e quelli mentali della vita. A letto uomini e donne si amano e si raccontano, si riconoscono e si perdono per sempre. […] Passando da una camera da letto a un’altra, dai talami nuziali ai nascosti e furtivi ritrovi amorosi, ci si può chiedere se questi luoghi possono essere in qualche modo storicizzati, se mutino i contorni della loro rappresentazione».
Bruno Capaci, in un ricco excursus storico-letterario presente nel saggio Alcova, traccia un quadro significativo sulle preferenze degli scrittori riguardo alla scelta dei posti deputati alla soddisfazione delle pulsioni erotiche: «le novelle del Decameron sono ricche di camere da letto in cui trionfa un amore giovane e felicemente incontinente, o piuttosto quello che ha il sapore della beffa ardita del piacere rubato, della lascivia trionfante. Altre volte è il pathos tragico a fare dell’alcova un luogo segreto e riposto, in cui gli amanti vivono furtivamente un amore nega... continua a leggere
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Legherete a me rane e fatti elettrici,
Utili passi per critiche tesi.
Indubbiamente – sempre – resto un medico,
Gioioso solo quando salva vite,
Immortalate altrove e qui fra i ceppi.
Già è noto il mio calvario per la scienza,
Avallato da furbi e da baggiani;
Lucia, però, rimane fra comparse!
Vero, assoluto affetto e... continua a leggere
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Il successo delle opere di Virgilio Malvezzi fu immediato e proseguì per tutto il secolo decimosettimo, in Italia e in Europa. Con il Romulo del 1629 – in cui egli si legava stilisticamente al neostoicismo lipsiano e teorizzava, sin dall’incipit, i cardini dello stile laconico: «mercenario colui che in molti fogli stringe pochi precetti […]. Rubba il tempo che non può restituire […]. Io scrivo a’ principi perché scrivo di principi. Trattenergli in dicerie è un peccare ne’ commodi pubblici. Si medicano i loro malori con le quinte essenze, non si nauseano co’ decotti» – il moraliste petroniano incontrava i gusti di un orizzonte d’attesa pronto ad accogliere la sua soluzione stilistica e ideologica.
Particolarmente sensibile alle sue proposte fu la Spagna del Conte Duca d’Olivares. Già nel 1632 Quevedo, affascinato dal laconismo del Bolognese, traduceva El Romulo e dava alle stampe un «romanzo politico» di chiara ispirazione malvezziana: il Bruto. Di lì a breve tutti e quattro i «ritratti» bolognesi sarebbero stati tradotti in castigliano, suscitando l’entusiastica adesione dello stesso Balthasar Gracián:
Sia il Romulo che il Tarquinio del marchese Virgilio Malvezzi – ebbe a scrivere l’autore dell’Oracolo manual – vincono in profondità, concisione e sentenziosità tanti altri poemi, perché di essi si pu... continua a leggere
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Non è certo impresa facile cercare di riconoscere nell’opera di Giuseppe Verdi – pur così consistente, così ricca di riflessioni di vario ordine – un tratto apparentemente di secondo piano come il rapporto dell’artista col dispotismo.
Eppure, cercando di portare l’indagine non solo entro il corpus verdiano, ma anche nella sua biografia, il dato della ripugnanza verso il dispotismo si pone, come dire, trasversalmente. Si è dinanzi, de facto, a un filo sottile ma (quasi) costante che – nuovo filo d’Arianna possibile – costituisce un aspetto di non poco momento, di là dalle principali, note istanze dell’estetica e della drammaturgia del Nostro.
Onde condurre in tal maniera l’analisi, pare anzitutto necessario possedere un contesto affidabile, che chiarisca, fra il resto, cosa s’intende per dispotismo e che sgombri, nel contempo, il campo da inutili tentazioni cronologiche, aprendolo così a uno sguardo più ampio, capace d’indagare oltre i limiti del tempo e dello spazio.
A partire da queste coordinate, ci si potrà addentrare in una disamina della questione a più livelli (biografico, professionale e, soprattutto, morale), tenendo sempre presente come una straordinaria tensione etico-civile pervada l’opera di questo musicista, in grado di elaborare a tutto tondo la cultura romantica, imprimendole il sigillo – riconoscibile in quanto personalissimo – di una ricerca lucida e rig... continua a leggere
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I primi decenni del Novecento esplodono in mille scintille, dall’Italia alla Spagna, dalla Francia alla Germania. Sono decenni vitali, creativi, sensuali, laicissimi: uno dei rari momenti dell’evoluzione culturale d’Occidente in cui umorismo e scetticismo, libertà e agnosticismo, si sono fusi in una figura originale, il cui sembiante si mostra in una miriade di “ismi”. Dietro ognuno di essi fermentava un gruppetto di intelligenze, di spiriti infuocati, che nei caffè e negli studioli polverosi davano forma a tutti i rivoli dell’avanguardia. E gli “ismi” con cui l’avanguardia europea s’è manifestata sono davvero tanti, a riprova di come in quel momento storico si sia propriamente manifestato un “pluriverso” (la smagliante differenza dei movimenti, dei tipi, delle personalità).
E in quel pluriverso ci sta anche il “ramónismo”, meteora avanguardistica che in quegli anni solcò il cielo di Madrid e andò ad infiggersi tra i tavolini del caffè Pombo, dove Ramón Gómez de la Serna passava il suo tempo armato di taccuino, con la pipa in bocca e una bottiglia di acqua minerale per sopravvivere al tempo e dove, dal 1914, diede vita a una tertulia, cioè un gruppo letterario, e alle “riunioni del sabato”, giorno in cui, dalle dieci della sera fino alle due della notte, intellettuali e artisti di Madrid vi si davano appuntamento.
Ci andavano i “locali”, come Jiménez e José Bergamín, Azorín ed Eugenio d’Ors, e ci ... continua a leggere
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Abbiamo cercato di prendere sul serio l’invito di Marianello Marianelli di offrire al lettore italiano la possibilità di conoscere da vicino la voce dell’allievo prediletto di Ernst Robert Curtius, Karl Eugen Gass da Kassel.
Era nostra prima intenzione dedicarci esclusivamente alla decennale corrispondenza intercorsa fra l’allievo e il maestro, seguendo alla lettera la preziosa indicazione del germanista di San Miniato, ma ci siamo ben presto resi conto che era opportuno completare un quadro sempre più convincente con una serie di contributi ulteriori, che andavano a definire una personalità di primo rango, e che possedeva tutti i talenti per una splendida carriera scientifica, poi sacrificata alla guerra – per riprendere le stesse battute di Curtius.
Ecco allora che, accanto alla vicenda epistolare, disponibile grazie alla straordinaria collaborazione della figlia di Gass, Bettina, è parso opportuno dare in questo stesso volume le riflessioni e gli appunti delle agende (1937-1944), del diario dei libri, degli anni romani (1938-1942), del diario di guerra (1942), nonché le lettere inviate alla moglie Ilse Riemenschneider (1942-1944), cinque parti contraddistinte da un dialogo interiore costante, filtrato attraverso i testi letti, i libri, trattati come persone care, luoghi di sogno che chiamano la vita per nome, nei giorni immoti degli anni bui, nei quali Gass non smette fino all’ultimo di donare una luce rara: il piacere di stupirsi ... continua a leggere
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A poco più di duecentotrent’anni dalla prematura morte di Agostino Paradisi iunior e a duecentocinquanta esatti dalla pubblicazione dei primi due volumi della Scelta di alcune eccellenti tragedie francesi tradotte in verso sciolto, opera nell’àmbito della quale egli fa la “parte del leone” e che raccoglie versioni destinate ad avere un ruolo non marginale sia nella maturazione della nostra lingua poetica e teatrale durante il tardo Settecento sia nello sviluppo di quel patriottismo culturale che in Italia darà frutti politici nel secolo successivo, ci è parso di qualche utilità dedicare le pagine seguenti a quest’insigne intellettuale, celebrato dai contemporanei ora come superbo versificatore “oraziano”, ora come sommo “poeta-filosofo”, ora come ispirato autore di odi sacre; conosciuto anche al di là delle Alpi per la robusta eloquenza e per le eleganti versioni dal francese all’italiano; tenace fautore del rinnovamento del gusto teatrale ed estetico; penetrante studioso di storia e di economia politica; in contatto con alcuni dei più brillanti ingegni europei del suo tempo; dapprima sovrintendente agli spettacoli in vari Teatri e insegnante di Collegio e di Ateneo chiamato ad iniziare i giovani allievi alla letteratura, poi professore universitario incaricato di collaborare alla creazione di magistrati civici all’altezza dei propri cómpiti futuri e lui stesso instancabile e coscienzioso alto funzionario pubblico promotore di ri... continua a leggere
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Dall’antichità al Medioevo all’Umanesimo (da Cicerone artifex più che interpres, artista e ricreatore, ben più che mero, passivo traduttore, del testo platonico, a San Girolamo, con la sua idea della traduzione che rende non verbum e verbo, ma sensum e sensu, non la lettera esteriore, per così dire epifenomenica, del testo sacro, ma il suo messaggio recondito, le risonanze e le armoniche di quel mysterium che è insito nello stesso verborum ordo, nella stessa tessitura verbale e grammaticale della voce divina, fino al De interpretatione di Leonardo Bruni, persuaso, come Dante, che il discorso della bellezza e della sapienza fosse cosa «per legame musaico armonizzata», retta da equilibri ed intrecci sottili, necessari, delicatissimi – «verba inter se festive coniuncta, tamquam in pavimento ac emblemate vermiculato» – che il traduttore doveva saper salvaguardare nel momento stesso in cui li trasfigurava nella nuova creazione), l’atto della traduzione è stato intimamente associato a quello, in senso lato, dell’ermeneutica: ermeneutica intesa, nel suo valore più autentico ed essenziale, come investigazione del mistero, esplorazione del sostrato semantico e speculativo più celato e oscuro del testo, della parola e, attraverso di essi, dell’Essere stesso, la cui struttura profonda, la cui configurazione metafisicamente spazio-temporale, si riflettono, in certo modo, nel tessuto verbale e retorico della scrittura, riversandovi, e in essa ef... continua a leggere
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Il rapporto tra Mussolini e l’opinione giornalistica internazionale – in particolare statunitense – si può dire caratterizzato da una profonda ambiguità. In effetti ciò che più sorprende ad una rapida lettura del materiale cronachistico internazionale dell’epoca, è la sostanziale ammirazione che per un lungo periodo di tempo Mussolini e il fascismo riuscirono a godere presso le grandi testate giornalistiche internazionali. Il fascino della sua leadership non si configurò esclusivamente come un fenomeno locale, ma ottenne consensi ben oltre i confini nazionali, riuscendo a conquistare per lungo tempo non solo gran parte dell’Europa, ma anche gli Stati Uniti. In particolare la stampa americana, francese, inglese e norvegese parteciparono unitamente al coro di elogi che in gran parte dell’Italia si innalzava verso le doti carismatiche del dittatore.
Appena dopo la marcia su Roma, gli apprezzamenti verso Mussolini si intensificarono presso tutte le grandi testate giornalistiche internazionali, e in particolar modo presso quelle statunitensi. Il 3 novembre 1922 il New York Herald lo definì, al pari di Garibaldi, un autentico rigeneratore della società italiana, meritevole di conservare un posto speciale nella storia del popolo italiano. Nell’autunno dello stesso anno il New York Tribune si interrogava se Mussolini somigliasse più a Garibaldi o a Cesare e il New York Times profetizzava che il mento di Mussolini sarebbe rimasto giustament... continua a leggere
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Se c’è uno scritto ove si svela con più chiarezza l’animo di Delio Cantimori (1904-1966), questo è Conversando di storia. Chiunque volesse ricostruirne la parabola intellettuale ed umana tout court non potrebbe trascurare le pagine di tale opuscolo quasi laterale, singolarmente composito ma – anche per questo, forse – adatto a restituire quel tratto biografico quasi sotterraneo che contribuisce a dare, probabilmente, la misura del battito del suo polso, concedendo molteplici ricami intimi e fondi, decisivi per tracciarne un profilo più persuasivo e appagante.
Le lettere a F.C. Rossi – preparate per la rivista «Itinerari» dal gennaio 1960 al settembre 1964 e quindi raccolte nel volume – costituiscono un sorprendente dialogo unitario, rivolto ben oltre lo spazio urbano e circoscritto di una rubrica coltivata con riserbo e fermezza, e dominata da una generosità amplificata nel richiamo continuo al metodo storiografico e al senso della cultura storica, mai disgiunto dalla vita ancor prima che dalla cultura.
Cultura è qui intesa col senso dell’essere individuale e collettivo insieme al proprio significato espressivo, fisico, spaziale e intelligibile, ove la storia è «l’attuazione di una cultura possibile».
Come suona familiare il tono tutto teso alla conoscenza, all’istruzione, alla nozione e alla cognizione della storia, così in esse riposano di per sé quei valori educativi e formativi – sostiene Cantimori – che ... continua a leggere
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Nacque il 10 giugno 1897 in Romagna, a Dozza imolese, uno dei più noti geografi italiani, Umberto Toschi, venuto alla luce in una famiglia rurale di nobile ascendenza. La sua biografia è tutta calata nella carriera accademica: si laureò a Bologna nel 1921 con la tesi L’individualità geografica Carpato-Danubiana e la sua influenza in quanto fattore storico. Praticò il giornalismo e per dieci anni insegnò in istituti commerciali di Ancona e Bologna. Partecipò poi a un concorso universitario e fu chiamato nel 1933 alla cattedra di geografia economica all’Università di Catania. Nel 1935 passò a Bari, dove fu anche rettore per alcuni anni; nel 1949 fu chiamato a Ca’ Foscari di Venezia e infine, nel 1951, ebbe sede definitiva all’Ateneo di Bologna, anche qui nella cattedra di geografia economica, disciplina cui si dedicò fin dai lavori giovanili e che, in certo modo, affiancava la corrente di geopolitica fondata in Italia verso la fine degli anni trenta. Assurse alla direzione dell'Istituto di geografia della Facoltà di Lettere e, proprio mentre stava lavorando nel suo studio morì, improvvisamente nell’estate del 1966.
Essendo nel comitato redazionale della rivista “Méditerranée”, alla sua scomparsa E. Dalmasso gli dedicò su quella rivista un necrologio che suona: «L’università italiana è in lutto. Il professor U. Toschi, direttore dell’Istituto di geografia della Facoltà di Lettere di Bologna, è morto al suo tavolo di lav... continua a leggere
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L’immagine che meglio sembra descrivere il rapporto fra l’imprenditore Arturo Gazzoni e la Massoneria è quella di un fiume carsico, che in alcuni frangenti scorre sotterraneo e, in altri, riemerge con forza in superficie.
Già nelle precedenti edizioni di Bologna massonica altri autori – Stefania Mirandola e Giuseppe Scarenzi – avevano fornito le poche notizie disponibili sull’attività latomistica di Gazzoni. Viene iniziato libero muratore l’11 marzo 1908 nella loggia Carlo Pisacane di Roma, promosso Compagno d’Arte il 6 aprile e, infine, elevato al grado di Maestro Venerabile della loggia “ça ira” di Bologna, diventando in seguito presidente della loggia di rito Simbolico Italiano.
In cerca di altre fonti, ci siamo imbattuti in una rivista quanto mai curiosa – il “Mulo” – che, in un supplemento del 1914, pubblica entusiasticamente l’elenco dei vertici del Grande Oriente d’Italia, delle Logge regionali del Rito Simbolico, di Logge e Triangoli: ne risulta che Gazzoni era ancora il Venerabile della “Ça ira”: «Emilia, Bologna: Ça ira (rito simbolico) – Indirizzo: sig. Arturo Gazzoni, via S. Stefano 30, palazzo Bonora».
Settimanale “anticanagliesco” di area cattolica, il “Mulo” condusse aspre battaglie proprio contro la Massoneria, testa di turco principale assieme ai socialisti e agli anticlericali. È dunque «per il bene della Religione e della Patria» che gli autori azzardano la pubblicazione, in... continua a leggere
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Uno dei problemi che maggiormente giungono a maturazione nel contesto dei secoli XVII e XVIII, suscitando vivo interesse sia sul piano teorico sia su quello delle implicazioni pratiche, è costituito dalla questione del linguaggio e del suo ruolo nell’ambito della conoscenza. Più in generale, nel corso del tempo, il problema della lingua era stato sentito, almeno negli ambienti di livello culturale più elevato, come uno dei più importanti e significativi. Data la complessità del fenomeno linguistico, va chiarito che non è possibile parlarne come se fosse un problema unitario, ma esso ebbe molteplici risvolti e vari piani di discussione. Non a caso, Umberto Eco elenca una serie di problematiche linguistiche sviluppatesi durante i secoli ed originatesi dall’assunto che, in primo luogo, con il peccato originale, l’uomo avesse perso la capacità di formulare un linguaggio che fosse capace di esprimere la vera natura delle cose (onomathesia) e, in secondo luogo, che da quel momento si era originata una confusione di lingue alla quale occorreva porre rimedio, ricercando una lingua comune a tutti gli uomini. Le difficoltà dell’impresa furono tali che, ad un certo punto, la ricerca di una lingua che doveva aspirare in qualche modo alla perfezione, si intrecciava con quella più modesta ma non meno ambiziosa di una lingua universale e spesso i d... continua a leggere
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Il ruolo e il successo che Francesco Giorgio Veneto (1466 - 1540) ha avuto nella cultura del suo tempo risiedono nella capacità che questi ebbe di conciliare e attualizzare saperi diversi. I molteplici contenuti delle sue opere hanno contribuito a comprendere la sottile, ma esistente linea di affinità e continuità con gli astronomi, i matematici e, più in generale, i filosofi a lui contemporanei.
Del frate verranno apprezzate la cultura mai enfatica ed esibita, il tono misurato, la grande pertinenza e ricchezza terminologica, la portata delle sue fonti, l’ordine, la misura, l’equilibrio, la simmetria e l’armonia come forma mentis individuale.
In Zorzi convivono più anime, mai in conflitto l’una con l'altra e sempre, a loro modo, coerenti: il francescano colto, il patrizio raffinato, il diplomatico discreto, l’intellettuale ‘onnivoro’, il mistico iniziato, ma soprattutto l’uomo di Chiesa che coglie la crisi di Roma e che, pur vivendo in una città fortemente antagonista nei confronti di quella (Venezia, va da sé), nel De Harmonia mundi, il suo capolavoro, non cita mai.
Agli inizi del Cinquecento, Venezia versa in una crisi politica, economica e religiosa destinata a condizionare la vita culturale della Serenissima per il resto della sua storia. Nel giro di trent’anni, si ritrova accerchiata e costretta a ripiegare, contenere, combattere, negoziare e infine abbandonare il sogno espansionistico accarezzato per secoli. ... continua a leggere
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La Germania, insieme con l’Inghilterra, la Scozia e la Francia, è una delle culle della Massoneria moderna, di quella, dunque, definita “speculativa”. Anche se, antecedentemente al XVIII secolo, le cosiddette Logge “operative” sono state importanti e numerose, ed hanno saputo ben presto accogliere, come del resto le omologhe inglesi, dei “muratori accettati” (vale a dire uomini che non appartenevano al mestiere, come artisti e filosofi), le prime vere Logge moderne furono, in Germania come in tutt’Europa, di origine britannica.
Probabilmente ad Amburgo, nel 1737, fu fondata la prima Loggia speculativa tedesca, che nel 1741 prese il nome di “Absalon”. Una sua delegazione iniziò, il 14 agosto 1738, il futuro re di Prussia, Federico II, ‘despota illuminato’ e gran sostenitore della Massoneria in Europa, nonché istitutore egli stesso di una prima Loggia a carattere privato nella propria residenza di Rheinsberg, e successivamente promotore a Berlino di un’officina destinata a divenire la più importante dell’intera Germania. Il 13 settembre 1740 avviene l’apertura ufficiale della Loggia berlinese intitolata “Ai tre Globi”, che avrebbe accolto insigni personalità di Prussia, fra le quali i fratelli di Federico II e il Margravio del Brandeburgo, dedicatario, fra l’altro, dei celeberrimi Concerti brandeburghesi (1721) di Johann Sebastian Bach.
Le pr... continua a leggere
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L'attenzione nei confronti della narrativa romanzesca italiana del XVIII secolo è un fenomeno assai recente nell'ambito della critica letteraria. Soltanto negli ultimi decenni, grazie ai contributi di Carlo Alberto Madrignani e Luca Clerici, tra gli altri, si è potuti giungere ad un corretto inquadramento stilistico, tematico, nonché filologico di autori quali Pietro Chiari o Antonio Piazza. Le occasioni di ricerca sono ancora tante, in un ambito che rimane tuttora largamente ignorato a causa della mancanza di analisi e documentazione. Tra le varie strade possibili, non è stata compiuta, al momento, un'indagine in prospettiva editoriale. Il presente studio ha appunto il modesto obiettivo di introdurre un tentativo di inchiesta in tal senso, puntando l'accento ora sui dati relativi alla produzione libraria, ora sulla condizione degli autori e sulle strategie dei loro editori, nella convinzione che anche temi così lontani dalle storie della letteratura possano contribuire a spiegare la nascita, nel nostro paese, del genere letterario cardine della modernità
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Nel periodo compreso fra la seconda metà del Seicento e la prima metà del Settecento, la cultura italiana risultò caratterizzata dal fenomeno artistico e letterario del Barocco, all’interno del quale emerse il preponderante ruolo esercitato dalla retorica, disciplina codificata – com’è noto – da Aristotele, Cicerone e Quintiliano, che ne avevano proposto una scansione articolata in cinque parti: inventio, dispositio, elocutio, actio e memoria. Tale divisione era rimasta sostanzialmente inalterata fino al XVI secolo, quando le riforme messe in campo da Rodolfo Agricola e da Pietro Ramo l’avevano profondamente snaturata. In particolare, con questi mutamenti l’inventio, al cui interno trovavano posto i loci, venne inclusa nel contesto della dialettica e della logica, portando così suddetta componente della retorica, fondata sul rinvenimento dei contenuti più significativi di un argomento, ad occuparsi di ambiti del tutto diversi da quelli che le erano originariamente propri. Ciò provocò uno svilimento della retorica, con la conseguente riduzione di essa a disciplina meramente formalistica, ove le componenti che rimanevano, lungi dal possedere ancora un fondamento solido, risultavano pressoché fini a se stesse.
Fra le principali conseguenze di un simile stato di cose, vi fu il formarsi, nel XVII secolo, del fenomeno chiamato «C... continua a leggere
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A partire dalla seconda metà del Novecento, le ricerche condotte da un ristretto numero di esperti ci hanno consegnato un corpus di romanzi comunemente noti come «romanzi parlamentari». Tale filone, sviluppatosi in Italia tra XIX e XX secolo, è stato in tempi recenti oggetto di alcuni articoli di quotidiani, propensi a vedervi le origini delle attuali dimostrazioni di malcontento popolare nei confronti delle istituzioni. Il presente studio analizza la questione da un altro punto di vista, quello più specificamente letterario, che i giornalisti, a causa anche della destinazione dei propri scritti, non hanno potuto toccare, se non in maniera marginale.
Il primo problema per chi voglia occuparsi di romanzo parlamentare è di natura squisitamente class... continua a leggere
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Ingegno letterario precoce, viaggiatore inquieto – «mattissimo» e «poetissimo», secondo la definizione datane dall’amico, coetaneo e conterraneo, Lodovico Antonio Muratori –, provinciale assurto alla ribalta della vita mondana presso la Corte viennese, Pietro Antonio Bernardoni nacque il 30 giugno 1672 «in Vignola, terra ragguardevole nel Ducato di Modena», da Francesco e Lodovica Monsi. Non si hanno molte notizie sulla famiglia, composta, oltre che dal Nostro, da due fratelli minori, Giovanni Francesco e Giuseppe, e da uno zio, Niccolò.
Applicatosi sin dall’età giovanile agli studi, Bernardoni dimostrò e assecondò la propria vocazione per le lettere, giungendo ben presto a far parte di importanti cenacoli letterari e prestigiose istituzioni culturali: nel 1691, a soli diciannove anni, fu associato all’Arcadia romana, con il nome di «Cromiro Dianio»; in seguito, venne ascritto all’Accademia degli Accesi (Trento), a quella dei Gelati (Bologna), a quella degli Scomposti (Fano) e a quella degli Animosi (Venezia). Molto probabilmente non frequentò mai l’Università. All’inizio degli anni Novanta del Seicento, fu attivo a Modena, entro il consesso culturale creatosi attorno al marchese Giovanni Rangoni, dove si scrivevano, scambiavano e commentavano versi poetici; qui strinse amicizia con Gian Giacomo Tori, Francesco Buosi e Francesco Caula, ed ebbe modo di incontrare spesso l’amico d’infanzia Mu... continua a leggere
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Nel 1873 il vignolese Francesco Selmi (1817-1881), celebre scienziato, uomo di vasta cultura e patriota, dà alle stampe il volume Dei trattati morali di Albertano da Brescia. Volgarizzamento inedito fatto nel 1268 da Andrea da Grosseto. L’opera vede la luce all’interno della “Collezione di opere inedite e rare dei primi tre secoli della lingua”, collana a cura della Regia Commissione per i Testi di Lingua. Selmi è uno dei membri maggiormente attivi di questa importante istituzione, fondata nel 1860 con lo scopo di ricercare i codici dei più antichi testi di lingua italiana promuovendone la pubblicazione. Il volume contiene i trattati composti nel XIII secolo da Albertano da Brescia, giurista insigne del quale abbiamo peraltro a disposizione poche notizie biografiche. Annoverato tra i protagonisti della vita politica dell’Italia comunale, egli ricoprì incarichi pubblici nella sua città e a Genova, e partecipò alla guerra contro l’imperatore Federico II. La sua produzione letteraria a noi nota consta di cinque sermoni di forte impianto religioso e di tre trattati morali, cui l’autore bresciano deve la propria fama: il Liber de amore et dilectione Dei et proximi et aliarum rerum et de forma vite (1238), nel quale viene affrontata la questione dei rapporti sociali e familiari, dando vita ad un’etica strettamente legata all’ambiente comunale; il Liber de doctrina dicendi et tacendi (1245), dedicato alla costruzione di un’etica della parol... continua a leggere
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Mi sono soffermato a lungo, ier sera, sfogliando un catalogo dei dipinti del Van Eyck, sul ritratto del cardinale Albergati. Si tratta di un olio su tavola, della misura originale di circa 34 cm x 27 cm, databile attorno al 1438, molto ben fatto dal punto di vista dell’esecuzione e assai espressivo dell’individualità lucida e, al contempo, problematica, prima di Guicciardini, del cardinale toscano, il quale venne mandato ad Arras a mediare tra Filippo il Buono ed il re di Francia Carlo VII per porre fine alla guerra scoppiata in seguito all’assassinio di Filippo l’Ardito.
La mia riflessione, attraversato un primo momento di assorbimento empatico dovuto alla bellezza del dipinto, nasceva dalla convinzione che, in fondo, se oggi uno andasse con la macchina fotografica in giro per i caffé, per le piazze della pianura padana o, anche, dei centri toscani, non avrebbe difficoltà a trovare un volto simile, una faccia con gli stessi caratteri somatici dipinti dal fiammingo. Certo, si sa che variazioni significative del nostro patrimonio genetico, sia sul piano della filogenesi come quello dell’ontogenesi, vanno ben oltre i pochi secoli che ci separano dal periodo in cui l’Albergati visse, ma io trovo sempre stupefacente questa vicinanza col passato, la sequenzialità sincretica della storia che si spinge fin nelle pieghe del presente, della nostra memoria e che non ci fa sentire isole isolate nel gran mare dell’esistenza. Insomma, se ben si gua... continua a leggere
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Rileggere gli Aforismi di Schopenhauer oggi, a circa cento cinquant’anni dalla loro pubblicazione, quando vennero raccolti all’interno del volume Parerga e Paralipomena, potrebbe risultare pleonastico, inutile o – peggio – una concessione tutt’altro che saggia a una tendenza, a un modus del presente. Di consigli per il bene vivere sono stracolmi gli scaffali della nostra esperienza, così come le pagine dei giornali che ci rubano tempo sui crocicchi polverosi e semaforati della quotidianità. Se tuttavia l’avventurato lettore sarà così tenace da non scoraggiarsi di fronte a una così disancorata proliferazione di suggestioni vaporose e ingombranti, per lui si potrebbe aprire una nuova esperienza, e un nuovo grado della riflessione potrebbe dischiudersi in direzione della saggezza, della prova del vivere saggio.
Vivere la saggezza è un progetto che, prima o poi, va concepito nel percorso esistenziale di ogni essere umano, è un sentiero che chiede di essere illuminato accanto a quelli pur legittimi e immaginosi che guidano, a volte languidamente, i pensieri di tutti. Abitare la saggezza significa essere il gesto che illumina i luoghi dolorosi della nostra soggettività, significa identificarsi empaticamente con la sapienza del mondo e con la salute che scaturisce dal contatto.
Del resto, considerare la saggezza come una costruzione da compiersi, un percorso da misurare e dunque intendere la filosofia ... continua a leggere
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Forse in virtù della sua vocazione mediatica che non esaurisce in sé il contenuto del messaggio, la storia della Rai può essere riguardata come la storia di uno degli istituti più rappresentativi della nostra identità collettiva, il punto di incontro di tante riflessioni più particolari, di tanti sguardi sulla realtà che ormai stazionano nella memoria pubblica o, almeno, sono suo potente referente immaginale.
La Rai, Radio televisione italiana, inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”: erano le undici di mattina del 3 gennaio 1954 quando la televisione italiana nacque ufficialmente.
A pronunciare l’annuncio in diretta dai nuovissimi studi del Centro di produzione di Corso Sempione a Milano fu Fulvia Colombo. La televisione allora trasmetteva in bianco e nero e la qualità del segnale non era entusiasmante, pagava un canone che si aggirava attorno alle diciotto mila lire. Il suo successo tra la gente fu subito folgorante e nel giro di quattro anni gli abbonati superarono ampiamente il milione. Il gradimento sarebbe stato anche maggiore se la rete dei trasmettitori che distribuiva il segnale video fosse stata più efficiente, ma la particolare conformazione orografica italiana con la sua prevalenza di picchi e avvallamenti costringeva a lasciare in ombra non poche zone del nostro territorio. Ad ogni modo già nel ’58 vennero “illuminati”, come si diceva in termini tecnici, oltre il 95% degli italiani; la quasi to... continua a leggere
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Capolavoro è il termine che sembra ricorrere maggiormente negli interventi della critica letteraria italiana, almeno dal 1940 in poi, sulla Cronica di Bartolomeo di Iacovo da Valmontone, da quando, cioè, l’acuta filologia di Gianfranco Contini con un articolo dal gesto perentorio, la introdusse al pubblico colto, auspicandone una consuetudine di lettura come per le nostre grandi opere. Certo, per un testo rimasto per tanti secoli nella sua originalità e completezza sconosciuto, il tono di quell’intervento sembrò, più che realmente, volutamente entusiastico, ma l’eccezionalità della scoperta, il significato e la consapevolezza dell’operazione lo giustificavano.
Il testo, della cui vicenda filologica brevemente diremo, si trova nel III Tomo delle Antiquitates Italiacae Medii Aevi stampata dal Muratori nel 1740, sotto il titolo di Historiae Romanae Fragmenta, prima che un allievo del Contini (altri ne avevano curato singole parti), Giuseppe Porta, ce ne fornisse una edizione esemplare e integrale, stampata a Milano nel 1979 dall’editore Adelphi attribuendola ad Anonimo romano, prima che Giuseppe Billanovich non ce ne fornisse una identificazione più certa, e da noi sostanzialmente avallata, in un celebre studio.
Il testo della Cronica, come si desume dalla prefazione dell’edizione costituita dal Porta, ebbe una vicenda filologica assai tormentata. Prima che l’opera conosciuta sott... continua a leggere
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Anche al cospetto di Ezio Raimondi (1924), specie se lo si incontra nel suo studio, «caverna scolpita di libri», può sorgere spontanea, a un visitatore sprovveduto, la stessa domanda ingenua e pleonastica che, nel ricordo affabile di Contini, veniva da rivolgere a Spitzer: «Sta lavorando, come al solito?».
È però molto improbabile che, nel caso nostro, si possa avere un tipo di risposta collimante con quella del maestro viennese («Lavorando? No, no, godendo, come al solito, godendo»), non solo perché a Raimondi non si conviene la definizione di «sibarita» concessa da Contini a Spitzer, per niente adatta a un round head inquieto e turbato da un ricercare inesauribile in cui il piacere della lettura è inseparabile dalla fatica e dalla responsabilità, ma soprattutto perché molto del suo tempo consacrato al lavoro viene messo a piena disposizione degli allievi, tenacemente perseveranti nel sottoporgli i loro scritti, siano essi piccole esercitazioni, capitoli di tesi o saggi o libri destinati alla pubblicazione.
Eppure, per quanto non tutti gli esercizi di lettura siano ameni, vengono sempre fatti di buon grado, quando non sollecitati, sorretti comunque da un entusiasmo didattico che molto spesso affiora nella bontà dei risultati, nei quali a volte non si riesce nemmeno più a distinguere la penna originariamente incerta dell’allievo da quella sicura ed elegante del maestro generoso.
L’impegno del Raimondi docente non differisce in... continua a leggere
tag: ezio raimondi
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Si tratta di un tema che ancora negli anni Zero del XXI° secolo è stato al centro di un intenso dibattito pubblico, totalmente piegato a esigenze di legittimazione (e delegittimazione) politica, anziché essere rivolto a un reale approfondimento.
Il dopo liberazione italiano appartiene al più ampio contesto europeo di uscita dal conflitto mondiale. Ovunque sia giunta l’occupazione delle armate dell’Asse, le comunità si spaccano - non in parti uguali - tra chi collabora con gli invasori e chi vi si oppone.
Il regolamento di conti con i collaborazionisti nazifascisti conosce una prima fase extragiudiziale ed una successiva fase, regolamentata da precise procedure a garanzia degli accusati.
In ciascuna comunità nazionale ci sono storie di divisioni e tensioni che precedono l’inizio dell’occupazione. L’arrivo delle armate naziste accentua e rende quasi irredimibili le spaccature interne a ciascun Paese: la Francia e il Belgio, nella seconda metà degli anni Trenta, hanno subito il condizionamento dei movimenti fascisti che sono diventati un indispensabile puntello per gli occupanti.
L’attività di collaborazionismo si è esplicata in parte come risorsa militare al fianco dell’occupante, ma soprattutto come disaggregante interno fornito di un occhio speciale nell’individuare oppositori ed ebrei che non possedevano i nazisti. Ne discende l’identificazione dei collaborazionisti come... continua a leggere
tag: secondo dopoguerra, violenza
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Le 12 décembre 1969, sur la Piazza Fontana à Milan, une bombe explose à l’intérieur de la Banca Nazionale dell’Agricoltura. Le bilan est dramatique: 17 victimes et 88 blessés.
Les années 1970 ont projeté l’Italie parmi les grandes puissances économiques mondiales et contribué à transformer profondément le pays d’un point de vue social. Les exigences quant aux conditions du travail et aux droits ont augmenté. La politisation a augmenté également, grâce à une forte poussée venant du bas et que les partis et les syndicats ne contrôlent pas totalement: la composition de la base sociale a changé et comporte désormais les étudiants, les femmes, les jeunes. L’engagement politique s’exprime de moins en moins au sein des partis mais provient directement de la société: sur le lieu de travail, à l’école, à l’université, pendant le temps libre, sous l’influence des groupes musicaux. La société italienne est également une société en profonde transformation sur le plan de la morale et des mœurs: on valorise le principe de choix de l’individu et toujour... continua a leggere
tag: piazza fontana, strategia della tensione
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In una pagina dei Quaderni di Malte Laurids Brigge, Rilke evoca, ammaliato, la figura ‒ così lontana, peraltro, dal baudelairiano choc, dalle epifanie stranianti o salvifiche, luminose o perturbanti, della vorticosa vita metropolitana ‒ di un poeta che non vive a Parigi, ma «in una casa silenziosa sulle montagne»: un poeta che «risuona come una campana nell'aria pura», che vede «pensosamente riflessa», nelle vetrate della sua libreria, «una cara, solitaria lontananza», ed è capace (come poi Gozzano, anche in questo debitore a Jammes, come tanta poesia italiana, da Pascoli a Govoni a Corazzini) di conoscere ed evocare l'amore di fanciulle morte da un secolo, i cui nomi recano in sé «una minima eco del fato, una minima delusione e morte».
Ebbene, quel poeta è proprio Jammes. E sarebbe bastata un'attenta lettura di quella pagina, di quell'inserto lirico e insieme critico, all'interno di una narrazione realistica e in pari tempo memoriale ed evocativa, per evitare tanti fraintendimenti, tante letture in parte riduttive, che in Jammes hanno visto solo un cantore rusticale, provinciale, isti... continua a leggere
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Repubblica Bologna nasce nel mese di ottobre del 1980 come terza edizione locale, dopo Roma e Milano, ma come prima edizione locale di una città media. È la prima esperienza in una città non capitale, dopo la capitale del Nord (Milano) e la capitale d’Italia (Roma): ha avuto immediatamente l’imprinting della Repubblica nazionale, nel senso che aveva gli stessi canoni di giornalismo del nazionale, adeguato ovviamente alla realtà locale". Aldo Balzanelli, storico caporedattore dell’edizione bolognese di “Repubblica” dal 1997 al 2010, racconta con queste parole l’esordio dell’edizione locale del giornale di Scalfari in Emilia Romagna.
L’“imprinting” di cui parla il direttore è chiaramente dichiarato nella campagna pubblicitaria che ha preceduto fra la fine del 1975 e l’inizio dell’anno successivo l’uscita del quotidiano nazionale nelle edicole: «Il fatto di cronaca è lì, semplice, perentorio. La versione ufficiale, pronunciata con modi conclusivi da persone autorevoli, sembra non lasciare spazio a nessun dubbio. ... continua a leggere
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Questo non è un processo “comunissimo”: è un processo eccezionale, superlativamente straordinario, assurdo. Questo non è neanche un processo: è un apologo. Un processo in cui si vorrebbe condannare gente onesta per il delitto di avere osservato la legge, anzi per il delitto di aver preannunciato e proclamato di volere osservare la legge: arrestati e rinviati a giudizio sotto l'imputazione di volontaria osservanza della legge con l'aggravante della premeditazione! Per renderci conto con distaccata comprensione storica della eccezionalità e assurdità di questo processo, bisogna cercare di immaginare come questa vicenda apparirà, di qui a 50 o a 100 anni, agli occhi di uno studioso di storia giudiziaria al quale possa per avventura venire in mente di ricercare nella polvere degli archivi gli incartamenti di questo processo, per riportare in luce storicamente, liberandolo dalle formule giuridiche, il significato umano e sociale di questa vicenda
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Prima che i giudici leggessero la sentenza, l’ultima arringa di Piero Calamandrei concluse il “... continua a leggere
tag: azionismo, danilo dolci
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La morte di Pasolini avvenne durante la notte del primo novembre del 1975. La stessa notte viene arrestato il giovane diciassettenne Pino Pelosi detto “la Rana”. Il ragazzo, interrogato il 5 novembre dal giudice Carlo Alfredo Moro, fratello del deputato Dc Aldo, rilascia quella che sarà la versione dei fatti ufficiale fino alla completa ritrattazione avvenuta solo nel 2005. Abbordato dallo scrittore, Pelosi viene portato prima a cena al ristorante “Il Pommidoro”, nel quartiere di san Lorenzo, a Roma, poi all’idroscalo di Ostia dove, rifiutando di compiere delle prestazioni sessuali cerca di fuggire. Aggredito da Pasolini, sceso anch’esso dall’auto, Pelosi intraprende una colluttazione alla fine della quale, riuscendo a raggiungere l’auto di Pasolini, ne investe il possessore prima andando in retromarcia e poi scappando definitivamente. Lo scrittore sarebbe dunque morto, non per i colpi ricevuti durante la colluttazione, bensì per lo scoppio del cuore causato dallo schiacciamento del torace nel momento in cui Pelosi gli passava sopra con la sua stess... continua a leggere
tag: pasolini, Petrolio
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Ogni interpretazione, ogni analisi testuale si stabilisce sempre, pirandellianamente, come un atto di equilibrio sopra la follia dell’opera d’arte, sopra il guazzabuglio del testo e l’esercizio del lettore: interpretare, in fondo, è portare alla luce una voce nella polifonia discorde del narrato, il particolare di uno sguardo acciuffato nel caos di una folla in movimento.
Sì, perché il tempo e il luogo in cui nasciamo non definiscono la nostra identità e nemmeno i tratti del nostro volto e, a voler guardare in profondità – sosteneva la saggezza antica di Eraclito e di altri – nessuno conosce i confini dell’anima di un uomo e, tanto meno, quelli di uno scrittore, di un artista de race. Quand’anche riuscissimo a tracciare, ad esempio, la fisionomia della Firenze medievale o del contesto culturale del Medioevo fiorentino, non riusciremmo comunque a spiegarci il genio di Dante Alighieri, né il perché di una cattedrale di parole come La Divina Commedia, e così, se volessimo definire il valore e il significato narrativo dell’opera di Francis Scott Fitzgerald, che della cosidde... continua a leggere
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Il termine “terrorismo” si è imposto come uno dei significanti principali dell’inizio del XXI secolo, sulla scia degli eventi dell’11 settembre 2001. Al crollo delle Twin Towers è seguito il proliferare di studi sul fenomeno terroristico in tutti i campi socio-umanistici e oltre. La ricerca storica, non immune da fenomeni di strumentalizzazione, ha tuttavia contribuito ad approfondire l’analisi di questo vecchio ma rinnovato significante con opere importanti, come il lavoro dello storico italiano Francesco Benigno, Terrore e terrorismo. Saggio storico sulla violenza politica (2018). Oltre a una ricostruzione critica dei fenomeni terroristici a partire dalla Rivoluzione francese, Benigno offre un’analisi dell’evoluzione delle tendenze storiografiche che li riguardano.
La crescita di studi ha riguardato altresì il campo della geografia, da cui sono scaturite letture fondamentali, utili a una lettura multidisciplinare e più chiara dei fenomeni del terrore. Questo saggio ha come primo punto di riferimento proprio il lavoro di un geografo e teorico politico, Stuart Elden, c... continua a leggere
tag: territorio, terrorismo
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Avanguardia nazionale [An] rappresentò, assieme a Ordine nuovo [On], la maggiore organizzazione dell'estrema destra fra gli anni Sessanta e i primi anni Settanta. Tuttavia, non ha ricevuto alcuna particolare attenzione storiografica e quello che c’è, sostanzialmente si reduce alla memorialistica o dalla pubblicistica di parte.
Al contrario, le vicende di questa organizzazione, nell’insieme ristretta (non raggiunse mai i 10.000 aderenti, anche se va detto che erano in massima parte attivisti) sono un frammento rilevante per comprendere molti aspetti della strategia della tensione, a cominciare dal rapporto fra estrema destra e apparati di sicurezza. Uno spiraglio venne aperto già dai primi anni Ottanta con le interviste di Delle Chiaie a giornali latino americani e, poco dopo, dalla sua audizione davanti alla Commissione di Inchiesta parlamentare sul Terrorismo e le Stragi presieduta dall’onorevole Gerardo Bianco, nell’aprile 1987 (il cui verbale, però) venne segretato e tale restò sino al 1996.
Quasi nello stesso tempo, vennero le memorie di Vincenzo Vinciguerra, una figura assolut... continua a leggere
tag: avanguardia nazionale, neofascismo, strategia della tensione
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Le origini della storiografia, studio degli eventi umani che hanno lasciato una traccia, risalgono al terzo millennio prima di Cristo. Lungo il corso di cinquemila anni la concezione di questa narrazione si è trasformata moltissime volte, secondo le preoccupazioni, le convinzioni, i metodi d’investigazione e i criteri d’interpretazione vigenti in ogni epoca.
A dispetto d’innumerevoli modificazioni, certi caratteri del racconto storico sono rimasti immutabili dai tempi sumerici ai giorni nostri. L’elaborazione e la stesura dei testi storici sono sempre state legate all’uso dei linguaggi umani, sotto forma orale o scritta. Ne consegue che la maggioranza delle fonti storiche proviene da persone che sanno esprimersi, mentre gli analfabeti, i timidi, i popoli nei quali i ricordi non si trasmettono di generazione in generazione, non hanno lasciato tracce. Conosciamo abbastanza bene l’antica Atene perché gli Ateniesi (certi Ateniesi) erano abituati a scrivere mentre l’austera Sparta ci sfugge. Grazie a Aristotele abbiamo la lettera della “costituzione” di Atene... continua a leggere
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Non capita sovente che sia un editore trentino, pur prestigioso e apprezzato dal Canada al Giappone, a pubblicare in Italia l’editio princeps di un testo superbo di storia della cultura europea, che – inter alia – il 10 settembre prossimo prenderà anche la strada delle librerie francesi, attraverso l’onorata ospitalità delle Éditions du Seuil, da sempre insigni quanto esigenti.
Eppure ciò avviene per L’esteta armato, il poeta-condottiero nell’Europa degli anni Trenta, approdato finalmente in edizione ne varietur per La Finestra Editrice di Lavis (Une génération perdue. Les poètes guerriers dans l’Europe des années 1930, nella versione transalpina).
D’altra parte, non accade frequentemente d’incrociare un autore come Maurizio Serra (1955-), biografo, storico della cultura e delle idee, nonché diplomatico di fama internazionale (è rappresentante permanente del nostro Paese alle Nazioni Unite, presso le Organizzazioni Internazionali di Ginevra). Già stimatissimo per studi affatto originali sopra Curzio Malaparte, la Francia di Vichy, Italo Svevo e ... continua a leggere
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Leggo quel che nel 1765 scrive Lalande, nel suo Voyage d’un français en Italie, e sogno la macchina del tempo per poter tornare indietro ed entrare in un teatro di Napoli ad ascoltare Scarlatti o Cimarosa o Pergolesi: «La Musica è soprattutto il trionfo dei napoletani; sembra che in quel luogo le corde del timpano siano più tese, più armoniche, più sonore che nel resto d’Europa. Il popolo medesimo ha in sé il canto: il gesto, l’inflessione della voce, la prosodia delle sillabe, la stessa conversazione, tutto vi segna e vi respira l’armonia e la Musica; così, Napoli è la sorgente principale della musica italiana, dei grandi compositori e delle opere eccellenti». E il fatto che la Musica sia trattata da Lalande con la maiuscola non fa che moltiplicare questo desiderio.
Fra i mondi musicali perduti, Napoli è quello su cui maggiormente soffro. Ma so anche che si doveva perdere: troppo effimero il suo carattere, troppo incomplete e fragili le sue partiture, troppo dominante l’improvvisazione. E per cogliere il senso di questa seduce... continua a leggere
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Uno dei grandi dilemmi storici del XX secolo riguarda senza dubbio le reticenze di Pio XII, Eugenio Pacelli (1876-1958), e della Santa Sede in generale, di fronte alle atrocità compiute dal III Reich. Come una vera e propria nevrosi, questi eventi emergono con regolarità inesorabile nelle menti di chi si occupa, per interesse personale o professionalmente, di storia contemporanea: una nevrosi è, essenzialmente, uno stato di conflitto emotivo e psicologico irrisolto, che risale a un vissuto doloroso e influenza sensibilmente i pensieri e i comportamenti di chi ne soffre. Non è azzardato il paragone con le scienze della psiche, in quanto la storia è un iter composto da crocevia in cui le nazioni intraprendono una strada od un’altra condotta da menti-guida che, in quanto persone, manifestano comportamenti umani e sono, di conseguenza, affetti dalle medesime problematiche interiori.
L’afasia di Pio XII, ovvero la sua impossibilità di esprimersi pro o contro Hitler, divenne per il papa stesso una vera e propria nevrosi, che non riusci... continua a leggere
tag: nazismo, storia contemporanea, vaticano
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Considera quod hodie proposuerim in conspectu tuo vitam et bonum, et e contrario mortem et malum. Testes invoco hodie contra vos caelum et terram quod proposuerim vobis vitam et mortem, benedictionem et maledictionem.
C’è anche la destra sublime: è la destra divina, «dentro di noi, nel sonno». L’approdo è nelle opere terminali di Pasolini, quando la forza di conservazione diventa – poeticamente, non realisticamente – nominabile.
A che cosa serve una destra divina? Politicamente, a nulla. Ma la soluzione d’autore, alla fine della Nuova gioventú, è che il problema non è n... continua a leggere
tag: destra, drieu la rochelle
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La storia della scienza come campo di ricerca autonomo e come disciplina presente nei programmi universitari è molto recente: le prime cattedre vengono istituite sotto dipartimenti umanistici nel 1892 a Parigi, e solo negli anni ’20 in Inghilterra e negli Stati Uniti.
In Italia, nonostante la fama e il valore dei patrimoni (perlopiù) storico-scientifici, bisognerà aspettare il 1979; ancor oggi, peraltro, l’inserimento sistematico di questo insegnamento nei percorsi scientifici è parziale, tanto che spesso rimane affidato a scelte e iniziative de facto individuali. La comunità scientifica italiana ha risentito pesantemente di questo ritardo: pure a causa del lungo processo unitario, non ha avuto a disposizione gli strumenti culturali, sociali e istituzionali per incidere sul fronte della divulgazione, cosa che è avvenuta in maniera sporadica e occasionale.
Per secoli, nella cultura europea, la tradizione letteraria ha ricoperto un ruolo fondamentale in campo educativo, stimolando il senso critico e le facoltà di giudizio e analisi. La scienza, oggigiorno ben si sa, è stata un’impresa fatta di tentativi, di errori, ma pure d’innumerevoli successi, realizzati con impegno creativo analogo a quello che ha prodotto le arti figurative, la letteratura, la musica. Negli ultimi anni, le nuove generazioni hanno manifestato un interesse sempre più vivo verso le conoscenze e le competenze tecnico-scientifiche, che però ... continua a leggere
tag: scienza, storia della scienza
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Il “mistero etrusco” (che, a ben vedere, tale non è, o è solo in parte, o è forse, oramai, un "mistero in piena luce", essendo l'alfabeto etrusco perfettamente decifrabile, ed essendosi via via venuto chiarendo, negli ultimi decenni, attraverso l'indagine etimologica e il ricorso al metodo comparativo e combinatorio — fondato sul ricorrere di determinati contesti ed ambiti logici, semantici e sintattici —, il significato di larga parte dei vocaboli) non ha cessato di esercitare, specie tra Ottocento e Novecento, la propria duratura suggestione su poeti e scrittori: dal "vaso etrusco" di un racconto di Mérimée, scrigno ed emblema dell'enigma, del perturbante, dell'ombra inquietante, al sarcofago etrusco di un'Elegia Duinese di Rilke, nella cui cavità abita e risuona la voce inafferrabile dell'essere; da Aldous Huxley, che, affascinato dalla splendida, ieratica impenetrabilità di quei suoni intorti e cupi, dalla loro sublime, arcaica ed aristocratica inutilità, definiva l'etrusco — con squisito ed intelligente snobismo — la sola lingua degna di essere studiata da un gentiluomo, fino all'americano Ri... continua a leggere
tag: etruschi, linguistica
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In a painting by Matthias Grünewald, the Archangel Gabriel appears to the Virgin Mary: a gust of wind moves the robe and cloak he’s wearing and, at the same time, stirs the pages of a book, the book that Mary was reading; some words are made clearly readable by the painter: Ecce Virgo… Mary was reading the prophecy which announces the miraculous birth of Christ; she was reading and pondering on it; we are allowed to think so by recalling the words of Luke in his Gospel: while the three kings were adoring Jesus, “Mary kept all these things and pondered them in her heart” (2, 19).
Grünewald is not the only one who depicted the Virgin Mary in the act of reading. We can remember the paintings by Antonello da Messina, Piermatteo d’Amelia, Tiziano and Giorgione. All these painters show us a woman reading and pondering. Keeping this image in our minds we can shift our attention to a woman who actually read and pondered on religious matters, Princess Elizabeth, who, at the age of eleven, in 1544, translated a poem by Marguerite de Navarre as a New Year’s gift for her stepmother, Catherine Parr; the poem was Le miroir de l’ame pecheresse, probably written during the 1520s and published in 1531, a poem referred to as “a poetic manifesto of reformist doctrine that caused an explosion of disapproval among French religious authorities” and which Elizabeth presented as The Mirror or Glass of the sinful soul.
The gift was o... continua a leggere
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«Il significato di un testo è ciò che l’autore ha voluto dire con l’impiego di particolari simboli linguistici. Essendo linguistico, questo significato è pubblico, cioè identico a se stesso e riproducibile in più di una coscienza. Essendo riproducibile, è lo stesso in ogni tempo e in ogni luogo della comprensione. Comunque, ogni volta che questo significato viene costruito, il suo significato per l’interprete (la sua significanza) è differente». Queste sono le parole con cui il critico letterario statunitense Eric Donald Hirsch si riferisce alla connessione tra significanza e significato, nel campo minato dell’ermeneutica. Hirsch, nei suoi principali lavori, Validity in interpretation e The aims of interpretation critica, insieme ad Heiddeger e Gadamer, tutti gli altri “atei cognitivi”, ossia i promotori di un metodo ermeneutico atto a vedere l’opera solamente entro lo stretto rapporto che il proprio autore ha con essa. Uno dei nodi che Hirsch cerca di sciogliere è questo: riuscire a distinguere, nell’interpretazione di un testo, tra significato e significanza, tra quello quindi che è il significato voluto dall’autore dell’opera e quello che l’opera finisce per diventare con la rappresentazione che ne fa un lettore. Perdere il senso significa appunto mostrare come quel «fatto di coscienza» che è il significato possa anche avere come fine ultimo se stesso, girare, insomma, a vuoto, questo, infatti, «non è... continua a leggere
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1.
La morte scritta secondo elegia e profezia sfocia nella morte realizzata. Ecco Pasolini. Proviamo a parlarne come chi è all’interno della società dello spettacolo: per professione e per passione. Al professionista dello spettacolo (attore, sceneggiatore, regista) interessa l’uscita – di scena – di chi sa che non potrà avere, fuori, un suo simile: non avrà né sposo né sposa, nessuno, e di mamma ce n’è una sola (e la mamma ha ottanta anni). La base del possibile film è in questa singolarità.
Iniziano gli anni Settanta, cioè il tempo di morire, come nella lettera alla fidanzata di Ninetto Davoli: «Tu sai che mia madre ha ottant’anni: fra un po’ sarò solo al mondo. Io muoio al pensiero che Ninetto non sia più il mio Ninetto. Ma naturalmente non posso chiedergli di lasciarti, sarebbe disumano da parte mia, e anche inutile. Come non chiedo a te di lasciare lui: io non posso farlo. Ma siccome questa è una vera tragedia, e tu ci sei coinvolta, è bene che tu sappia tutto».
2.
E misi i piedi sul caldano… e me li sono trovati bruciati, e i piedi non li ho più... continua a leggere
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La recente pubblicazione di un volume su Montale mi ha spinto a riproporre la questione del correlativo oggettivo in rapporto a figure poetiche affini con l’intenzione di svolgere in questa nota considerazioni in merito non tanto, o non solo, alle differenze letterarie, ma anche ai differenti orizzonti sociali e alle condizioni materiali che questi procedimenti retorico-stilistici sottendono.
È ormai costume da molto tempo ritenere che la letteratura stia alla storia del tempo in cui viene prodotta come le regole del calcio alla Firenze medicea, esiste sì un’innegabile filiazione ma legami e influenze sarebbero superficiali ed estrinseci quando non inesistenti, anche chi ammette un’evoluzione storica della poesia si riferisce per lo più ad un’evoluzione formale e postula un progresso iuxta propria principia delle forme poetiche senza rendersi conto che ritenerle indipendenti dal loro orizzonte di attesa storico significa, a conti fatti, sancire l’equivalenza stessa delle forme in un processo di mutamenti arbitrari; i casi in cui questo si verifica sono innumerevoli, ma quello che abbiamo sotto gli occhi oggi è di particolare importanza per la sua pervasività dovuta in parte alle semplificazioni scolastiche e in parte alle politiche editoriali, molti dei giovani scrittori e lettori infatti formano il proprio stile ed educano il proprio gusto immaginando il nost... continua a leggere
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Percorso della conferenza tenuta il 24 agosto 2016 a Pesaro nella libreria Il catalogo di via Castelfidardo.
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Nello scenario dinamico e variegato che caratterizza il secolo XVIII un’attenzione particolare dovrebbe essere rivolta a quelle figure che, pur non ricoprendo un ruolo di primo piano, svolgono tuttavia un compito “divulgativo” nella cultura del tempo. Uno dei più significativi rappresentanti di questo genere di intellettuale è il toscano Orazio Arrighi Landini (nato a Firenze nel 1718 e morto a Venezia non prima del 1770), che incarna, in un certo senso, il tipo dell’uomo di cultura settecentesco desideroso di ampliare continuamente i suoi orizzonti, mostrandosi incapace di soffermarsi su un ambito di interessi circoscritto.
Da personaggio ambizioso qual è, Arrighi Landini è sempre alla ricerca di situazioni e ambienti che possano mettere in risalto le sue doti di versatilità e possano consentirgli di sfoggiare la sua erudizione. La continua ricerca di queste condizioni congeniali al raggiungimento delle predette finalità, lo porta a girovagare un po’ dappertutto sia in Italia (lo troviamo, infatti, in Toscana, nel Regno di Napoli, nella Repubblica di Venezia ecc.) sia in altri paesi europei (in particolare, in Spagna e in Portogallo), costantemente in contatto con ambienti dell’aristocrazia o dell’élite culturale delle varie città in cui ha occasione di soggiornare.
Rientra all’interno di questo modus operandi il suo ingresso nell’Accademia degli Agiati di Rovereto, avvenuto nel 1752, in conseguenza del qua... continua a leggere
tag: arrighi landini, Giovan Battista Vico, storia della filosofia
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Nel 1859 la direzione della «Rivista contemporanea» di Torino, rendendo onore al poeta tedesco Friedrich Schiller in occasione del centenario della nascita, celebrato il 10 novembre in Germania, si dice certa che «fra cinque anni sarà compiuta l’unità della patria» e propone che «la prima festa nazionale della nostra rigenerazione sia un’ammenda onorevole, sia la festa secolare di Dante Alighieri», «un uomo che pugnò con la spada e con la penna […] per l’unità della gran patria italiana». Il secolo si è aperto con manifestazioni di entusiasmo da parte di autori come Ugo Foscolo, Cesare Balbo e Silvio Pellico, che hanno contribuito con il loro pensiero e le loro opere ad affermare l’immagine di Dante quale padre della patria. Durante il Risorgimento, infatti, il poeta toscano viene sempre più considerato l’ideale unificatore, dal punto di vista sia linguistico sia politico, dell’Italia divisa. Negli anni immediatamente successivi all’Unità, il mito di Dante risulta essere più forte che mai tra le persone di cultura, e si inizia a pensare alle future celebrazioni del 1865, seicentesimo anniversar... continua a leggere
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Un amico fraterno mi ha chiesto, mesi or sono, di stendere qualche pagina circa il “turismo pensato” – relata refero. Così, ho riflettuto su ciò che, ogni giorno, decine di sedicenti esperti dichiarano in tal senso, e ho infine ritenuto di addentrarmi nel milieu del “turismo scientifico” che, di là da talune illustri (e illustrate) rappresentazioni, non mi sembra de facto adeguatamente frequentato.
Sono persuaso che – oggi forse più che mai – lo scienziato del settore dovrebbe essere uno studioso provvisto di forma mentis interdisciplinare e comparatistica, il quale, pur coltivando intensamente il suo microcosmo d’elezione, sappia poi espandere il proprio “campo di attenzione” alla globalità delle discipline effettivamente correlate all’oggetto delle sue ricerche.
Ho sempre creduto inoltre che, nei sondaggi introduttivi e nelle esplorazioni di fenomeni nuovi, sia compito dell’autentico scienziato introdurre idee originali, a prescindere da qualsivoglia controllo successivo, pronto a giudicarle – magari a giusto titolo – velleitarie o scevre di un reale fondamento epistemico.
Questa sorta di azzardo è lecito pure per un “tecnico del turismo” che aspiri ad effettuare un excursus nelle aree sconfinate delle “scienze della natura e dello spirito” (Dilthey), onde verificare, fra il resto, quali di esse potrebbero arricchire e/o potenziare lo studio scientifico del s... continua a leggere
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1. Che cosa fu e chi fondò «La Minerva»
«La Minerva o sia Nuovo giornale de’ letterati d’Italia» fu una delle più significative riviste di alta cultura ad essere stampate a sud delle Alpi nei decenni centrali del Settecento. Venne fondata all’inizio del 1762 dall’oscuro abate Iacopo Rebellini (1714-1767), che ne fu poi il direttore de facto, e dal combattivo camaldolese Angelo Calogerà (al secolo, Domenico Demetrio: 1699-1766). Il primo, uomo di poco prestigio e di difficile carattere, nacque nel Padovano (a Piove di Sacco) e studiò teologia ed eloquenza, coltivando la poesia e insegnando in varie località della Repubblica Serenissima; nominato pubblico revisore per le stampe dai Riformatori dello Studio di Padova, esercitando questa carica acquisì competenze redazionali ed organizzative che gli furono molto utili durante gli anni della «Minerva»; quest’ultima cessò con la morte di Rebellini. Il secondo era un celebre dotto che, quando ebbe origine codesto periodico, poteva contare sull’amicizia e sulla stima dei più importanti uomini di cultura veneti (e non solo veneti) dell’epoca, e aveva alle spalle una notevole esperienza editoriale per quanto riguardava i fogli eruditi. Dal 1730 ricoprì la carica di pubblico revisore per le stampe della Serenissima e da allora collaborò, in qualità di consigliere, coi tipografi veneziani. Nacque a Padova e visse stabilmente dal 1726 al 1759 nel monastero di San M... continua a leggere
tag: Illuminismo, Settecento, Storia del giornalismo
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Alfonso Gatto nacque a Salerno il 17 luglio 1909 da Giuseppe e da Erminia Albirosa. Perdette un fratellino, a cui dedicherà rime tenere e amorevoli.
A Salerno compì gli studi classici e poi ben presto cominciò il suo peregrinare per l’Italia – una costante della sua vita – da Milano a Bologna, da Firenze a Roma, conservando nel cuore la nostalgia (dolore del passato) della sua piccola patria: “Sono venuto a Salerno, a risciacquare i miei panni in Irno… e su queste rive ho appreso la mia bella lingua” (l’Irno è il “fiumicello natio che sbocca in mare ai confini della vecchia città”). Ben nota la serie ininterrotta di spostamenti e di occupazioni, le più disparate, da correttore di bozze a commesso, da bibliotecario a scrittore, da professore a giornalista: è “un fenomeno oscuro il divenire”.
Scrisse la sua prima poesia a vent’anni “in una stanza diroccata” partenopea, mentre a Firenze lavorò alla rivista Campo di Marte, legata all’ermetismo fiorentino, con lo scopo di proporre a un vasto pubblico tutti i generi letterari, Firenze delle Giubbe rosse e di Bargello, ... continua a leggere
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Elsa Giorgi Alberti, in arte Elsa de’ Giorgi, nasce a Pesaro il 26 gennaio 1914. Il padre Cesio Giorgi Alberti, discendente dai Giorgi Alberti di Bevagna e Camerino, sposa Licinia Ricci, a Bevagna in provincia di Perugia, il 7 ottobre 1906. Elsa è la figlia minore dopo Edgardo, nato il 24 giugno 1907, e Vanna, nata il 12 aprile 1911.
Cesio Giorgi Alberti è chiamato a insegnare presso la cattedra di lettere e storia al Magistero di Firenze. La figlia lo descrive come un uomo gentile, distratto in tutto al di là della cultura. Ma la spensieratezza dell’infanzia subisce un brusco arresto quando Elsa, ancor bambina, prende coscienza dell’insorgere del male oscuro che inizia a offuscare la mente della madre. Ella stessa racconta di aver passato un intero pomeriggio «diffidata da lei a muovermi, minacciata di essere uccisa. Senza astio, diceva, ma per fatalità. Avevo otto anni». Una cura ormonale errata comprometterà definitivamente lo stato di salute della donna.
Un giorno, di ritorno dal liceo “G. Galilei” all’appartamento di via Maggio, dove abita al primo piano con la famiglia, Elsa scopre la fuga del... continua a leggere
tag: teatro
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Uno dei principali aspetti della filosofia di Giambattista Vico, costituente anche uno dei motivi di maggiore distinzione dal suo antagonista Descartes, è rappresentato dalla convinzione che nell’uomo mente e corpo interagiscano in modo attivo nella formulazione della conoscenza. Sebbene sia possibile riscontrare tale caratteristica un po’ in tutte le opere del pensatore partenopeo, è però soprattutto nel suo capolavoro, la Scienza nuova, che essa emerge in maniera evidente, in quanto è in quest’opera che Vico rappresenta la «vasta immaginativa di que’ primi uomini, le menti de’ quali di nulla erano astratte, di nulla erano assottigliate, di nulla spiritualezzate, perch’erano tutte immerse ne’ sensi, tutte rintuzzate dalle passioni, tutte seppellite ne’ corpi».
Il fatto di considerare la mente e il corpo come due entità interagenti e compartecipi sul piano conoscitivo, porta inevitabilmente il filosofo napoletano a soffermarsi su quelle componenti umane che non sono strettamente afferenti alla sfera razionale. Tutto questo conduce Vico a mettere in risalto con determinazione il tema delle p... continua a leggere
tag: Scienza Nuova, Vico
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Lo conoscemmo il 25 giugno 2010, all’indomani di una riuscita presentazione a Padova del suo Dalla parte dei vinti, appena edito da Mondadori. Arrivammo a casa sua senza avviso, ma ci ricevette alle 11 senza opporre alcuna resistenza. Anzi scusandosi se oltre al “rancio Buscaroli” nulla più ci si poteva aspettare per il pranzo di lì a un paio d'ore.
Reduci da una chiacchierata con Ezio Raimondi (1924-2014) sulla dolce collina bolognese prossima ai Giardini Margherita passavamo davvero a un mondo diverso. Dalla luminosa mitezza dell'italianista in possesso del miglior eloquio novecentesco alla schiettezza ruvida e generosa di uno storico della musica e organista diplomatosi con Fuser, ma soprattutto noto per le sue scorribande giornalistiche per grandi testate e indimenticato direttore del “Roma”, uomo d’azione, di lettere e di pensiero, ardente senza compromessi o condiscendenze di alcun tipo.
Non meno arditi per sfacciataggine gli dicemmo che, a pagina 28 del libro, c’era scritto che lui si offriva per fornire materiali e indicazioni di ricerca sopra autori come Gerbore, Giusso, Longanesi e m... continua a leggere
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Partiamo da qui, dal tempo: il Tempo con la t maiuscola, anzi. Ma quale tempo? Il Tempo filosofico o il Tempo della grammatica? In italiano non c’è differenza lessicale che aiuti a far chiarezza fra questi due concetti, che pure sono così ben distinti; ma gli inglesi, a cui piace la precisione, che respingono l’ambiguità quantomeno per esigenza comunicativa – lo vedremo bene nel cosiddetto “futuro” –, che amano dire le cose come stanno e si preoccupano delle interferenze di significato, gli inglesi, dicevo, distinguono eccome lessicalmente i due termini, cosicché le parole che definiscono l’una il Tempo filosofico e l’altra il Tempo della grammatica sono affatto diverse.
Ma facciamo un passo indietro; cosa s’intende qui per Tempo filosofico e per Tempo della grammatica? Ebbene, proviamo a spiegarlo in breve.
Il tempo che chiamo filosofico è un concetto astratto, universale; è una categoria del pensiero grazie alla quale possiamo ordinare – o perlomeno credere di farlo – gli eventi della nostra esistenza, registrandoli sotto le categorie del presente, del passato e del futuro; il concetto di Tempo, per quanto soggettivo dal punto di vista della percezione, ha carattere di oggettività nel momento in cui viene utilizzato universalmente (con l’orologio ben sincronizzato) per intendersi, comunicare, darsi appuntamento: tutti riconosciamo uno svolgersi cronologico del Tempo, e grazie a questo svolgersi oggettivo organ... continua a leggere
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1. Ragioni di un teatro
La vulgata critica e biografica, alimentata artificiosamente dallo stesso Pasolini e sancita in sede critica dalla nota di Aurelio Roncaglia alla prima edizione garzantiana postuma del teatro di Pasolini, vuole che l’esperienza drammaturgica sia sorta essenzialmente da una lettura dei dialoghi platonici durante una convalescenza che lo costrinse al riposo forzato nel 1966; certamente questa impostazione va smentita per le prove che segnano l’intera carriera letteraria di Pasolini, dal giovanile dramma La sua gloria al tardo Teorema nato per la scena e convertito in film. Nondimeno se vi è una così ferma intenzione nell’autore di stabilire un processo di filiazione diretta tra la sua opera drammatica e i testi platonici ritengo sia opportuno interrogarsi sulla specificità di questo rapporto.
Il tema della grecità, grecità come condizione politica e non solo geografica, come particolare congiuntura di forze e strutture sociali che si esprimono esteticamente nella tragedia è in qualche modo già latente nel pensiero pasoliniano, dai tempi del Dopoguerra e de... continua a leggere
tag: pasolini, teatro
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L’imbecillità «è il richiamo dell’abisso e del negativo e, insieme, del solo vero», lei scrive in L’imbecillità è una cosa seria (il Mulino 2016), che ha suscitato e continua a suscitare grande interesse nel pubblico. L’interesse è indubbiamente dovuto ai pregi del suo libro, ispirato alla brevitas ma oltre modo serrato, brillante ma essenzialmente amaro: ritratto implacabile e fedele della condizione umana. Senza ovviamente sminuire il suo lavoro, sorge il sospetto che dietro questa grande accoglienza ci sia anche qualcos’altro, che parecchi lettori si sentissero come chiamati in causa per una autoverifica. È possibile secondo lei?
R. Certo, i libri sull’imbecillità vanno tantissimo, e sono tantissimi, perché attivano due meccanismi. Quello autodiagnostico: «Non sarò per caso imbecille? Meglio che mi informi» (meccanismo che non scatta per altri tipi di infermità piú palesi: difficile che uno, a freddo, si chieda se è un gottoso asintomatico). E quello consolatorio: «Imbecilli sono gli altri, tanto è vero che in questo libro non vengo menzionato». Alla fine, è la cons... continua a leggere
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Il 1708 è un anno di fondamentale importanza per la filosofia moderna italiana; in quell’anno, infatti, vengono pubblicati tre libri destinati a rivestire un ruolo significativo nel contesto della cultura nostrana: le Riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nelle arti di Lodovico Antonio Muratori, il De nostri temporis studiorum ratione di Giambattista Vico e il Della Ragion Poetica di Gian Vincenzo Gravina. Pur se differenti per le tematiche affrontate, questi tre volumi sono accomunati dal bisogno di far rinascere la cultura italiana, risvegliandola dal torpore che l’aveva caratterizzata durante il Seicento, ponendola di fronte alla necessità di un riscatto rispetto alle altre nazioni europee, in special modo rispetto alla Francia, che a quel tempo rappresentava il faro culturale dell’Europa.
Ponendosi nella scia del trattato Della Perfetta Poesia italiana (1706), scritto due anni prima, le Riflessioni sopra il buon gusto di Muratori indagano un concetto destinato ad avere grande fortuna nel corso del XVIII secolo. L’erudito vignolese affronta questo argomento collocandolo oltre il dato meramente sensoriale ed estetico, mettendo in risalto come il gusto, lungi dall’essere uno dei sensi atti ad evidenziare le scelte estetiche di un individuo in maniera estemporanea, sia piuttosto una capacità di discernimento che serve a distinguere il bello dal brutto, il buono dal cattivo. In questo modo... continua a leggere
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1. Dinanzi a testi tersi e brillanti come quelli di autori tanto diversi tra loro per qualità stilistica e rilevanza storica quali Fontenelle, Moncrif, Vauvenargues, Duclos, Voltaire, o La Mettrie, ma appartenenti tutti a una cultura come quella del Settecento francese che ci sembra appartenere ormai a un’età irrimediabilmente superata, continuare a chiedersi che cosa volessero dire allora, e che cosa possano dire ancora oggi, rischia di distogliere l’analisi dal problema che ognuno di essi pone al lettore a ogni pagina, quasi a ogni riga. Problema scomponibile in due momenti, distinti ma complementari, e formulabile in poche parole: in primo luogo, si tratta di capire che cosa abbia reso possibile, partire dalla prima metà del XVIII secolo, in Francia, l’emergere di una scrittura – e, prima ancora, di una lingua – in cui il mito classicistico della clarté si coniuga curiosamente a un culto della nuance, che della clarté parrebbe essere l’opposto; e, secondariamente – anche se proprio in ciò risiede il nocciolo del problema –, che cosa renda ancora oggi tale scrittura viva e affascinante, cioè esteticamente riuscita, a dispetto della caducità di molti suoi temi e stilemi. La polemica fontenelliana sugli oracoli pagani, che dissimula con sottile ironia una critica razionalistica di ben altri riti, credenze e miracoli, il codice delle buone maniere che contraddistinguono secondo Moncrif l’honnête homme, la nostalgia di Vauvenargues pe... continua a leggere
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Una nuova luce sull’uomo Mussolini dai ricordi vividi e intensi di un fanciullo, ora quasi novantenne, che incontrò più volte il capo del fascismo. Quello che i libri, i filmati d’epoca e gli articoli, non dicono
e non possono dire.
La storia è uno specchio infranto, in cui si deve forzatamente raccogliere ogni pezzetto di tempo e rimetterlo al suo posto, collegandolo agli altri, comprendendone le analogie, i punti di contatto, i legami profondi: e nel
fare questo i frammenti di ricordi riflettono immagini diverse, a seconda dell’angolazione da cui li si osserva. Per questo la storia ha sempre una luce nuova da diffondere, sfumature, colori, racconti – spesso nascosti – che devono emergere ed essere narrati.
È accaduto anche recentemente, incontran... continua a leggere
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Avevo improvvisamente capito che attraverso la propaganda del giornale o con l’esempio non avremmo mai riportato alcun grande successo. Era necessario battere l’avversario violento sul campo di battaglia della violenza. Come per una rivelazione mi resi conto che l’Italia sarebbe stata salvata da un’azione storica, da una forza giusta. La nostra democrazia di ieri era morta; il suo testamento era stato letto; ci aveva lasciato come eredità soltanto il caos. [...] Era necessario farci strada con la violenza, con il sacrificio, con il sangue; era necessario stabilire un ordine e una disciplina voluti dalle masse, ma impossibili da ottenere con una propaganda all’acqua di rose [...] Demmo inizio al nostro periodo di salvezza e resurrezione. Morti ce ne furono, ma all’orizzonte tutti vedevamo l’alba della rinascita italiana.
Benito Mussolini
Il 21 novembre 1920, mentre era in atto l'insediamento della giunta comunale socialista a palazzo d’Accursio, alcune squadre fasciste compivano un attacco all’allora sede del comune di Bologna provocando undici morti e cinquantott... continua a leggere
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1. Il Collegio di Spagna nel ventennio fascista
Da oltre sei secoli enclave culturale e territoriale spagnola nel cuore di Bologna, il Reale Collegio Albornoziano di San Clemente degli Spagnoli, più noto come Collegio di Spagna, fu retto ininterrottamente da Manuel Carrasco y Reyes dal 1917 al 1954. Nato a Guadix (Granada) il 1° novembre 1883, egli studiò filosofia e diritto e nell’ottobre 1907 ottenne una borsa di studio del Collegio di Spagna di Bologna, dove restò sino alla fine del 1909, conseguendo presso l’università locale la laurea in legge con una tesi in lingua francese premiata dall’Institut de France. All’epoca il Collegio mostrava notevoli carenze accademiche e amministrative che la Giunta di patronato si accinse a sanare nel 1916 con un nuovo statuto, che ebbe l’approvazione reale; all’inizio del 1917 Carrasco – personalità dal carattere forte e deciso, che mostrerà di godere la piena e ininterrotta fiducia del patrono Joaquín de Arteaga y Echagüe, duca dell’Infantado – venne nominato rettore. Per dare subito visibilità all’istituzione che guidava, oltre ad incrementar... continua a leggere
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Il saggio è comparso in D. Baldi, M. Maggini e M. Marrani, Le origini toscane della Cosmografia di Matthias Ringmann e Martin Waldseemüller, Firenze 2015, pp. 29-67. Per gentile concessione dell'autore.
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Immagine e immaginazione in relazione ai concetti di «vero», «falso», «verosimile»
Fra le varie incombenze di tipo culturale che Gianvincenzo Gravina (1664-1718) si trova a fronteggiare vi è quella riguardante l’affermazione dell’importante ruolo rivestito dall’immagine nel contesto della filosofia moderna. La gravosità del compito appare ancor più evidente se si considera il fatto che, nel corso della storia, l’immagine, intesa come categoria speculativa, era stata sottoposta ad un depotenziamento sia di tipo ontologico sia di tipo epistemologico. Il depotenziamento sul piano ontologico era stato dovuto a Platone, al quale va ascritta la teoria secondo la quale l’immagine apparterrebbe all’ordine del non essere; tale concezione, va specificato, risulta preponderante nel filosofo greco, nonostante, in altro contesto, lo stesso Platone ponesse la necessità di affermare una distinzione fra ciò che deve intendersi come buona immagine (eikon) e ciò che deve intendersi alla stregua del semplice e negativo simulacro di colui che imita ciò che appare (eidolon). D’altro canto... continua a leggere
tag: filosofia, gravina
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Primo concetto, a margine del caso: la disinvoltura comica ed epica di Pulci. Primo specimen, ad uso dell’investigatore: «Ma ben che nel giardino le triste aguria / apparisin di fuori non fu sentito / per la città né da’ baroni in curia» (La Morte di Orlando II 79, 1-3).
Iniziamo da questa intenzione disinvolta, da leggere con la medesima disinvoltura. Per Pulci, non si tratta solo di divertire (l’antichissimo delectare romano) il pubblico, ma di incarnare il più possibile il sentimento civile, inserendo nel racconto personaggi nuovi e curiosi: così nascono Morgante, Margutte e Astarotte. Se è così, El Famoso Morgante non deride la cavalleria per partito preso, ma serve ad un’intenzione quasi teatrale: il poeta vestirà i panni del cantastorie, che ravviva una materia già sedimentata e a rischio di banalizzazione (per intenderci: Andrea da Barberino e Feo Belcari, giusto per citare chi si rivolge ad una diversa tradizione e ad altri generi).
Pulci coinvolge le auctoritates più solenni per sottrarre il libro al destino: «Chi negherebbe a Gallo già mai versi?» traduce Virgilio (Buc., X 3: «Neget quis carmina Gallo?»). Uno degli esempi possibili. Per il resto, Pulci riformula tutti i tópoi medievali, e racconta le necessità contemporanee con espressioni fortunate, a giudicare dal successo editoriale. E oggi? Molti ragi... continua a leggere
tag: epica
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Il ‘silenzio’ nasce dalle parole, dalla loro perspicuità e pervasività e prende corpo nell’attimo in cui la poesia si fa ascolto, visione di un mondo inconoscibile alla ragione, muto segno di infinite trame che predispone il poeta alla conoscenza; così come da un ‘tempo’ per sua natura incerto, forse perché elusivo, ha vita la creatività.
Compito della poesia è comprendere dell’uno la fragilità e restituire il senso del suo mutamento nell’armonia di un ‘reale’ incorruttibile; dell’altro configurarne a posteriori il ruolo attraverso un ‘istante’ fittizio che ne affermi l’esistenza agli occhi della critica e della storia.
La funzione del ‘silenzio’ è quella di dare un luogo distante al pensiero in cui potersi sciogliere; del ‘tempo’ quella di restituire – con un artificio credibile – un’immagine percettibile da tramandare ai posteri.
Ciò che contrasta visibilmente con l’essenza poetica dello ‘sguardo’, è proprio la decifrabilità insistentemente cercata di una ‘cosa’ per definizione inattingibile perché discreta, appartata, silenziosamente libera dal tempo che si ritiene ne scandisca l’esistenza (che si propone di chiarire i rapporti temporali dei fatti storici, precisandone l’esatta disposizione di ciascuno), lo stesso che lo vorrebbe collocato in un istante transitorio, òntico, riferito cioè all’esistente e non già all’essenza ontologica di questo di cui la poesia prima e il p... continua a leggere
tag: poesia
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Il primo marzo del corrente anno, una virtuale capsula del tempo è approdata presso il Museum of the Order of St. John, a Londra. Vi ha portato in mostra un campionario di “scene, visioni e frammenti di una storia alternativa” del Medioevo. Anzi, del TechnoMedioevo, con l’obiettivo di condurre «un’esplorazione audace e avventurosa nell’arte contemporanea», dimostrando «i modi con cui la nuova tecnologia può essere utilizzata per reinterpretare soggetti storici».
Ora, già l’unione del prefisso “tecno” con il sostantivo “medioevo” potrebbe prestarsi a qualche malinteso o fraintendimento, parendo forse un azzardo, se non un paradosso, rapportare il concetto di tecnologia e le funzioni della stessa ad un’età che solitamente passa per essere regressiva e fortemente deficitaria sul piano delle acquisizioni scientifiche e tecnologiche. E non solo di quelle, va da sé. Se poi vi si aggiunge che a postulare l’esistenza di un siffatto Medioevo, alternativo e a suo modo tecnologico – o, meglio, post-tecnologico – sia un gruppo di studiosi, ricercatori, storiografi e artisti consociatisi q... continua a leggere
tag: cyberpunk, letteratura, medio evo, tecnologia
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Il buon soldato, scritto nel 1913 e pubblicato nel 1915, è uno dei libri più controversi nell’ampia e complessa opera di Ford Madox Ford. Anche se l’attenzione della critica si è principalmente concentrata sulla tetralogia fordiana nota come Fine della Parata, ritenuta il capolavoro di Ford e il punto più alto della sua produzione artistica, Il buon soldato è stato definito dal suo autore – spesso in disaccordo con i suoi critici – come “il libro migliore che io abbia scritto”.
Esso effettivamente mantiene intatto oggi, a un secolo dalla sua stesura, il fascino che deriva dall’intricato meccanismo del racconto e dall’ambiguità delle psicologie dei suoi protagonisti. E’ un libro che, scritto agli albori del Novecento, anticipa e annuncia le successive sperimentazioni artistiche raccolte oggi sotto l’etichetta di Modernismo, ma che proprio perché non succube delle esigenze incessanti di stravolgimento delle tecniche narrative, portato a maturazione dal genio di Virginia Woolf e James Joyce, riesce a mantenersi fresco e di felice lettura anche per il lettore contemporaneo.
In quest’opera, inoltre, sono portati alla perfezione due aspetti determinanti per l’inquadramento della figura letteraria dell’autore: il primo riguarda la tecnica della scrittura, il secondo la descrizione e l’indagine psicologica dei personaggi.
Nel saggio posto a introduzione della sua edizione del romanzo del 1990, ... continua a leggere
tag: letteratura
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Accostandosi a un libro di George Orwell, occorre tenere a mente due principi che informano la sua scrittura, nonché la sua visione della vita, ossia l’orrore che egli provava per ciò che, ne La strada per Wigan Pier, definì “il dominio di un uomo su un altro uomo”; e la sua inesausta ricerca di una verità che fosse il più possibile obiettiva e non viziata da pregiudizi ideologici. Orwell rifuggiva da qualunque dogmatismo, volendo essere sempre fedele a ciò che vedeva – e pronto a cambiare idea. L’ideale che sempre perseguì è un ideale d’integrità etica e intellettuale: suo fu sempre l'odio verso l’autorità “come la intendo io”, affermò in Perché scrivo (un testo del 1946), ovvero verso un’autorità che, anziché perseguire il bene comune, opera con il solo fine di mantenere sé stessa al potere e gli altri in uno stato di soggezione.
Mi piace accostare subito questi principi a quanto Wilfred Owen, uno dei massimi critici della propaganda bellica, morto in battaglia sul fronte francese, nel novembre del 1918, scrisse nell’introduzione (rimasta allo stato d’abbozzo) a q... continua a leggere
tag: letteratura, orwell, totalitarismo
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La storia della fantascienza, prima come genere letterario e successivamente come verosimile realizzazione di visionari esperimenti, si lega indissolubilmente alla Luna e al desiderio di raggiungerla. Musa silenziosa, astro narrante, falce d’argento, eterna lanterna, l'ispiratrice di evasioni dal mondo terrestre e di contatti con civiltà aliene è poi diventata obiettivo di conquista e di esplorazione.
La narrativa è stata la prima a far viaggiare l'uomo verso il satellite alla scoperta di fantasiose e ibride creature che hanno popolato Selene prima che la tecnologia permettesse di raggiungerla davvero.
Luciano di Samosata, nel II secolo d.C., è tra i primi a raccontare di un viaggio alla volta della Luna. La sua Storia Vera, pur parodistica, satirica e surreale, diventerà uno dei primi riferimenti della letteratura fantastica e fantascientifica in quanto descrive con dettaglio tutte le caratteristiche somatiche e sociali dei Lunari, gli abitanti del satellite e sudditi del re Endimione, ispirandosi soprattutto all'opera di Plutarco. Luciano è il primo autore a far approdare, con una vera e propria nav... continua a leggere
tag: cinema, fantascienza, letteratura, scienza
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Nella tarda mattinata del 16 giugno del 1904, dopo aver tenuto la propria lezione a scuola, Stephen Dedalus sta passeggiando sul litorale di Sandymount. I suoi pensieri sono attraversati da ricordi, che gli balenano nella memoria, e da vivide percezioni, che colpiscono i suoi sensi: la vista delle onde, della torre in lontananza e di una coppia di raccoglitori di telline, il rumore dei passi sugli «scricchiolanti marami e conchiglie» («cracking wrack and shells»), l’abbaiare di un cane, le «tanfate di fogna» che i rifiuti sparsi sulla spiaggia esalano («upward sewage breath»)... Quello che viene offerto al lettore di Ulysses nel terzo episodio (“Proteo”) è il primo, articolato esempio di monologo interiore dopo quelli frammentari di cui sono disseminati gli episodi precedenti: esso fissa il «flusso vitale di una coscienza in cui passato e futuro coincidono nel punto meridiano e focale di un eterno presente»n. E nel passato di Stephen c’è, tra l’altro, un soggiorno a Parigi come ... continua a leggere
tag: Auerbach, flaubert, joyce, letteratura, ulysses
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Fosca di Igino Ugo Tarchetti (1839-1869) rappresenta con ogni probabilità, nel vario ed eterogeneo panorama della Scapigliatura di un'Italia ancora da farsi, un romanzo d'importanza tutt'altro che secondaria: se, da una parte, appare accogliere parecchi motivi dominanti in questo movimento culturale affatto sui generis, dall'altra si rivela – a ben vedere – tendenzialmente sovversivo persino nell'anarchico "canone" scapigliato, nonché proiettato, talvolta quasi visionariamente, verso tematiche, fermenti e temperie assai posteriori.
Uscito a puntate sulla rivista “Il pungolo”, apparve postumo, in volume, nel 1869: Tarchetti morì giovanissimo poco prima di completare il penultimo capitolo, tempestivamente redatto dal fraterno amico Salvatore Farina (1846-1918), che peraltro dall'autore – pure secondo la miglior filologia d'oggi – ne aveva ascoltato meticolosamen... continua a leggere
tag: letteratura, romanzo, scapigliatura
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Nella seconda metà del XVI secolo, l’Inghilterra conosce uno sviluppo culturale e scientifico senza precedenti. Dopo la restaurazione monarchica e alla vigilia dei Principia newtoniani, anche per effetto della grande circolazione di idee che l’interregno di Cromwell aveva consentito, le accademie e i centri della cultura inglese assumono le fattezze di uno splendido laboratorio culturale. Si manifestano i primi prodotti di questa stagione straordinaria nella scienza politica di filiazione cartesiana e meccanicistica di Thomas Hobbes e nei lavori di un’intera generazione di scienziati e filosofi naturali, con a capofila gli air-pump experiments di Robert Boyle.
Nell’Inghilterra del secondo Seicento era quindi ben viva la presenza di circoli e istituzioni di efficacia e ingegno, dove i virtuosi dell’epoca riuscivano a elaborare e a diffondere i frutti delle loro indagini. In tale cornice, così favorevole alla libera ricerca e allo sviluppo di nuove declinazioni di pensiero, matura il proprio sguardo sul mondo Anne Conway (1631-1679), rara figura di filosofa e studiosa... continua a leggere
tag: filosofia, platonismo, storia
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La letteratura italiana, come quelle di tutto il mondo, si è dovuta confrontare con le problematiche che nel ‘900 hanno investito il concetto stesso di letteratura e la figura del letterato. Partendo già dalle teorie di Simmel e poi di Benjamin si è andati riscontrando come le metropoli e la società capitalistica abbiano modificato i connotati dell’individuo e della sua soggettività, arrivando a mettere in crisi il sistema di valori tradizionali e con esso anche la funzione del raccontare la realtà. Le metropoli sconvolgono lo stile di vita dei singoli individui che si devono adattare ad un ambiente regolato da elementi oggettivi ed alienanti come il tempo ed il denaro, all’insegna dell’intensificazione della vita nervosa.
La base psicologica su cui si erge il tipo delle individualità metropolitane è l’intensificazione della vita nervosa, che è prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori e interiori. L’uomo è un essere che distingue, il che significa che la sua c... continua a leggere
tag: calcio, giornalismo, letteratura
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Per indicare il vasto fronte di resistenza alla cultura classica, sorto in Francia alla metà del Seicento, si è talvolta parlato di «antiumanesimo cristiano». In molti ambienti gallicani la fine del 1640 – data della comparsa sul mercato editoriale dell’Augustinus di Cornelius Jansen, pubblicato postumo a Lovanio dall’allievo Jacobus Zegers, – avrebbe infatti sancito l’inizio di una stagione fortemente critica nei confronti della rinascita neolatina dei decenni precedenti, nonché verso la ben consolidata tradizione umanistica rinascimentale. In tale distacco, è chiaro, Port-Royal ebbe un ruolo decisivo. Promotrice di un’ortodossia agostiniana rigorosa, oltre che rappresentante di una Chiesa trionfante e retributiva, l’abbazia si impegnò in modo durevole ad annullare il lascito del patrimonio/monumento antico in fatto di valori universali propri della saggezza umana, e a distinguere, isolandolo, il messaggio evangelico dagli altri insegnamenti morali pagani. Enunciata in questi termini, la discrepanza assunse un carattere prioritario anche nella riflessione di Pascal. Qui si tratterà, allora, di ... continua a leggere
tag: cristianesimo, epitteto, filosofia, pascal
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