Bibliomanie

Un fascio di note. La musica alternativa di destra in Italia
di , numero 50, dicembre 2020, Saggi e Studi, DOI

Un fascio di note. La musica alternativa di destra in Italia
Come citare questo articolo:
Loredana Guerrieri, Un fascio di note. La musica alternativa di destra in Italia, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 50, no. 5, dicembre 2020, doi:10.48276/issn.2280-8833.5381

1. Gli antesignani

1.1 Il Bagaglino, Europa Civiltà e il Movimento integralista

Nella primavera del 1980 “L’Espresso” attraverso la penna di Roberto Gatti, lancia l’allarme che i giovani di destra si stanno appropriando della musica pop, essendo – evidentemente – convinti che un fenomeno così importante non debba essere lasciato esclusivamente alla sinistra. Così – si dice – si sta dipingendo di “nero” quello che è stato sempre colorato di “rosso”1. L’autore dell’articolo si riferisce al fatto che un “certo” mondo si sta avvicinando, ormai da tempo, ad un fenomeno musicale che non sembrerebbe essere stato di suo appannaggio. Nei mesi precedenti, infatti, una serie di articoli è stata pubblicata su un periodico della cosiddetta Nuova Destra, “Linea”, che dimostra che è presente un sempre più marcato interesse per questo genere musicale nell’ambiente giovanile di destra2.
Al di là dell’analisi di questo dibattito specifico, l’esistenza di questa diatriba dimostra che anche all’interno di “quel mondo” è presente una certa attenzione verso la musica rock. In realtà, l’interesse è per la musica in generale, anzi verso un modo di far musica che vuole essere “alternativo” non solo rispetto al panorama musicale e culturale della sinistra, ma anche rispetto al repertorio tradizionale della destra politica. Gli antesignani di questo genere, che prende il nome di musica alternativa di destra, la quale si sviluppa negli anni Settanta, sono i componenti de Il Bagaglino, un circolo teatrale di Roma che ha le sue origini nel 19653. I fondatori de Il Bagaglino sono Luciano Cirri, il presidente del comitato direttivo e in quegli anni redattore capo de “Il Borghese”, Gianfranco Finaldi, Pierfrancesco Pingitore e Pietro Palombo, che ricoprono il ruolo di vicedirettore, redattore capo e redattore del settimanale “Lo Specchio”. Inoltre, vi sono anche Raffaele Della Bona, redattore de “Il Secolo d’Italia”, Mario Castellacci, giornalista della Rai e autore di una delle più famose canzoni scritte durante l’esperienza della Repubblica di Salò, L’amore coi fascisti (conosciuta anche come Le donne non ci vogliono più bene)4, e Dimitri Gribanovski, un musicista che ha combattuto nell’Armata bianca contro i bolscevichi5. Gli artisti che si avvicendano sul palco de Il Bagaglino sono: Oreste Lionello, Pippo Franco, Pino Caruso (come primo attore e regista), Enrico Montesano, Toni Santagata, Gabriella Ferri, Tony Cucchiara, Pat Stark – moglie di Luciano Cirri – e soprattutto il cantante Leo Valeriano. I brani recitati e le canzoni proposte negli spettacoli de Il Bagaglino hanno l’obiettivo, in chiave satirica, di contrastare quella che viene percepita come l’omologazione culturale e musicale di sinistra. Basti pensare alla scelta di cantare nella serata del debutto, il 23 novembre 1965, da parte di tutta la compagnia, un brano, che può essere considerato la canzone manifesto di questo circolo teatrale, Bella Miao. Questo motivo è in un certo senso un biglietto da visita, poiché mette in luce l’intento di proporre una rielaborazione “altra”, in uno stile pungente e satirico, della celeberrima Bella Ciao, che da sempre simboleggia l’epopea partigiana, un qualcosa, appunto, di completamente estraneo a “quel mondo”6.
Altri precursori di quella che sarà la musica alternativa di destra sono anche due formazioni politiche, Europa civiltà e il Movimento integralista, che sviluppatisi intono alla fine degli anni Sessanta, danno vita non solo ad esperienze politiche, ma anche artistiche7.
Il Movimento integralista è stato il primo movimento ad adattare testi moderni alle musiche militari tedesche e italiane della seconda guerra mondiale, arrivando a creare, così, nuovi “inni” e “marce”8. Dalle marce del Movimento integralista, si passa a vere e proprie ballate attraverso l’esperienza di Europa civiltà, all’interno della quale nasce un’autentica produzione artistica originale, fatta di racconti, canti, poesie. Nei testi prodotti da Europa civiltà, vengono raccontate delle circostanze specifiche, ma vengono descritte come se fossero vissute in prima persona. I testi scritti da questa formazione, nella maggior parte dei casi, non sono circolati all’esterno Dell’ambiente politico di provenienza e sono rimasti inediti. Qualche volta, sono stati incisi e musicati negli anni successivi dai gruppi musicali di destra9.
Come per esempio, il brano, Io credo, inciso per la prima volta solo nel 1977 dal gruppo veronese Zpm e pubblicato nel loro album Una voce controvento. La canzone è stata scritta e musicata da uno dei nomi di maggior rilievo all’interno di Europa civiltà, ossia la figura poliedrica di Carmine Asunis, che è stato un artista completo (poeta, musicista, pittore e sculture).
Questo componimento, dedicato a Jan Palach, che il 16 gennaio 1969 a Praga si è dato fuoco per protesta, con questo gesto estremo, contro la repressione attuata dal regime sovietico durante la cosiddetta Primavera di Praga, ricalca lo stile della struttura delle canzoni prodotte in Europa civiltà. L’autore, infatti, in un primo momento parla in terza persona, come se cercasse un dialogo con il protagonista della canzone:

So di te unicamente che sei morto,
so di te unicamente che hai lottato.
Eppure io ti conosco meglio di chiunque altro.
Ora che due metri di terra hanno ricoperto le tue ossa,
ora che l’ipocrisia inutile dei discorsi si è spenta,
ora che sei un ricordo, ora ti voglio parlare.

Poi successivamente sembra immedesimarsi direttamente in Palach, facendosi vessillo di una lotta compiuta per qualsiasi “uomo”, appunto, l’«uomo qualunque»:

Io combatto anche per te, uomo qualunque,
ma tu non mi ascolti;
io muoio anche per te, uomo qualunque,
e tu mi disprezzi.
Perché?
Non importa!
I miei occhi malinconici,
la mia splendente giovinezza,
il mio caldo sangue color rubino
io te lo dono, uomo qualunque.
Io non ho le tue ricchezze,
non voglio per me il tepore accogliente della tua casa.
Tutto ti lascio, anche la mia vita.
Io credo, non importa che cosa10!

Altri protagonisti di Europa e civiltà, insieme ad Asunis, sono Mario Polia, Massimo Forte, Pino Tosca. Ad Asunis presta la sua voce anche Stefania Vicinelli che in quegli anni collabora con Claudio Baglioni11.

1.2 Il giardino dei supplizi

Nell’autunno del 1967, Luciano Cirri e Gianna Preda (ex ausiliaria della Repubblica Sociale Italiana e vice-direttrice del “Il Borghese”), uscendo da Il Bagaglino, formano Il Giardino dei supplizi, a cui si uniscono dopo breve tempo altri artisti allontanatisi anch’essi dal circolo teatrale originario: Pierfrancesco Pingitore, Dimitri Gribanovski, Pino Caruso12, Oreste Lionello, Pat Stark, Gianfranco Funari13.
Uno dei cantanti più rappresentativi de Il Giardino dei supplizi è Leo di Giannantonio, che userà lo pseudonimo di Leo Valeriano e che sarà anche attore e doppiatore. Valeriano può essere considerato uno dei più importanti “ispiratori” della musica alternativa di destra, perché affronta alcune tematiche legate ai riferimenti ideali dei giovani della destra neofascista di quegli anni e le sue canzoni rappresenteranno un punto di riferimento imprescindibile per quei giovani artisti. Le sue esibizioni, inoltre, sono spesso accompagnate da episodi clamorosi e simbolici.
Per esempio, il 31 dicembre del 1965 al Check Point Charlie (uno dei punti in cui si può attraversare il muro di Berlino) canta davanti alla polizia popolare tedesca la canzone Berlin che simboleggia un «vero e proprio inno alla libertà»14. Alcuni versi della canzone recitano:

Berlin oh mein Berlin, Berlin,
Cantava nel sole ogni ragazzo
Che è morto per te.
E mentre il mondo invoca la pace
Sulle tue strade muore ogni giorno la libertà.
Fate parlare la Friederichstrasse….
Fate parlare la Brandeburger Tor.
Racconteranno di Seidel,
racconteranno di Fechter
e vi diranno le pene della mia bella città.

In questo brano, la Friederichstrasse è una strada tagliata dal muro su cui attraverso il punto di passaggio, Check Point Charlie, si passa da Berlino est a Berlino ovest; Brandeburger Tor è la Porta di Brandeburgo che è uno dei simboli della città divisa; Harry Seidel, un ex campione di ciclismo, condannato all’ergastolo nel 1962 per aver aiutato a fuggire molte persone dalla Repubblica democratica tedesca attraverso dei tunnel sotterranei; Peter Fechter nell’agosto del 1962 muore dopo un’ora di agonia perché cade a seguito delle raffiche sparate dalle guardie comuniste di frontiera mentre tenta di fuggire verso Berlino ovest attraverso il muro.
Un altro componimento significativo del cantante lucano con il quale, tra l’altro, è solito chiudere ogni sera lo spettacolo al cabaret, Il Giardino dei supplizi, è Budapest, scritto nel 1968. Il pezzo, dedicato alla rivolta degli ungheresi del 1956 e scritto e musicato dallo stesso Valeriano, è composto da brani cantati insieme ai versi originali di un poeta magiaro anonimo, consegnati all’artista da un profugo ungherese15. I versi in poesia sono recitati dall’attore e doppiatore, Sandro Pellegrini. La canzone rappresenta un’accusa non tanto verso l’Urss, ma contro l’Occidente che sembrerebbe essere stato indifferente davanti al grido di aiuto del popolo magiaro.

Tu borghese d’occidente,
tu hai moglie, figli e amante,
le tue case sono calde
e non ti va di rischiare per Budapest.
Tu borghese d’occidente
Hai raccolto sacchi d’oro
nati dal sangue magiaro
e poi ci hai incatenati
al gigante dell’Est.
Oh Budapest oh, Budapest!
[parlato]
E accuso!
E non accuso te, orda enorme d’Asia;
te orso brutale di Mosca che non riuscisti
ad essere europeo.
E non accuso te canaglia vile,
che hai voluto la nuova invasione dei Tartari per salvare così la tua
esistenza.
Ma accuso te Occidente, che non hai ascoltato il nostro ultimo grido di
aiuto.
Ti accuso! Occidente, che hai preferito l’Asia lontana al popolo di Santo
Stefano.
Occidente non hai guadagnato tempo soltanto una mezz’ora!
E poi sulle rovine di Parigi, di Londra, di New York
Marceranno i nostri carri armati del nostro tiranno.
Ricorda allora tutto sarà compiuto,
anche la maledizione del magiaro da te abbandonato.
Ed io ti accuso Occidente,
domani anche tu piangerai
come il magiaro sconfitto
da te abbandonato a Budapest.
A Budapest…..a, Budapest!

Per questa canzone a Valeriano è stato consegnato un riconoscimento da parte dell’Associazione Scrittori Ungheresi16. Inoltre, Tibor Tollas, poeta e dirigente del movimento anticomunista ungherese Nemtezor, gli dedica una poesia, scritta appositamente per lui, dal titolo Roma17.

2. La nascita di una canzone militante

Dopo le prime sperimentazioni musicali che rappresentano il punto di inizio di questo nuovo genere musicale, compresa l’esperienza di Leo Valeriano, nella seconda metà degli anni Settanta, la musica alternativa di destra conosce la sua stagione migliore. Così, essa inizia gradualmente, proprio in quel periodo, a trovare una sua identità: dalla pura reinterpretazione di musiche popolari, che appartengono, talvolta, alla tradizione, pian piano si passa alla canzone militante di destra. Essa, nascendo con un ritardo di almeno dieci anni rispetto a quella di sinistra, rappresenta l’esternazione di una vera e propria “fede”, in cui buoni testi sono accompagnati da una musica “scarna” con l’utilizzo nella maggior parte dei casi della sola chitarra18. I giovani neofascisti cantano durante le manifestazioni, nelle sezioni del Movimento sociale italiano o delle organizzazioni giovanili per “sfoderare” con la musica l’arma della militanza ma anche per diffondere le speranze i sogni e le idee di un universo sconosciuto – e forse anche temuto – ai più.
Nella costruzione di un’alternativa politica e umana, i giovani di destra provano il desiderio di produrre, creare, scrivere e cantare una propria musica. Il ragazzo di destra, per certi versi, «canta e pensa le stesse cose di quello di sinistra»19. Si attacca la cultura di massa, la politica “politicante”, talvolta l’arco costituzionale, condendo queste critiche con le tematiche della mitologia, la tradizione, l’Europa.
I temi affrontati in queste canzoni sono legati alle cronache di quegli anni: gli scontri di piazza, la militanza, i propri compagni morti20. Non mancano soggetti legati alla satira e all’ironia. Sono presenti anche temi come la disumanità della droga e il diritto alla vita contro l’aborto21.
Inoltre, acquistano spazio anche le canzoni che si ispirano ai miti cavallereschi e guerrieri appartenenti al mondo del medioevo fuso con quello nordico. Non a caso in tutto l’ambiente di destra la musica celtica rappresenta una base quasi naturale.
Questa nuova canzone militante, come accennato, risente spesso delle esperienze della vita quotidiana e dell’impegno politico in quel particolare frangente storico, differente da quello vissuto dagli stessi militanti fascisti negli anni precedenti. Guido Giraudo degli Amici del vento, uno dei gruppi che si sviluppa in quegli anni, sostiene:

Non ci bastavano più quegli inni marzialeggianti e le canzoni fasciste del Ventennio e della RSI. Ci voleva una musica più vicina, più nostra per raccontare la nostra vita quotidiana di militanti, il nostro impegno politico, i nostri ideali, i nostri sentimenti di amore e di rabbia, i nostri sogni. Canzoni scritte più col cuore che con la testa, senza dimenticare l’ironia che solo per il fatto di essere di destra portavano al sistema, all’ultrasinistra, ai partiti e giornali democratici. Canzoni che in qualche caso fungevano da impegno politico vero e proprio22. Un “traghettatore” che alimenta questo “passaggio” è Walter Jeder che, da autore di alcuni testi di Leo Valeriano, diventa animatore della milanese Radio University e presentatore di tutti i Campi Hobbit, raduni musicali di destra23. Proprio grazie all’esperienza dei Campi Hobbit, che si tengono nel 1977, 1978 e 1980, i musicisti di questa area politica hanno l’occasione di incontrarsi, confrontarsi ed esibirsi sullo stesso palco, oltre che, nei momenti di approfondimento culturale, di discutere e di tracciare dei «percorsi comuni» ridefinendo la loro identità politica24.
Nella diffusione della musica alternativa, inoltre, un ruolo importante è ricoperto dalle cosiddette radio libere, ossia delle emittenti legate alla destra politica e autogestite dai militanti di area. Tra queste le più importanti sono, la già citata, Radio university a Milano, Radio alternativa a Roma, Radio inn a Perugia, Radio sud a Napoli, Radio Conero ad Ancona, Radio Mantakas a Osimo, Radio blitz a Torino, Radio onda Europa a Verona. Nel 1976, si costituisce anche il Terzo polo, Centro nazionale di produzione radio, coordinato da Teodoro Buontempo, fondatore di Radio alternativa. Anche se le emittenti di destra sono un centinaio, il tentativo di giungere ad un network in tutto il territorio nazionale, comunque, fallisce25. In ogni modo, anche se manca un coordinamento organico e centralizzato, esse rappresentano una modalità per comunicare in maniera orizzontale e scambiare idee, programmi, cassette e dischi che spesso sono autoprodotti e quindi hanno scarse possibilità di essere diffusi, anche all’esterno dell’ambiente politico di provenienza, se non attraverso l’attività di queste radio.
Questa musica viene, comunque, pubblicizzata anche grazie a manifestazioni appositamente organizzate dal Fronte della Gioventù e dalle riviste di area “Dissenso” e “Candido”, che dedicano a essa delle speciali rubriche.

3. I gruppi

La produzione vera e propria di musica alternativa inizia attraverso la formazione, nel 1974, del Gruppo padovano di protesta nazionale (Gpdpn), formato da cinque ragazzi del Fronte della gioventù e del Fuan di Padova: Loris Lombroni, Fabio Ragno, Gigi Toso, Roberto Meconcelli e Mario Bortolozzi.
L’attività del gruppo si inserisce a pieno titolo all’interno di quella transizione avvenuta a livello musicale in cui i giovani militanti di destra utilizzano il canto come momento aggregante e in cui intendono, come dice uno dei componenti della formazione, Mario Bortolozzi, «cantare il presente e onorare il passato con parole più comprensibili», per quella generazione26.
Nei concerti Gigi Toso, che non canta, presenta il gruppo sulle note di Knockin’ on heaven’s door di Bob Dylan, Roberto Meconcelli suona il banjo e Loris Lombroni, Fabio Ragno e Mario Bortoluzzi si cimentano alla chitarra.
Fra la fine del 1975 e gli inizi del 1976, i componenti del Gruppo padovano di protesta nazionale rimangono coinvolti in numerose campagne di arresti, perquisizioni e processi per ricostituzione del partito fascista. Così il gruppo, anche a seguito dell’uscita per vicende personali degli unici componenti della formazione che rimangono estranei alle inchieste, arricchito di nuovi elementi, Paolo Favero e a Junio Guariento, subisce una trasformazione nella sua compagine originaria. In questo modo, nel dicembre del 1977, la nuova formazione esordisce a Roma al Teatro delle muse in quello che è anche l’unico e ultimo concerto del gruppo. Quindi, il Gpdpn si scioglie e due dei suoi ex componenti formano la Compagnia dell’anello, che si presenta a Campo Hobbit I già nel giugno del 197727. Dal punto di vista della produzione, il Gruppo padovano di protesta nazionale, prima di confluire in questa nuova formazione, produce pochi brani, fra i quali, Jan Palach, La foiba di San Giuliano, Padova 17 giugno28, La ballata del nero, mai incisi ufficialmente, ma che faranno parte della prima musicassetta della Compagnia dell’anello, dal titolo, Dedicato all’Europa29.
Quest’ultima formazione, il cui nome trae ispirazione dall’omonimo libro di John Ronald Reuel Tolkien, si arricchirà di nuovi elementi nel corso degli anni – ancora oggi è in attività – come per esempio Stefania Paternò, Fabio Giovannini e Adolfo Morganti fino ad arrivare a nove componenti. La produzione del gruppo, che può essere considerata insieme a quella degli Amici del vento (di cui parleremo a breve) basilare all’interno della corrente artistica “alternativa”, è molto vasta.
Uno dei brani più famosi della Compagnia dell’anello è stato Il domani appartiene a noi che rappresenta anche uno degli slogan più popolari della giovane destra di quegli anni; esso diviene un «simbolo identificante e un percorso politico. Una canzone che è riuscita ad imporre un concetto innovativo proprio nel lessico della destra politica, introducendo il passaggio psicologico dal ricordo e dalla testimonianza alla possibilità di incidere nuovamente nella storia»30. Come se si passasse «dal ghetto – duro, pesante, ma in fondo rassicurante – […] [al] mare aperto della politica come un’avventura tutta da costruire»31. L’origine del brano risale al primo Campo Hobbit quando il neonato gruppo e Stefania Paternò pensano di fare un adattamento per chitarra e in lingua italiana di Tomorrow belong to me di John Kander e Fred Ebb, una delle canzoni di Cabaret, il famoso film musicale di Bob Fosse. L’aria di quella canzone sembra che ha tratto origine, a sua volta, da una ballata popolare del Quattrocento, entrata, poi, a far parte del repertorio del Movimento giovanile tedesco degli inizi del novecento32. Successivamente, nel 1980, il terzo Campo Hobbit chiude con una versione musicale aggiornata e perfezionata della canzone, la cui esecuzione colpirà Giovanni Forti che dalle colonne dell’“Europeo” scrive: «Nella notte si leva un canto suggestivo prima mormorato a voce bassa, poi ripreso da tutti a gole spiegate»33. Dall’analisi delle strofe della canzone si riesce a intendere come questo brano sia potuto diventare un vero e proprio inno della destra dagli anni Settanta fino ai nostri giorni. Emergono infatti le tematiche “tradizionali” della destra neofascista italiana e europea: la “Fede”, la “Terra dei padri”, la “Tradizione”.

Osserva dell’alba il primo baglior
Che annuncia la fiamma del sol
Ciò che nasce puro più grande vivrà
E vince l’oscurità.
La tenebra fugge i raggi del sol
Iddio dà gioia e calor
Nei cuor la speranza non morirà
Il domani appartiene
Il domani appartiene
Il domani appartiene a noi.
[…]
Chi sfrutta nell’ombra sapremo stanar
Se uniti noi marcerem
L’usura ed il pugno noi vincerem
Il domani appartiene
Il domani appartiene
Il domani appartiene a noi.
La terra dei Padri, la Fede immortal
Nessuno potrà cancellar
Il sangue, il lavoro, la civiltà
Cantiamo la Tradizion.
La terra dei Padri, la Fede immortal
Nessuno potrà cancellar
Il popolo vinca dell’oro il signor
Il domani appartiene
Il domani appartiene
Il domani appartiene a noi.

Un’altra canzone del gruppo degna di nota è Sunglasses policemen’s blues, più nota come Police’s blues, che rappresenta un brano che in qualche modo appartiene più al primo periodo della musica alternativa, poiché è una ballata scritta in uno stile goliardico e cabarettistico; tratta delle inchieste della magistratura e delle “pressioni” delle forze dell’ordine sui militanti della destra politica sotto l’egida del reato di ricostituzione del partito fascista. Nel pezzo, in modo scanzonato, infatti, vengono descritti quali sono i “meccanismi”, i “congegni” attraverso i quali, in un’escalation esilarante ed estremamente divertente, gli agenti di polizia, indossando degli occhiali speciali – perché riescono a scovare le piste più “nere” – arrivano ad arrestare tutti, proprio tutti.

Passa veloce sulla strada principale,
passa un’auto della Polizia,
passa veloce, è tutto un lampeggiare,
arriva e si ferma davanti al tribunale.
Ma perché, ma perché quegli agenti
portan sempre gli occhiali?
[…]
Son passati all’azione. che han fatto?
Hanno preso di peso dal letto
la mia vecchia vicina di casa
ma per quale motivo la vicina di casa?
Scatta il congegno, scatta il meccanismo,
molti i fermati e molti gli arrestati.
Hanno arrestato anche il nostro farmacista,
per non parlare del nonno del droghiere.
Ma chi vuoi (ma chi vuoi) che sia stato,
se non gli agenti in occhiali?
Scende la notte, ma qui nessuno dorme
perché hanno paura degli agenti con gli occhiali.
Ormai nessuno può restare tranquillo,
hanno arrestato anche il noto banchiere.
Ma chi vuoi (ma chi vuoi) che sia stato,
se non gli agenti in occhiali?
Stamattina all’uscita di scuola
io volevo comprare un gelato
ma non c’era il carretto
perché l’hanno arrestato, il carretto.
Hanno arrestato anche Gino il salumiere,
il nostro portinaio e tutti gli spazzini.
Stanno facendo anche un giro di retate
alle stazioni e davanti agli asili.
Ma perché, ma perché quegli agenti
portan sempre gli occhiali ?
Da un po’ sto aspettando che arrivi il mio turno
da quando hanno preso anche il mio confessore
il parroco, le suore ed anche il cappellano
che aspettano, son pronto, son stanco di aspettare
oramai (oramai) l’ho capito
perché hanno sempre gli occhiali
Sono occhiali speciali davvero,
son di vetro temprato inscurito
per vedere le piste più nere,
per vedere le piste più nere,
per vedere i colpi di stato,
gli squadristi teppisti fascisti,
è tutta una festa,
è tutta una festa.
Generali golpisti fascisti,
formaggini e ombrellai nazisti,
Bersaglieri ciclisti fascisti,
è tutta una festa.

Nel 1983, la Rai dedicherà al gruppo un servizio di presentazione del loro primo Lp: Terra di Thule, nel corso della trasmissione Primissima, durante la quale, per illustrare le canzoni della band, verranno mostrati alcuni disegni di Hugo Pratt34. Dal 1984, ai nostri giorni il gruppo terrà molti concerti. Nel 1986, alcuni suoi componenti daranno vita alla formazione Alchemia Cheltha35.
Nel novembre 2002, La compagnia dell’anello fonderà anche un’associazione culturale con sede a Padova con lo scopo di contribuire a realizzare una sempre più capillare diffusione della musica alternativa, fuori dai circuiti commerciali.
Un altro gruppo, la cui produzione è abbastanza significativa, è quello degli Amici del vento. La storia di questo complesso è legata a Carlo Venturino, un giovane militante milanese, studente di medicina, che inizia a scrivere canzoni per poi esibirsi nella sede del circolo Alternativa nazionale o nel locale degli Arditi a Milano36. Quindi nel 1976, proprio su iniziativa di Carlo Venturino, nasce il gruppo, di cui entra a far parte, la fidanzata Cristina Constantinescu, come cantante, il fratello Marco Venturino alla seconda chitarra e Guido Giraudo, un dirigente del Fuan milanese, come presentatore.
La loro prima canzone è intitolata Nel suo nome, dedicata a Mikis Mantakas, un giovane studente greco, militante del Fuan Caravella di Roma rimasto ucciso il 28 febbraio 1975 a colpi di pistola nel corso degli scontri fra militanti di estrema destra ed estrema sinistra in un assalto alla sede del Msi di via Ottaviano a Roma, durante lo svolgimento del processo contro alcuni componenti di un’organizzazione di estrema sinistra, Potere operaio, accusati del cosiddetto rogo di Primavalle37. Il testo della canzone è ispirato a una lettera scritta dalla ragazza di Mantakas dopo la sua morte38. Alcune strofe della canzone recitano così:

Ragazza che aspettavi un giorno come tanti,
un cinema e una pizza, per stare un po’ con lui,
dai apri la tua porta, che vengo per parlarti:
“Sai, stasera, in piazza….. erano tanti, e….
il tuo ragazzo è morto ….è morto questa sera”.
Vent’anni sono pochi per farsi aprir la testa,
dall’odio di chi invidia la nostra gioventù,
di chi uno straccio rosso ha usato per bandiera,
perché non ha il coraggio di servirne una vera.
La gioventù d’Europa stasera piangerà
chi muore in primavera per la sua Fedeltà.
[…]
Ragazza del mio amico che è morto questa sera,
il fiore tra i capelli no, non ti appassirà.
Di questo tuo dolore noi faremo una bandiera,
nel buio della notte una fiamma splenderà.
Sarà la nostra fiamma,
saranno i tuoi vent’anni,
la nostra primavera
sarà la libertà.

La popolarità per il gruppo arriva nel 1977 con la produzione della prima audiocassetta, incisa con mezzi non professionali, Trama nera. La diffusione del nastro avviene anche grazie alla cassa di risonanza del periodico, “Candido”, di cui Guido Giraudo è il vicedirettore, e della milanese Radio university. Il gruppo acquista anche una certa fama attraverso molti concerti, tenuti in Italia e fuori dai confini nazionali, in Spagna (invitati dalla formazione Fuerza nueva) e in Germania39. Anche la canzone che dà il nome all’intero album, Trama nera, diviene molto famosa tanto da vincere un premio indetto da una radio libera di Milazzo, come brano più ascoltato dell’anno40.
Con uno stile irridente, questo brano deride quella che è considerata la “mania” dei mezzi di comunicazione e dei magistrati di “inventare” «trame nere» o di congetturare la presenza di presunti complotti «fascisti» in ogni situazione.

Trama nera trama nera sol con te si fa carriera.
Trama nera trama nera tu dai la felicità.
Se vuoi tu migliorar la posizione,
ed aumentare il minimo della pensione,
fai subito domanda di assunzione
in uno dei canali della teleinformazione.
Ed ogni sera tu, alle otto e trenta,
la lacrima sul ciglio la voce spenta,
racconta che a Milano è mancata la luce
perché uno sconosciuto ha gridato viva il Duce,
e che se le galline non fanno più l’uovo
è certo stato un colpo di Ordine Nuovo.
[…]
E se la tua ragazza ti ha piantato
Dicendo che le sembri un po’ un pistola
Tu non ti scoraggiare e vai filato
A raccontare a tutti questa fola:
tu di che è stata colpa dei Fascisti,
vedrai si muoveranno anche i ministri
se poi intervisteranno anche l’Oriana
vedrai che giurerà di averli visti.
Ma se malgrado tutto lei non torna,
tu lascia tutti e vai al Quirinale
lì certo troverai un radicale
che ti consolerà con un rapporto un po’ anormale.
Trama nera trama nera sol con te si fa carriera
Trama nera trama nera tu dai la felicità.
Se non hai vinto mai un terno al Lotto,
se proprio oggi a te scade l’affitto
se hai perso per scommessa quattro cene
e come puoi pagar non lo sai bene,
ascolta che ti dico come fare
e ciò che fa per te ti voglio indicare:
rivolgiti sicuro a «Panorama»
la pagheranno bene la tua trama.
Racconta che un bel giorno passando per i boschi
scorgesti una radura con certi tipi loschi.
e insieme ai tipi loschi c’erano.

Anche lo stile della ballata Incontro è ironico, ma il tema non è quello espresso in Trama nera. Nel brano, vengono descritti quelli che i giovani di sinistra chiamano i “sabati della spranga” a Milano; viene raccontato un particolare incontro fra un giovane e una sconosciuta ragazza – vestita di grigio e dalle curve procaci.

Era sabato di pomeriggio,
passeggiavo per la mia città,
camminavo con l’occhio un po’ fisso
sbirciando i colori della realtà.
Una lunga colonna di auto, intonava la sua sinfonia,
dirigeva con rara maestria un’autobotte targata Pavia
. Sui palazzi segnati dal tempo, nei giardini ripieni di risa,
una lama di sole un po’ caldo invitava alla primavera.
Ma, arrivato all’angolo vidi lei, solo lei,
tutto si nascose, anche il sole, anche il sole.
Un silenzio magico, intorno a me, intorno a lei,
sentivo solamente la sua immagine su me.
Uno schianto ve lo giuro, non ricordo poi che fu.
Uno schianto, ve lo giuro, non ricordo poi che fu….
In un vestito grigio, magari di lamè,
le sue curve procaci mostrava solo a me,
due occhi grandi e gelidi ho visto in mezzo ai miei,
la sua andatura agile l’avvicinava a me.
Con fare malizioso e un poco provocante,
permette che la sfiori con la mano un po’ tremante.

Quella conoscenza nel giovane, protagonista della canzone, provoca un forte sconvolgimento, la cui natura e la cui origine, però, sono rivelate solo al termine del brano. Così viene svelata la reale identità della procace ragazza: una Hazet 36, la chiave inglese usata dagli extraparlamentari di sinistra durante gli scontri contro i componenti delle formazioni di destra in quegli anni. Questo incontro, alla fine, avviene con quella democrazia, “costruita” dal regime, a cui il protagonista della canzone non sente di appartenere.

Insieme a lei io vidi il sole con le stelle,
dei fiori un po’ giganti, sentii voci di santi, ma ….
Ma forse non son stato, non sono stato chiaro,
non so se vi ho spiegato chi era, in verità.
Perché era….
…era una chiave inglese numero trentasei,
tenuta salda in mano da un giovane borghese,
di quelli, per intenderci, che la rivoluzione
giocano a farla in nome di Marx e del bastone.
Di quelli che il regime ha fabbricato in serie
perché lo difendessero dalle persone serie.
Era sabato di pomeriggio,
non ricordo neppure la via,
mi han poi detto che quel pomeriggio
ho incontrato madama….
Democrazia.

La fama degli Amici del vento si riconferma, oltre che con la partecipazione ai Campi Hobbit, anche attraverso la pubblicazione, nel 1978, del secondo album: Girotondo41.
Tuttavia, l’attività del gruppo terminerà nel 1983 con l’improvvisa morte in un incidente stradale del suo fondatore, Carlo Venturino. Nel 1993, il fratello Marco, riprenderà ad esibirsi e pubblicherà una terza musicassetta contenente le canzoni rimaste inedite. Poi nel 1995, gli Amici del vento terranno un concerto a Ceriale in provincia di Savona ottenendo una risonanza a livello nazionale42; anche il Tg2 farà un servizio sull’evento. Nel 1997, in occasione del ventennale dalla nascita della musica alternativa, gli Amici del Vento e La compagnia dell’anello si esibiranno in una lunga performance43. La formazione si riunirà per tornare sul palco in altri concerti anche nel 2010 e nel 2013.
La musica alternativa è anche appannaggio di artisti provenienti dal sud d’Italia: i Vento del sud. La formazione, guidata da Gianni Procida, Rosario Striano e Salvatore Barone (autore dei testi), già componenti del gruppo cabarettistico Masaniello, nel 1977 si presenta a Campo Hobbit I, con un nutrito repertorio, fra cui Europa Nazione, Mikis, Uomo nero e Eri un rosso44. L’anno successivo il gruppo si scioglierà, lasciando inedita la maggior parte della sua produzione. Negli anni avvenire, Gianni Procida si presenterà come solista ai Campi Hobbit45. I Vento del sud affrontano nelle loro canzoni anche tematiche sociali, come per esempio in Storia vera di un giovane, (scritta sulle note di Marinella di Fabrizio de André) si narra la vicenda di un giovane di Napoli – la stessa città da cui proviene il gruppo – che ha perso il lavoro. A quel punto, il ragazzo inizia, in cerca di sostegno, una peripezia continua dal sindacato, al partito, alle istituzioni fino ad arrivare ad essere arrestato poiché, resosi conto della strumentalizzazione operata nei suoi confronti da tutti coloro a cui si è rivolto, si ribella. Le parole della canzone, trasposte ai giorni d’oggi, sembrano fotografare la situazione di tanti giovani disoccupati.

Questa di un giovane è la storia vera
che è cominciata a Napoli una sera
quando senza saperne la ragione
è stato licenziato dal padrone.
Solo, senza una lira e disperato,
il poveretto è andato al Sindacato,
ma questi con la loro faccia tosta
gli hanno sbattuto in faccia ‘sta risposta:
“Noi non possiamo farci proprio niente!
Rivolgiti all’ufficio competente.
Noi difendiamo quelli già occupati
e non poveri cristi disgraziati”
Il poveretto stanco e denutrito
è andato sulla sede del Partito.
E questi qui per dargli un certo aiuto
gli han chiesto l’iscrizione e un contributo.
Gli han dato poi una tessera e un bastone
Gli han detto che si lui avea ragione
È colpa dei padroni e dei fascisti
che sono delinquenti e camorristi
Con la tessera in tasca e un bastone
con la bandiera rossa e il cartellone
è andato insieme ad altri e tutti in coro
organizzati a chiedere lavoro
È andato da Valenzi e alla Regione46
a chiedere una qualche occupazione
ma qui cortesemente gli han spiegato
che deve ritornare al Sindacato
Da qui lo hanno mandato in Prefettura
[…]
Avanti indietro e poi indietro avanti
lo prendono per fesso tutti quanti
ormai è un pupazzo a disposizione
di chi sfrutta la sua disperazione
Il poveretto quando l’ha capito
è andato sulla sede del Partito
m’avete preso in giro e malridotto
e allora mo’ facimmo un quarantotto
[…]
E chiamano così la polizia
che lo bastona e se lo porta via.

Da Verona invece arrivano gli Zpm47. Al loro attivo tre musicassette autoprodotte: Una voce controvento del 1977, una uscita nel 1978 senza titolo e l’ultima Europea del 1989.
Nel brano Una voce controvento si evidenzia il ruolo che ha la canzone nella società, ossia un manifesto ideologico48:

Queste sono canzoni diverse
Non sono canzoni alla moda,
canzoni di mercato o di protesta
queste sono forse un grido
un grido disperato
un grido di giustizia.
Tu viandante fermati ed ascolta questo canto
Fermati ed ascolta questa voce controvento
[….]
Tra le catene che il sistema
fu felice di stringerti ai polsi,
credendoti finito e sconfitto.
Mentre tu stringendo i denti,
dalla galera dove fosti buttato
gridasti al vento, al sole, al mondo:
“Stringete, stringete pure,
ma mai voi riuscirete a inventare
le catene per fermare il mio ideale”.
“Stringete, stringete pure,
ma mai voi riuscirete a inventare
le catene per fermare il mio ideale”.

A cavallo fra il tema dell’amore e degli ideali da perseguire è invece impostato il brano Boia chi molla, probabilmente la canzone più famosa del gruppo49. Alcune strofe della canzone recitano:

Sarebbe bello amore piantare tutto e scappare via
lasciare qui i problemi la nostra lotta e nostri affanni
scappare via lontano non ha importanza dove
dimenticare tutto scappar via da questa terra
[…]
Sarebbe bello amor mio ma non posso
chiudere gli occhi e fuggire la realtà
no non voglio rinunciare alla mia lotta
dentro al cuore sento l’urlo di un qualcosa che mi sprona
sento un coro nella mente BOIA CHI MOLLA
[…]
Tu mi ami e ami anche il mio ideale
meglio morto che vigliacco meglio morto che venduto
tu mi ami ascolta l’urlo BOIA CHI MOLLA

Mentre il timbro musicale dei gruppi fin qui descritti è nella maggior parte dei casi simile, poiché in generale la matrice rimane quella armonica o di origine cabarettistica, il vero gruppo rock della musica alternativa degli anni Settanta è quello dei romani Janus (nome ispirato al dio romano Giano). La band nasce nel 1976, su iniziativa del batterista Mario Ladich, che rimarrà sempre l’anima del gruppo nei suoi vari cambi di formazione. I Janus, infatti, hanno al loro attivo tre singoli, un Lp e un album; ogni lavoro è stato inciso con una formazione diversa. Nel dicembre del 1976, producono il loro primo singolo dal vivo con un registratore Revox a due piste con una formazione composta da chitarra, basso e batteria – classico complesso rock50; in quella occasione per errore vengono chiamati Janum. L’anno successivo, il gruppo con una nuova formazione e con il nome corretto in Janus, esordisce a giugno a primo Campo Hobbit51. Dal punto di vista musicale, i Janus sono molto preparati e nel loro repertorio non mancano brani esclusivamente strumentali, confezionati con sonorità vicine al progressive inglese52. Nei loro pezzi, come Bandiere al vento, Viva l’Europa delle Aquile, Rivoluzione, Tempo di vittoria, poiché si dà più importanza al suono piuttosto che alle parole, i testi risultano essere molto stringati e corti. La popolarità dei Janus, comunque, durerà nel tempo, dando vita alla pubblicazione di un certo numero di raccolte, edizioni inedite e ristampe, come per esempio, nel 1997, Tributo a Janus, in cui alcuni complessi di musica alternativa reinterpreteranno i pezzi più famosi della band romana. Nel 2004, in una trasmissione della Rai dedicata al rock degli anni Settanta uno spazio sarà riservato ai Janus53.

4. I cantautori

Fra i cantautori si può annoverare Michele di Fiò che, rispetto ad altri artisti della musica alternativa, ha cercato di dare un taglio più professionale alla sua produzione, andando spesso alla ricerca di sonorità d’avanguardia. Al suo attivo tre album: Ad un passo dal cielo c’è del 1978, Cervello del 1979 e Cavalcare la tigre del 1982. Michele Logiurato, in arte Michele di Fiò (in omaggio alla sua fidanzata Fiorenza), nato a San Costanzo, in provincia di Pesaro, inizia la sua attività canora già dai primi anni Settanta, rifiutando nel 1975 una proposta della Rca per non sottostare a quelle che ritiene che siano le censure politiche imposte dal mercato54.
Fra i temi sviluppati, vi è la descrizione della feroce contrapposizione fra destra e sinistra, accompagnata, però, dal tentativo di superarla, come, per esempio, nel brano Sogno.

ma smettiamola di scannarci
come cani nelle strade
il potere gioca a carte
gioca con le nostre vite
ma l’amore è un’altra cosa
siamo tutti solo soli
dammi un bacio e dimentichiamo
questa stupida canzone
fatta un po’ per ricordare
che nel mondo è meglio amare.

Nella sua produzione Michele di Fiò affronta anche tematiche che si discostano dalla pura militanza politica. Nelle sue canzoni, pur ispirate alle idee, care alla destra neofascista, si rivolge alla sua generazione ed è uno dei primi autori di destra a sentire il bisogno di occuparsi di ambiente, ecologia, scuola, struttura della società del tempo55. Non mancano brani dedicati ai suoi “amici” camerati morti a causa della logica degli opposti estremismi o a causa delle presunte “persecuzioni” perpetuate dal sistema statale contro i militanti di destra, come nel pezzo Italia, scritto per ricordare Alberto Gianquinto, giovane studente liceale ucciso a Roma nel 1979 dalla polizia56. Tuttavia, l’artista canta anche Rock (il lato B di Italia), in cui emerge l’insofferenza dei giovani nei confronti della vecchia generazione, nei confronti del sistema e nei confronti di logiche e schemi, ormai legati al passato. In tal senso, la musica rock rappresenta un trait d’union fra tutti coloro che appartengono a quella generazione e che non “disdegnano” la “piazza” e la “rivolta”. In Rock Michele di Fiò canta:

Ai ragazzi piace il rock
e non solo per ballare
uno ascolta va forte
e non smette di pensare,
è una musica che nasce
ti permette di volare,
è una musica che uccide
chi non vuole fartela ascoltare.
Ai ragazzi piace il rock
e son stanchi di aspettare,
han bruciato tutti i libri
e non ascoltano la radio
e si son rotti le palle
di promesse dal sistema,
han bisogno di lavoro
e di una fine meno scema.
Ai ragazzi piace il rock
quello duro rivoluzionario
e non amano il riflusso
che ci porterà alla morte
han bisogno della piazza,
della gente col fucile,
dell’amore di una ragazza
della certezza di non finire
soli come trent’anni fa.
[…]
Ai ragazzi piace il rock
e non solo in discoteca,
ma non hanno mai avuto
una risposta molto chiara,
c’è chi dice che sia limpido
e chi non l’ha mai provato,
c’è chi non vuol sentire
e che morirà ammazzato.

La produzione di Fiò e le sue idee non risultano essere proprio così dissimili da quelle di artisti di sinistra. Sembra che destra e sinistra si incontrino nella stessa «ingenua rabbia», attraverso musica scarna e mono tonica57.
E le motivazioni che il cantante pubblica all’interno della copertina del suo album Cervello lo dimostrano in qualche modo:

Questo disco – annota il cantante – circola fuori dai normali canali musicali commerciali e industriali, non ha subito la censura dei padroni del valore della politica italiana e puoi ascoltarlo attraverso la tua radio libera può essere reazionario oppure proletario, altre volte romantico e sentimentale ma in questa società appiattita e pesante, dove le coscienze non hanno più pensieri e il potere spegne speranze e amore, è senza dubbio rivoluzionario58.

Un altro cantautore all’interno di questo panorama è Fabrizio Marzi, denominato il De Andrè della destra per il suo timbro vocale baritonale simile a quello dell’artista ligure.
Dal punto di vista musicale, Marzi inizia a muovere i primi passi da giovanissimo, affascinato e influenzato dalla cosiddetta scuola genovese (Luigi Tenco, Gino Paoli, Bruno Lauzi, Fabrizio De Andrè, ecc)59.
Laureatosi in medicina veterinaria nel 1976, Fabrizio Marzi, inizia il suo percorso artistico, interpretando i brani di altri autori, poi musicando i testi di suo cugino Walter Pancini (in arte Walter Jeder) che, come si ricorderà, è stato presentatore di tutti i Campi Hobbit e animatore di Radio university60.
Nel 1978, Marzi incide il suo unico Lp, intitolato Zoo. Nel disco sono presenti brani, realizzati con un’ironia graffiante, che affrontano tematiche politiche e sociali, come Topo rosso, Botti Beppe e altri più forti come Canzone per l’Europa, Bandiera e Un uomo da perdere.
Con questo album, l’artista piacentino sarà il primo cantautore di musica alternativa a incidere un Lp in una sala di incisione professionale, a Milano. Il disco ha una grande risonanza nell’ambiente e viene trasmesso nelle cosiddette Radio alternative di tutta Italia.
La tematica sociale e politica sviluppata da Marzi è parecchio marcata.
Ad esempio, nella ballata Botti Beppe, racconta il “fallimento” di tutti coloro che sono stati inghiottiti dal lavoro. Ora sono frustrati nelle proprie speranze e, con in tasca la tessera della Cgil, credono di ottenere una rivincita sociale. In realtà, arrivano ad un avvilimento totale: rappresentano, così, l’«armata degli scontenti». Alcune strofe del brano, che è cantato sulle note della celebre Bandiera rossa, recitano:

Ragionier Rossi Gervaso
che hai guardato l’orologio,
che hai bevuto il cappuccino
e ti sei soffiato il naso,
dimmi dove vai.
Operaio Botti Beppe
tesserato Cigielle
tu che porti sulla pelle
la maglietta di movil,
dimmi dove vai.
Annarella Permanente
venditrice di calzini
presso i grandi magazzini,
che t’arrabbi con la gente,
dimmi dove vai.
Andiam tutti a lavorare
come lepri nel mattino,
per sapere se viviamo
controlliamo il cartellino,
siamo il mondo che lavora,
un’armata di scontenti,
siamo mille fallimenti
veri o falsi, non si sa.
[…]
Ai cancelli della tua ditta
c’è un picchetto sindacalista,
ti daranno un ciclostilato
così lo sciopero si farà.
Se il padrone taglia la busta
me ne frego da comunista,
m’imboniscono per bene la testa
e in colonna mi metterò.
Mi hanno dato pure un fischietto
per fischiare il mio fallimento,
fischio rabbia come un vapore
per le strade di città.

In Topo rosso racconta come il sistema strumentalizzerebbe i “compagni” anche contro gli stessi militanti di destra, che alla fine “lottano” anche per loro.

Compagno topo rosso
che giochi a far l’indiano
ma non del nuovo Mexico,
sei metropolitano.
Sei nato nella cellula
o nella parrocchietta,
autonomo al guinzaglio,
guerriero da operetta
[…]
E se non l’hai capito
la parte che ti tocca
è quella di abbaiare
per chiuderci la bocca,
per chiuderci la bocca.
Riponi la tua fionda
fra tanta naftalina,
rassegnati a una vita
da povera pedina.
Da povera pedina.
Guardando la finestra
un dì vedrai un ultrà,
un giovane nemico
gridare libertà,
un giovane di destra
che lotta anche per te.
Che lotta anche per te.
Che lotta anche per te.

In Evoluzione, in maniera ironica, ridicolizza molti presunti “miti” della cultura della sinistra, come l’evoluzionismo, le opere del drammaturgo Bertolt Brecht, le idee del sessuologo marxista Wilhelm Reich, il lavoro del padre della psicanalisi Sigmund Freud.
Nel 1979, produce due 45 giri con le canzoni Una canzone per vincere e Giovinezza, quest’ultima dedicata dall’autore al giovane Stefano Recchioni militante del Fronte della Gioventù e componente del gruppo musicale Janus, ucciso, come abbiamo visto, da un colpo di pistola sparato davanti alla sede del Msi in via Acca Larentia a Roma. Questo brano è particolarmente toccante, poiché descrive sostanzialmente la giovinezza che quel ragazzo, attraverso la morte, perde; questa giovinezza rimane sostanzialmente, per l’artista, “racchiusa” nel cerchio bianco che disegna la sagoma del cadavere caduto sull’asfalto.
Fra gli altri pezzi cantati da Marzi, vale la pena analizzare nel dettaglio il lungo brano, Il 68. Questo brano uscirà come inedito, solo nel 1996, in un Cd insieme ad altri due brani nuovi, Epitaffio e Lontana, e ai due 45 giri pubblicati (Una canzone per vincere e Giovinezza) e all’intero album Zoo. Il 68 rappresenta una sorta di manifesto della gioventù di destra di quegli anni. Innanzitutto, il punto di partenza è la convinzione che la rivolta studentesca è stata anticipata negli ambienti culturali della destra, parecchio tempo prima del ‘68 vero e proprio. Infatti, le prime strofe della canzone, mettendo in evidenza un ’68 “venuto prima” – cioè sottolinea la presenza di un germe insito nella “natura” stessa della rivolta contro il sistema professato dai militanti neofascisti –, recitano:

Per noi il ‘68 era venuto
qualche anno avanti la contestazione
l’età della rivolta e del rifiuto
contro il sistema: la rivoluzione.
Allora noi eravamo bestie rare
quando vestire l’eskimo non era
una moda da vendere ai compagni
e cercavamo un basco per bandiera,
e cercavamo un basco per bandiera.
[…]
Emarginati e matti contro il mondo
che pullulava voglie e fregature
per giuramento crescere diversi,
tanta sete di rischio e d’avventure.
Ricordo la cantina dell’inferno
un luogo riservato ai bevitori
quando Guccini non cantava treni
e i maledetti amavano De Andrè
e i maledetti amavano De Andrè.
[…]
Curcio aveva lasciato la parrocchia
leggeva il suo Marcuse nel Trentino
capelli troppo corti sulla testa
sputacchiavamo in faccia ai nostri beat.
Ma Kerouac era nostro si diceva
e quelli sono rossi e ben pasciuti
se la cultura era stile giusto
partivano fottuti quei lacchè,
partivano fottuti quei lacchè.

In questo contesto, viene messa in evidenza l’“ottusità” dei dirigenti del Movimento sociale italiano che avrebbero ignorato che anche fra le fila dei giovani di destra vi è chi intende cavalcare l’onda della contestazione. Il testo della canzone continua, infatti, così61:

Il partito era fermo agli altarini
come l’Italia al Brennero col botto
le seggiolate contro Michelini
mentre s’avvicinava il ‘68.
Ma il ‘68 eravamo noi
contro i consumi per l’ecologia
contro lo sconcio delle vacche sacre
e un altro uomo e un’altra strategia.
e un altro uomo e un’altra strategia.

A questo punto, viene anche descritto il celebre episodio della cosiddetta “cacciata degli stracci rossi” dall’università di Roma – avvenuto il 16 marzo 1968 – da parte di alcuni dirigenti del partito neofascista, guidati da Giorgio Almirante e Giulio Caradonna, che per ripristinare l’ordine irrompono all’interno dell’ateneo. Questo evento ha segnato un punto di rottura nell’ambiente giovanile di destra, avendo degli effetti significativi negli anni successivi: il mondo giovanile neofascista si allontana ancora di più dal Msi e le organizzazioni giovanili di destra si sgretolano. Rimane nei protagonisti di quelle vicende soltanto l’amaro ricordo che la rivolta giovanile è stata per essi un’occasione perduta.
Analizzando le parole della canzone si percepisce proprio questa sensazione.

Un giorno ti telefona il gran capo
c’è l’università da ripulire
tu non prevedi, tu non puoi capire
che i sovversivi sono camerati.
Chissà che sghignazzate al Viminale,
chissà che sghignazzate i frammassoni
quando alla facoltà di architettura
qualcuno ha sollevato quei bastoni.
Era un casino: beh sono d’accordo
era un po’ duro prendere quel treno
tra un mucchio di pidocchi e di illusioni
giocare un ruolo “noi figli del sole”
giocare un ruolo “noi figli del sole”.
Che intanto si è rimasti nella merda,
che s’è pagato duro lo sapete
ma ora che si vende il ‘68
sento puzzo di morte e non mi va.

Il pezzo comunque termina con una sorta di augurio e insieme speranza di “non mollare”, da parte di chi, come loro, sono «matti» e vogliono «fare a pezzi gli steccati».

Noi siamo ancor più vecchi e sempre matti
vogliamo fare a pezzi gli steccati:
ragazzi, non mollate proprio adesso
che c’è una vita tutta da inventare.
Ragazzi, non mollate proprio adesso
ragazzi, non lasciatevi incastrare
ragazzi, non lasciatevi incastrare
ragazzi, non lasciatevi incastrare.

Fra i cantautori vi è anche un altro artista – marchigiano della città di Macerata – Roberto Scocco. Quest’ultimo inizia la sua attività da giovanissimo, appena sedicenne, nel 1972 suonando brani di Leo Valeriano. Nel 1977, autoproduce, registrandola dal vivo, la musicassetta Bella scrittura e partecipa anche lui al primo Campo Hobbit e nel 1978 al secondo Campo Hobbit. Pubblica, l’anno successivo, nel 1979, il suo secondo nastro, Uomo come sei. Passata la stagione della militanza politica, esce dalle scene per molti anni fino al Primo Convegno nazionale della Musica alternativa a Roma, che si terrà nel 2001. Il 12 novembre 2010 ritornerà sul palco, ad un convegno sulla musica alternativa, dal titolo, Il nostro canto libero, a Fermo, dove suonerà con Fabrizio Marzi e il gruppo giovanile III Via in quella che sarà la sua ultima esibizione dal vivo62.
Nel suo primo album Scocco, oltre che a musicare alcuni pezzi popolari marchigiani, scrive canzoni intimiste come Bella scrittura, La palude, La vendetta della civetta, Quando ero piccolo, Le bionde trecce, il riso e le parole (il cui testo è tratto da una poesia di Giusto De’ Conti); non mancano brani dedicati ai “martiri” neofascisti: Marzo infuocato (in ricordo di Mikis Mantakas), A Sergio, dedicata a Sergio Ramelli, militante del Fronte della gioventù, morto, nell’aprile del 1975 dopo molti giorni di agonia, a seguito di un’aggressione da parte di militanti di estrema sinistra.
Nel suo secondo album, Uomo come sei, l’artista maceratese mette in musica il suo sogno di un mondo estraneo al piatto progresso contemporaneo; tratteggia una terra di sudore e fatica, raccontata come un’oasi di felicità nell’incontro inedito con una natura un po’ sfruttata ma anche addomesticata con paziente ostinazione: un lavoro che rimane sospeso fra l’epico e il bucolico.
Ad esempio in Contadino, Scocco canta di un universo ideale in cui spiccano alcune tematiche appartenenti pienamente alle istanze culturali della destra neofascista del secondo dopoguerra: la Tradizione, la massificazione e l’omologazione. Il brano recita:

È ancora notte e tu già sei in piedi
il cane che abbaia e il gallo e le vacche
un tozzo di pane e vino e salsicce
poi accendi il tuo sole e via ad arare.
[…]
Contadino duro e abbronzato
tu che conosci il profumo della terra
tu che capisci le cose della vita
uomo disprezzi la massa della città.
Lavori la terra con il tuo aratro
e getti il seme nel suo grembo ferito
unito alla terra e poi i vostri figli
rinnovi l’amore più intenso ogni anno.
E poi la sera ritorni a casa
e stanco guardi la tua famiglia
e insegni ai tuoi figli quello che ti hanno insegnato
ma loro non ti ascoltano e ti hanno abbandonato.
E vanno in città attratti da un’altra vita
che a loro sembra sia molto migliore
si vergognano di te e dove sono nati
e in bocca al grande mostro si sono gettati.
Contadino ormai solo e invecchiato
ricordi ancora il profumo della terra
tu sai cose che gli altri hanno dimenticato
tu e la tua tradizione vogliano che siate il passato.
Vecchio contadino non disperare
vedrai presto tornare il gallo a cantare
e la tua terra ormai con te avvizzita
risplenderà ancora in una nuova vita,
e la tua terra con te così avvizzita
risplenderà ancora in nuova vita.

Ne Il ritmo della macchina, il cantante affronta il tema dell’alienazione del lavoro in fabbrica e la “schiavitù” della macchina che porta addirittura a distorcere i rapporti d’amore.
Infatti, alcuni brani del pezzo recitano:

Come della api noi siamo in alveari
dove invece del miele c’è il pubblico interesse
e tieniti informato degli avvenimenti
perché se non stai attento ti trovi emarginato
e vai presto a lavorare ed entri nella fabbrica
dove il ritmo della macchina
ti entra nel cervello e non ti lascia più.
E quando è sera ti trovi con tua moglie
stai sotto il letto e vai come un matto
ma il ritmo della macchina è ormai dentro di te
e tratti la tua povera compagna come se fossi un pistone
povero uomo in questa condizione,
ma non se ne accorge ti sembra di far tutto,
marionetta del ricco burattinaio
e tagli i fili finché sei in tempo.

La trasformazione avvenuta in questo “mondo moderno” conduce anche ad un’uniformazione anche riguardante i gusti alimentari63.

Come era bello una volta e anche qualche cosa di più
quando eri piccolo tra fiori e semplici menu.
Adesso tutto è cambiato e non ci senti più
e la pasta condita con l’aglio che una volta tu rifiutavi
la paghi tanti quattrini nei locali più su.
Perché si fa così.
Perché si fa così.
Perché si fa così.

Nel panorama dei cantautori è necessario anche citare Renato Colella, che esordisce al primo Campo Hobbit, nel 1977, dove presenta, tra le altre, la canzone Altaforte musicata sull’omonima sestina di Ezra Pound. Partecipa anche ai successivi Campi Hobbit del 1978 e 1980. Comunque, non pubblicherà mai ufficialmente le sue canzoni. Pur uscendo dalle scene, continua la sua attività come musicista, divenendo direttore d’orchestra64.
Un altro cantautore è Massimo Morsello, che esordisce nel 1978 al secondo Campo Hobbit e che da lì in poi userà sempre lo pseudonimo di “Massimino”. Dopo la strage di Bologna, e dopo una condanna per banda armata e associazione sovversiva si rende latitante, fuggendo prima in Germania e poi a Londra, da dove scrive il suo secondo album, I nostri canti assassini, canzoni dall’esilio65.
Gravemente malato di tumore, si sottopone al trattamento sperimentale del dottor Di Bella, per il quale scriverà, nel 1998 una canzone di ringraziamento, dal titolo dedicata, Buon anno professore. Morirà nel 2001 a Londra.
Morsello mette in musica i temi della militanza politica e soprattutto con I nostri canti assassini descrive in termini esistenziali tutta quella generazione di giovani neofascisti le cui vite sono state attraversate dall’esperienza della banda armata e della violenza politica.
Dalla lettura del testo della canzone Canti assassini emergono proprio queste tematiche.

Entrammo nella vita dalla porta sbagliata
in un tempo vigliacco, con la faccia sudata,
ci sentimmo chiamare sempre più forte,
ci sentimmo morire ma non era la morte
e la vita ridendo ci prese per mano,
ci levò le catene per portarci lontano.
[…]
Ma sentendo parlare di una donna allo specchio,
di un ragazzo a vent’anni che moriva da vecchio
e di un vecchio ricordo di vent’anni passati,
di occasioni mancate e di treni perduti
e scoprimmo l’amore e scoprimmo la strada,
difendemmo l’onore col sorriso e la spada.
Scordammo la casa e il suo caldo com’era
per il caldo più freddo di una fredda galera
e uccidemmo la noia annoiando la morte
e vincemmo soltanto cantando più forte
e ora siamo lontani, siamo tutti vicini
e lanciamo nel cielo i nostri canti assassini
e ora siamo lontani, siamo tutti vicini
e lanciamo nel cielo i nostri canti bambini.

5. Dalla musica alternativa al rock identitario

Dopo il periodo d’oro, in cui vi sono stati numerosi concerti, parecchia produzione di dischi e cassette, molti giovani cantautori che si cimentano in questa esperienza e la nascita di molteplici gruppi, già nei primi anni Ottanta, inizia il riflusso e l’entusiasmo si smorza.
Questo dipende, oltre che da motivi prettamente economici e strutturali, come il fallimento dell’idea di costituire un network fra le radio alternative con la conseguente chiusura di molte di esse e come la fine di alcune esperienze editoriali che hanno seguito da vicino il fenomeno musicale “alternativo” (come quella de “La voce della fogna”), anche dagli effetti della repressione operata, a seguito della strage di Bologna, dalle forze dell’ordine e dalla magistratura sui movimenti neofascisti66. Il periodo rappresenta un momento di transizione che necessariamente conduce chi fa politica a destra ad accantonare le esperienze culturali, e parzialmente, anche la stessa militanza vera e propria.
Dopo questo periodo in cui la creatività artistica lascia il posto ad una sorta di revival costituito quasi esclusivamente dall’opera di alcuni militanti che si preoccupano di raccogliere i lavori già esistenti e “tramandarli” e che, in qualche caso, creano nuovi prodotti registrandoli in maniera rudimentale, negli anni Novanta il fenomeno muta ancora di segno. Nascono nuovi gruppi, si sviluppa la musica Oi, importata dall’Inghilterra e il Punk rock e lo ska evolvono67.
Dal punto di vista politico, la destra neofascista diviene forza di governo, con la fine della prima Repubblica e la trasformazione del Msi in Alleanza nazionale. Questi fattori contribuiscono a ridisegnare una nuova identità politica nella destra neofascista. Inoltre, le nuove tecnologie e lo sviluppo della rete internet hanno facilitato lo sviluppo e la diffusione di una nuova cultura alternativa che da semplice patrimonio culturale underground e semiclandestino con una propensione quasi esclusivamente elitaria diventa ormai alla portata di un pubblico più ampio. Così, la scena musicale appare più vivace e dalla musica alternativa vera e propria si passa al Rock identitario68.
In ogni caso fra la musica alternativa degli anni Settanta e il fenomeno musicale odierno del Rock identitario aldilà delle differenze stilistiche, vi sono molte continuità, poiché quest’ultimo rappresenta la naturale eredità di quella originaria esperienza che racchiude in sé il patrimonio culturale dei militanti della destra neofascista. La musica alternativa all’epoca ha rappresentato l’unica forma di espressione in grado di tramandare idee, raccontare storie e trasmettere conoscenze che altrimenti non avrebbero potuto essere ricordate, dal momento che a destra non si è potuto beneficiare degli apparati e supporti culturali di cui, a sinistra, invece si è potuto usufruire. La musica in questo universo ha rappresentato il modo per “consegnare” un patrimonio e un armamentario culturale sommerso, rafforzando l’identità e il senso di appartenenza69.
Il fenomeno che più di tutti oggi rappresenta un vero e proprio punto di partenza e insieme punto di arrivo del fenomeno musicale della destra militante neofascista di tutto il secondo dopoguerra fino ai nostri giorni è il portale Lorien: il portale dei cantiribelli (attualità, storia, archivio della musica non conforme). Alla base di questo archivio telematico vi è il lavoro dell’associazione culturale omonima70. Esistono molti archivi digitali ma certamente Lorien rappresenta il più completo fra tutti: sono presenti documenti, come i manifesti, le locandine, i testi delle canzoni, le biografie, le rassegne stampa che hanno interessato i protagonisti della scena musicale di destra dalle origini della musica alternativa fino a tutte le contemporanee diramazioni ed evoluzioni. Le informazioni e i documenti che sono contenuti in questo archivio, estremamente ampio, diventano essenziali – accanto alla scarsa storiografia presente sul tema71 – per lo studio di questo fenomeno che ha rappresentato e rappresenta un universo che attraverso la canzone, con una forte carica mitopoietica nei testi e una cura scarsa dal punto di vista della struttura musicale, ha voluto delineare la contestazione e la ribellione non solo verso un governo, uno stile di vita, un approccio politico, ma contro i valori alla base del mondo moderno e della società sorta dalla seconda guerra mondiale.

Note

  1. Roberto Gatti, Rock, rock, alalà!, in “L’Espresso”, 26 aprile 1980.
  2. Si vedano Claudio Fossati, Et voilà le Rock, in “Linea”, n. 21, 1 febbraio 1980; Claudio Fossati, Avanti March ….al, in “Linea”, n. 22, 15 febbraio 1980; Telphone et voilà le rock!, in “Linea”, n. 23, 1 marzo 1980; Claudio Fossati, Rosso o Nero? È solo questione di….rock, in “Linea”, n. 26, 15 aprile 1980. Anche su altre riviste di area appaiono in quel periodo altri articoli che denotano l’interesse verso quel genere musicale, cfr., Maurizio Cabona, Il tuo disco è come un rock, 21 febbraio 1980.
  3. Il Bagaglino avrebbe dovuto chiamarsi il Bragaglino in onore di Anton Giulio Bragaglia, il futurista fondatore de il Teatro sperimentale degli indipendenti, ma gli eredi del regista e critico cinematografico non hanno fornito l’autorizzazione, così il Bragaglino, nel suo nome, perde la “r”, in Luciano Lanna, Filippo Rossi, Fascisti immaginari. Tutto quello che c’è da sapere sulla destra, Firenze, Vallecchi, 2003, p. 49.
  4. Alcune strofe della canzone recitano così: «Le donne non ci vogliono più bene/ perché portiamo la Camicia Nera/ ci hanno detto che siamo da catene, / ci hanno detto che siamo da galera./ L’amore coi fascisti non conviene,/ Meglio un vigliacco che non ha bandiera,/ uno che non ha sangue nelle vene,/ uno che serberà la pelle intera./ Ce ne freghiamo! La Signora Morte,/ fa la civetta in mezzo alla battaglia,/ si fa baciare solo dai soldati./ […]. Lasciate l’altre donne agl’imboscati». A questa canzone vi è stata la risposta delle donne con un brano (anonimo per il testo e per la musica) dal titolo, La risposta delle donne: «Le donne non vi vogliono più bene/ perché portate la camicia nera./ Non vi cucciate: cosa da galera/ fu giudicato Cristo, e da catene./ A voi fascisti, a voi non vi si conviene/ che rinnegò la Patria e la Bandiera,/ che donò al nemico tutta intera,/ chi ha stoppa in capo ed acqua nella vene./ Voi che correte il palio della morte, / la Patria onora e premio alla battaglia/ è il mirto che fiorisce pei soldati./ E un cuor di donna vi farà la corte/ che vi seguito sotto la mitraglia,/ un cuore che disprezza gli imboscati, in Dal risorgimento al fascismo. Due secoli di storia nei canti del popolo, Roma, edizioni Wage, 1985, pp. 129-130.
  5. In un’Informativa del questore di Roma, era scritto che il circolo teatrale de Il Bagaglino si era costituito per «stimolare negli associati un maggior interesse per il teatro e, al tempo stesso, per offrire loro un “ambiente sano” dove potersi ritrovare e trascorrere una buona serata», in Archivio Centrale dello Stato (Acs), Pubblica Sicurezza, Categoria G (1944-1986), busta 148, fascicolo 100/53, Informativa del questore di Roma, 24 novembre 1965.
  6. L. Lanna e F. Rossi, Fascisti immaginari, cit., p. 50.
  7. Gli antesignani, in Agenda 2007. La storia del 1977, Monza, Associazione Culturale Lorien, 2007, p. 32.
  8. Movimento integralista, in Associazione Culturale Lorien, visto il 30/09/2020.
  9. Ibidem.
  10. Agenda 2007, cit., p. 11.
  11. Europa Civiltà, in Associazione Culturale Lorien, visto il 30/09/2020.
  12. Una delle canzoni che Pino Caruso canta durante gli spettacoli de Il Giardino dei supplizi è Il mercenario di Lucera (scritta da Pingitore e musicata da Gribanovki). Il brano, molto intimista, è dedicato ai fascisti che nel secondo dopoguerra, decidendo di non deporre le armi, hanno lasciato l’Italia per cercare la “bella morte” in Africa. Racconta la storia di un mercenario italiano morto nel Congo dilaniato dalla guerra anticolonialista e dalle lotte tribali. Alcuni versi della canzone recitano così: «Son morto nel Katanga, venivo da Lucera,/ avevo quarant’anni e la fedina (camicia) nera./ Di me la gente dice ch’ero coi mercenari/ soltanto per bottino, soltanto per denari./ […] Amavo un’entraîneuse di razza congolose,/ ma l’ho perduta ai dadi con Jimmy l’irlandese./ Salvai monache e frati dal rogo del ribelle,/ ma l’Onu se ne frega se brucia la mia pelle./ E la mia pelle brucia perché sono mercenario,/ ma il Papa se ne frega e sgrana il suo rosario. / Evviva la morte mia. Viva la gioventù […]. Il lato “B” del disco, che contiene questa canzone, riporta un brano dedicato a Che Guevara, Addio Che, scritto anch’esso da Pingitore dopo la notizia della morte del rivoluzionario, e cantato da Gabriella Ferri. Ispirata all’eroe argentino è stata scritta anche un’altra canzone, C’era un ragazzo dalla barba nera, composta da Mario Castellacci insieme a Domenico Modugno e Silvano Spadaccino, in L. Lanna e F. Rossi, Fascisti immaginari, cit., p. 89. Sul rapporto fra il mito di Che Guevara e la destra si veda, Mario La Ferla, L’altro Che. Ernesto Guevara mito e simbolo della destra militante, Viterbo, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2009.
  13. Le origini: dal cabaret a Hobbit, in Agenda 2007, cit., p. 32. Il nuovo locale, situato a piazza Rondanini a Roma, prende il nome dalla rubrica di arte e cultura che Leo Longanesi ha creato, fin dal primo numero de “Il Borghese” dandole il medesimo titolo del romanzo erotico di Octave Mirbeau, in L. Lanna e F. Rossi, Fascisti immaginari, cit., p. 51.
  14. Una voce italiana sul Muro di Berlino, in “Roma”, 11 luglio 1966.
  15. Leo Valeriano, C’era una volta il cabaret, Roma, Associazione Culturale Aurora Mediterranea, 2014 [1^ edizione 1996], p. 48.
  16. Cristina Di Giorgi, Ippolito Edmondo Ferrario, Il nostro canto libero. Il neofascismo e la musica alternativa: lotta politica e conflitto generazionale negli Anni di Piombo, Roma, Castelvecchi, p. 272.
  17. L. Valeriano, C’era una volta il cabaret, cit., pp. 61-62.
  18. Giuseppe de Grassi, Mille papaveri rossi. Storia d’Italia attraverso la canzone politica, Bologna, Thema, 1994, pp. 240-241. Sull’uso della chitarra come strumento “principe” utilizzato nella musica politica sia a destra che a sinistra, si veda Gianni Borgna, Il tempo della musica, Roma-Bari, Laterza, 1983, pp. 164-165.
  19. G. De Grassi, Mille papaveri rossi, cit., p. 244.
  20. Adalberto Baldoni, Il crollo dei miti. Utopie, ideologie e estremismi, dalla fine del “miracolo economico” alla crisi della Prima Repubblica, Roma, Settimo Sigillo, 1996, p. 269.
  21. Ibidem.
  22. Ibidem, p. 266. Il corsivo è nel testo.
  23. Le origini: dal cabaret a Hobbit, in Agenda 2007, cit., p. 33. Sui Campi Hobbit ci si permette di rimandare, fra gli altri, a Loredana Guerrieri, All’Hobbit, all’Hobbit… siam fascisti! in “Giornale di Storia Costituzionale”, n. 10, II semestre 2005 [ora anche in Marco Tarchi, La rivoluzione impossibile. Dai Campi Hobbit alla Nuova destra, Firenze, Vallecchi, 2009.
  24. C. Di Giorgi, I. E. Ferrario, Il nostro canto libero, cit., pp. 43-44.
  25. A. Baldoni, Il crollo dei miti, cit., pp. 197-198.
  26. Compagnia dell’anello, in Agenda 2007, cit. p. 43
  27. Gruppo padovano di protesta nazionale, in Associazione Culturale Lorien, visto il 28/10/2020.
  28. La canzone è dedicata a Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci uccisi dalle Brigate rosse nella sede del Msi di Padova il 17 giugno 1974. Il testo del brano è tratto dal volantino diffuso dai militanti del Fronte della gioventù della città veneta in seguito all’evento, in Trafiletto a Padova 17 giugno, in Agenda 2007, cit. p. 30.
  29. Gruppo padovano di protesta nazionale, in Associazione Culturale Lorien, visto il 28/10/2020.
  30. Filippo Rossi, Di là dall’acqua. Il nuovo CD della Compagnia dell’anello, in “Ideazione”, 6 dicembre 2002.
  31. Ibidem.
  32. L. Lanna e F. Rossi, Fascisti immaginari, cit., p. 228.
  33. Giovanni Forti, Come duce vogliamo il Signore degli anelli, in “L’Europeo”, n. 31, 29 luglio 1980.
  34. Proprio in concomitanza dell’uscita dell’album, La terra di Thule, il gruppo amplia la sua formazione e modifica anche, in qualche modo, la sua musica dal punto di vista strumentale: dall’uso iniziale di due chitarre si passa a una struttura musicale completa di tastiere, percussione e altri strumenti, in Adalberto Baldoni, Storia della destra. Dal postfascismo al Popolo della libertà, Firenze, Vallecchi, 2009, p. 247.
  35. Il gruppo è stato fondato da Massimo Di Nunzio e Maurizio Sebastianelli a Palestrina, in provincia di Roma, con l’intento di studiare e far conoscere la tradizione musicale nord-europea; propone un repertorio che affonda le sue radici prevalentemente nella cultura irlandese e nelle sonorità della tradizione celtica. Cfr. Alchemia Cheltha in Associazione Culturale Lorien, visto il 30/10/2020. Leo Valeriano, negli anni Novanta, dalle pagine del quotidiano “Il secolo d‘Italia”, scriverà che questo tipo di musica, quella celtica, sembra che abbia in qualche modo veicolato il “ritorno” della musica alternativa di destra sia all’interno dell’ambiente che all’esterno. Infatti, specificherà: «Da qualche tempo a questa parte sembra essere rinata l’attenzione da parte degli ascoltatori di canzoni pregiate nei confronti di quella branca minore della cultura di destra che in passato fu chiamata musica alternativa. Si tratta di un modo di esprimere musicalmente testi poetici che deriva da molto lontano, dagli scaldi germanici ai bardi celtici, e che narra storie, avvenimenti e sentimenti legati all’interpretazione epica della storia e del senso eroico della vita. Una canzone d’autore che possiamo considerare tipicamente di destra solo perché viene avversata dalle sinistre e che potrebbe essere utile anche a diffondere messaggi politici», in Leo Valeriano, Torna la poesia in musica, in “Il secolo d’Italia”, 21 maggio 1996. Si veda, anche Alessandra Longo, E la sera cantavamo Boia chi molla, in “La Repubblica”, 25 agosto 1995.
  36. Amici del vento, in Agenda 2007, cit., p. 43.
  37. Nella notte del 16 aprile 1973, i fratelli Virgilio Mattei di 22 anni e Stefano Mattei di 8 anni, figli di Mario Mattei, segretario della sezione del Movimento sociale italiano del quartiere romano di Primavalle, muoiono bruciati vivi durante un incendio appiccato alla loro casa. Saranno condannati tre componenti di Potere operaio, Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo.
  38. Nell’ambiente, con il passare del tempo, si è diffusa la notizia che questa lettera è stata pubblicata sulle pagine de “Il secolo d’Italia”; in realtà, la missiva è apparsa su “La sfida”, periodico del Fronte della gioventù, all’interno dell’articolo Morire a Roma, che contiene uno scritto della ragazza dello studente greco, Sabrina. Si tratta di una lettera aperta, composta all’indomani della morte di Mantakas, in cui la giovane ricorda il suo fidanzato e gli ultimi istanti passati insieme. Si veda, Sabrina, Morire a Roma, in “La sfida”, n. 9, 13 marzo 1975, p. 5.
  39. C. Di Giorgi, I. E. Ferrario, Il nostro canto libero, cit., p. 119.
  40. Ibidem.
  41. Dell’album fa parte anche la canzone Forchette nazionali, che rappresenta una critica contro il Psi. Queste sono alcune strofe della canzone: Partito partito, partito Socialista/ la migliore garanzia del mondo antifascista./ Forchette, forchette, forchette nazionali/ per arraffar miliardi senza pene fiscali.
  42. Parecchie testate si occuperanno dell’evento, si veda, fra i tanti, il reportage de “La Repubblica”, La musica di destra concerto a Ceriale, in “La repubblica”, 28 agosto 1995; Ilaria Cavo, Di scena in Liguria la musica di destra, in “Il giornale”, 26 agosto 1995; Agil, Concerto storico a Ceriale, in “La stampa”, 25 agosto 1995.
  43. A. Baldoni, Storia della destra, cit., p. 247.
  44. Si veda Vento del sud, in Associazione Culturale Lorien, visto il 04/11/2020.
  45. A. Baldoni, Storia della destra, cit., p. 248.
  46. Marco Valenzi è stato un uomo politico del Partito comunista italiano e sindaco di Napoli dal 1975 al 1983.
  47. La sigla Zpm è l’acronimo dei nomi dei componenti del gruppo: Zeno Corsaro, Paolo Scaravelli e Mario Luppi
  48. G. De Grassi, Mille papaveri rossi, cit., p. 246.
  49. Ivi, pp. 246-247.
  50. I brani contenuti nel disco sono Rivoluzione e Tempo di vittoria.
  51. Janus, in Associazione Culturale Lorien, visto il 04/11/2020. Alla chitarra e voce c’è Stefano Recchioni, che rimarrà ucciso, il 7 gennaio 1978, a Roma, a seguito degli scontri fra estremisti e forze dell’ordine, scoppiati subiti dopo la cosiddetta strage di via Acca Larentia, nella sede del Msi della stessa via della capitale, in cui a seguito di un agguato, operato da estremisti di sinistra, moriranno gli attivisti di destra Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta.
  52. A. Baldoni, Storia della destra, cit. p. 248. Nel 1979, Mario Ladich aiuta Jack Marchal, artista eclettico, conosciuto soprattutto per essere stato il disegnatore del celebre “topo nero” emblema della rivista “La voce della fogna”, il principale periodico della Nuova destra, ad incidere un album dal titolo, Science et violence, in Echi di Francia, in Agenda 2007, p. 85. Sull’evoluzione musicale del genere rock in Italia che tocca tutto il panorama musicale italiano si veda Claudio Silingardi, Percorsi musicali negli anni Settanta, in “Clionet. Per un senso del tempo e dei luoghi”, 3 (2019) [14-01-2020], visto il 10/11/2020.
  53. Janus, cit.
  54. Michele di Fiò, in Associazione Culturale Lorien, visto il 06/11/2020.
  55. Ad esempio, riguardo il tema dell’ecologia canta Ciao Seveso che parla del celebre episodio della nube tossica fuoriuscita dagli stabilimenti della Icmesa il 10 luglio 1976.
  56. Gianquinto è stato ucciso durante una manifestazione non autorizzata, organizzata per ricordare il primo anniversario della strage di Acca Larentia.
  57. G. De Grassi, Mille papaveri rossi, cit. p. 248.
  58. Ibidem.
  59. C. Di Giorgi, I. E. Ferrario, Il nostro canto libero, cit. p. 134
  60. A. Baldoni, Storia della destra, cit. p. 249.
  61. A questo proposito, secondo uno fra i più lucidi intellettuali di destra, Adriano Romualdi, la rivolta giovanile, oltre che per motivi contingenti, si è orientata definitivamente a sinistra, a causa del ruolo svolto proprio dal partito neofascista. «Il movimento studentesco così povero di riferimenti culturali – scrive Romualdi nel 1970 – era stato capitalizzato dalla sinistra perché la destra aveva scelto di praticare un “perbenismo imbecille”, fondato sulla garanzia “sicuramente nazionale, sicuramente cattolica, sicuramente antimarxista”, delegando ad altri la bandiera della protesta e della rivolta contro l’ordine borghese […] [La rivolta giovanile si era imposta alla gioventù di sinistra] perché dall’altra parte non esisteva più nulla. Seppellita sotto un cumulo di qualunquismo borghese e patriottardo […] la destra non aveva più una parola d’ordine da dare alla gioventù […]. In un’epoca di crescente eccitazione dei giovani, essa diceva loro ʻstatevi buoniʼ […]. Fossilizzata nelle trincee di retroguardia del patriottismo borghese, le organizzazioni giovanili ufficiali vegetavano senza più contatto alcuno col mondo delle idee, della cultura, della storia. È bastato un soffio di vento a spazzare questo immobilismo che voleva esser furbesco, ma era soltanto cretino. Bastarono le prime occupazioni per comprendere che dall’altra parte – quella della destra – non c’era più nulla […]. Quando le bandiere rosse sventolarono in quelle università […] molti guardarono a destra, attesero un segno. Ma il segno non venne […]. Maturata nei corridoi di partito, in un clima furbesco e procacciatore, [la] cosiddetta classe dirigente giovanile [di destra] non aveva assolutamente niente da dire di fronte alla formidabile offensiva ideologica delle sinistre. Ne era semplicemente spazzata via», in Adriano Romualdi, Contestazione controluce, in “Ordine Nuovo” n. 1, marzo-aprile 1970, pp. 22-24 (NdR: il corsivo è nel testo).
  62. Morirà suicida nei primi giorni del gennaio 2013, si veda fra gli altri, Antonio Pannullo, Suicida Roberto Scocco. Cantò le speranze dei ragazzi di destra, in “Il Secolo d’Italia”, 4 gennaio 2013.
  63. I lavori dell’arista sembrerebbero risentire molto della “rivolta contro il mondo moderno” direttamente scaturente dalle idee del filosofo Julius Evola, il pensatore che è stato un punto di riferimento culturale essenziale all’interno degli ambienti della destra neofascista del secondo dopoguerra. In un’altra canzone di Scocco, dal titolo Da un soggetto fotografico, sono presenti dei forti riferimenti alla fine del ciclo, ossia alla fine del mondo moderno e la “rinascita” degli uomini dalle “rovine”, come descritto da Evola nella sua opera Gli uomini e le rovine, si veda Julius Evola, Gli uomini e le rovine, Roma, Edizioni dell’ascia, 1953. A questo proposito, si potrebbe citare anche un’altra opera del filosofo che sembra rappresentare un testo di forte ispirazione per le canzoni di Scocco: Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Milano, Hoepli, 1934.
  64. Renato Colella, in Associazione Culturale Lorien, visto il 18/11/2020
  65. Ha inciso il suo primo album nel 1978 dal titolo Per me e la mia gente.
  66. Nicola Antolini, Fuori dal cerchio. Viaggio nella destra radicale italiana, Roma, Elliot edizioni Srl, 2010, p. 319. La rivista “La voce della fogna”, diretta da Marco Tarchi, ha avuto le sue pubblicazioni dal 1974 al 1983.
  67. All’interno de Il fronte della gioventù nasce un progetto culturale dal titolo Divisione Arte, abbreviato in Dart. Il Dart pubblica una sua fanzine “Opera al nero”, in cui vengono trattati argomenti musicali, vengono pubblicate recensioni, interviste e fumetti autoprodotti. Il movimento che gravita attorno a “Opera al nero” realizza anche le prime registrazioni musicali dei nuovi gruppi che promuove, come la band degli Intolleranza (nato a sua volta dal gruppo Hyperborea), si veda Domenico de Tullio, Centri sociali di destra. Occupazioni e culture non conformi, Roma, Castelvecchi, 2006, pp. 24-36.
  68. Uno dei gruppi più importanti di questo genere è quello degli ZetaZeroAlfa; la band capitanata da Gianluca Iannone è il complesso di riferimento della Associazione di promozione sociale, Casa Pound.
  69. N. Antolini, Fuori dal cerchio, cit., p. 321.
  70. Il presidente dell’associazione è Guido Giraudo, componente degli Amici del vento.
  71. Fra i pochi lavori che trattano dell’argomento, possiamo citare il testo di C. Di Giorgi, I. E. Ferrario, Il nostro canto libero, cit., un altro libro sempre di Cristina Di Giorgi, Note alternative. La musica emergente dei giovani di destra, Roma, edizioni Trecento, 2008; esistono anche altri testi che rappresentano delle raccolte di testi e musica sotto forma di Cd, come per esempio Agenda 2007, cit. e Aavv, Voci contro vento, Roma, Fergen, 2012.

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