Foucault e l’antipsichiatria italiana: una critica al panoptismo come prassi psichiatrica

Carlotta Rodighiero, Foucault e l’antipsichiatria italiana: una critica al panoptismo come prassi psichiatrica, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 59, no. 2, giugno 2025, doi:10.48276/issn.2280-8833.12878
1. Panopticon come espressione del potere disciplinare
«Ci sono pratiche così remote che si fa fatica a recuperarne l’origine, così come ci sono sofferenze che diventano invisibili consuetudini1». Così Dario Stefano dell’Aquila apre la sua riflessione sulle prassi ancora vigenti nel 2025 all’interno dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC). Il discorso, ampio e complesso, relativo alla iatrogenicità delle azioni terapeutiche e alla dimensione di potere, silente ma diffusa in tali contesti, è oggetto di dibattito da ormai cinquant’anni. Nonostante in Italia il manicomio sia stato formalmente abolito nel 19782, tali riflessioni mantengono una rilevanza cruciale, poiché persistono usanze pericolose che negano la soggettività delle persone cui la cura dovrebbe essere destinata3. Qui, il termine cura è inteso secondo l’accezione proposta da Franca Ongaro, che ne recupera l’etimologia autentica: «un rapporto in cui una sofferenza è oggetto di partecipazione, solidarietà, comprensione e aiuto4».
Il presente saggio intende ricostruire la genealogia di tali pratiche, ripercorrendo gli studi di Michel Foucault. In particolare, il concetto di Panopticon viene adottato come lente interpretativa per comprendere le dinamiche di potere e di sorveglianza che si instaurano all’interno delle relazioni di cura5. Successivamente, verranno presentante alcune delle proposte riformatrici avanzate da Franco Basaglia e Franca O
ngaro, unitariamente al gruppo eterogeneo di collaboratrici e collaboratori che, a partire dal 1961, hanno contribuito alla creazione e alla diffusione di un’esperienza sociale e politica, segnata da una “pedagogia di liberazione” che intendeva trasformare il modo di stare insieme, di comunicare e di organizzarsi contro l’oppressione6.
Michel Foucault introduce il Panopticon nel 1975, con il saggio Surveiller et punir. Naissance de la prison, esplorandone le implicazioni a partire dalla struttura architettonica ideata da Jeremy Bentham alla fine del XVIII secolo7. L’edificio, progettato con finalità carcerarie, è costituito da una torre centrale, destinata all’osservatore, circondata da una costruzione circolare nella quale sono disposte le celle destinate ai reclusi, separate tra loro da spessi muri. L’obiettivo di tale architettura è massimizzare l’efficienza e garantire l’ordine, riducendo al contempo i costi della sorveglianza. Ciò che Foucault coglie, tuttavia, è la pervasività delle implicazioni del Panopticon, che trascende la sua applicazione specifica e più immediata ossia modalità attraverso cui è possibile esercitare un controllo costante, o meglio, agire una pressione silenziosa affinché chi viene osservato interiorizzi lo stato di sorveglianza.
«Di qui l’effetto principale del Panopticon: indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità che assicura il funzionamento automatico del potere. Far sì che la sorveglianza sia permanente nei suoi effetti, anche se è discontinua nella sua azione […]8»
Quest’esito ha influenzato non solo la conformazione delle istituzioni sviluppatesi dalla fine del XVIII secolo, ma anche un macro-assetto della contemporaneità, soggiogata dalla sorveglianza di cui Foucault, peraltro, ne aveva intuito la spinta alla tecnologizzazione e alla progressiva invisibilizzazione9. La portata invasiva di quello che viene chiamato ordinamento panottico si concretizza come meccanismo elementare e facilmente trasferibile, per cui la società tutta tenderà ad essere attraversata e penetrata da meccanismi disciplinari10. Con meccanismi disciplinari il filosofo intende le procedure attraverso cui viene attuato un controllo costante che ha come conseguenza l’applicazione di un potere punitivo immediato. Il confinamento della persona in spazi determinati e predefiniti si concretizza in una vera e propria confisca del corpo. La disciplina si dispiega nell’organizzazione e nella regolamentazione del tempo, dei gesti e dei comportamenti attraverso l’introduzione di esercizi11.
Già nel 1973, durante le lezioni tenute al Collège de France sul potere psichiatrico, di fronte a una platea numerosissima, Foucault aveva ricostruito la genealogia di tale potere, definendolo:
«[…] una certa forma, in qualche modo terminale, capillare, del potere, un ultimo snodo, una determinata modalità attraverso la quale il potere politico – i poteri in generale – arrivano, come ultima soglia della loro azione, a toccare i corpi, a far presa su di essi, a registrare i gesti, i comportamenti, le abitudini, le parole12[…]»
Dal punto di vista storico, tali procedure possono essere inizialmente rintracciate nelle comunità religiose medievali, ma successivamente vengono trasferite anche nelle istituzioni laiche, diventando progressivamente un tratto distintivo delle società occidentali. Un esempio emblematico di tale processo è rappresentato dalla riforma cistercense che introduce nell’ordine monastico una serie di regole che hanno come destinatario ultimo proprio il corpo dei membri della comunità13. Si fa riferimento all’obbligatorietà dei lavori manuali, alla regola della povertà, alla gerarchia e all’obbedienza interna. Il controllo della routine quotidiana passa attraverso l’imposizione di pratiche circoscritte, ma pervasive, che non lasciano spazio a decisioni soggettive, come la regolamentazione dell’alimentazione attraverso l’imposizione di un regime di tipo deprivativo. I momenti della giornata vengono rigidamente scanditi dalla preghiera, dal lavoro e dall’abolizione del tempo libero. Parallelamente, la contabilità inizia ad assumere un ruolo sempre più centrale, con l’introduzione di un sistema di annotazioni che registra per iscritto gli accadimenti quotidiani. Attraverso la trascrizione di codici comportamentali, si fissano regole che, una volta formulate, consentono di delineare con precisione i comportamenti auspicati e conformi alle norme.
Nel XVIII secolo, il potere disciplinare si estende anche ad altri ambiti. Nell’esercito vengono introdotti esercizi corporali e un sistema di sorveglianza finalizzato a prevenire il fenomeno della diserzione14. Il controllo dei corpi, l’ottimizzazione delle risorse, la gestione del tempo e degli spazi permettono inoltre lo sviluppo della protoindustria. Le masse operaie, provenienti dalle campagne, si spostano verso i centri metallurgici per lavorare nei grandi opifici, creando possibili disordini e tensioni sociali. In risposta, vengono impiegati dispositivi destinati a disciplinare le loro azioni: non a caso, in questo periodo, si diffonde il libretto del lavoro, strumento di sorveglianza e controllo15.
L’elemento della scrittura è centrale nel sistema disciplinare, poiché attraverso di essa il potere può esercitarsi in maniera continua sin dal primo momento, definendo le biografie e le identità delle persone, fissando le regole e i comportamenti auspicati. La forza di questo dispositivo risiede nel fatto che, una volta fissata per iscritto la norma, essa diventa valida di per sé, senza necessitare di ulteriori giustificazioni né dell’incarnazione autoritaria di una figura che detiene il potere.
«[…] vediamo emergere il processo in forza del quale i corpi, i comportamenti, i discorsi delle persone vengono a poco a poco investiti da una trama di scritture, da una sorta di plasma grafico che li registra, li codifica, li trasmette lungo la scala gerarchica e finisce col subordinarli a un ordine centralizzato16.»
Anche la gerarchia inizia ad assumere una rilevanza sempre più incisiva, tanto che il potere che si realizza viene definito da Foucault come “isotopico” o tendente all’isotopia, in base al principio secondo cui gli individui vengono fissati in posizioni precise. Ogni elemento occupa un posto ben determinato: è subordinato ad alcuni elementi e, a sua volta, ne subordina altri17. La distinzione tra i vari ranghi e la disparità di potere si fa esplicita in una struttura stabile che non consente il cambiamento della propria locazione, se non attraverso un meccanismo regolato e preventivamente stabilito dal sistema. In questo contesto, ritorna calzante l’immagine del Panopticon, in cui ciascun corpo ha la sua ubicazione, alla quale non può sottrarsi.
Il sistema disciplinare, finemente organizzato secondo uno schema gerarchico ordinato, permette il funzionamento congiunto dei vari dispositivi affinché essi non interferiscano tra di loro, ma tendano a consolidare il potere in maniera orchestrata. Soprattutto, ciò che Foucault sottolinea, è che in tal sistema si crea inevitabilmente uno scarto, anche chiamato “residuo”. Questo scarto è rappresentato dagli elementi che sfuggono alla sorveglianza, per i quali le categorie predefinite non sono applicabili, ma a cui possono essere destinati altri sistemi disciplinari, in un processo senza fine che tende ad autoalimentarsi. La funzione disciplinare è, da un lato, normante, perché stabilisce una norma assunta come universale e imposta come canone e al contempo escludente, poiché definisce come residuo e scarto ciò che non può essere inglobato. Viene così ricalcata una logica dualistica di inclusione ed esclusione, che non consente l’emergere di variabilità e complessità:
«In breve, il potere disciplinare presenta questa duplice proprietà di essere anomizzante, vale a dire di ridurre costantemente ai margini un certo numero di individui, di produrre anomia, di far emergere irriducibilità, e al contempo di essere sempre normalizzatore, di inventare sempre nuovi sistemi di recupero, di ristabilire ogni volta, di nuovo, la regola18.»
Il potere maggiormente diffuso nei secoli precedenti era quello di sovranità. Regolava non solo i rapporti feudali tipici dell’Ancien Régime, ma, più in generale, le relazioni sociali basate principalmente sullo scambio tra servigi offerti, manodopera, protezione e tutela. Il potere di sovranità necessitava di essere rinnovato con riti, dimostrazioni di forza e di prestigio, e dell’ausilio di simboli come la spada, la corona o il sigillo19. Richiedeva l’accentramento dell’autorità in una figura che la incarnava fisicamente. Al contrario, il potere disciplinare, di diversa matrice, non dipende da cerimonie che affermino la sua autorità, viene quotidianamente consolidato attraverso esercizi di disciplina e rigore. Se il potere di sovranità necessita di momenti rituali per legittimare la propria forza, quello disciplinare, tendendo al miglioramento in una prospettiva temporale, si riafferma mediante esercizi ripetuti con regolarità. Si fa riferimento all’addestramento del corpo, delle abilità, dei movimenti, della marcia, attraverso esercizi e tecniche precise che investono in modo totalizzante il soggetto cui sono destinati, agendo sulla sua corporeità, ma anche sui suoi desideri, bisogni e aspirazioni.
Il carattere panottico del potere disciplinare, ossia la visibilità costante e assoluta a cui l’individuo è esposto, agisce in modo attento e preciso sulle azioni e sulle loro conseguenze, valutate a posteriori. Ma soprattutto, e qui risiede l’aspetto innovativo del dispositivo, il potere disciplinare agisce sui comportamenti potenziali, in ottica preventiva e anticipatoria:
«È evidente, dunque, che sta delineandosi una pressione continua del potere disciplinare che verte non tanto sull’errore, sulla colpa o sul danno, bensì sulla potenzialità del comportamento. Ancor prima che il gesto sia compiuto, deve essere possibile identificare qualcosa, e il potere disciplinare deve intervenire, ma interviene in un certo senso prima della stessa manifestazione del comportamento, prima del corpo, del gesto20.»
Inizia quindi a essere proiettata e fatta aderire al corpo l’idea di una psiche, di un’intenzionalità che va soggiogata ancor prima che possa esprimersi. In questo processo panottico, la scrittura agisce come un elemento che amplifica e perfeziona il potere, registrando l’individuo nei suoi comportamenti potenziali. Il “panottismo pangrafico”, così definito da Foucault, serve a inquadrare e definire il soggetto in una forma, e, nel definirlo, lo confronta rispetto alla norma. Si consolida così progressivamente una linea di demarcazione tra normalità e devianza, e, implicitamente, vengono suggerite anche le relative modalità di recupero21.
« […] il potere disciplinare è individualizzante perché modula la funzione-soggetto alla singolarità somatica tramite la mediazione di un sistema di sorveglianza-scrittura, o ancora, per mezzo di un panottismo pangrafico che proietta dietro l’individualità somatica, come suo prolungamento o come suo cominciamento, un nucleo costituito da una serie di virtualità, una psiche, e che, inoltre, stabilisce la norma come principio di ripartizione, e la normalizzazione come prescrizione universale per tutti gli individui così costituiti22.»
È attraverso il potere disciplinare che il corpo viene soggettivato, ossia l’individuo viene fissato e fatto aderire alla singolarità somatica corporea. Il corpo, attraverso le tecniche di disciplinamento, la gestione del tempo, delle posture e dei comportamenti, non è più solo un involucro materiale, ma diventa un soggetto psichico. L’individuo non esiste a priori, ma viene determinato proprio dalla scrittura e dal suo potere di inquadrarlo in una forma condivisibile a livello di discorsi che abbiano come oggetto l’umano, i suoi comportamenti, i suoi atteggiamenti e le sue espressioni23. Foucault scrive che le scienze umane, come la sociologia e la psicologia, sono proprio l’esito di queste stesse procedure di individuazione, soggettivazione, osservazione e applicazione di categorie di norma e devianza. Esse propongono e plasmano un individuo artificiale chiamato a rispondere alle esigenze dell’ordine sociale e alle richieste del mercato: una sorta di idealtipo anonimo e, al contempo, normante. «In sintesi: presa in carico del corpo singolo da parte di un potere che lo inquadra e che lo costituisce come individuo, vale a dire come corpo assoggettato24.»
Avendo delineato le caratteristiche del potere disciplinare, risulta ora comprensibile come il Panopticon rappresenti la sua espressione più riuscita ed esemplificativa, poiché ingloba nell’architettura e nelle caratteristiche strutturali le strategie precedentemente analizzate. Foucault scrive che, nel suo essere polivalente, il Panopticon può essere impiegato in diversi ambiti, con le stesse finalità di irreggimentazione:
«È un tipo di inserimento dei corpi nello spazio, di distribuzione degli individui gli uni in rapporto agli altri, di organizzazione gerarchica, di disposizione dei centri e dei canali di potere, di definizione dei suoi strumenti e dei suoi modi di intervento, che si possono mettere in opera in ospedali, fabbriche, scuole, prigioni25.»
La componente utilitaristica del Panopticon non risiede esclusivamente nella sua configurazione strutturale, che consente di contenere i costi e di estendere il controllo a un numero maggiore di persone. Essa si manifesta anche nel fatto che automatizza e deindividualizza il potere, rendendone l’esercizio più rapido, leggero ed efficace26. In virtù dell’intrinseca asimmetria relazionale tra chi si trova nella torre e chi è rinchiuso nella cella, il ruolo del sorvegliante può essere esercitato da chiunque, anche in assenza di particolari doti, abilità o prestigio riconosciuto. Decade così la figura secolare dell’autorità sovrana, incarnazione del potere prepotente e aggressivo che aveva prevalso durante l’Ancien Régime, sostituita da quella del funzionario: un tecnico specializzato, inserito come ingranaggio in un macchinario dal funzionamento taylorista.
«Il potere è privo di materialità; non ha più bisogno di quella complessa armatura, al contempo simbolica e reale, che era propria del potere sovrano; non ha nemmeno bisogno di tenere in mano lo scettro o di brandire la spada per punire; non ha bisogno di colpire come la folgore, alla maniera del sovrano27.»
Se l’ideazione del Panopticon coincide con l’espressione architettonica del potere disciplinare, in quegli stessi anni si verifica un episodio che Foucault presenta ai suoi studenti come ulteriormente esemplificativo del dispiegarsi di questi nuovi rapporti di forza. In Inghilterra, alla fine del XVIII secolo, mentre Bentham progettava il suo “gioiello utilitaristico”, re Giorgio III iniziava a mostrare i primi segni di follia. Sebbene questi eventi non siano direttamente correlati, è comunque interessante osservare la trama di potere che emerge con modalità affini, mirando a soggiogare le forze imprevedibili e irrazionali per riportare la realtà all’interno di un sistema disciplinato e ordinato28. La scena di Giorgio III, narrata da Philippe Pinel nel Traité médico-philosophique del 1800, viene definita come uno dei momenti più emblematici del potere disciplinare declinato in ambito psichiatrico29. È possibile, infatti, individuare una serie di procedure e pratiche panottiche che rendono esplicito come, a esercitare presa sui corpi, non sia tanto la violenza vera e propria, ma un complesso intreccio disciplinare. Nella gestione della follia del regnante, operata dai tecnici, possono essere rintracciati diversi elementi che continueranno a esistere nella pratica psichiatrica, fino alla sua messa in discussione con il movimento dell’antipsichiatria30. Nella scena viene descritta una pratica considerata di cura, che può essere letta come la vittoria di un potere anonimo ma pervasivo sul potere furioso del re. Quando Giorgio III esordisce con sintomi maniacali, viene allontanato dalla sua famiglia e relegato in una stanza in totale solitudine. Due servitori vengono incaricati di provvedere ai suoi bisogni, con un atteggiamento composto e silenzioso, dovranno fargli avvertire la loro superiorità attraverso azioni quotidiane. Si narra che un giorno, l’alienato in crisi, alla vista del medico, si ribella e imbratta il luogo in cui è recluso di immondizia e sudiciume. Immediatamente, i servitori procedono a svestirlo, lavarlo, cambiargli l’abito e riportare ordine nella stanza imponendo disciplina nel caos della follia. Il re viene posto in una posizione di totale dipendenza, l’apparato di regalità e di potere che la sua figura incarnava, decade, piegato dalle tattiche dei sorveglianti. La stanza, perimetrata da materassi, imprigiona e isola l’individualità del re, riducendolo al suo stesso corpo. I suoi bisogni vengono anticipati e indotti dal potere disciplinare che non lascia spazio a manovre soggettive. Il potere è anonimo perché muta è la voce dei sorveglianti, agisce meccanicamente e si distribuisce gerarchicamente tra gli individui destinati al controllo, che diventano ingranaggi nel funzionamento del sistema. I discorsi sulla cura non hanno bisogno di essere formulati, possono rimanere nel silenzio, poiché in tale organizzazione vengono validati a priori da «[…] un potere che funziona solo attraverso un reticolo di relazioni, e che diventa visibile solo mediante la docilità e la sottomissione di coloro sui quali, in silenzio, esso si esercita31.»
In questa configurazione relazionale è evidente come il corpo e l’identità del sorvegliante non siano più centrali nell’esercizio del potere, poiché esso è disindividualizzato e circola nelle interazioni e nelle gerarchie. Il potere non è reso manifesto dalla persona in quanto soggetto, ma dalla posizione che essa occupa. È interessante notare che Bentham, per queste stesse ragioni, definisce il potere “democratico”32. Il controllo può essere esercitato da chiunque risieda nella torre: chiunque in quella determinata ubicazione può sorvegliare e indurre un’interiorizzazione dello stato di sorveglianza. Foucault chiama questa relazione costruita sull’asimmetria e sulla disparità “cinghia di potere”33. Essa diventerà un modello tacitamente adottato da varie istituzioni, tra cui il manicomio, dove le relazioni sono fondate sull’asimmetria.
2. Oltre la sorveglianza e la disciplina: le derive epistemologiche
La configurazione asimmetrica del rapporto tra chi osserva e chi è osservato, come mette in evidenza Foucault, genera delle conseguenze pervasive che vanno oltre le pur necessarie riflessioni sulla mortificazione del soggetto osservato. Nel Panopticon, assunto come cornice esplicativa di questa nuova forma di potere che plasma la società, viene annullata l’identità del soggetto, disumanizzato dallo stretto loculo in cui si trova relegato. Viene soppressa la sua possibilità di esprimersi, di fare, di intervenire sul reale; allo stesso tempo, si dissolve il principio di comunità, ossia la possibilità di entrare in relazione con gli altri, di aggregarsi, di percepirsi e riconoscersi come un “noi”. «La folla, massa compatta, luogo di molteplici scambi, individualità che si fondono, effetto collettivo, è abolita in favore di una collezione di individualità separate34».
Nel Panopticon, a ciascun corpo è assegnato uno spazio preciso, un luogo designato, e proprio attraverso questa disposizione viene scongiurata la possibilità che si inneschino fenomeni collettivi, di massa, spontanei e imprevedibili. Il potere, dunque, si rivolge contemporaneamente all’individuo e al gruppo, riducendoli da totalità organica a unità separate. Si realizza così quella che Foucault definisce “individualizzazione dal basso”, applicata a chi subisce gli effetti del potere. Se il potere di sovranità identificava e rendeva visibile colui che lo deteneva, anche tramite simboli che esprimevano il prestigio e la forza, il potere disciplinare inverte la sua direzione, ripiegandosi nei suoi punti terminali.
«Le coordinate spaziali hanno dunque una funzione individualizzante molto precisa. […] Non si abbia mai a che fare con una massa, con un gruppo, e neppure, per la verità, con una molteplicità, ma unicamente ed esclusivamente con individui35.»
D’altronde, sono proprio queste le ragioni che portarono alla nascita del Panopticon come strumento contenitivo, volto a controllare le masse che, con lo sviluppo industriale, iniziavano a rappresentare una minaccia per l’ordine pubblico e la crescita economica.
«Ciascuno, al suo posto, rinchiuso in una cella, è visto di faccia dal sorvegliante; ma i muri laterali gli impediscono di entrare in contatto coi compagni. È visto, ma non vede; oggetto di un’informazione, mai soggetto di una comunicazione36.»
È proprio in quest’ultima affermazione che si coglie la portata delle implicazioni del Panopticon, le quali penetrano nel campo epistemologico della produzione del sapere e delle conoscenze. In questa configurazione, chi osserva detiene il potere e dispone degli strumenti per definire modi, luoghi e tempi, in cui esiste – o non esiste – chi viene osservato. Ogni tentativo di fissare l’individuo in una forma stabile e definita è un atto di costrizione; come afferma Foucault, ogni meccanismo di oggettivazione può tramutarsi in strumento di assoggettamento37. La “produzione di verità”, secondo Foucault, si configura come un processo determinato e direzionato da chi occupa la posizione privilegiata dell’osservatore, idealmente collocato nella torre centrale, da cui esercita il potere conoscitivo e normativo sull’osservato recluso. Quest’ultimo diviene oggetto di sapere, intorno al quale si costruiscono discorsi, teorie, definizioni ed etichettamenti, tuttavia non può esprimersi come soggettività né far valere il proprio punto di vista.
«[…] il centro del potere è al contempo un centro di annotazione ininterrotta, di trascrizione puntuale del comportamento individuale. Codificazione e annotazione di tutto quel che stanno facendo gli individui nella loro cella; accumulazione di questo sapere; costituzione di sequenze e di serie che serviranno a caratterizzare gli individui38.»
L’individuo viene definito e inquadrato attraverso la scrittura, che registra, codifica e annota comportamenti e intenzioni. Così, l’individualità del soggetto, la sua identità, si trasforma diventando – con le parole di Foucault – un “ectoplasma scritto”: «L’effetto principale di questo rapporto di potere è dunque la costituzione di un sapere permanente relativo all’individuo, un individuo fissato in uno spazio determinato e seguito da uno sguardo virtualmente continuo, che definisce la curva temporale della sua evoluzione39».
Le annotazioni permettono di diffondere una conoscenza che diventa legittima, trasmissibile e riconosciuta come veritiera. «Il Panopticon è dunque, come vedete, un apparato al contempo di individualizzazione e di conoscenza, un apparato di sapere e di potere insieme, che da un lato individualizza e che dall’altro, così facendo, conosce 40.»
In questo modo le riflessioni di Foucault sul Panopticon come “tecnologia politica” polivalente nelle sue applicazioni acquisiscono rilevanza per chiunque ricopra un ruolo di potere all’interno di una relazione basata sull’asimmetria. Asimmetria che si manifesta in un rapporto in cui si esplicita uno squilibrio di forza tra chi osserva e chi è osservato, chi nomina e chi è nominato. La logica interna di tale configurazione non è solo oppressiva, ma anche classificatoria e produttrice di significati univoci, poi diffusi e validati in ragione della posizione di “maggiore potere”. Non è solo nel carcere con il perimetro circolare che si verifica questa produzione di conoscenza: essa si rintraccia in qualsiasi relazione tacitamente asimmetrica, comprese quelle che formalmente non vengono percepite come oggettificanti o repressive. Come nel caso dell’educazione o della medicina, che ripropongono due soggetti in una cornice istituzionale, dove quello nella posizione di potere determina, definisce e valuta l’altro. Il soggetto, in virtù dell’autorità epistemica socialmente riconosciuta derivante dalla sua ubicazione, produce sapere sull’oggetto attraverso sguardi, parole e azioni. In questo processo di “produzione di verità”, la prospettiva dell’osservato viene silenziata, e il risultato non può che essere una verità parziale, amputata e ridotta. Questa dinamica è particolarmente evidente nella relazione che si viene a creare tra l’internato nell’ospedale psichiatrico e i tecnici della disciplina, ma anche nella stessa fondazione della psichiatria come scienza.
Nel manicomio si organizza quello che Foucault chiama un “campo di battaglia”, poiché il problema della conoscenza, della verità sulla malattia e la sua cura, si configura come il trionfo della ragione sulla follia41. In questo scontro, si stabilisce un rapporto di forza il cui esito deve essere sempre la vittoria della volontà del medico su quella del malato, che deve essere espugnato dal suo potere irrazionale per essere irregimentato e ricondotto a un ordine predefinito. Si pone dunque la seguente domanda: «In che modo una certa organizzazione e disposizione del potere, determinate tattiche e strategie di potere, possono dar luogo a un insieme di affermazioni, negazioni, esperienze, teorie e in breve, a un complesso gioco della verità 42?»
Nel 1975, quando in Francia esce Surveiller et punir. Naissance de la prison, in Italia, su richiesta del Centro Internazionale di studi e ricerche “Critica delle Istituzioni” viene edito un breve saggio di Foucault dal titolo La casa della follia. Il testo appare all’interno del volume collettivo Crimini di Pace, nato con l’intento editoriale dei curatori, Franca Ongaro e Franco Basaglia, di raccogliere un corpus teorico di analisi e interventi sul tema dell’emarginazione e dell’oppressione, con l’auspicio di trovare una “linea comune di lotta”43. Oltre alla voce di Foucault, il volume raccoglie le riflessioni di importanti intellettuali dell’epoca, tra cui Noam Chomsky, Erving Goffman, Ronald Laing, Jean-Paul Sartre, nonché della coppia Franca Ongaro e Franco Basaglia.
Il saggio di Foucault storicizza, all’interno del contesto occidentale, la “produzione di verità” e approfondisce la deriva panottica già delineata in Surveiller et punir. Naissance de la prison. In questo testo, Foucault mette in luce come la produzione di conoscenza in ambito psichiatrico, sia sempre inscritta in dinamiche di potere, a causa dell’asimmetria relazionale tra soggetto e oggetto. Analizzando l’evoluzione di tale fenomeno dal punto di vista cronologico, Foucault individua nel Medioevo il consolidarsi della “verità-constat” ovvero: «Avvenimento che si verifica come potenzialmente ripetibile, di diritto, all’infinito ovunque e sempre; rituale di produzione che prende corpo in una strumentazione e in un modo accessibili a tutti e uniformemente efficaci; risultato che designa un oggetto permanente di conoscenza e che qualifica un soggetto universale di conoscenza44.»
Ciò che si genera da questa relazione è una produzione di fenomeni apparentemente constatabili da chiunque vi si approcci. Questa “tecnologia di produzione” viene resa norma universale e richiama per affinità la struttura panottica asimmetrica in cui la verità dell’oggetto non emerge mentre, quello che è assunto aprioristicamente come valido, è la verità dell’osservatore. La relazione di conoscenza, o produzione di verità, si realizza infatti tra: «[…] un soggetto sovrano avente funzione di universalità e un oggetto di conoscenza che deve essere riconoscibile da tutti in quanto già esistente45.»
Nel caso delle scienze che prendono in oggetto l’umano, dalla medicina alla psichiatria, fino alla pedagogia, tale impostazione conduce inevitabilmente all’oggettificazione della persona osservata. Questa forma di conoscenza, che Foucault definisce come “potere-sapere”, agisce a livello di infrastruttura, legittimando e istituzionalizzando un rapporto intrinsecamente asimmetrico. Il processo conoscitivo si struttura, in tal modo, attraverso un sistema disciplinare che organizza, classifica e distribuisce gli elementi oggetto di indagine.
«La condizione dello sguardo medico, la sua neutralità, perfino la possibilità per esso di accedere all’oggetto, e dunque lo stesso rapporto di oggettività, che è costitutivo del sapere medico ed è criterio della sua validità, ha come sua condizione effettiva di possibilità un certo rapporto d’ordine, una certa distribuzione del tempo, dello spazio, degli individui46.»
Dalla nascita del manicomio come istituzione, ordine, disciplina e asimmetria dei rapporti si configurano non soltanto come strumenti che hanno reso possibile l’osservazione scientifica e la sistematizzazione del sapere, ma anche come dispositivi terapeutici. Nella fase proto-psichiatrica, infatti, la “cura” era intesa come il risultato tangibile della vittoria della ragione sulla non-ragione. Emblematica, in tal senso, è la pratica di soggiogamento attuata nei confronti di re Giorgio III, in cui la forza della razionalità si impone come strumento di guarigione.
«L’ordine disciplinare è dunque sia la condizione del rapporto con l’oggetto e dell’oggettività della conoscenza medica, sia la condizione dell’operazione terapeutica. Ma questa specie di ordine immanente, che grava indistintamente sull’intero spazio manicomiale, è in realtà attraversato e interamente pervaso da un’asimmetria […]47»
Attraverso queste riflessioni teoretiche, Foucault individua il nucleo generativo dell’oppressione insita nella scienza psichiatrica: la “produzione di verità” si fonda su processi sistematici di oggettivazione e sul silenziamento dell’oggetto di conoscenza. Scrive, infatti, che il linguaggio della psichiatria costituisce il monologo della ragione sulla follia, e che esso ha potuto istituirsi unicamente a partire dal silenzio imposto a quest’ultima48. Nel corso tenuto al College de France, Foucault presenta numerosi esempi tratti dalla pratica medica dei primi decenni dell’Ottocento, mostrando come i pionieri della proto-psichiatria avessero già cominciato ad articolare un campo di forze fortemente polarizzato, che riproduce l’asimmetria epistemica e relazionale alla base della disciplina. Con l’istituzionalizzazione del manicomio nel XIX secolo, la relazione tra la persona sofferente e lo psichiatra continua a svilupparsi lungo gli stessi binari, caratterizzati da squilibrio di potere, disciplina e assenza di reciprocità.
«Le relazioni di potere costituivano “l’a priori” della pratica psichiatrica: esse condizionavano il funzionamento dell’istituzione manicomiale, esse vi distribuivano i rapporti tra gli individui, esse gestivano le forme dell’intervento medico49.»
Il sapere-potere dello psichiatra si fonda sul diritto della non-pazzia sulla pazzia, il diritto del buon senso e della normalità che s’impone sul disordine e la devianza50. Da questo rapporto di potere si origina la conoscenza, e di rimando, è questa stessa conoscenza che legittima e valida il potere della figura dello psichiatra. Come un serpente che si morde la coda, si crea un circolo chiuso di squilibrio relazionale. Foucault si chiede a tal proposito: «È possibile che la produzione della verità della follia possa effettuarsi in forme che non sono quelle del rapporto di conoscenza51?»
Ed è proprio questo uroboro nietzschiano che viene preso come nucleo critico e d’intervento dal movimento antipsichiatrico italiano, al quale Foucault riconosce il merito di aver saputo cogliere l’oppressione insita nella struttura, nelle prassi, nelle relazioni, nelle tecniche della psichiatria che vengono presentate come veritiere e valide, metodo di cura e scienza inconfutabile.
3. Antipsichiatria: superamento del panottismo come prassi psichiatrica
Per Foucault, il merito fondamentale del gruppo basagliano consiste nell’aver restituito «[…] all’individuo il compito e il diritto di gestire la propria follia, fino in fondo, in una esperienza alla quale possono contribuire anche gli altri, mai però in nome di un potere conferito dalla loro ragione o dalla loro normalità 52[…]»
Il movimento antipsichiatrico, avviato a Gorizia da Franco Basaglia e Franca Ongaro, condusse l’Italia all’approvazione della legge 180 del 1978, che sancì la chiusura dei manicomi. Condividendo le riflessioni foucaultiane sulla matrice oppressiva dell’istituzione psichiatrica, il gruppo intraprese un percorso critico volto a disinnescare le dinamiche di potere all’interno delle relazioni di cura, risignificando collettivamente l’intera pratica psichiatrica. Se le considerazioni di Foucault sono di matrice intellettuale, quelle di Ongaro e Basaglia derivano dalle loro personali esperienze nel campo della psichiatria.
La coppia si rende conto, fin dal primo ingresso nell’ospedale nel 1961, che all’interno delle sue mura vengono attuate violenze ai danni delle persone internate, giustificate dalla scienza medica come metodo di cura. Umiliazioni, torture, elettroshock, contenzioni e percosse costituivano la normalità in un ambiente degradato, sudicio e repressivo di ogni istinto vitale53. A questa realtà, decidono di rispondere con una rivoluzione emancipatoria e libertaria per distruggere i muri e le grate, intesi non solo come architettura, ma anche come forma mentis interiorizzata. L’obiettivo era la creazione di un clima di reciprocità e di ascolto dei bisogni, affinché le soggettività potessero esprimersi liberamente e la terapia non fosse basata sulla custodia e sulla segregazione54.
L’ospedale cominciò gradualmente ad assumere i connotati di una comunità terapeutica: i reclusi si riappropriarono degli spazi, degli oggetti personali, e soprattutto della propria dignità. All’esterno, si tentava contemporaneamente di mutare la cultura e il sentire collettivo, coinvolgendo la cittadinanza in attività ed eventi volti a scardinare stereotipi e pregiudizi, in un’azione mirata a sovvertire la “produzione di verità” sulla follia55.
Il diritto della non-pazzia sulla pazzia, come aveva sottolineato Foucault, rappresenta la matrice originaria e la giustificazione delle violenze esercitate dalla psichiatria sin dalle sue origini come scienza. Basaglia e Ongaro ne denunciano apertamente il carattere ideologico, proponendo un ripensamento del sistema valoriale, tradizionalmente escluso dai discorsi inerenti alla psichiatria. I valori, se non discussi e presi in esame, rischiano di ricalcare le logiche imperanti nella società; come Ongaro riscontra, nella società, è considerato normale tutto ciò che fa parte del mondo del lavoro e che ne contribuisce efficacemente alla produzione e al profitto, mentre anormale è tutto ciò che lo intralcia56. Da qui la proposta di un capovolgimento di prospettiva: porre al centro l’essere umano e i suoi bisogni, piuttosto che il ripristino di una norma imposta.
«Cioè riconoscere come primo atto che la strategia, la finalità prima di ogni azione è l’uomo (non l’uomo astratto, ma tutti gli uomini), i suoi bisogni, la sua vita, all’interno di una collettività che si trasforma per raggiungere la soddisfazione di questi bisogni e la realizzazione di questa vita per tutti. Ciò significa capire che il valore dell’uomo, sano o malato, va oltre il valore della salute o della malattia; che la malattia, come ogni altra contraddizione umana, può essere usata come strumento di appropriazione o di alienazione di sé, quindi come strumento di liberazione o di dominio 57 […]»
I condizionamenti, infatti, spesso occulti e pervasivi:
«[…] codificano e determinano i comportamenti, passano sotto silenzio i bisogni primari, ne creano di artificiali, insegnano agli uomini il significato della loro nascita, cosa sono, quale deve essere la loro vita, quale è il rapporto da instaurare fra di loro, quale deve essere e quale forma deve assumere la loro morte58.»
Il personale medico che agisce inconsapevolmente all’interno di queste logiche finisce per trasformarsi in un “funzionario del consenso”, un agente normalizzatore e oggettivante, incaricato di reprimere le manifestazioni difformi59. Il ruolo del professionista sanitario ricalca così quello del sorvegliante panottico: una figura che, in virtù della posizione di presunta superiorità occupata, determina decide, nomina, e produce sapere circa l’oggetto recluso. Contro questa traiettoria, l’antipsichiatria propone una radicale inversione di paradigma, ripartendo dalla costruzione collettiva delle pratiche di cura: è soltanto nell’incontro orizzontale, non gerarchico, che diventa possibile intraprendere un percorso terapeutico autentico.
Nella prassi goriziana, lo sguardo che si dispiega dall’alto sugli oggetti reclusi viene bandito, così come viene abolita ogni forma di oggettificazione e di costruzione aprioristica di significati, per incontrare la verità della persona. In questo senso, si potrebbe dire che viene “sospesa” la lente clinica: il giudizio diagnostico, l’attitudine indagatoria nei confronti di segni e sintomi, la tendenza a classificare le manifestazioni difformi. «Non è che noi prescindiamo dalla malattia, ma riteniamo che, per avere un rapporto con un individuo, sia necessario impostarlo indipendentemente da quello che può essere l’etichetta che lo definisce…» 60
Viene così disinnescato il potere del “panottismo pangrafico”, inteso come dispositivo disciplinare che funge da sistema inquadrante di registrazione e sorveglianza. Mettere tra parentesi la malattia non significa negare la sua esistenza, bensì sospendere il peso normativo per adottare una postura di interesse sincero, riformulando un rapporto differente con l’individuo, non alterato da pregiudizi e condizionamenti. In quest’ottica, le assemblee rappresentano uno dei cardini della pratica antipsichiatrica italiana: strumento volto a stimolare uno scambio paritario, democratico e orizzontale tra tutte le persone, a prescindere dal ruolo e dalla posizione assunta. Come ricorda John Foot: «Questa era democrazia in azione: democrazia vera, diretta, quasi senza mediazioni […] le assemblee erano dunque terapeutiche, ma nello stesso tempo erano rivoluzionarie»61.
In netta controtendenza rispetto alla psichiatria tradizionale che, sin dalle sue origini, ha sistematicamente silenziato la voce dei reclusi62. Già in uno dei primi trattati di psichiatria, François Leuret indicava che, il manicomio, per funzionare come istituzione terapeutica doveva bandire ogni possibilità di dialogo e di reciprocità tra internati e personale medico63. Franca Ongaro osserva come, non soltanto in ambito psichiatrico, ma anche nelle procedure cliniche della medicina generale, la voce del paziente venga sistematicamente rimossa dallo spazio dialettico:
«[…] il clinico – forte delle certezze che il suo stesso potere sociale gli ha dato – creerà una situazione in cui sarà solo lui a parlare di fronte a un malato e a una malattia cui non è più riconosciuto il diritto di parola. È su questo monologo del clinico con se stesso e con le proprie interpretazioni, che l’uomo malato scompare completamente dalla scena e la scienza medica imbocca un cammino che la porterà a fabbricare – partendo dal cadavere – un manichino cui tutti i malati e tutte le malattie dovranno aderire». 64
Basaglia evidenzia come, nella prassi psichiatrica, ciò che dovrebbe configurarsi come cura si riveli invece una forma di dominio istituzionalizzato:
«Un gioco di potere dove il problema dell’assistenza e dell’assistito non esiste se non come oggetto casuale di questo potere. Ma si tratta di un potere che, così come si manifesta, vive solo sulla paura e sulla difesa: teme di esporsi, di farsi smascherare, di lasciar trapelare, al di là delle elucubrazioni astratte, che non esiste nemmeno la base di un sapere che si traduce in un’assistenza pratica del malato.»65
È dunque essenziale che il professionista della cura acquisisca consapevolezza del potere che esercita, per poterlo decostruire. Potere inteso, nel significato foucaultiano, come un qualcosa che si distribuisce attraverso una rete di relazioni, che si articola attraverso ruoli, pratiche e discorsi, penetrando fin dentro la struttura del sapere stesso66.
«Il potere è una trappola che imprigiona chi lo detiene […] la paura di perderlo diventa allora l’unico modo di sopravvivenza e l’unica forma della sua esplicazione […] ma operare significa prima di tutto mettere in discussione questo potere, questa difesa.»67
I tecnici della cura, come i carcerieri nella torre panottica, pur occupando una posizione privilegiata rispetto ai reclusi, restano confinati all’interno del mandato normativo imposto dall’ordine sociale. Come osservano Franca Ongaro e Franco Basaglia, i tecnici e gli intellettuali devono acquisire consapevolezza della propria condizione: prigionieri del ruolo che esercitano e della convinzione, errata, che l’esercizio del dominio coincida con una forma di libertà. «Il tecnico borghese vive una condizione di alienazione da cui può uscire rompendo la condizione di oggettivazione in cui vive l’oppresso68.»
Così come il malato è oggettivato dallo sguardo della psichiatria, attraverso le teorie e le pratiche che lo riducono a oggetto di intervento, allo stesso modo lo psichiatra si trova alienato nel suo ruolo di burocrate privo di riflessività. Invitano quindi a rompere la condizione di oggettivazione del malato, non solo per accogliere dignitosamente la persona ma anche per riabilitare e risignificare la loro stessa funzione. Per avviare un percorso di soggettivazione, Ongaro e Basaglia suggeriscono di “storicizzare”, ovvero far emergere la storia individuale del paziente: una storia fatta di relazioni e scambi che conferiscono unicità a ogni individuo. Solo in questo modo è possibile incontrare la persona nella sua interezza, nella sua complessità e nelle sue contraddizioni:
«Storificando e quindi soggettivando l’oggetto della sua ricerca, il tecnico si storicizza al di fuori della logica borghese, trovando nella ricerca della liberazione dell’oppresso, anche la liberazione dall’oppressione di cui egli stesso è insieme soggetto e oggetto 69.»
Solo nell’incontro orizzontale tra soggetti può realizzarsi un percorso di liberazione affrancato dalle storture della relazione panottica, sciogliendo lo stretto vincolo antinomico che contrappone medico e paziente, riconducibile al rapporto di sapere-potere. Il tecnico, pertanto, è chiamato a porsi sullo stesso piano dell’utente del servizio, non come figura di dominio ma come co-creatore del percorso di cura. In altre parole, il ruolo del professionista non è quello di ristabilire la condizione definita “normale” ma, realizzare un percorso in cui la persona sia messa nelle condizioni di progettare la propria esistenza e la propria individualità, libera di esprimere e soddisfare i propri bisogni 70 .
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Note
- Dario Stefano Dell’Acquila, No-restraint. Pratiche politiche di salute mentale, Centro di Documentazione di Pistoia, Gli asini: anno XVI, n.119, 2025, pp. 19-22
- Cfr. Fondazione Nilde Iotti, Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia, Roma, Ediesse, 2013, p. 32
- Cfr. Riccardo Ierna, Attualità e contraddizioni della via italiana al dopo riforma, in “Aut aut” 398, Milano, Il Saggiatore, 2023; Daniele Pulino, Le metamorfosi della politica di salute mentale italiana (1978-2013), Cartografie sociali, Rivista semestrale di sociologia e scienze umane 9, 2020
- Franca Ongaro, Salute/Malattia. Le parole della medicina(a cura di Giannichedda M.G.), Merano, Edizioni alpha beta Verlag, 2012, cit., p. 55
- Cfr. Fernanda Carlise Mattioni et al, Health promotion practices and Michel Foucault: a scoping review, American Journal of Health Promotion 35.6, 2021, pp. 845-852
- Cfr. Franco Basaglia, Franca Ongaro, Agostino Pirella, Salvatore Taverna, La nave che affonda, Milano, Raffaello Cortina, 2008
- Cfr. Jeremy Bentham, Panopticon or the Inspection House, Volume 2. London, 1971
- Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, Einaudi editore, 2014, cit., p. 219
- Cfr. Zygmunt Bauman, David Lyon, Liquid Sorveillance: A conversation, Cambridge, Polity Press, 2012
- Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, p. 228
- Cfr. David R. Shumway, Disciplinary Technologies and the Constitution of Individuals. Michel Foucault, Boston, Twayne, 1989
- Michel Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), Feltrinelli Editore, Milano, 2022 [1^ ed. 2004], cit., p. 48
- Ibidem, pp. 68-71
- em>Ibidem, p. 75
- Per un approfondimento sulla definizione di dispositivo: Michel Foucault, Microfisica del potere. Interventi politici, Torino, Einaudi, 1977
- Michel Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), cit., p. 57
- Ibidem, p. 61-63
- Michel Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), cit., p. 63
- Ibidem, p. 51
- Ibidem, cit., p. 60
- Cfr. Georges Canguilhem, Il normale e il patologico, Torino, Einaudi, 1988
- Michel Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), Feltrinelli Editore, Milano, 2022, cit., p. 64
- Cfr. Jacob John Kattakayam, Power and Knowledge: Some Reflections on Contemporary Practices, in “Sociological Bulletin” 55.3, 2006, pp. 449-467
- Michel Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), cit., p. 76
- Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, cit., p. 224
- Ibidem, p. 228
- Michel Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), cit., p. 82
- Ibidem, p. 29-36
- Cfr. Ida Macalpine, Richard Hunter, George III and the Mad-Business, New York, Pantheon Books, 1969
- Il termine antipsichiatria viene qui usato nell’accezione dello psichiatra David Cooper (1931-1986) quando intendeva definire un movimento eterogeneo che contrastava le teorie e pratiche fondamentali della psichiatria dominante. Cfr. David Cooper, Psychiatry and Anti-Psychiatry, London, Rutledge, 1967
- Michel Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), cit., p. 32
- Ibidem, p. 82
- Ibidem
- Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, cit., p. 219
- Michel Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), cit., p. 80
- Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, cit., p. 218
- Ibidem, p. 244
- Michel Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), cit., p. 83
- Ibidem cit., p. 83
- Ibidem cit.
- Ibidem, pp. 18-9
- Ibidem, cit., p. 25
- Franco Basaglia, Franca Ongaro (a cura di), Crimini di pace. Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all’oppressione, Milano, Baldini&Castoldi, 2018 [1^ ed. 1975], p. 9
- Michel Foucault, La casa della follia, in Franco Basaglia e Franca Ongaro (a cura di), Crimini di pace. Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all’oppressione, Milano, Baldini&Castoldi, 2018, cit., p. 197
- Ibidem, cit., p. 198
- Michel Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), cit., p. 14
- Ibidem, cit., p. 15
- Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica, Milano, BUR Saggi, 2014, p. 42
- Michel Foucault, La casa della follia, in Franco Basaglia e Franca Ongaro (a cura di), Crimini di pace. Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all’oppressione, cit., p. 214
- Ibidem
- Ibidem, cit., p. 216
- Michel Foucault, La casa della follia, in Franco Basaglia e Franca Ongaro (a cura di), Crimini di pace. Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all’oppressione, cit., p. 215
- Franca Ongaro ricorda così il suo primo ingresso nel manicomio di Gorizia: «uomini che sembravano larve e donne nei loro recinti separati, con lo sguardo di animali portati al macello […] un odore spaventoso che ti impregnava i vestiti e che non ti andava via neanche quando tornavi a casa […] odore di chiuso, di feci, di orine e di sofferenza» in Franca Ongaro, Manicomio perché?, Roma, Centro Franco Basaglia, 1982, cit., p. 13
- Archivio Basaglia, Serie 9, Sottoserie 9.2 Lavori di Franca Ongaro Basaglia, 1968 – 2003, fascc. 24, busta 13, docc. 34, Intervento ad una serie di incontri sulla psichiatria, organizzati dall’Unità Sanitaria dell’Aquila, 5 marzo 1983
- Franco Basaglia, Franca Ongaro, Agostino Pirella, Salvatore Taverna, La nave che affonda, Milano, Raffaello Cortina, 2008; cfr. John Foot, Photography and radical psychiatry in Italy in the 1960s. The case of the photobook Morire di Classe (1969), History of Psychiatry, 26(1), 2015 p. 19–35
- Franca Ongaro, Manicomio perché?, Roma, Centro Franco Basaglia, p. 24
- Franco Basaglia, Franca Ongaro, Crimini di pace. Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all’oppressione, cit., pp. 38-39
- Ibidem, cit., p. 26
- Ibidem, p. 8
- Franca Ongaro, Nota Introduttiva in Franco Basaglia (a cura di), L’istituzione negata. Rapporto di un ospedale psichiatrico, Milano, Baldini&Castoldi, 2018 [1^ ed. 1968], cit., p. 13
- John Foot, La “Repubblica dei matti”. Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia, 1961-1978, Milano, Feltrinelli, 2014, cit., pp. 14-15
- Michel Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), pp. 136-139
- Cfr. François Leuret, Du traitement moral de la folie, Paris, Baillère, 1840
- Franca Ongaro, Salute/Malattia. Le parole della medicina, cit., p. 37
- Archivio Basaglia, Serie 9, Sottoserie 9.1 Lavori di Franco Basaglia, 1954 – 1980, fascc. 5, busta 11, docc. 66, articolo sul potere in ambito psichiatrico in relazione ad un intervento apparso sul Corriere della Sera, 22 settembre 1973
- Cfr. Michel Foucault, La volontà di sapere, Milano, Feltrinelli, 1978
- Archivio Basaglia, Serie 9, Sottoserie 9.1 Lavori di Franco Basaglia, 1954 – 1980, fascc. 5, busta 11, docc. 66, articolo sul potere in ambito psichiatrico in relazione ad un intervento apparso sul Corriere della Sera, 22 settembre 1973
- Franco Basaglia, Franca Ongaro (a cura di), Crimini di pace. Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all’oppressione, cit., p. 25
- Ibidem, cit. p. 25
- Antonio Del Vecchio, Franco Basaglia: psichiatria e politica, Rivista di Studi Politici, Edizioni Labrys Creative Commons n.15, 1/2021, p. 47-64
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