Bibliomanie

Vita spericolata di Francis Scott Fitzgerald. Verso una nuova biografia intellettuale
di , numero 48, dicembre 2019, Saggi e Studi,

Vita spericolata di Francis Scott Fitzgerald. Verso una nuova biografia intellettuale
Come citare questo articolo:
Mauro Conti, Vita spericolata di Francis Scott Fitzgerald. Verso una nuova biografia intellettuale, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 48, no. 2, dicembre 2019

1. Ogni interpretazione, ogni analisi testuale si stabilisce sempre, pirandellianamente, come un atto di equilibrio sopra la follia dell’opera d’arte, sopra il guazzabuglio del testo e l’esercizio del lettore1: interpretare, in fondo, è portare alla luce una voce nella polifonia discorde del narrato, il particolare di uno sguardo acciuffato nel caos di una folla in movimento.
Sì, perché il tempo e il luogo in cui nasciamo non definiscono la nostra identità e nemmeno i tratti del nostro volto e, a voler guardare in profondità – sosteneva la saggezza antica di Eraclito e di altri – nessuno conosce i confini dell’anima di un uomo e, tanto meno, quelli di uno scrittore, di un artista de race. Quand’anche riuscissimo a tracciare, ad esempio, la fisionomia della Firenze medievale o del contesto culturale del Medioevo fiorentino, non riusciremmo comunque a spiegarci il genio di Dante Alighieri, né il perché di una cattedrale di parole come La Divina Commedia, e così, se volessimo definire il valore e il significato narrativo dell’opera di Francis Scott Fitzgerald, che della cosiddetta Età del Jazz è come l’inventore, l’Araldo2, notava Eugenio Montale, ci accorgeremmo di esserci esercitati inutilmente su qualcosa di sfuggente e fluido.
Le grandi opere letterarie attraversano il tempo e i propri orizzonti spaziali come il sussurro fantastico delle voci che animano in penombra i pensieri di Zelda, la moglie, l’amante di una vita, sopraffatta poi dalla psicosi: i vaneggiamenti di una notte ubriaca appaiono, a volte, nei testi. Chi può arrestarne il flusso, la continua trasformazione, concretizzandola in una etichetta, in una mera formula? Ancora, perché dovremmo occuparcene, visto che la verità di un’opera ama nascondersi dietro i veli di mille soggettività e infinite rappresentazioni? Perché seguire l’abbagliante e lussuosa generosità del desiderio di Jay Gatsby, oppure perché cercare la bellezza in un pensiero triste, in una relazione dolorosa come quella tra Dick e Nicole in Tenera è la notte?
La letteratura non sopporta confini, non chiede definizioni, è lei stessa il limes continuamente rinnovato, rimosso e ripreso su cui ha disegnato il volto assoluto dell’Altro, i contorni inventati dell’altro da sé, pronunciati come apparizione, parvenza, il sogno di un sogno.
Le storie di Francis Scott Fitzgerald si iscrivono nel mito, nel mito tout court, e sono la rappresentazione di un’epica grandezza, la tragedia del Paradiso Perduto, dell’abbaglio luminoso e pulsante del desiderio che trafigge da immote lontananze, la spirale di un cupio dissolvi, di un’autodistruzione portata in scena con una fantasmagoria generatrice di archetipi e generosa di sentimenti, di emozioni fonde. La letteratura di Francis Scott Fitzgerald è eterna, ma come lo sono i mortali, come lo sono gli esseri umani, i lettori che decodificano: incarnano, di fatto, le iridescenti, fascinose forme da lui magistralmente tracciate e pazientemente orchestrate.
Eppure, se vogliamo dar conto del giudizio degli amici, giudicare le lettere, le notizie apparse sui giornali, gli appunti di una nota a margine o il segno superficiale buttato giù come una voce leggera, in un frastuono immenso, tutto ciò che Francis Scott Fitzgerald scriveva era una specie di autobiografia. Lo erano i suoi romanzi, i racconti, i suoi personaggi che partivano da un dato soggettivo e si tuffavano, si trovavano trasfigurati, proiettati nelle ombre e negli sfarzi della immaginazione, nella metamorfosi delle maschere, nelle più recondite fantasie, nelle segrete, quasi ineffabili aspirazioni dell’autore.
Ci sono delle interessanti osservazioni nelle sue lettere di all’agente, all’editor e agli amici scrittori: “Non faccio altro che vivere la vita che scrivo.” […] “Tutti i miei personaggi sono Scott Fitzgerald. Perfino quelli femminili sono la versione femminile di Scott Fitzgerald. Noi scrittori stiamo lì a ripeterci: questa è la verità. Abbiamo vissuto quelle due o tre grandi esperienze che ci hanno toccato… può essere perfino qualcosa che ho vissuto vent’anni fa o semplicemente ieri, ma io devo partire da un’emozione, da qualcosa che mi sia vicino e che sono in grado di decifrare”3.
Jay Gatsby, certo, è pura invenzione, e tuttavia, se si segue la vita attraverso le lettere, come non notarne le corrispondenze, quasi la proiezione nella parabola esistenziale del suo autore? I suoi eccessi spericolati, i suoi fallimenti, le sue aspirazioni, il sogno di felicità e bellezza iscritto come arcana nostalgia nell’amore per Daisy? I Racconti dell’età del Jazz che, per definizione dello stesso autore, si iscrivono nel periodo che va dalla fine della Prima Guerra Mondiale alla Grande Depressione, sono prose che esplorano in modo autobiografico il grande tema della povertà, l’ossessione scarnificante della ricchezza e della corruzione che si lega alle sue stesse radici, ma anche talune fantasie sulle cui ali spicca il volo tanto il miserabile come il ricco, che si illude così di preservare la propria giovinezza, intesa nel circolo di una eterna rigenerazione. Autobiografica della travagliata relazione con Zelda è la storia di Dick Diver e Nicole in Tenera è la notte, ove si denuncia, trasposta in Europa, la crisi, l’incrinatura del proprio matrimonio, e che rappresenta, al contempo, una lungimirante anticipazione di quel fallimento globale che vedrà coinvolta l’intera Nazione nel Great Crash, la Grande Crisi del ’29.

2. La ricezione critica delle opere di Fitzgerald si è scontrata con diversi pregiudizi di varia natura e ha conosciuto pareri diametralmente opposti. Come che sia, all’immenso successo del Nostro – indiscutibile oggi in Italia, specie in ambito editoriale – ha contribuito in maniera formidabile non solo la trasposizione cinematografica dei capolavori, ma pure la trasfigurazione della sua singolarissima parabola esistenziale e creativa.
Come risaputo, il Grande Gatsby è stato rielaborato a più riprese sul grande schermo. Quella del 1926, ad un anno appena dall’uscita del romanzo, è andata perduta. L’opera era la riduzione cinematografica di un testo teatrale ricavato dal romanzo: ciò che resta, peraltro, è solo un trailer, della durata di circa un minuto, oggi disponibile persino su YouTube. Si trattava di un film muto della Paramount Picture diretto da Herbert Brenon e prodotto da Adolph Zukor, che vedeva Warner Baxter nella parte di Jay Gatsby e Lois Wilson in quella di Daisy.
Nel 1949 il regista Elliot Nugent ne produsse una versione interpretata da Alan Ladd e Betty Field, con una splendida Shelley Winters nel ruolo di Myrtle.
La versione del 1974, la terza di quattro del Grande Gatsby, che vide, fra l’altro, la collaborazione alla sceneggiatura di Francis Ford Coppola, le interpretazioni sapienti e intense di Robert Redford e Mia Farrow, nonché la regia di Jack Clayton, presenta alcune sensibili differenze rispetto al romanzo: a esempio, il ruolo di Myrtle, interpretato da Karen Black, ha uno spazio maggiore e vengono omessi molti aspetti del pur opaco passato di Gatsby. Il film ottenne, a ogni modo, l’Oscar per i costumi e la colonna sonora.
In ultimo, il film del 2013 con Leonardo Di Caprio diretto da Baz Luhrmann, autore dell’altrettanto celebre (e coinvolgente) Moulin Rouge!. Il ruolo di Daisy era interpretato da Carey Mulligan e quello di Jordan Baker da Elisabeth Debicki. Il film ha incassato nel mondo 351 milioni di dollari, e dunque tre volte e mezzo il budget che la produzione americano-australiana aveva disposto per l’inizio delle riprese. Si tratta di un film ben più interessante per lo splendore visivo che non per l’aderenza alla trama originale. Ottenne nel 2014 gli Oscar per la migliore scenografia e per i costumi, e diversi altri premi nel mondo, riconoscimenti che ne sottolineavano la cura e gli effetti visual realizzati al computer. Colpisce in questo film una Daisy dai capelli biondo platino e una Jordan dai capelli neri, laddove, nel testo originale, Nick Carraway, il narratore onnisciente, descriveva neri quelli della prima e del colore delle foglie d’autunno la chioma di Jordan.
Nel 1954 era tuttavia uscito un bel film liberamente tratto dal romanzo (The last time I saw Paris), interpretato da Elisabeth Taylor e Roger Moore.
Del 1962 è invece Tender is the night per la regia di Henry King, con Jason Robards, Jennifer Jones e Tom Ewell; ma non meno rilevante è il film omonimo di Robert Knights con Peter Strauss e Mary Steenburgen, Sean Young e Teco Celio del 1985.
Di Tender is the Night si sarebbe dovuta realizzare una versione cinematografica nel 2010, interpretata da Keira Knightley e Matt Damon, ma poi non se ne seppe più nulla. Nella bella biografia di Matthew J. Bruccoli, Some sort of epic grandeur. The life of F. Scott Fitzgerald, scavata e scovata tra le carte fitzgeraldiane, si trova un “trattamento”, cioè una post-sceneggiatura di Tender is the Night a cura dello stesso autore ove – si noti – il ruolo di Nicole era stato pensato per Katherine Hepburne o, in alternativa, per Marlene Dietrich o per Myrna Loy…
Il film TV del 1974 dal titolo Francis Scott Fitzgerald’s Last of the Belles – per la regia di George Schaefer e con la partecipazione di Richard Chamberlain, Blythe Danner e Susan Sarandon – narra la storia del primo incontro del grande prosatore con la moglie Zelda a Montgomery (in Alabama), trasfigurato entro il confine di un gradevolissimo racconto.
Ancora vivo negli occhi per la bellissima regia di Elia Kazan, The last Tycoon. Gli ultimi fuochi, del 1976, con un cast di attori davvero straordinario, ove spiccano Robert De Niro, Jeanne Moreau, Robert Mitchum, Angelica Huston, Jack Nicholson e Tony Curtis.
La “vita spericolata” di F. Scott Fitzgerald, in una parola, ha infiammato l’immaginazione di Hollywood per molti decenni decisivi di un “lungo Novecento” che, secondo storiografi di fama, non si è ancora concluso.
Ancora, Adorabile Infedele del 1959, diretto Henry King con l’interpretazione di Gregory Peck e Deborah Kerr, si ispira alla vita dello scrittore negli ultimi anni della sua esistenza, cupamente segnati da quell’alcolismo che ne causò la morte.
Diverse, inoltre, le opere filmiche tratte dai suoi racconti. Basti solo por mente a The curious case of Benjamin Button, un film di David Fincher con Brad Pitt, Cate Blanchett e Tilda Swinton. È la storia di un giovane nato vecchio il giorno della fine della Prima guerra mondiale, che, col passare del tempo, ringiovanisce, iscrivendo così la storia della sua vita nella grande storia del Novecento americano, in una circolarità temporale rovesciata; di là da qualche giudizio argomentato poco e male, resta un film di grande fascino.

3. Cercheremo ora – nella breve biografia intellettuale che, evidentemente, già siamo delineando – di identificare quei tratti di stile, quelle configurazioni dell’arte del narrare in cui la vita e l’opera di Francis Scott Fitzgerald si trovano quasi inestricabilmente collegate, pur ben consapevoli del fatto che il duro, incontentabile, inafferrabile lavoro dell’artista de race si sforza di seguire e d’inseguire – come variatis variandis, in fondo, la dimensione ineffabile del sogno – una complessa e complicata molteplicità di forme, si accorda su svariate sintonie reali, probabili o possibili, allaccia differenti configurazioni, intrattiene (sovente) ardite, temerarie analogie… Conseguenza evidente di tale riflessione è che, sul travaglio creativo senza fine di qualsivoglia artista degno di questo nome, non è mai legittimo né, soprattutto, epistemologicamente corretto tentar di proiettare semplici rapporti deterministici, tanto comodi quanto affetti da riduzionismo e, dunque, quasi sempre sterili, anzi fuorvianti.
Le passioni predominanti nella vita di Scott Fitzgerald furono i sogni, intesi essenzialmente sia come ambizioni (talora grandiose, smisurate fino alla hybris bella e buona…), sia come desideri ardentemente meditati e vissuti: fra questi si segnalano, beninteso, la letteratura, l’Università di Princeton, Zelda e – come risaputo – l’alcol.
Nacque il 24 settembre 1896 a St. Paul in Minnesota. Il padre Edward veniva dal Maryland ed era un gentiluomo di modi squisiti e antiche lealtà alla causa sudista. Il nome di Francis Scott rappresenterebbe un omaggio dei genitori all’autore delle parole dell’Inno nazionale americano, Francis Scott Key, che nella realtà troviamo tra gli antenati – era un cugino di secondo grado –, ma questo riferimento genealogico fu sempre rimosso dal Nostro. La madre, Mary (Molly) McQuillan era figlia di un immigrato irlandese, arricchitosi come inventore di un supermercato ante litteram, Wholesale Grocer a St. Paul. Entrambi i genitori erano di confessione cattolica e si erano sposati sei anni prima a Washington D.C. L’etimologia del nome Fitzgerald pare derivi dal latino, ove Fitz starebbe per Filius; dunque il cognome famigliare significherebbe Figlio di Gerald.
Dopo il fallimento di un’impresa di mobili in vimini, la famiglia si trasferì a Buffalo, New York, dove il padre prese impiego come venditore per la Procter & Gamble. Nel 1908, quando Francis aveva dodici anni, a seguito delle dimissioni del padre, la famiglia fece ritorno a St. Paul, vivendo abbastanza confortevolmente grazie alla sostanziosa eredità della madre Molly. A ogni modo, le difficoltà del padre e, soprattutto, i suoi spostamenti cagionati dal lavoro ebbero una notevole influenza sulla psicologia del sensibilissimo Francis.
Il primo racconto a stampa sul giornalino della scuola – una detective story intitolata The Mystery of the Raymond Mortage – è opera di un tredicenne: era il periodo in cui frequentava la St. Paul Academy. Sulla Bildung dell’adolescente ebbe un ruolo importante Padre Sigourney Fay, presso la Newman School, ad Hackensack, New Jersey, frequentata tra il 1911 e il ’13. Egli, uomo colto e di schietta spiritualità, incoraggiò le possibilità e le ambizioni migliori del Nostro, individuandone con lucidità rara, fra il resto, talune peculiarità determinanti e riconoscendone, comunque, il valore. Egli inoltre sarà il dedicatario del suo primo romanzo, This side of Paradise, in cui la sua figura verrà evocata, onorata e, almeno in qualche misura, immortalata nel personaggio di Monsignor Darcy.
Il 1913 è l’anno dell’iscrizione alla più prestigiosa università d’America dell’epoca, ossia a Princeton. Gli studi però vennero negletti in favore dell’apprendistato letterario. Furono gli anni della scoperta dei classici (antichi e moderni) e dei contemporanei: basti qui citare la feconda lettura di H. G. Wells, George Bernard Show, Oscar Wilde, Walter Pater. In questo periodo, felice e spensierato secondo la maggior parte dei biografi, trascorso tra feste, incontri sportivi e occasioni mondane, non va peraltro sottovalutato l’interesse per il teatro e la poesia. Non per caso, infatti, compose commedie musicali per il “Triangle club”, una famosa organizzazione studentesca che lo rese popolare e della quale aspirò – ma senza successo – alla presidenza.
Poi, nel 1916, vanno ricordati due incontri importanti: con il filosofo e poeta John Peale Bishop e con Edmund Wilson, compagni di college che collaboravano alla rivista Nassau Literary Magazine e contribuirono ad approfondire le sue conoscenze di “classici moderni” come Tennyson, Swinburne, Keats e, soprattutto, Joseph Conrad. John Peale Bishop è, di fatto, il maestro di poesia per Scott: gli insegna, fra il resto, la sottile, sfuggente differenza tra ciò che è poesia e ciò che non lo è; Edmund “Bunny” Wilson, invece, può essere considerato come la sua prima “coscienza critica”, leale quanto spietata. Ad avviso di Wilson, per esempio, “a Fitzgerald era stata data un’immaginazione vulcanica senza controllo intellettuale, l’intenso desiderio della bellezza senza un ideale estetico, il dono, la grazia dell’espressione letteraria senza molti ideali per esprimerla”4.
Gli anni a Princeton sono segnati anche dall’incontro con una bella ragazza dell’alta società di Chicago, Ginevra King, con la quale ebbe una breve ma incisiva liaison: fu il suo primo serio e, a suo modo, romantico amore, sia come sia, durò poco e lo lasciò profondamente deluso. Queste esperienze, d’altronde, non tarderanno a riemergere e a concretizzarsi in materia narrativa, rimodulate e tradotte in un particolare aggettivo, nelle voci di un dialogo, in una ben precisa inflessione della forma, dell’espressione verbale.
Nel 1917, con l’intervento degli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale, F. Scott entra nell’esercito e abbandona l’Università senza aver conseguito la laurea. Deciso ad andare come volontario in guerra in Europa, nel nome degli ideali di Libertà e Giustizia che caratterizzavano le nazioni dell’Intesa, venne in un primo tempo stanziato in Kansas e poi in Florida. Le lunghe giornate inattive nei campi di addestramento a Fort Leavenworth (Kansas) furono però riempite dal lavoro sul romanzo che aveva iniziato a Princeton, vale a dire dalla prima stesura di The romantic egotist che, dopo diversi rifiuti e travagliose revisioni, sarebbe diventato la sua prima opera di successo: This side of Paradise.
Nel 1918 venne inviato prima in Georgia, poi in Alabama a Camp Sheridan. Qui, durante un ricevimento al Country Club di Montgomery, conobbe Zelda Sayre e se ne innamorò (forse) perdutamente. Lei, una giovane dai modi affascinanti e dal portamento sicuro5, era nata il 24 luglio 1900 a Montgomery ed era la figlia di un importante giudice della Corte Suprema dello Stato. A maggio si era diplomata alla Sidney Lanier High School. Aveva appena compiuto diciotto anni. Si fidanzarono.
Il 26 ottobre 1918 troviamo F. Scott a Camp Mills, presso Long Island, in attesa di essere imbarcato con le truppe di fanteria dirette in Europa, ma d’improvviso giunge la notizia che la guerra è finita. Ritornato a Camp Sheridan diviene aiutante in campo del Generale J. A. Ryan.
Ma nel febbraio del ’19 si è già congedato dall’esercito, presumibilmente incompatibile con la sua autentica vocazione. Intenzionato poi a sposare Zelda Sayre, si trasferisce a New York dove si impiega presso l’agenzia di advertising e pubblicità Barron Collier e prova – senza successo, ancora una volta – a lavorare come redattore in una rivista. Nonostante le misere condizioni economiche e la vita complessivamente grama, Scott scrive, pensa, immagina, alimenta sogni di gloria: auspica, anzitutto, che l’editore Scribner dia finalmente alle stampe A romantic egotist. Quanto alla diletta Zelda, le cose sembrano precipitare irreversibilmente: ella si dimostra più volte riluttante a sposarlo, fino a rompere di punto in bianco il fidanzamento. E, dopo l’ennesimo rifiuto di Scribner, Scott si ubriaca: è una sbornia memorabile, una sbornia che dura ben tre settimane…
Deluso, prostrato, in una disperazione e in una miseria che aveva sempre odiato e rifuggito, lascia il lavoro a New York e ritorna a St. Paul, presso i genitori. Qui, nella quiete familiare, ritrova un po’ di pace e riprende mano al suo romanzo, lavorandovi giorno e notte. Nel frattempo, trova la pubblicazione Babes in the Woods, un racconto che può essere considerato il suo primo successo commerciale. E finalmente il suo caporedattore presso Scribner, Maxwell Perkins, accetta di pubblicare il romanzo, che uscirà il 26 marzo 1920 col titolo di This side of Paradise, Di qua dal Paradiso. L’opera, che non tarda a rivelarsi un vero e proprio best seller, esplora la vita sentimentale degli adolescenti americani in un periodo di relativa crisi per l’America, allora una nazione alle prese con le proteste operaie e gli scioperi del ’19, la grande paura della diffusione della Rivoluzione russa e l’incremento dei prezzi dei beni primari, mirabilmente illustrati, peraltro, da un cineasta di genio come Chaplin ne Il monello e nel più tardo Tempi moderni.
Nel novembre del 1919 la ruota della vita sembra riprendere il suo corso e lo scrittore stipula un contratto con l’agenzia letteraria Harold Ober and Reynolds. I racconti sono la specialità di Ober, un editor, un amico vero, un confidente franco, il destinatario di tante missive che, assieme a Perkins, eserciterà una notevole influenza su Fitzgerald e che, per primo, riuscirà a far pubblicare Head and Shoulders su un giornale importante come “The Saturday Evening Post”. Nel giro di pochi mesi, troveranno poi spazio su varie, apprezzate riviste tre racconti tutt’altro che marginali nell’economia creativa del Nostro: The Debutante, Porcelain and Pink Benediction, Dalyrimple Goes Wrong.
Il successo letterario riaccende anche l’amore per Zelda e di Zelda: sia come sia, nel giro di pochi giorni dalla pubblicazione di This side of Paradise, la coppia si sposa nella Cattedrale di St. Patrick a New York, il 3 aprile 1920.
Nel maggio dello stesso anno, sul “The Saturday Evening Post” appaiono Myra Meets His Family, The Camel’s Back, Bernice Bobs Her Hair, The Ice Palace e The Offshore Pirate.
Da maggio a settembre, troviamo il nostro autore al lavoro su The Beautiful and Damned, e nel luglio dello stesso anno appare sulla rivista “The Smart Set” il racconto May Day. Si tratta di un racconto davvero emblematico, che inaugura la cosiddetta “Età del Jazz” e contiene quattro storie che si fondono secondo una tecnica narrativa particolare, a intreccio, ripresa poi da uno scrittore d’indubbio talento come John Dos Passos. Si narra di un giovane ricco finito in miseria, di un ricco che resta tale, di un ricco che rinuncia alla ricchezza perché attratto da idee socialiste e di due reduci della guerra, poveri e spaesati in un Paese in preda a illusorie, inebrianti euforie.
Il 10 settembre 1920 esce Flappers and Philosophers (Maschiette e Filosofi): è la prima raccolta di racconti, otto, che dipingono un’America insieme frivola e spregiudicata, anticonformista e romantica. La maschietta di Fitzgerald non vuole responsabilità e ama solo il divertimento senza prendere alcun impegno, fino a quando… E, del resto, l’America veniva fuori dalla Grande Guerra come la più potente delle nazioni. Era un’età di miracoli, di fede nell’arte, nell’eccesso, un’era di eroi, una sorta di rinascimento della letteratura americana, che vedrà via via emergere scrittori come Hemingway, Faulkner, Dos Passos, O’Neill, Cummings e tanti altri.
Tra l’ottobre 1920 e l’aprile 1921 i Fitzgerald aprono casa al 38 West 59th Street di New York City. Il loro appartamento diviene subito luogo d’incontro e di mondanità: il loro stile di vita scandalizza i benpensanti per talune prodezze sofisticate e per le feste spumeggianti e fastose. I giovani amici, al contrario, sono come incantati, coinvolti – e talora travolti – nel turbinio sfavillante di una rinnovata, entusiasmante, forse inedita joie de vivre. Wall Street va a gonfie vele e, nei portafogli di molti, scorrono fiumi di denaro. L’America celebra il suo primato e la vecchia aristocrazia agraria è costretta a lasciar spazio alla prepotenza rampante e spericolata dei nuovi imprenditori, di coloro che comprano e vendono denaro come zucchero filato.
Tra maggio e luglio 1921 i Fitzgerald fanno il primo viaggio in Europa. Passano dapprima a Londra, poi in Francia e in Italia. A Parigi conoscono la già celebre Gertrude Stein, che orchestrava uno salotto artistico tanto ricco d’ingegni quanto anticonformista, frequentato non solo da tutti i cosiddetti “espatriati” americani, ma anche dalle più belle teste dell’avanguardia francese6.
Tra il settembre 1921 e il marzo 1922, esce a puntate sul “Metropolitan Magazine” The Beautiful and Damned (Belli e dannati), il secondo romanzo dello scrittore, che affronta il tema della dissoluzione morale e psicologica nell’America degli anni ’20, la rincorsa ai titoli in Borsa, il consumo sfrenato di beni di lusso, il ragtime, il fox-trot, i debiti che si accumulavano sui debiti.
Il 26 ottobre 1921 nasce Frances, soprannominata Scottie, la figlia di Scott e Zelda. Nasce al 626 Goodrich Avenue di St. Paul, ove la coppia ha fatto ritorno. Il 4 marzo 1922 abbiamo la pubblicazione vera e propria di The Beautiful and Damned presso Charles Scribner’s Sons.
La vita di St. Paul annoia molto Zelda e così la famiglia ritorna a New York, stabilendosi a Long Island che, non casualmente, diventerà lo scenario del suo più celebre romanzo, Il grande Gatsby. Anzi, a Great Neck, proprio come Jay Gatsby, la giovane coppia darà favolose e dispendiose feste, quasi leggendarie anche nel racconto dei partecipanti. Fitzgerald diviene subito lo scrittore simbolo della nuova generazione uscita dalla guerra, divisa tra i miti obsoleti della vecchia aristocrazia agraria e gli slanci di una nuova era industriale, nella quale si andavano a mano a mano imponendo, sulla scorta emozionale della Belle Époque, la società di massa, il fascino di un consumismo ancora in nuce ed altri fenomeni sociali affatto nuovi. Al White Bear Yacht Club di Long Island la famiglia rimarrà non oltre la primavera del 1924, indebitandosi per mantenere un alto tenore di vita, chiedendo continui anticipi sulle vendite editoriali, fino poi a decidere di stabilirsi in Francia.
Nel giugno del 1922 era uscito The Diamond as Big as the Ritz su “The Smart Set” e, nel settembre dello stesso anno, quella della seconda edizione di Tales of the Jazz Age (Racconti dell’età del Jazz), che contiene tre racconti inediti, i migliori pubblicati, forse, fino ad allora.
Il 27 aprile 1923 viene data alle stampe la commedia in tre atti The Vegetable, or from President to Postman (Il vegetale, o da presidente a postino), messa in scena il 19 novembre 1923 ad Atlantic City, New Jersey con un clamoroso, amarissimo insuccesso.
In questo periodo la coppia vive una vita disordinata e “farsesca” – come scriverà Nancy Milford nella sua insuperata biografia di Zelda7 – segnata dall’alcolismo e dalla perdita di amici cari come lo scrittore Ring Lardner, la cui figura somiglia, per più versi, a quella del compositore Abe North di Tender is the night. Il 5 aprile 1924 esce, in tutti i modi, How to live on $36,000 a Year sul “The Saturday Evening Post” – scritto forse per fronteggiare le molte e ingenti spese – e poi, a metà aprile, troviamo la famiglia di nuovo in Francia.
Dopo aver trascorso il mese di maggio a Parigi, dove conoscono Sara e Gerald Murphy, una ricchissima coppia americana, i Fitzgerald si trasferiscono per l’estate a Villa Marie (Valescure, St. Raphaël) in Cosa Azzurra. Qui Scott s’impegna intensamente nella stesura di un nuovo romanzo, The Great Gatsby, iniziato a Long Island. Nel luglio del ’24 la moglie Zelda si invaghisce dell’aviatore francese Edouard Jozan: ciò darà luogo a una crisi matrimoniale, a litigi e incomprensioni che sfoceranno nel tentativo di suicidio di Zelda. Onde superare tale momento grave e, potenzialmente, irreversibile, tra l’ottobre del ’24 e il febbraio del ’25 la famiglia si reca in Italia: prima a Roma, all’Hotel des Princes, dove il Nostro rivede le bozze e completa la redazione definitiva del romanzo, e quindi a Capri, all’Hotel Tiberio. Una lettera dell’ottobre 1924 a Maxwell Perkins segnala un giovane, promettente scrittore americano: Ernest Hemingway…
Il 10 aprile 1925 è la data della pubblicazione di The Great Gatsby. I Fitzgerald sono a Parigi. Il romanzo però non ottenne il successo del precedente. La critica non se ne accorse, tanto che, fra il ’27 e il ’34, uscirono meno di dieci scritti critici sul testo, ma un grande, raffinatissimo intellettuale americano naturalizzato inglese, T.S. Eliot, lo definì: “Il primo passo in avanti della letteratura americana dopo Henry James”. La prima edizione italiana esce, per i tipi di Mondadori (“I romanzi della palma”), nel 1936 col titolo di Gatsby il Magnifico; conviene ricordare che la traduzione, tutt’altro che spregevole, è di Cesare Gardini.
Il romanzo segnava un progresso rispetto alla produzione antecedente dell’autore, anche dal punto di vista stilistico e strutturale. Ora tutti i particolari nella narrazione, la descrizione dell’auto di Gatsby, ad esempio, acquisiscono una forza suggestiva, una valenza simbolica e poetica assolutamente nuova e originale rispetto al passato. La residenza di Gatsby è un grande parco di divertimenti: si tratta, a ben vedere, di un documento quasi scientifico – potremmo azzardare – della società dell’epoca, mettendo in scena, fra l’altro, la magia ammaliante della stratificazione di classe, di una lotta che, in questo caso, è pure una lotta fra amore e morte.
Certo, Jimmy Gatz/Jay Gatsby confonde il valore dell’amore col potere d’acquisto del denaro, e non è poco: questo risulta, comunque, uno dei nuclei fondativi e generatori del romanzo, e la sua volontà che nasce dal cuore diviene una sorta di principio archetipico e fiabesco, si traduce nel volto di chi tradisce e viene tradito dalle promesse dell’America.
Con un metodo appreso, con tutta probabilità, dall’amato Conrad, Fitzgerald costruisce la figura di Nick Carraway, ovvero quella di un narratore parzialmente coinvolto nella narrazione, che osserva a distanza, riluttante ma, allo stesso tempo, spinto a giudicare, a decidere. Il nuovo senso della prospettiva è, in buona sostanza, il tratto distintivo del romanzo: in verità, tutto ciò che vi accade è filtrato attraverso la percezione di Nick. Egli è dentro e fuori, simultaneamente attratto, incantato e infine espulso “dall’inesauribile varietà della vita” – come dirà nel finale.
Nel maggio del 1925 Francis Scott incontra di persona Ernest Hemingway al Dingo Bar: un appuntamento di estremo rilievo, forse soprattutto per l’autore di The sun also rises (Fiesta).
Nell’agosto del ’25 i Fitzgerald lasciano Parigi per recarsi in Costa Azzurra, ospiti dei Murphy: proprio sul Mediterraneo, fra il resto, abbiamo le prime attestazioni della stesura di un nuovo romanzo, Tender is the night. Secondo l’Hemingway di una lettera quanto mai eloquente (a Max Perkins), siamo dinanzi al romanzo più bello e solido che Scott abbia composto nella sua parabola poietica, tanto breve e complicata quanto rivoluzionaria: “I read it last year again and it has all the realization of tragedy that Scott ever found”8. Nel gennaio del 1926, Zelda dà i primi segni di “crisi nervosa” (all’epoca la psichiatria si esprimeva ancora così…) e viene ricoverata per un breve periodo presso la clinica Salies-de-Béarn. Agli spostamenti, ai litigi, alle faccende finanziarie, alle incomprensioni fonde, si aggiungeva ora la malattia di Zelda.
In questo stesso periodo viene pubblicato The Rich boy sul “Redbook Magazine”, la versione teatrale di The Great Gatsby, curato da Owen Davis e prodotto, a Broadway, per la regia di un George Cukor ancor giovane.
In febbraio compare All the Sad Young Men, la terza collezione di racconti di Francis Scott Fitzgerald. Di ritorno in Riviera, la coppia affitta Villa Paquita a Juan-les-Pins e si reca dai Murphy dove, questa volta, sono raggiunti da Hemingway. Francis Scott scrive How to Waste Material: A Note on My Generation, che verrà pubblicato in The Bookman del maggio ’26. Si tratta, perlopiù, di scritti in onore di Hemingway, miranti in special modo a fargli ottenere un giusto riconoscimento internazionale, ma anche di acute e, alle volte, imprevedibili osservazioni critiche sulle mode letterarie e sulla ricezione dei suoi stessi romanzi.
Nel dicembre del ’26 la coppia ritorna in America e, nel gennaio dell’anno successivo, si reca a Hollywood, perché Scott possa lavorare alla sceneggiatura di Lipstick, una commedia di Constance Talmadge prodotta dalla United Artists. L’opera non verrà realizzata, ma a Hollywood incontrano la giovane attrice Lois Moran, che interpreterà la parte di Daisy nel film del ’36. Tra il ’27 e il ’28, i due vivono a Wilmington, nel Delaware, ove Zelda, fra il resto, prende lezioni di danza. Tra l’aprile del ’28 e il settembre dello stesso anno, i Fitzgerald si recano a Parigi e quindi, tanto per cambiare, fanno ritorno negli Stati Uniti.
Il 28 aprile del 1928, sul “The Saturday Evening Post”, viene pubblicato The Scandal Detectives, la prima della collezione di racconti che vede come protagonista il personaggio di Basil Duke Lee. Il 2 marzo 1929 compare poi The Last of the Belles, sul “The Saturday Evening Post”.
Nel marzo la coppia è ancora in Europa, in viaggio tra Genova, la Costa Azzurra, Parigi, e poi di nuovo a Cannes, ove affittano Villa Fleur des Bois. In ottobre sono raggiunti dalla tragica notizia della crisi della Borsa di Wall Sreet. Negli Stati Uniti, inizia – si sa – la Grande Depressione: di fatto, finisce proprio qui l’allegra, generosa, folleggiante Jazz’s Era.
Sul piano editoriale, abbiamo il 5 aprile 1930, ancora sul “The Saturday Evening Post”, è pubblicato First Blood, il primo dei cinque racconti che ha come protagonista Josephine Perry.
Il 23 aprile 1930 Zelda viene ricoverata presso la clinica Malmaison, presso Parigi. La diagnosi è allarmante: “schizofrenia”. I ricoveri si susseguono presso la clinica Val-Mont a Glion, e presso la clinica Prangins di Nyon, in Svizzera. La crisi famigliare si traduce, per Francis, anche in una profonda crisi personale, senz’altro aggravata dal consumo smodato di alcol. Il tracollo fisico gli impedisce di lavorare al completamento di Tenera è la notte, per il quale aveva già ottenuto alcuni anticipi – forse utilizzati in toto per le spese mediche e per la cura della piccola Scottie.
11 ottobre 1930: esce One Trip Abroad, è la storia – con palesi riferimenti autobiografici, va da sé – di una coppia americana in crisi durante un viaggio in Europa.
Il 26 gennaio 1931 muore il padre Edward, sempre stimato da Scott un’autentica figura di riferimento. Mentre Zelda si trova ricoverata ad Annecy, egli torna in America per assistere alle esequie. Il 21 febbraio Babylon Revisited appare sul “The Saturday Evening Post” e, nello stesso giornale, il 15 agosto è la volta di Emotional Bankruptcy.
Dimessa Zelda a metà settembre, i Fitzgerald sono di nuovo in America. Prendono casa a Montgomery, e Scott si reca da solo a Hollywood per lavorare alla sceneggiatura di Red-Headed Woman per la Metro Goldwyn Mayer. Il 17 novembre 1932 muore anche il padre di Zelda, l’illustre e impeccabile Giudice Sayre.
Il lutto sprofonda Zelda in una seconda “crisi nervosa”: questa volta, verrà ricoverata alla clinica psichiatrica del Johns Hopkins Hospital di Baltimora. Nei giorni durissimi dell’ospedale, Zelda completa la prima stesura del suo primo romanzo: Save Me the Waltz. Questo fatto effettivamente sui generis suscita non poche ironie nelle lettere di Scott al proprio editor. La pretesa letteraria di Zelda incontra resistenze sotterranee, non detti in famiglia, perplessità radicali, anche se, nel frattempo, Scott prende casa nelle vicinanze, dove va a vivere con la figlia e dove, nel giugno dello stesso anno, sarà raggiunto dalla moglie, finalmente dimessa.
Nell’ottobre del ’32 sull’“American Mercury” esce Crazy Sunday, un racconto alquanto originale, e, proprio nello stesso mese, viene pubblicato il romanzo di Zelda, Save Me the Waltz. Le critiche sembrano discordanti: ciò nondimeno, a prescindere dal libro, un testo teatrale di Zelda – dal titolo molto significativo Scandalabra – viene messo in scena dai Vagabond Junior Players, a Baltimora.
Tra il gennaio e l’aprile del 1934, come era del resto già accaduto per altre opere, lo “Scribner Magazine” pubblica a puntate Tender is the Night.
In febbraio, Zelda va incontro a una nuova, acuta “crisi nervosa”: è la terza. Ricoverata in clinica, verrà poi trasferita alla Craig House, Beacon, New York. Qui la terapia psicologica troverà espressione anche in una mostra di opere pittoriche.
Il 12 aprile 1934 uscirà finalmente in volume Tender is the Night. La lunga attesa per quest’opera, alla quale lo scrittore aveva lavorato a lungo e con lucidissima passione, non trovò – guarda caso! – riscontri troppo favorevoli. Il successo di pubblico e critica risultò difatti abbastanza fragile, superficiale: ciò incise pesantemente sia sulle già precarie condizioni economiche di Scott, sia sul suo stato di salute, che andava via via appassendo: sta di fatto che, di là dai notori eccessi di vario ordine, fu ricoverato per un attacco di tubercolosi a Tryon, in North Carolina.
Nel marzo del ’35 uscì la sua quarta silloge di racconti, dal titolo Taps at Reveille. Tra il febbraio e l’aprile del 1936, la rivista “Esquire” pubblicherà una serie di saggi raccolti con il titolo di The Crack-Up, che rappresentano una testimonianza drammatica, sincera e – non di rado – struggente delle diverse crisi patite in quegli anni, funestati dalle continue ospedalizzazioni di Zelda, da un alcolismo vieppiù dispotico e minaccioso, nonché dalla propria malattia. Con candore e semplicità, Scott non nascose al pubblico la propria depressione profonda, quasi abissale e senza speranza, ma nessuno, di fatto, raccolse il suo grido d’aiuto; Hollywood anzi, racconta Fernanda Pivano con l’efficacia secca di sempre, “gli rifiutò un contratto che sarebbe stato forse la sua salvezza”9. Lo stesso Hemingway non si dimenticò di chi lo aveva lanciato a livello internazionale e, sulla rivista “Esquire”, verrà in suo soccorso con un testo dal titolo The Snows of Kilimanjaro, in cui si trova un esplicito riferimento al “poor Scott Fitzgerald”, riprendendo – con qualche variazione necessaria – le medesime tematiche affrontate nei saggi fitzgeraldiani di Afternoon of an Author.
Nel settembre del ’36 muore a Washington Mollie McQuillan Fitzgerald, l’amatissima madre di Scott e, nel marzo del ’37, esce sul “The Saturday Evening Post” un racconto dal titolo oltremodo eloquente ed emblematico, Trouble: si tratta, con ogni probabilità, del più denso ed intenso testo breve pubblicato in vita.
Indebitato fino al collo, nel luglio del 1937 Fitzgerald si reca per la terza volta a Hollywood. Riesce ad ottenere un contratto come sceneggiatore presso la casa del leone ruggente, la Metro Goldwyn Mayer, a 1.000 $ a settimana. Prende casa sul Sunset Boulevard. Qui incontra una giornalista esperta di cinema molto affascinante, Sheilah Graham, e si concentra sulla sola sceneggiatura che rechi il suo nome, Three Comrades (Tre compari), tolta da un romanzo di Erich Maria Remarque ancor fresco di stampa. È, in estrema sintesi, la storia di tre giovani soldati tedeschi tra la fine della Prima guerra mondiale e i primi anni dell’ascesa nazista. Interessante notare che il film venne prodotto dal grande Joseph L. Mankiewicz.
Nel dicembre del ’37 il contratto con la MGM viene rinnovato per un altro anno, per tutto il 1938, a 1.250 dollari a settimana. Appena possibile Francis si reca ad Asheville, ove Zelda si trova ospedalizzata, e passa con lei quattro giorni a Charleston e Myrtle Beach, in South Carolina.
Tra il febbraio del ’38 e il gennaio del ’39 Francis Scott Fitzgerald lavora alle sceneggiature di Infidelity, Marie Antoinette, The Women e Madame Curie, ma non è molto amato dai propri compagni sceneggiatori, che lo trovano sovente ubriaco, sfuggente, stanchissimo e, in una parola, inaffidabile.
Allo scadere dell’anno il contratto con la MGM non verrà rinnovato: Gone With the Wind, Via col vento è il suo ultimo impegno prima del licenziamento. Nel tentativo di recuperarlo da un alcolismo grave quanto sconcertante, Sheilah – ora sua amante – lo fa ricoverare a New York; e, anzi, dal marzo all’ottobre del 1940, troviamo Scott Fitzgerald impegnato come free-lance per le principali case dell’ industria cinematografica americana : la Paramount, l’Universal, la Twentieth Century-Fox, la Columbia.
Del luglio 1939 è la fine della collaborazione con il suo “storico” agente Harold Ober e, nell’estate del ’39, inizia un altro romanzo dal titolo provvisorio The Last Tycoon.
Venuta meno l’alleanza, l’amicizia, la collaborazione di una vita con Harold Ober, lo scrittore tenta inutilmente di stipulare contratti per la vendita dei diritti d’autore con l’editore Collier, e, seppure abbandonato da tutti, riesce a pubblicare su “Esquire” nel gennaio del ’40 Pat Hobby’s Christmas Wish, il primo di una serie di diciassette racconti.
Nel maggio del 1940 Francis Scott Fitzgerald ritorna a Hollywood, dove, il 21 dicembre, muore in seguito a un infarto. Il 27 dicembre 1940 verrà sepolto nel Rockville Union Cemetery, di Rockville, nel Maryland. Otto anni dopo, a seguito di un incendio scoppiato nell’Ospedale di Montgomery, ove era ricoverata da tempo, muore anche Zelda. La salma sarà inumata, insieme con quella del marito, nel cimitero di Rockville.
Nel 1941, verrà pubblicato postumo The Last Tycoon a cura dell’amico e compagno di università Edmund Wilson, che aveva amorosamente seguito le indicazioni lasciate su fogli sparsi dall’autore. Nel 1950 la figlia Scottie, sposata Lanahan donerà alla Princeton University il lascito di carte, manoscritti, lettere e appunti in suo possesso. Alla sua morte, avvenuta nel 1975, anche lei sarà sepolta assieme ai genitori, nella chiesa di St. Mary a Rockville.

ORIENTAMENTI BIBLIOGRAFICI

1. Opere di Francis Scott Fitzgerald

This side of Paradise, 1920
Flappers and Philosophers, 1920
The Beautiful and the Damned, 1922
Tales of the Jazz Age, 1922
The Vegetable, 1923
The Great Gatsby, 1925
All the Sad Young Men, 1926
Tender is the Night, 1934
Taps at Reveille, 1935
The Last Tycoon, 1941
The Crack Up, 1945

2. Opere complete in lingua originale

F. Scott Fitzgerald: Manuscripts, (a cura di) Matthew J. Bruccoli, 18 voll, New York, Garland, 1990-91
The complete works of Francis Scott Fitzgerald, 13 voll., Cambridge – New York, Cambridge University Press, 1991 -2001.

3. Opere tradotte in italiano di Francis Scott Fitzgerald

Tenera è la notte, traduzione di F. Pivano, Torino, Einaudi 1949
Il grande Gatsby, traduzione di F. Pivano, Milano, Mondadori, 1950
Di qua dal Paradiso, traduzione di F. Pivano, Milano, Mondadori, 1952
Belli e dannati, traduzione di F. Pivano, Milano, Mondadori, 1954
Gli ultimi fuochi, traduzione di B. Oddera, Milano, Mondadori, 1959
Basil e Cleopatra, traduzione di D. Tarizzo e C. Salmaggi, Milano, Il Saggiatore, 1960
Ventotto racconti, traduzione di B. Oddera, Milano, Mondadori, 1960
L’età del jazz, traduzione di D. Tarizzo, Milano, Il Saggiatore, 1960
Postino o Presidente?, traduzione di D. Tarizzo, Milano, Il Saggiatore, 1962
Crepuscolo di uno scrittore, traduzione di G. Monicelli, Milano, Mondadori, 1966
Crepuscolo di uno scrittore, traduzione di G. Monicelli, Milano, Mondadori, 1967
Racconti dell’età del Jazz, traduzione di G. Monicelli e B. Oddera, Milano, Mondadori, 1968
Romanzi, a cura di F. Pivano, Milano, Mondadori, 1972
Lembi di Paradiso: racconti, a cura di M. J. Bruccoli. Traduzioni di V. Mantovani e B. Oddera, Milano, Mondadori, 1975
I taccuini, a cura di M. J. Bruccoli. Introduzione di S. Perosa, Torino, Einaudi, 1980
La crociera del rottame vagante, a cura di R. Cagliero, Palermo, Sellerio, 1985
Festa da ballo, a cura di S. Petrignani, Roma-Napoli, Theoria, 1985
I racconti di Pat Hobby, a cura di O. Fatica, Roma-Napoli, Theoria, 1985
Maschiette e filosofi, a cura di Pietro Meneghelli, Biblioteca economica Newton, Roma 1996
Racconti dispersi, a cura M. J. Bruccoli, traduzione di B. Oddera, Milano, Mondadori, 1999-2001
Nuotare sott’acqua e trattenere il fiato: consigli a scrittori, lettori, editori, prefazione di N. Lagioia, a cura di L. W. Philips, traduzione di L. Carra, Roma, Minimum fax, 2000
Caro Scott, carissima Zelda: lettere d’amore di F. Scott e Zelda, a cura di J. R Bryer e C. W. Barks, traduzione di M. Premoli, Milano, La Tartaruga, 2003
Lettere a Scottie, a cura di M. Bacigalupo, Milano, Archinto, 2003.

4.1. Studi sulla vita di Francis Scott Fitzgerald

A life in letters: A new collection edited and annotated, a cura di M. J. Bruccoli, New York, Scribner, 1994
D. S. Brown, Paradise lost. A life of F. Scott Fitzgerald, Cambridge, Massachusetts – London, England, The Belknap Press of Harvard University press, 2017
M. J. Bruccoli, Some sort of epic grandeur. The life of F. Scott Fitzgerald, Columbia, South Carolina, University of South Carolina, 2nd rev. ed. 2002
M. J. Bruccoli, Ftizgerald Smith, S., Kerr, J. P. (a cura di), The romantic egoists: A Pictorial Autobiography from the scrapbooks and albums of Scott and Zelda Fitzgerald, New York, Scribner, 1974
A. B. Turnbull, Scott Ftizgerald, New York, Scribner’s, 1962
S. Mayfield, Exiles from Paradise. Zelda and Scott Fitzgerald, New York, Delacorte Press, 1971
N. Milford, Zelda, Milano, Bompiani, 1971
A. Mizener, The Far side of Paradise, Boston, Houghton Mifflin, 1951
Zelda Fitzgerald, Il romanzo di Zelda, Milano, Rizzoli, 1965
Sheilah Graham, Adorabile infedele, Milano, Mondadori, 1959
Sheilah Graham, The Rest of the story, New York, Coward-McCann, 1964
Sheilah Graham, College of one, London, Weidenfeld and Nicolson, 1966.

4.2. Studi sull’opera di Francis Scott Fitzgerald

H. Bloom, F. Scott Fitzgerald’s Great Gatsby, New York, Chelsea House, 1986
H. Bloom’s guides, F. Scott Fitzgerald’s The great Gatsby, New York, Infobase Publishing, 2006
E. Cecchi, Scrittori inglesi e americani, Milano, Il Saggiatore, 1964
A. Cecchini, La casa senza tetto: il narcisismo nell’opera e nella personalità di F. Scott Fitzgerald, Pisa, ETS, 1988
P. Citati, La morte della farfalla. Zelda e F. Scott Fitzgerald, Milano, Mondadori, 2006
M. Cowley, Il ritorno degli esuli, Milano, Rizzoli, 1963
S. Donaldson, Fool for love: F. Scott Fitzgerald, New York, Congdon and Weed, 1983
E. Hemingway, Scott Fitzgerald, Hawks do not share, A matter of measurement, in A moveable feast, New York, Scribner, 1964
B. Magnum, A fortune yet: Money in he art of F. Scott Fitzgerald’s short stories, New York, Garland, 1991
J. R. Mellow, Invented lives: F. Scott & Zelda Fizgerald, New York, Ballantine Books, 1984
Barbara Nugnes, I temi e la critica in Invito alla lettura di Fitzgerald, Milano, Mursia, 1977
C. Pavese, Letteratura americana e altri saggi, Torino, Einaudi, 1951
S. Perosa, L’arte di F. S. Fitzgerald, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1961
S. Perosa, Le vie della narrativa americana, Milano, Mursia, 1965
F. Pivano, America rossa e nera, Firenze, Vallecchi, 1964
F. Pivano, Balena bianca e altri miti, Milano, Mondadori, 1961
R. Prigozy, (a cura di), The Cambridge companion to F. Scott Fitzgerald, Cambridge, Cambridge University Press, 2002
M. J. Tate, F. Scott Fitzgerald A to Z: the essential reference to his life and work, New York, Facts on file, 1998
E. Vittorini, Diario in pubblico, Milano, Bompiani, 1957
E. Wilson, The shores of light: A literary chronicle of the twenties an thirties, New York, Farrar, Straus & Giroux, 1958
E. Wilson, Saggi letterari, 1920-1950, Milano, Garzanti, 1967
E. Zolla, Prefazione a F. Scott Fitzgerald, L’età del jazz e altri scritti, Milano, Il Saggiatore, 1966.

4.3. Saggi apparsi su riviste italiane e giornali

A. Arbasino, Memorie di Scott Fitzgerald, in “Paragone”, XI, Agosto 1960
L. Berti, Un giovane americano non inferiore a Hemingway, in “La fiera letteraria”, 15 marzo 1953
F. Bolzoni, Fitzgerald e l’età del jazz, in “Leggere”, 2 febbraio 1962
E. Cecchi, L’opinione letteraria: i racconti dell’epoca del jazz, in “L’europeo”, 15 ottobre 1950
E. Chinol, Due storici della crisi americana, in “Comunità”, VIII, aprile 1953
N. Fusini, Il diamante grande come l’America, in “Studi americani”, 17, 1997
L. Manera, Scott e Zelda, gli archivi di un amore dannato, in “Corriere della sera”, 31 luglio 2002
E. Montale, F. Scott Fitzgerald, araldo della generazione perduta, in “Corriere della sera”, 7 marzo 1951
A. Moravia, La bella vita tra le due guerre, in “Il Mondo”, 11 giugno 1949
S. Perosa, Fitzgeraldiana, in “Annali di Cà Foscari”, X, 1-2, 1971
F. Pivano, Fitzgerald e la sua generazione, in “Aut-Aut”, novembre 1951.

5. Sitografia

La disillusione del sogno americano in Francis Scott Fitzgerald
Voce su Francis Scott Fitzgerald su Wikipedia
The Matthew J. & Arlyn Bruccoli Collection of F. Scott Fitzgerald
F. Scott Fitzgerald Society
Francis Scott Fitzgerald su Online literature

Note

  1. Cfr. E. Raimondi, Un’etica del lettore, Bologna, Il Mulino, 2007.
  2. E. Montale, F. Scott Fitzgerald, araldo della generazione perduta, in “Corriere della Sera”, 7 marzo 1951.
  3. F. Scott Fitzgerald, Sarà un capolavoro. Lettere all’agente, all’editor, agli amici scrittori, Roma, Minimum fax, 2017, passim.
  4. M. Bruccoli, op. cit., p. 68.
  5. “Fine and full hearted selfishness and chill-mindedness […] Thin blu eyes, a direct nose, and penciled mouth, she projected a hawkish visage accentuated by short, honey-blond hair” (Cfr. M. Bruccoli, op. cit., p. 46).
  6. Celeberrimo il film di Woody Allen Midnight in Paris del 2011.
  7. Cfr. N. Milford, Zelda, New York, Harper, 1970, passim.
  8. D. Brown, Paradise lost, op. cit., p. 253.
  9. Cfr. F. Pivano, Pagine americane, Frassinelli, 2005, passim.

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