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Lo Stato contro l’opposizione: sorveglianza e controllo politico nell’Italia del secondo dopoguerra
di , numero 59, giugno 2025, Saggi e Studi, DOI

Lo Stato contro l’opposizione: sorveglianza e controllo politico nell’Italia del secondo dopoguerra
Come citare questo articolo:
Davide Paparcone, Lo Stato contro l’opposizione: sorveglianza e controllo politico nell’Italia del secondo dopoguerra, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 59, no. 4, giugno 2025, doi:10.48276/issn.2280-8833.12882

Introduzione

Alla fine della Seconda guerra mondiale e con lo scoppio della Guerra Fredda, l’Italia – paese di frontiera nel delicato equilibrio emerso dalla Conferenza di Yalta – avviò un intenso rafforzamento dei propri sistemi di intelligence, volto a garantire la sicurezza nazionale di fronte alle nuove minacce. Tra queste spiccavano l’acquisizione dell’arma nucleare da parte dell’Unione Sovietica nel settembre 1949, la conseguente rottura del monopolio americano sulla deterrenza nucleare e la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese nell’ottobre dello stesso anno1 . Dal punto di vista interno, inoltre, risultava particolarmente significativa la crescente forza del Partito Comunista Italiano, il più grande del mondo occidentale e un interlocutore di rilievo per Mosca. Al Pci si affiancavano alcune sigle sindacali e i numerosi movimenti e gruppi che, con ruoli e impostazioni eterogenei, ne condividevano l’orientamento politico, come ad esempio l’Unione donne italiane 2, l’Alleanza giovanile e i Partigiani della pace3. Il controllo su queste forme di opposizione, attivato con metodi efficienti a partire dall’immediato dopoguerra, contribuì a consolidare un apparato di sorveglianza finalizzato a tutelare la stabilità dell’assetto politico nazionale. In questo quadro, si può parlare – riprendendo la fortunata espressione di Foucault – di “Panopticon4 di Stato5 , in cui la sorveglianza non si limitava alla repressione/prevenzione dei comuni delitti, ma si estendeva anche a forme di dissenso sociale e politico, al fine di preservare l’ordinamento politico e i nuovi equilibri internazionali consolidatisi nel dopoguerra6 . Una sorveglianza, dunque, che tentava di escludere gli estremi dalle posizioni di comando, costruendo quella che può essere definita una “Repubblica del controllo”, fondata sull’impiego sistematico e strategico degli apparati di sicurezza per il mantenimento – e la gestione – del potere.

Strategie di sorveglianza

È in questo contesto che venne riorganizzato, oltre agli apparati di intelligence, anche il corpo della Polizia di Stato, ad opera soprattutto del Ministro dell’Interno Scelba7. Il quadro delle forze di polizia quando egli assunse la carica di ministro dell’Interno assommava a circa tremila uomini8. Dopo l’epurazione del personale proveniente dai gruppi partigiani comunisti e socialisti, che furono dimissionati in cambio di consistenti vantaggi economici, fu decisa l’assunzione di circa diciottomila agenti, portando, nel giro di un anno, il numero degli agenti a quasi sessantanovemila9. Oltre a questo, il ministro potenziò notevolmente i reparti della Celere10, con l’Istituzione di tredici Ispettorati di zona11 e creando, di fatto, uno degli strumenti di controllo più importanti nel secondo dopoguerra. La Celere, fin dalle origini, ebbe natura di reparto speciale di pronto intervento repressivo in caso di disordini pubblici12.
Infine, il titolare degli interni, nel 1947, sostituì un terzo del totale dei prefetti, selezionando personalmente i nuovi incaricati – giovanissimi, tutti tra i 39 e i 40 anni – cui non sarebbe mai spettata la nuova nomina. Si trattava, secondo Scelba, di «giovani funzionari che davano affidamento sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista politico»13. A proposito della questione dei prefetti, nelle sue memorie Scelba scriverà:


Un giorno il mio capo di gabinetto chiamò il prefetto di Milano. Gli rispose l’onorevole Pajetta, il quale spiegò che fungeva lui da prefetto. Il capo di gabinetto me lo riferì subito ed anch’io telefonai a Milano. Mi rispose lo stesso Pajetta. Alla prefettura di Milano c’era un prefetto politico, ex partigiano. Da tempo da Milano arrivavano notizie che alla prefettura i comunisti facevano e disfacevano da padroni e che il prefetto era come inesistente. Decisi subito di sostituirlo. […] Decisi di inviare a Milano il generale comandante la divisione Folgore perché usasse i suoi battaglioni nel caso di resistenza da parte degli occupanti la prefettura14.

I prefetti, in questo quadro, ebbero un ruolo centrale nel contenimento delle forme di protesta del mondo delle opposizioni15. Le prime occasioni furono date dalle diverse iniziative di massa allora promosse contro le decisioni della Nato in merito al riarmo dai “Partigiani della pace”, gruppo già posto sotto controllo dalle forze di polizia.
Da questo quadro emerge l’intenzione, già dai primissimi anni di vita della Repubblica, di creare non solo una conventio ad excludendum dei partiti di sinistra dal quadro politico, ma di controllare qualsiasi forma di dissenso politico presente nel paese. Il duplice intento dei governi democristiani era quello, da un lato, di varare leggi eccezionali per l’esclusione delle “ideologie totalitarie” dalla scena politica e, dall’altro, creare gli strumenti operativi necessari affinché ciò avvenisse, nella convinzione che soltanto l’azione legislativa e democratica non avrebbe risolto il problema della sicurezza dello stato:

Altri paesi hanno negato il diritto di cittadinanza ai partiti aventi una base ideologica totalitaria; mi riferisco alla Svizzera, la quale non è certamente un paese antidemocratico. […] Ciò è potuto avvenire, però, quando i partiti totalitari avevano una scarsa forza, erano all’inizio del loro sviluppo, e la democrazia è stata in grado di poter risolvere in nuce il problema della difesa della democrazia16.

E non si possono altresì ignorare le parole che Piero Calamandrei scrisse nel saggio dedicato alla Costituzione e alle leggi per attuarla, pubblicato nel 1955 in un volume edito da Laterza dal titolo Dieci anni dopo a proposito della Democrazia Cristiana e il potere politico, esercitato

attraverso un apparato di polizia appositamente attrezzato sotto il regime fascista per mantenere e rafforzare il predominio di un Partito totalitario. Così la difesa dell’ordine pubblico diventa la difesa degli interessi del Partito dominante; prefetti e questori diventano inconsapevolmente strumenti del partito che è al governo secondo la tradizione del precedente regime17 .

Si consideri che in questo contesto, come già evidenziato da Calamandrei, i sistemi di controllo sui partiti politici rimasero pressoché invariati rispetto al periodo fascista:

La continuità tra gli apparati dello Stato fascista e di quello repubblicano, nonostante le ferite ancora fresche della guerra, si definì già durante gli ultimi mesi del conflitto ed ebbe il pieno appoggio delle forze e degli interessi che guidavano l’amministrazione provvisoria degli Alleati. Questa continuità si espresse soprattutto nelle Forze dell’ordine e negli apparati di intelligence e ne dobbiamo tener conto per poter capire e interpretare correttamente la logica che si mosse in quei primi anni di vita della nostra fragile democrazia repubblicana18 .

In particolare, il monitoraggio dei partiti d’opposizione, indipendentemente dalla loro natura ideologica, si avvalse degli stessi strumenti del passato, inclusa una buona parte del personale operativo19. Emblematico, in tal senso, è il fatto che il capo della polizia segreta fascista Guido Leto, che aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana e trasferito gli uffici dell’Ovra a Valdagno, consigliò ai comandi alleati di recuperare le schede informative e tutto l’archivio dell’Ovra prima di essere reintegrato nell’Ufficio Affari Riservati proprio con il compito di riorganizzare il materiale informativo20. Inoltre, nel dicembre 1947 il ministro Scelba istituì presso il Ministero dell’Interno una Commissione interna per discutere in merito al potenziamento delle forze di polizia della neonata Repubblica e tra i componenti figuravano Gesualdo Barletta, Saverio Polito e Ciro Verdiani, tutti, precedentemente, alti funzionari dell’Ovra21. Giovanna Tosatti, in particolare, sottolinea come Ciro Verdiani, nominato Questore di Roma ad inizio 1946, poi capo dell’Ispettorato generale di polizia della Sicilia, era stato precedentemente a capo dell’Ovra in Dalmazia e che venne sostituito da Saverio Polito, già funzionario della Zona IV dell’Ovra22. Gesualdo Barletta, oltre a essere un amico intimo della sorella di Mussolini, Edvige, era già stato un funzionario della PolPol e capo della Zona IX dell’Ovra23. A lui Scelba affidò la guida dell’Ufficio Affari Riservati – il cui organo originario, la Divisione Affari Speciali24, fu fortemente voluto dal ministro dell’Interno, Giuseppe Romita e dal capo della polizia Luigi Ferrari – che mantenne fino al 1958, per essere poi promosso al grado di vicecapo della polizia. Inoltre, Barletta chiese e ottenne di essere affiancato da Domenico Rotondano, già funzionario degli apparati informativi sotto il fascismo ed ex vicecapo dell’Ufficio politico della Questura di Roma25.
L’Ufficio Affari Riservati fu uno dei centri di controllo e di monitoraggio dei partiti d’opposizione nel dopoguerra – insieme, ad esempio, al Sifar –, creando una rete di sorveglianza estremamente efficiente e radicata26. La sua attività non si concentrava soltanto sul controllo dei partiti di sinistra, ma anche su quelli di destra, vicini agli ambienti neofascisti27. La sua operatività può essere considerata, di conseguenza, assolutamente trasversale rispetto allo scenario politico italiano. Il monitoraggio, in sostanza, riguardava tutti quei soggetti – politici e non – giudicati “pericolosi” per la stabilità dello Stato e per la sicurezza della Repubblica. In questo senso, il concetto di pericolosità e di sicurezza risultano estremamente ambigui, poiché si devono contestualizzare e inquadrare in un momento storico in cui i governi democristiani tesero sempre a mantenere un controllo pressoché assoluto sul paese.
L’Ufficio Affari Riservati venne inizialmente diviso in due sezioni e in un Casellario politico centrale28. La prima sezione si occupava del monitoraggio dell’attività dei partiti di sinistra (comunisti, socialisti, anarchici ecc.); la seconda aveva il compito di supervisionare la situazione politica, economica e sociale del Paese e di sorvegliare le attività di gruppi, soggetti, associazioni vicini agli ambienti neofascisti. Tuttavia, la vera e propria ossatura dell’Ufficio Affari Riservati era costituita dai cosiddetti “Uffici vigilanza stranieri” (Uvs) coordinati da vicequestori e commissari di polizia. Detti uffici avevano le loro sedi operative nelle principali città italiane e si servivano di decine di informatori e “squadre”29. Tali organismi facevano capo alla sede centrale del Viminale e ufficialmente avrebbero dovuto svolgere compiti di sorveglianza e controllo dei cittadini stranieri presenti nel territorio italiano, similmente alle funzioni che in epoca prefascista aveva avuto la “Divisione stranieri”. In realtà, essi avevano lo scopo di raccogliere informazioni sui traffici illeciti, e soprattutto sull’attività politica dei partiti di opposizione e sulle attività delle maggiori sigle sindacali del paese30. Si può dunque osservare la natura “sotto copertura” di tali organismi che, al di là della denominazione, perseguivano obiettivi che presupponevano il controllo della situazione politica interna. Dalle informative che si sono analizzate si evidenzia il fatto che il monitoraggio avveniva secondo le classiche operazioni di polizia, e cioè pedinamenti, intercettazioni e raccolta di informazioni attraverso terzi.
Come ha giustamente notato Giovanna Tosatti, l’analisi della documentazione trasmette l’impressione di un significativo spreco di risorse impiegate per schedare e sorvegliare un numero considerevole di persone ed enti che non rappresentavano alcuna minaccia per l’ordine o la sicurezza pubblica – tanto che molti degli schedati venivano spesso radiati dal Casellario dopo pochi anni, in quanto del tutto inattivi. È il caso, ad esempio, di Alvisi Alessandro fu Augusto, «ex fascista», controllato dalla fine della guerra sino al 1951, quando una informativa della Questura di Napoli alla Divisione Affari Riservati specificava che:

La persona in oggetto, dal 1945 ad oggi non ha dato in politica luogo a rilievi o sospetti. Si è mantenuto in disparte dalle varie tendenze locali ed in atto trovasi gravemente ammalato. Come fascista non sono ricordati più episodi spiacevoli o indicativi di particolare pericolosità dovuti al passato regime. Di carattere mite, non risultano né in questi atti, né dalla sorveglianza riservata cui è stato sottoposto emergenze sfavorevoli. Non lo si ritiene pericoloso per l’attuale ordinamento democratico dello stato e per le mancanze di ogni elemento concreto di pericolosità e di sospetto sulla sua attuale condotta quest’ufficio ha ritenuto di revocare la vigilanza finora esercitata [nei] suoi confronti. Ne informo cotesto Ministero per opportuna notizia31.

In altri casi, addirittura, i fascicoli restavano aperti anche dopo la morte del soggetto controllato, come nel caso di Amic Cammillo «fu Cesare e di Fontani Emma, nato a Tempio Pausania il 26.4.1904, già domiciliato a Firenze», della cui morte la Divisione Affari Generali e Riservati fu informata solo dopo tre anni:

Per le opportune annotazioni in cotesti atti, si comunica che il soprascritto Amic Camillo, ex squadrista, ex maresciallo della m.v.s.n., e della g.n.r. durante il periodo nazifascista, già incluso nell’elenco n°030838 U.P. in data 27.4.1946 dei fascisti di questa Provincia da ricercare, risulta deceduto a Legnano il 25 settembre 194432.

L’attività degli uffici del Ministero dell’Interno preposti al controllo politico si basava, evidentemente, su di una rete di informatori profondamente radicata nei partiti politici, capace di addentrarsi sino alle più alte gerarchie di comando. Questo è confermato da alcune circolari interne ai partiti – di cui gli stessi raccomandavano la segretezza – in possesso dell’Uar. Il 4 agosto 1954 l’Uar trasmise al Capo della Polizia Giovanni Carcaterra33 una informativa con allegata una circolare interna di 22 pagine diramata dalla Commissione Nazionale di Organizzazione del Psi indirizzata a tutte le federazioni e a tutti i Comitati Regionali del PSI:

Allegata, in originale, circolare interna organizzativa n. 95, diramata il 10 luglio u. s. dalla Commissione Nazionale di organizzazione del PSI per impartire direttive sui seguenti argomenti: 1) Riordinamento democratico delle organizzazioni; 2) Per il rafforzamento del partito nelle città; 3) Il partito e la diffusione dell’Avanti; 4) Per l’emancipazione della donna34.

Tuttavia, in quegli anni, il Ministero dell’Interno, nella persona di Scelba, scelse di non affidarsi esclusivamente ai servizi dell’Ufficio Affari Riservati ma anche alla collaborazione con strutture parallele in cui c’era personale di sua stretta fiducia. Nel caso di Scelba, per esempio, venne valorizzato il rapporto che si era creato con il generale dei Carabinieri Giuseppe Pièche35. Egli fu messo a capo di un ufficio informazioni non ufficiale, che agiva in sintonia con il comando alleato nel quale lavoravano quasi tutti gli ufficiali del Sim (Servizio informazioni militari) allontanati in precedenza dal servizio. Egli fu inoltre coinvolto nella nascita di alcune strutture paramilitari (il “Macri – Movimento anticomunista per la ricostruzione italiana”, il “Fronte antibolscevico”, l’“Ail – Armata italiana di liberazione”) che nel 1948 sarebbero state pronte ad intervenire per contrastare un’eventuale insurrezione comunista. Dall’analisi che ne fa Giovanna Tosatti sembra, inoltre, che Scelba si fosse servito di Pièche per impiantare «una serie di fascicoli su personalità di primo piano nei campi politico, sindacale, degli affari e intellettuale»36.
Dopo la direzione di Ulderico Caputo – «una delle più anonime della storia dell’Uar»37 –, si avviò, a partire dal 1962 e in concomitanza con la direzione di Efisio Ortona, un periodo di grande attività per la Divisione. Si ricorda, ad esempio, il coinvolgimento di un commercialista milanese (di cui non si conosce ancora il nome), che, stando ad un appunto riservato, avrebbe rivestito alte cariche all’interno del Partito comunista e a cui venne assegnato il nome in codice di “Dottor Verde”.
A Caputo seguì, nel 1963, l’allora questore di Genova, Savinio Figurati. La scelta più importante del nuovo direttore fu quella di istituire uno speciale “Nucleo Tecnico”, composto da figure altamente esperte di informatica guidate dal maresciallo Claudio Vollo con il compito di svolgere precise operazioni:

1) Intercettazione e localizzazione di emittenti clandestine o comunque abusive.
2) Ascolto e registrazione di emittenti radio (paesi di oltre cortina).
3) Registrazione di alcune trasmissioni radio e televisive38 .

È in questo periodo che emergerà la figura più emblematica della Divisione, Federico Umberto D’Amato39 (ne diventerà direttore nel 1971), il quale venne posto a capo della Sezione VI col compito di coordinare il lavoro delle squadre periferiche, di tenere i contatti con gli agenti sparsi sul territorio e di occuparsi dei finanziamenti da concedere agli informatori40.
Nel 1969 il Ministero dell’Interno decise di cambiare il nome dell’Ufficio Affari Riservati in Servizio Informazioni Generali Ordine Pubblico (Sigop) che venne diviso in due sezioni: 1) Sicurezza Interna-Informazioni Generali (Siig), guidato da D’Amato; 2) Divisione Ordine Pubblico e Ufficio Stranieri (Dops), alla cui direzione furono posti Antonio Troisi e Mauro Saviani41. In questo frangente il controllo sui partiti di sinistra si fece più asfissiante, tanto che Pacini nota che:

[…] dalla lettura delle molteplici “veline” dell’Uar oggi consultabili si evince come il Viminale, grazie alle sue fonti, fosse in grado di conoscere in tempo pressoché reale tutte le evoluzioni interne al Pci, i dissidi tra i dirigenti, la distribuzione degli incarichi, il testo originale degli interventi tenuti nel Comitato Centrale del partito, i canali di finanziamento e così via42.

Il ministro Taviani decreterà, alla metà degli anni Settanta, la fine dell’Ufficio Affari Riservati che venne sostituito dall’Ispettorato generale per l’azione contro il terrorismo, rimasto in carica per pochi mesi, fino alla riforma dei servizi segreti del 1977 e l’istituzione del Sisde e dell’Ugicos come servizi informativi civili.
In conclusione, appare sufficientemente chiaro come, a partire dall’immediato dopoguerra – ma con radici già nel periodo precedente – gli apparati di sicurezza italiani si siano mobilitati in maniera sistematica per limitare gli spazi politici dei partiti di opposizione. Tale azione fu condotta attraverso strategie e strumenti che non sempre hanno rispettato i principi della legalità e che, in numerosi casi, hanno ripreso metodi propri del precedente regime fascista, evidenziando così una continuità operativa – già, in parte, sottolineata43 – che merita un’attenta riflessione critica. I partiti d’opposizione, indipendentemente dalla loro specifica ideologia, furono sottoposti a un attento controllo, con una particolare attenzione rivolta a quelli appartenenti all’area comunista e socialista. Allo stesso modo, anche le sigle sindacali e i movimenti extraparlamentari subirono una sorveglianza sistematica, segno di un assetto politico fortemente regolamentato, in cui il controllo istituzionale si traduceva in una costante limitazione degli spazi di azione democratica. Un Panopticon moderno, capace di estendere i suoi “occhi” – e le sue armi – su tutta la politica italiana.

Note

  1. Si consideri, inoltre, dal 1953, l’insistenza crescente del nuovo presidente Eisenhower, il quale chiese a più riprese al governo italiano, attraverso l’ambasciatrice a Roma Clare Boothe Luce, di mettere fuori legge il Partito comunista. Scelba, a proposito, dirà nelle sue memorie: «Il presidente Eisenhower mi chiese perché non scioglievo il Consiglio comunale di Bologna. Risposi che il consiglio comunale di Bologna operava nel rispetto delle leggi e che quindi non potevo scioglierlo. Aggiunsi che se avessi potuto scioglierlo legalmente, allora avrei sciolto il partito comunista. Il presidente Eisenhower replicò: “Perché allora non scioglie il Partito comunista?”. Risposi: “Lei metterebbe fuori legge cinquanta milioni di americani, un terzo della popolazione?”», in M. Scelba, Per l’Italia e per l’Europa, Roma, Cinque Lune, 1990, pp. 113-114. Cfr. su questo anche M. Del Pero, L’alleato scomodo. Gli USA e la DC negli anni del centrismo (1948-1955), Roma, Carrocci, 2001. La subalternità degli apparati di intelligence italiani nei confronti degli alleati statunitensi è rimarcata da De Lutiis: «In questo periodo, ancor di più che nel periodo bellico, l’Italia restò praticamente consegnata ai servizi informativi americani», in G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1984, p. 34.
  2. G. Ascoli, L’Udi fra emancipazione e liberazione (1943-1964), in AA.VV., La questione femminile in Italia dal ‘900 ad oggi, Milano, Franco Angeli, 1977; P. Gabrielli, La pace e la mimosa. L’unione donne italiane e la costruzione politica della memoria (1944-1955), Roma, Donzelli, 2005. Per una rassegna archivistica si consulti Guida agli Archivi dell’Unione Donne Italiane, Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Direzione Generale per gli Archivi, Roma, 2002.
  3. R. Giacomini, I partigiani della pace. Il movimento pacifista in Italia e nel mondo negli anni della prima guerra fredda, Milano, Vangelista, 1984; G. Petrangeli, I Partigiani della pace in Italia 1948-1953, in «Italia Contemporanea», 217, 1999, pp. 668-692; S. Cerrai, I partigiani della pace in Italia. Tra utopia e sogno egemonico, Padova, Libreriauniversitaria, 2012. In una informativa della Questura di Milano le operazioni propagandistiche dei Partigiani della pace erano classificate come Attività Comunista, Relazione su una riunione dei Partigiani della pace tenuta il 3 dicembre 1950, in Archivio Fondazione Lelio e Lisli Basso, busta 4, fascicolo 6, sotto fascicolo 13-22.
  4. M. Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1993. Il testo di Foucault rappresenta uno dei punti di riferimento dell’approccio scientifico dei surveillance studies. Su questo si veda C. Fonio, Oltre il “Panopticon”? Foucault e la videosorveglianza, in «Studi di sociologia», 2, 2006, pp. 267-275; R. Fox, Someone to watch over us: back to the Panopticon, in «Criminal Justice», I, 3, 2001, pp. 251-276 e N. M. Richards, The dangers of surveillance, in «Harvard Law Review», 126, 7, 2013, pp. 1934-1965. La strategia del Panopticon è basata sul principio dell’edificio progettato da Jeremy Bentham: un singolo guardiano, collocato al centro di uno stabile (non importa se prigione o collegio), poteva controllare tutti gli “ospiti” e garantire così l’ordine, J. Bentham, Panopticon, a cura di M. Foucault, M. Perrot, Venezia, Marsilio, 2001 (4 ed.).
  5. Per un inquadramento sulle ripercussioni del Panopticon in epoca contemporanea si veda D. Lyon, La società sorvegliata. Tecnologie di controllo della vita quotidiana, Milano, Feltrinelli, 2003.
  6. Una preoccupazione legata anche all’ampia disponibilità di armi nelle mani della popolazione. Su questo si veda M. M. Aterrano, Civilian Disarmament: Public Order and the Restoration of State Authority in Italy’s Postwar Transition, 1944-46, in «Journal of Contemporary History», 56, 2, 2021, pp. 386-410; Id., «Si vis pacem, para pacem». Il disarmo dei cittadini nella legislazione eccezionale sulle armi in Italia, 1948-1952, in «Ricerche di storia politica», 1, 2022, pp. 3-24.
  7. F. Mazzei, De Gasperi e lo «Stato forte». Legislazione antitotalitaria e difesa della democrazia negli anni del centrismo (1950-1952), Le Monnier, Firenze, 2013, in particolare p 29 e ss. Il delicato equilibrio internazionale uscito dalla guerra contribuì anche, nel gennaio 1950, alla revisione di strategia della politica estera americana, gestita dal Policy Planning Staff sotto la nuova direzione di Paul Nitze e culminata nel mese di aprile con la redazione del NSC-68.
  8. F. Malgeri, Mario Scelba e l’ordine pubblico nell’Italia del dopoguerra, in P. L. Ballini (a cura di), Mario Scelba. Contributi per una biografia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006. Interessante, nello stesso volume, anche il saggio di P. Craveri, Mario Scelba, la questione comunista e il problema della Democrazia Cristiana. Tutti i testi citati in questo scritto raccolgono importanti sezioni bibliografiche in cui sono indicati gli studi sulle “leggi eccezionali” emanate nel corso di quegli anni per contrastare le opposizioni.
  9. I dati sono raccolti in M. Oggianu, Dalla Resistenza alla Repubblica, in S. Sepe e L. Mazzone, Pagine di storia del ministero dell’interno, Roma, SSAI, 1998, p. 5.
  10. G. C. Marino, La repubblica della forza. Mario Scelba e le passioni del suo tempo, Milano, Franco Angeli, 2013. Secondo il giudizio di Marino, Scelba avrebbe strumentalizzato e amplificato la reale pericolosità dei comunisti, accrescendo la credibilità di tali allarmi non solo per giustificare la rigidità dei suoi metodi, ma anche «per rafforzare il prestigio delle forze investite dal compito» di scongiurare quello che veniva percepito come un imminente disegno totalitario delle sinistre. Sulla nascita della Celere, reparto istituito dal ministro Giuseppe Romita nel 1946 a ridosso del referendum per la scelta fra monarchia e repubblica, si veda, oltre ai testi citati, A. Sannino, Le forze di polizia nel dopoguerra, Milano, Mursia, 2014; F. Fedeli, Polizia e democrazia, Studio Tesi, 1978 e A. Natale, La polizia di stato quale componente dell’amministrazione della pubblica sicurezza: organizzazione, compiti e peculiarità del suo collocamento. La storia, in «Sicurezza e scienze sociali», 3, 2016, pp. 13-31.
  11. Piemonte (I), Lombardia (II), Liguria (III), Veneto (IV), Emilia (V), Toscana (VI), Marche-Abruzzi-Molise (VII), Lazio-Umbria (VIII), Campania (IX), Puglie-Basilicate (X), Calabria (XI), Sicilia (XII), Sardegna (XIII). Sulla storia della polizia in quegli anni cfr. R. Canosa, La polizia in Italia dal 1945 ad oggi, Bologna, il Mulino, 1976; H. Reiter, Le forze di polizia e l’ordine pubblico in Italia dal 1944 al 1948, in «Polis. Ricerche e studi su società e politica in Italia», X, 1996, pp. 337-360.
  12. Alfredo Todisco, in un articolo apparso sul “Mondo” il 17 giugno 1950 scrisse che: «[…] l’intervento viene chiesto dal questore o dal prefetto attraverso il ministero dell’Interno, da cui i reparti celeri direttamente dipendono, quando l’ordine pubblico non possa venire mantenuto con le normali forze di polizia».
  13. M. Scelba, Per l’Italia e per l’Europa, cit., p. 59.
  14. Ivi, p. 57.
  15. Per un quadro generale si veda S. Sepe (a cura di), I prefetti in età repubblicana. 1946-2002, Bologna, il Mulino, 2007.
  16. Mario Scelba in un intervento alla Camera il 21 dicembre 1949.
  17. P. Calamandrei, La Costituzione e le leggi per attuarla, in Dieci anni dopo, Bari, Laterza, 1955, pp. 304-305.
  18. R. Benini, V. Scotti, Sorvegliata speciale. Le reti di condizionamento della Prima Repubblica, Soveria Mannelli, Rubettino, 2023.
  19. P. Carucci, L’organizzazione dei servizi di polizia dopo l’approvazione del testo unico delle leggi di P.S. nel 1926, in «Rassegna degli Archivi di Stato», XXXVI, 1, 1976, pp. 82-114. Cfr. anche G. Tosatti, L’avvio della democrazia tra continuità e cambiamenti, in L’Italia repubblicana. Costruzione, consolidamento, trasformazioni. I. Il primo ventennio democratico (1946-1966), Roma, Viella, 2020. Si veda anche C. Pavone, Il problema della continuità dello Stato e l’eredità del fascismo, versione italiana del testo pubblicato in After the War. Violence, Justice, Continuity and Renewal in Italian Society, a cura di J. Dunnage, Market Harborough, Troubador Publishing, 1999, pp. 5-20.
  20. Guido Leto, dopo un processo davanti alla Corte d’Assise di Roma, che lo coinvolse nell’aprile del 1946, venne assolto e reintegrato, divenendo il direttore tecnico di tutte le scuole di polizia del territorio italiano. Su di lui cfr. M. Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista, Bollati Boringhieri, Torino, 1999, in particolare il capitolo Funzionari e confidenti tra epurazione e continuità dello Stato, pp. 411-485.
  21. Cfr. su questo lo studio sull’Ufficio Affari riservati di G. Pacini, Il cuore occulto del potere. Storia dell’Ufficio Affari riservati del Viminale, (1919-1984), Roma, Nutrimenti, 2010. Il lavoro, ampliato, è stato ripubblicato in G. Pacini, La spia intoccabile. Federico Umberto D’Amato e l’Ufficio Affari Riservati, Torino, Einaudi, 2021. Sull’Ufficio Affari Riservati si vedano anche A. Giannulli, La guerra fredda delle spie. L’Ufficio Affari riservati, vol. I, Roma, Nuova Iniziativa Editoriale, 2005 e G. Cipriani, Lo Stato invisibile. Storia dello spionaggio in Italia dal dopoguerra a oggi, Milano, Sperling & Kupfer, 2002. Una ricerca sullo stesso tema, ma che si concentra su contesti e tempi diversi, è in A. Marzo Magno, La guerra tiepida. Spionaggio e controspionaggio tra Italia e Jugoslavia 1948-1953 nel fondo Affari riservati della Pubblica Sicurezza, nell’Archivio centrale dello Stato, in «Qualestoria», n. 1 (2012). Si permetta di citare anche D. Paparcone, Il controllo dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno sul Partito Socialista Italiano nel 1954, in «Rivista storica del socialismo», 2, 2024, pp. 113-127.
  22. G. Tosatti, Storia del Ministero dell’Interno. Dall’Unità alla regionalizzazione, Bologna, il Mulino, 2009.
  23. G. Pacini, Il cuore occulto del potere. Storia dell’Ufficio Affari riservati del Viminale, (1919-1984), cit., p. 14.
  24. Poi ridenominata Divisione Sis (Servizi Informativi e speciali), inizialmente guidata dal questore Leone Santoro.
  25. Altri funzionari importanti dell’Ovra confluiti nei sistemi di sicurezza repubblicani furono Antonio De Flora, Vincenzo Bellavia, Egidio Morelli e Francesco Fratini.
  26. Anche il ripristino del Casellario politico centrale, avvenuta già nel mese di agosto del 1945 è una prova di continuità con il regime fascista: sarebbe rimasto in funzione sostanzialmente senza soluzione di continuità fino al 1987. Pacini sottolinea il contributo degli apparati di intelligence statunitensi per la nascita dell’Ufficio Affari Riservati, in G. Pacini, La spia intoccabile. Federico Umberto D’Amato e l’Ufficio Affari Riservati, cit., p. 10.
  27. Su questo è in corso la ricerca dottorale dal titolo Pericolosi all’esercizio democratico: i fascisti nell’Italia repubblicana (1946-1963), Università della Campania “Luigi Vanvitelli”.
  28. A proposito del C.P.C., si consideri che furono schedati anche gli insegnanti vicini ai partiti della sinistra: in questo caso, nella maggior parte dei casi e come si evince dalle informative, l’iniziativa partiva dai questori, molto spesso in seguito all’arrivo di una informazione fiduciaria. Giovanna Tosatti sottolinea che tra il 1949 e il 1971, con la collaborazione indebita del personale di Pubblica sicurezza, vennero anche schedati ben 354.000 impiegati e operai della Fiat di Valletta.
  29. G. Tosatti, Storia della polizia. L’ordine pubblico in Italia dal 1861 a oggi, Bologna, il Mulino, 2024, in particolare il paragrafo Il ruolo degli Affari riservati, pp. 288-297. Nel corso dell’attività della Divisione operarono almeno 128 squadre, a cui erano affiliati decine di informatori, e che dipendevano direttamente dalla Divisione stessa, senza alcun legame con le questure.
  30. Le relazioni periodiche degli Uffici vigilanza stranieri sono in Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), Ministero dell’Interno (MI), Direzione generale pubblica sicurezza (DGPS), Divisione Affari Riservati (DAR), Categorie annuali, 1951-1953, b. 2, cat. A29.
  31. ACS, MI, Casellario politico centrale, 1944-1967, fascicoli personali, b.1, Informativa firmata dal Questore di Napoli F. Salvatore indirizzata alla Divisione Affari Riservati, 27 aprile 1951.
  32. ACS, MI, Casellario politico centrale, 1944-1967, fascicoli personali, b.1, Informativa della Prefettura di Firenze firmata dal Prefetto Giulio Paternò e indirizzata alla Divisione S.I.S. Sezione I C.P.C. .
  33. Giovanni Carcaterra, Capo della Polizia dal 22 marzo 1954, fu uno dei promotori, nel settembre 1958, della nomina a capo dell’Uar dell’allora questore di Trieste Domenico De Nozza, ex funzionario dell’OVRA, processato nel 1946, assolto e reintegrato nelle forze di polizia. Cfr. G. Pacini, Il cuore occulto del potere. Storia dell’Ufficio Affari riservati del Viminale, (1919-1984), cit., p. 22; M. Canali, Le spie del regime, il Mulino, Bologna, 2004, p. 503 e A. Paloscia, M. Salticchioli (a cura di), I Capi della Polizia. La storia della sicurezza pubblica attraverso le strategie del Viminale, Roma, Laurus Robuffo, 2003.
  34. ACS, MI, DGPS, DAR, Controllo attività politica, f. Partito socialista italiano, 1954, b. 8. Circolare interna organizzativa n. 95, diramata dalla Commissione Nazionale di organizzazione del PSI il 10 luglio 1954.
  35. Nominato prefetto di Foggia, poi comandante dei carabinieri dell’Italia liberata, Pièche era uscito indenne dall’epurazione, anche perché le protezioni di cui godeva avevano costretto l’Alto commissariato a desistere dalla richiesta di sospensione il 7 dicembre 1944, «per sopravvenuti motivi di carattere speciale».
  36. G. Tosatti, Storia della polizia. L’ordine pubblico in Italia dal 1861 a oggi, cit., p. 291. Si consideri anche la sezione italiana del movimento anticomunista transnazionale “Paix et Liberté”, al cui comando venne nominato Edgardo Sogno. Tutti questi nuclei sarebbero stati mobilitati in caso di insurrezione armata delle sinistre, o forse anche se queste avessero raggiunto il potere legittimamente nelle consultazioni elettorali.
  37. G. Pacini, Il cuore occulto del potere. Storia dell’Ufficio Affari riservati del Viminale, (1919-1984), cit., p. 32.
  38. Ivi, p. 35.
  39. Nel 1965 D’Amato sarà uno dei promotori dell’“operazione manifesti cinesi”, una campagna di disinformazione contro il Partito comunista.
  40. Federico Umberto D’Amato divenne, nel 1965, su espressa indicazione di Paolo Emilio Taviani, il rappresentante italiano presso l’Ufficio per la Sicurezza interna del Patto Atlantico (Uspa), di fatto il coordinamento delle diverse agenzie europee in funzione anticomunista. Questo incarico gli consentì di allargare i suoi contatti europei e di saldare quelli già in essere. Importanti informazioni riguardo la sua attività si sono ricavate da alcuni appunti presi da D’Amato presi poco prima della morte (1° agosto 1996) e che dovevano probabilmente servire per la stesura di un libro dal titolo Memorie e contromemorie di un questore a riposo. I documenti sono stati analizzati in G. Pacini, Il cuore occulto del potere. Storia dell’Ufficio Affari riservati del Viminale, (1919-1984), p. 39 e ss.
  41. Tuttavia, nel 1971 il Sigop fu sciolto e le due divisioni che lo componevano tornarono ad essere organismi distaccati.
  42. G. Pacini, Il cuore occulto del potere. Storia dell’Ufficio Affari riservati del Viminale, (1919-1984), p. 57. Nella pagina successiva, Pacini informa dell’esistenza di una spia – denominata “Economico” – all’interno del Pci che informava la Divisione di tutte le operazioni commerciali e finanziarie del partito. Nei movimenti marxisti-leninisti, inoltre, il Viminale aveva a disposizione i servizi di altre due fonti: “Riccardo” e “Umberto”.
  43. C. Pavone, Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Torino, Bollati Boringhieri, 1995; P. G. Zunino, La Repubblica e il suo passato, Bologna, il Mulino, 2003; G. Monina (a cura di), 1945-1946 Le origini della Repubblica, vol. I Contesto internazionale e aspetti della transizione, vol. II Questione istituzionale e costruzione del sistema politico democratico, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007; I. Botteri (a cura di), Dopo la liberazione. L’Italia nella transizione tra la guerra e la pace: temi, casi, storiografia, San Zeno Naviglio, Grafo, 2008.

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