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Il paradigma della sorveglianza nell’istituzione militare. Una ricerca sul fondo del Tribunale militare di Bologna (1945-1948)
di , numero 59, giugno 2025, Saggi e Studi, DOI

Il paradigma della sorveglianza nell’istituzione militare. Una ricerca sul fondo del Tribunale militare di Bologna (1945-1948)
Come citare questo articolo:
Idalgo Cantelli, Il paradigma della sorveglianza nell’istituzione militare. Una ricerca sul fondo del Tribunale militare di Bologna (1945-1948), «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 59, no. 5, giugno 2025, doi:10.48276/issn.2280-8833.12916

Una rete di scritturazioni

Tra le istituzioni citate da Michel Foucault in Sorvegliare e punire c’è l’esercito, inteso sia come tecnica per articolare la disposizione delle truppe e ottimizzare la forza dei singoli, sia come organismo per disciplinare e controllare i maschi adulti sottoposti al servizio di leva1. La vocazione dell’esercito alla schedatura delle informazioni nasce assieme alla coscrizione obbligatoria, a sua volta una caratteristica degli Stati nazionali post-rivoluzionari. Era una burocrazia delle risorse umane indispensabile al funzionamento dell’istituzione, come ricorda lo stesso Foucault: «Era il problema da risolvere, per l’esercito: ritrovare i disertori, evitare gli arruolamenti a ripetizione, correggere gli inventari fittizi presentati dagli ufficiali, conoscere lo stato di servizio ed il valore di ciascuno, stabilire con certezza il bilancio dei dispersi e dei morti2». Fin dalla Grande guerra, essa si affiancava alla raccolta di informazioni diagnostiche sulla salute fisica e mentale dei soldati, in un’ottica di profilassi morale tipica del positivismo antropologico3. Anche in tempo di pace, la sorveglianza è funzionale a più scopi: il mantenimento della compagine dei reparti; il rispetto delle regole di disciplina; l’osservanza dei rituali che scandiscono il tempo all’interno della caserma. Nelle forze armate è evidente la presenza di «processi di spoliazione e di livellamento»4 che tendono a nascondere le distinzioni sociali e a reprimere i gusti personali dei coscritti. La sorveglianza garantisce il rispetto di questi processi di livellamento: è molto severo il controllo sulla cura corretta dell’uniforme, che fino al 1978 i soldati erano tenuti a indossare anche in libera uscita.
Le analisi sociologiche sul mondo castrense si sono basate su fonti memorialistiche e letterarie, sull’analisi dei regolamenti, sulle discussioni ospitate da periodici come la “Rivista militare” e sulle Memorie storiche dei reggimenti.5 I fondi archivistici dei tribunali militari sono stati utilizzati per definire le prassi della giustizia militare, ma essi permettono anche di studiare come l’esercito declinasse il paradigma della sorveglianza, con una molteplicità di sguardi inquisitori. Il presente contributo si basa sull’analisi di circa ottomila fascicoli processuali del Tribunale militare di Bologna, afferenti agli anni 1943-1948. Esso vorrebbe essere uno stimolo a ricerche ulteriori, che estendano l’indagine su un arco cronologico più ampio, o che evidenzino analogie e differenze tra la “burocrazia della sorveglianza” vigente nelle forze armate e quella adottata da altre istituzioni statali.
Gli studi sulla giustizia militare nel XX secolo si sono concentrati sull’uso politico e repressivo di questi tribunali nei territori occupati (l’Africa, la Grecia, i Balcani)6 o nel territorio nazionale, per sanzionare la manodopera militarizzata e garantire la coesione del fronte interno7. Un altro filone di ricerca ha studiato i processi contro i criminali di guerra nazisti8, nonché le problematiche giuridiche e storiografiche originate dalla scoperta dell’“armadio della vergogna”9. In parallelo, si sono analizzate le valutazioni espresse nelle sentenze dei tribunali militari riguardo alla natura giuridica della Repubblica sociale italiana10. Lo studio delle carte dei tribunali nei territori occupati permette di mettere a fuoco le politiche di occupazione, mostrando uno dei molteplici usi politici della giustizia militare. Il rito e il diritto militare, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, sono infatti soggetti ad ampliamenti di giurisdizione soggettiva e oggettiva, nonché a modificazioni procedurali che limitano il diritto di difesa degli imputati, e che portano davanti ai giudici militari anche soggetti estranei alle forze armate. Questi ampliamenti, frequenti soprattutto nei periodi bellici o nei periodi di transizione a un nuovo ordine politico, sono regolamentati dai bandi o dalla legislazione eccezionale e transitoria. Queste rimodulazioni e questi arrangiamenti hanno fini molteplici, che differiscono a seconda che i tribunali operino in territorio italiano o nei paesi occupati. Nel primo possono essere finalizzati a controllare l’ordine pubblico; a reprimere il dissenso politico o la libertà di espressione; a punire membri di formazioni resistenziali oppure civili accusati di favoreggiamento nei confronti di soldati nemici. Nei paesi occupati, a queste funzioni si aggiunge la volontà di esercitare forme di controllo sociale sui civili, ovvero funzioni di governance, sanzionando reati minori come il mercato nero, e tramutandosi in «una forma di potere civile»11. Per quanto frequenti e multiformi, questi usi strumentali della giustizia militare possono essere visti come ramificazioni o nodosità innestate su un tronco principale, che costituisce l’attività quotidiana dei tribunali militari territoriali: il loro compito è sanzionare i reati militari commessi dai giovani sottoposti al servizio di leva obbligatorio. La tipologia di questi reati è abbastanza monotona: diserzione, mancanza alla chiamata, disobbedienza e insubordinazione restano quelli più tipici.
L’uso delle fonti processuali che si propone in questa sede è limitato ai documenti informativi: si tratta di una lettura effettuata da una prospettiva diversa, per esplorare una tematica finora trascurata dalla storiografia sui tribunali militari. Per ragioni di spazio, non approfondiremo le vicende processuali correlate ai rapporti che citeremo: basti dire che i rapporti informativi venivano utilizzati per decidere se applicare l’attenuante dell’«ottima condotta militare»12 ma non influenzavano il verdetto in quanto tale – o almeno non in modo esplicito. Si riscontrano poche eccezioni nelle quali tali rapporti abbiano influenzato i giudici: il caso di un’insubordinazione conclusosi con la morte dell’aggressore13 e il caso di un accusato di furto del quale i giudici dedussero l’abitualità a delinquere dalle segnalazioni di ruberie enumerate nello «specchio punizioni»14.
Il fascicolo raccoglie informazioni sia sulla condotta militare dell’imputato, sia sulle sue condizioni sociali e sui suoi comportamenti privati. Se considerati rilevanti, si dettagliano relazioni affettive, abitudini sessuali, orientamenti politici. I documenti possono essere categorizzati in base agli enti produttori: alcuni sono richiesti al comune di nascita o alla stazione dei carabinieri del comune di residenza; altri provengono dal reparto al quale appartiene il soldato; a questi si aggiungono quelli prodotti dagli istituti di pena e le perizie medico-legali sulle condizioni fisiche e psichiche degli imputati. Nel periodo considerato, tali perizie vengono richieste eccezionalmente, nel caso in cui si debba accertare la capacità di intendere e di volere dell’imputato.
Sorvolando sui documenti più asettici (il certificato del casellario giudiziale; il «certificato di rito», con informazioni anagrafiche e note su occupazione e situazione economica; il «foglio matricolare e caratteristico»)15, si utilizzano in questo lavoro soprattutto i rapporti informativi redatti a cura del comandante di compagnia, e gli «specchi punizioni», che elencano le sanzioni disciplinari inflitte al militare. Nei casi di processi celebrati prima dell’armistizio, è frequente trovare copia del «foglietto statistico del detenuto»16. Si tratta di un modulo di quattro facciate articolato in trentacinque domande, suddivise in due sezioni: la prima riguardava condizioni socioeconomiche, abitudini morali, comportamenti e patologie del detenuto; la seconda era dedicata alle «notizie sulla famiglia». La sua redazione era demandata ai carabinieri del comune di residenza del detenuto, e veniva inviata agli istituti di pena che se ne servivano per compilare la cartella biografica17. Il questionario classificava comportamenti devianti molto circostanziati, includendo eventuali attività politiche:

Era socievole? Eccentrico? Misantropo?
Si diede al vino? Da quanto tempo? Lo tollerava?
Che contegno aveva dopo le libazioni? (violento, depresso ecc.)
Appartenne a qualche setta o partito sovversivo? Quale?
Appartenne ad associazioni camorristiche o teppistiche o a delinquere?
Ebbe pervertimenti sessuali?
Fu mai sfruttatore di donne?
Era affettuoso con la famiglia, con gli amici, con le donne?


La sezione delle «vicende famigliari» indagava la presenza di degenerazioni ereditarie, secondo un’impostazione lombrosiana. Se prestiamo fede alla testimonianza di un obiettore di coscienza incarcerato a Peschiera, lo stesso questionario, con le medesime domande, sarebbe stato ancora in uso nel 1971 per la «schedatura riservata» all’interno del carcere militare18. Più sintetica del «foglietto statistico» era la «cartella biografica per i detenuti negli stabilimenti militari di pena e le persone assegnate ai reparti di riadattamento militare e ai reparti militari speciali». Questa dava molto spazio ai rilievi antropometrici (le impronte digitali) mentre dedicava agli aspetti criminologici e comportamentali una «sintesi» finale articolata in tre sole sezioni («Natura della criminosità – pericolosità – correggibilità»)19. Si tratta di una politica tassonomica che fa pensare alla «rete di scritturazioni» di cui parla Foucault.

I procedimenti disciplinari […] fanno di questa descrizione un mezzo di controllo e un metodo di dominazione. Non più monumento per una futura memoria, ma documento per una eventuale utilizzazione. E questa nuova descrivibilità è tanto più marcata, quanto più stretto è l’inquadramento disciplinare: il bambino, il malato, il pazzo, il condannato, diverranno, sempre più frequentemente a partire dal secolo Diciottesimo, oggetto di descrizioni individuali e di relazioni biografiche20.

I rapporti informativi sono spesso limitati a poche righe o a sintagmi lapidari (come «condotta buona») ma talvolta sono più articolati, dettagliando il comportamento militare e privato del soldato. Gli apprezzamenti spaziano dalla costituzione fisica alle capacità intellettuali, dalle competenze tecniche al comportamento verso i superiori e i compagni, per estendersi all’analisi di attitudini e tratti caratteriali:

Oltre modo scorretto e leggero nella vita militare tanto in servizio che fuori. Niente affatto veritiero e leale, poco accetto dai compagni. Si hanno forti motivi di dubitare della sua onestà: fondati sospetti […] di sue ruberie. Ha infinite volte toccato il Codice Penale, senza profondamente intaccarlo21.
Non ha saputo cattivarsi la simpatia dei superiori ed era inviso dagli stessi compagni. Ha minacciato di morte il Ten. C.C. suo comandante di Plotone. Costituzione fisica discreta. Intelligenza normale. Si ritiene un pessimo elemento22.
Detto militare si è subito rivelato come individuo falso, indisciplinato, di nessun rendimento e di pessimo esempio. Perfetto simulatore con la scusa di essere affetto da varie malattie era riuscito a carpire la buona fede dei suoi superiori e ad evitare servizi più gravosi23.


I rapporti evidenziano un’attenzione minuziosa verso il comportamento del soldato; si nota se le inadempienze sono effimere o correggibili: «Non è molto deciso di carattere […] Supera una titubanza naturale con buona volontà. Talvolta lo vince qualche impulso giovanile e senza pensiero, ma è di poca durata e si ravvede24». In alcuni casi emergono stereotipi regionalistici: «Di natura sardo e molto propenso alle vendette ha malmenato diversi compagni, borghesi ed anche militari alleati anche perché quasi sempre in stato di ubriachezza25». Anche i sentimenti patriottici diventano oggetto dei rapporti: la denuncia del disinteresse nei confronti della patria è mitigata contestualizzandola nella «stanchezza morale» del soldato:

Non molto sensibile al senso di patriottismo e all’attaccamento alla Patria, egli mi aveva […] annunciato che dopo la guerra aveva intenzione di abbandonare l’Italia per stabilirsi in Francia, dove il padre attualmente risiede […], dicendo che “poco gli importava dell’Italia dato che il Re l’aveva così ridotta.” Attribuisco però tali frasi ad un senso di sbandamento e di stanchezza morale più che a sentimenti genuini e sinceri26.

Aver fatto propaganda politica è motivo di demerito:

Elemento militarmente di nessuna attitudine, di limitata educazione civile, pretende avere delle idee politiche e propagandarle fra i compagni. […] Insofferente della disciplina, privo di amor proprio, spesso e particolarmente in qualche momento di crisi del reparto ha istigato i compagni al disordine, ad ingiustificati reclami o lamentele puerili27.

Episodi di insofferenza verso la vita militare non passano inosservati: «Si lagnava spesso della insufficiente razione viveri ed esprimeva apertamente ad alcuni compagni “cosa ci tengono a fare qua se non ci danno da mangiare a sufficienza”28». Alcuni rapporti sono una sequenza di aggettivi che non lasciano spazio a qualità positive:

Indisciplinato. Maleducato e presuntuoso. Privo di ogni senso del dovere. Incosciente. Inviso ai superiori ed ai colleghi. Più volte denunciato. Lo ritengo pessimo elemento, deleterio per il reparto e per la società29.
Falso, bugiardo, indolente, disordinato, sporco, desta sfiducia oltre che per il suo comportamento presente, anche per il suo passato turbinoso di teppista30.


Altri giudizi oscillano tra il paternalismo e il tentativo di giustificare o spiegare i comportamenti devianti, con ipotesi sulla loro eziologia. Tutto tradisce un’osservazione costante del sottoposto:

Dedito al vino da moltissimo tempo e da ritenersi alcoolizzato: infatti anche dopo aver ingerito ingenti quantità di vino difficilmente lo si vede in stato di ebbrezza tale è il suo sistema nervoso indebolito da tale pratica, [e sul quale, n.d.a.] anno [sic] evidentemente influito i rischi e le emozioni provate durante il periodo dell’occupazione tedesca durante il quale egli militò nelle file di una brigata partigiana31.
Ho incominciato a notare un certo cambiamento nel M. al suo ritorno da un permesso. Ritengo che siano stati cattivi compagni e cattivi consigli ad influire su di lui. Poiché conosco la sua regione [Marche, n.d.a.] e gli elementi che può avere frequentato, ho motivo di affermare quanto sopra, e ciò perché seguiva il M., e da un patriota avrei voluto farne un soldato32.
Le lusinghe, la possibilità del facile guadagno e le condizioni finanziarie personali e della famiglia hanno certo influito sull’animo del militare e sono state le cause indirette del reato33.


Si prende nota di assenza di iniziativa e di debolezza di carattere: «Carattere timido ed influenzabile si lascia trascinare dai compagni senza considerare se le azioni alle quali lo spingono siano più o meno buone, incapace di assumersi un’iniziativa e tanto meno di trascinare altri dietro di sé34». Nei rapporti informativi sui sottufficiali viene dettagliato sia il comportamento verso i superiori sia quello verso i subordinati: di un caporale si stigmatizza lo scarso ascendente verso questi ultimi: «di carattere debole e poco volitivo, non sa imporsi ai propri dipendenti35». La paura del combattimento è un’emozione inaccettabile: «Era dominato da una paura fisica che in certi momenti l’ossessionava. Questa paura gli impediva di controllarsi e di […] svolgere azione efficace sugli uomini della propria squadra36». Si accenna alla funzione pedagogica dell’istituzione nel caso di soldati “corrigendi”, evidenziando i mutamenti comportamentali delle reclute: «A causa della sua giovanissima età, ha commesso qualche lieve mancanza, ma ora si comporta assai meglio e migliora sempre37». Viceversa, se non si vedono possibilità di miglioramento, l’incorreggibilità viene dichiarata: «Egli ha avuto molte occasioni per ridiventare un buon soldato. Ma ha seguito tenacemente l’istinto suo che non esito a definire delinquente38».
Si osserva la condotta dell’imputato durante il periodo della carcerazione preventiva, con rapporti richiesti agli istituti penitenziari: questi, mentre prospettano una redenzione futura del reo, considerano scontata la sua colpevolezza39. I rapporti informativi arrivano ai medici legali incaricati di effettuare perizie psichiatriche, e vengono citati a sostegno della tesi dell’infermità mentale40. Viceversa, usurpando funzioni dello psichiatra, altri rapporti accennano a situazioni di fragilità psicologica, senza sottolinearne la gravità: «Ho notato in lui […] alcune stranezze tanto da ritenerlo un elemento non atto a comprendere e insensibile alle punizioni […] Diverse volte ha espresso propositi di suicidio senza però aver mai attentato alla propria vita. Non lo credo capace di tanto coraggio41».
Non sempre i rapporti sono volti a censurare condotta e carattere del soldato. In molti casi il comandante evidenzia pregi e benemerenze dello stesso, al fine di indirizzare il giudizio verso un esito indulgente:

Elemento serio, disciplinato, intelligente […] Dotato di buona conoscenza tecnica del materiale e di molta buona volontà, ha partecipato volontario ad azioni di pattuglia con la sua radio durante il periodo operativo, distinguendosi particolarmente al forzamento del Senio; è stato proposto per una ricompensa al valore. […] Lo ritengo elemento sul quale si possa contare in qualsiasi occasione42.

Anche ove non vi fossero episodi di coraggio, altri rapporti disegnano una condotta ineccepibile:

Nei rapporti con i superiori si dimostra obbediente, rispettoso, disciplinato, premuroso, con i compagni affabile e di ottimo carattere. Dalla corrispondenza e dalla conversazione appare d’animo mite e di buoni sentimenti, con la precisa volontà di dimostrarsi per l’avvenire ottimo soldato e onesto cittadino43.

Non c’è contraddizione tra questi elogi e l’atto della denuncia: i superiori erano tenuti a denunciare il militare disertore a prescindere dalla stima che ne avessero. Mostrarsi indulgenti poteva comportare conseguenze disciplinari per gli stessi superiori, se non a una incriminazione per «omessa denuncia di reato da parte di pubblico ufficiale»44.
A volte, insieme alle valutazioni positive, i superiori stessi propongono la revoca della denuncia, se il soldato avesse nel frattempo fatto rientro al reparto. Era una possibilità prevista dal codice di guerra45. In alcuni casi i superiori raccontano in dettaglio le vicissitudini che hanno indotto il militare a commettere il fallo, dimostrando immedesimazione nel dramma personale dell’imputato e l’ascolto delle sue confidenze:

È da tenersi in considerazione che il cap. magg. N. B. […] non vedeva i propri famigliari dal novembre 1942 epoca del suo imbarco per la Corsica e non aveva notizie da casa dal settembre 1943. […] Il militare inviato a casa per la brevissima licenza […] trovava i famigliari in disagiatissime condizioni finanziarie, in dipendenza delle devastazioni operate dalla guerra in corso. […] Trattasi di modesti agricoltori che oltre alla perdita di arredi hanno dovuto subire la mancanza del raccolto data l’impossibilità di lavorare. […] Il militare sente il peso della sua posizione di denunciato che gli porta fra l’altro svantaggi economici che vanno anche a detrimento dei famigliari ai quali non può inviare alcun risparmio e che non percepiscono alcun sussidio dagli enti di assistenza comunale46.

La rassegna presentata è una declinazione del rapporto gerarchico tra ufficiali e soldati: è un rapporto asimmetrico, dove i giudizi oscillano tra severità e paternalismo. Il potere gerarchico e disciplinare si esplica anche nel diritto/dovere di esprimere un giudizio sul soldato47. Nel contesto giudiziario, questi documenti servono a delineare la personalità dell’imputato, come previsto dall’articolo 133 del codice penale48. L’articolo fa riferimento non solo alla recidività o all’abitualità a delinquere, ma alla condotta generale dell’imputato nel periodo precedente al reato.

Il controllo sulla vita privata

A volte, nei rapporti entrano informazioni su vita privata, disponibilità finanziarie, relazioni affettive e abitudini sessuali dei soldati: «Ogni settimana, nel pomeriggio del sabato, egli si allontana dall’accantonamento […] rientrando soltanto nel pomeriggio del lunedì successivo per andare in località vicine a trovare la fidanzata ed una parente che, da dichiarazioni fatte ai compagni di squadra, lo riforniscono abbondantemente di denaro49». Lo stesso soldato, denunciando una tentata violenza, ha involontariamente confessato amicizie moralmente perniciose:

Alcuni indiani, con i quali il C. stava conversando, l’hanno indotto a seguirli in un campo vicino dove, a detta del C. stesso, hanno tentato, senza riuscire, di usargli violenza sodomitica: di ciò si è interessata la polizia inglese che ha proceduto a lunghissimi interrogatori; non si conosce ancora l’esito del processo contro gli indiani ma il fatto che il C. avesse conoscenze od amicizie con uomini di colore di dubbie intenzioni è poco edificante per il buon nome di un militare italiano50.

Un comportamento sessuale deviante viene denunciato anche durante un interrogatorio, e la censura morale si manifesta nella mancata attenuazione del lessico crudo utilizzato dall’interrogato: «La sua malattia non sarebbe che: ‘finocchio’ e nel parlare portava sempre il discorso su atti relativi al cazzo e al culo 51». Giorgio Rochat riporta una sentenza emessa nel 1940, citando il caso come indice «della ipersensibilità dei comandi in tema di omosessualità52». Tuttavia non si trovano, nei fascicoli esaminati, procedimenti penali simili a quelli citati da Rochat: i casi di omosessualità restarono circoscritti ai rapporti informativi e agli interrogatori. Ciò è dovuto al fatto che i nuovi codici penali militari del 1941 non avevano norme speciali per sanzionare gli «atti contro natura», perciò occorreva riferirsi al codice penale ordinario. Questo sanciva che gli atti «di libidine violenti» avrebbero potuto essere sanzionati solo se commessi «con violenza o minaccia», oppure se commessi «con abuso della qualità di pubblico ufficiale53». Questa formula escludeva gli ufficiali delle forze armate che commettessero abusi sessuali nei confronti dei sottoposti: la qualifica di superiore, nel rapporto con i subordinati, è prevalente rispetto alla qualifica di pubblico ufficiale. Perciò il Tribunale supremo militare, seguendo il principio della lex mitior superveniens, doveva assolvere un ufficiale già condannato, pur sottolineando di esservi obbligato da un’innovazione legislativa «poco felice»54.
Il controllo sulle abitudini private dei soldati è dichiarato apertamente.

Destava una certa meraviglia fra i militari il fatto di vederlo spesso, ben fornito di soldi, fare acquisti oppure recarsi in locali pubblici55.
Era molto noto in paese particolarmente per il tenore di vita dispendiosa che conduceva, […] spesso si mostrava in giro in motocicletta ed automobile in compagnia di donne sia del luogo che dei paesi viciniori, il che sollevava commenti poco favorevoli nella popolazione, tanto più che le donne che lo accompagnavano erano di dubbia moralità56.
Dedito al vino ed alla sensualità spinta alla brutalità57.
Moralmente disordinata e deprecabile per leggerezza la sua condotta fuori caserma nei riguardi dei rapporti erotico sentimentali con l’altro sesso58.


Si tratta di altrettante violazioni di norme comportamentali definite nel regolamento di disciplina 59. Questo sanzionava anche gli eccessi e le scorrettezze commessi in contesti estranei al mondo militare: «Sono represse […] le irregolarità nella vita pubblica, specie se rivestano particolare gravità o se incidano sul decoro del grado e della divisa (giuochi d’azzardo, debiti, stravizi, mal costume, ecc.)60». Spesso le donne sono additate come responsabili della corruzione morale del soldato: l’eziologia di allontanamenti illeciti, alienazione di effetti militari, peculato e concussione viene individuata in relazioni amorose sconvenienti.

In seguito ad innocenti dichiarazioni verbali di alcuni genieri sulla condotta poco esemplare che il gen.re in oggetto conduceva privatamente, frequentando donne di mal costume e per le quali dissipava d’un colpo i denari che ad ogni quindicina percepiva dalla Compagnia […] volli più profondamente indagare sull’attività del L., interrogando diversi suoi compagni e vicini di branda. Tutti furono concordi nell’asserire che questi, per le donne, s’era venduto tutto ciò che costituiva il suo corredo di casermaggio e di vestiario61.
Risulta aver contratto una relazione intima con una donna: in seguito a tale relazione ha commesso reiterate mancanze di crescente gravità; è stato più volte redarguito, consigliato, severamente punito ma non ha dimostrato alcuna tendenza a ravvedersi. Le mancanze commesse sono però sempre conseguenza della pessima influenza che ha avuto sulla condotta dell’O. la relazione femminile sopracitata62.
Detto militare aveva contratto relazioni con varie donne di dubbia indole morale che sovente lo hanno obbligato a rientrare in ritardo al reingresso serale e ad assentarsi arbitrariamente per qualche minuto durante le ore di istruzioni per trombettiere63.
A Bologna, in questi ultimi tempi, il Q. si era dato a vita dispendiosa avvicinando donne di facili costumi. Tale tenore di vita lo induceva a contrarre debiti e a commettere il reato continuato di concussione64.
È probabile che l’intima relazione contratta verso la fine dell’anno scorso […] possa aver influito sulle doti di carattere e di onestà del capit. M. inducendolo a commettere le gravi mancanze connesse alla cessione di materiali, se pur di preda bellica, a persone estranee all’amministrazione militare65.
È già da qualche mese che il sottoscritto sorveglia la vita fuori caserma di qualche cuciniere ed in particolare quelle [sic] del soldato F. A. dedito al vino ed alla frequenza quasi giornaliera della casa di tolleranza66.


La sottolineatura della frequentazione di prostitute non era intonata a un biasimo morale: si paventavano due rischi: la dissipazione di denaro e le malattie veneree. Numerosi documenti testimoniano di quanto tali malattie fossero diffuse67. Essersi contagiati per imprudenza poteva divenire motivo di sanzioni disciplinari: nel 1943, un aviere aveva scontato otto giorni di camera di punizione di rigore perché «non praticava la profilassi anticeltica, dopo aver avuto rapporti sessuali con una prostituta, contraendo una gravissima malattia venerea68». Anche una «relazione intima contratta con donna di cattiva moralità» poteva comportare una punizione69. A dispetto dei giudizi negativi su questo vizio, vari soldati accennavano negli interrogatori di come frequentassero abitualmente dei postriboli70. Il vizio poteva essere all’origine di reati contro il patrimonio: un accusato di appropriazione indebita dichiarò «di essersi appropriato della somma allo scopo di poter con questa acquistare i medicinali necessari per la cura della blenorragia da cui era affetto»71. Un altro soldato confessava il reato di «alienazione di effetti militari» come indotto dalle pretese di una donna:

Da circa un mese avevo una relazione con una donna conosciuta in un postribolo la quale esigeva da me continuamente denaro. Sprovvisto di denaro ho cercato in ogni modo di procurarmene chiedendo prestiti agli amici. Venuta meno anche questa possibilità, mi si presentò un giorno l’occasione di vendere il mio corredo personale a un borghese trovato casualmente per la strada72.

Un soldato raccontava di avere sperperato somme importanti, in una confessione che suona come un impegno a emendare i propri vizi:

È vero che fino ad oggi ho condotto una vita alquanto disordinata. Riconosco anche di avere sciupato molti denari in relazioni amorose con donne di facili costumi. In questo modo ho sciupato un piccolo patrimonio che era il ricavato della vendita di un appezzamento di terreno ereditato nel 1937 alla morte di mio padre. Conoscevo diverse ballerine di varietà con le quali ho coltivato relazioni per diverso tempo. Sono sotto le armi da pochi giorni e mi sono allontanato perché una di queste mie amiche mi ha scritto di essere di passaggio a Bologna con la sua compagnia73.

Come ha notato Giorgio Rochat, nonostante la lettura di questi rapporti porti a pensare il contrario, le relazioni mercenarie non costituivano un fattore di destabilizzazione, se non per i due effetti collaterali sopra citati, ai quali si aggiungevano i rischi di infrazioni disciplinari quando il rapporto divenisse assiduo e continuativo. Invece l’unione matrimoniale era percepita come rischio per la coesione dell’esercito: «Il problema è […] la moglie, il rapporto forte e stabile con una realtà esterna, visto come un pericolo per la coesione interna e l’identificazione con l’istituzione. Il soldato è scapolo per definizione e tutta la vita di caserma è organizzata in modo da impedirgli di avere legami stabili esterni74».
Era infatti d’obbligo, per ufficiali, sottufficiali e soldati semplici, ottenere il beneplacito dei superiori prima di sposarsi75. Ai carabinieri spettava informarsi sulla situazione economico-sociale e sulla condotta delle future mogli dei militari. In un documento troviamo una definizione dell’esercito come «famiglia»: «Si prega voler ben vagliare le indispensabili informazioni sulle condizioni morali e sociali della fidanzata e della di lei famiglia, in modo che questo Comando sia in grado di […] esprimere chiaramente la convenienza o meno di ammettere la promessa sposa nella famiglia dell’esercito76». I rapporti dettagliano condotta morale, situazione finanziaria, eventuali «malattie mentali» o precedenti penali sia della “candidata” sia dei suoi parenti: la cattiva moralità di una sorella o un’assoluzione con formula dubitativa ottenuta dal genitore depongono a sfavore dell’unione matrimoniale77. Nel 1943, queste regole soffocanti avevano indotto un carabiniere a commettere due reati di falso. Avendo richiesto al comando l’autorizzazione a sposarsi, e temendo che i carabinieri scrivessero un rapporto sfavorevole, aveva intercettato e distrutto la missiva con la richiesta di informazioni inviata all’Arma, per poi compilare di suo pugno una relazione positiva sulla condotta della propria fidanzata78.
L’importanza data alla scelta di legami matrimoniali adeguati al prestigio dell’istituzione è dimostrata dalle sanzioni disciplinari che venivano inflitte sia a chi interrompesse una relazione promettente, sia a chi perseverasse in una relazione disdicevole. La rottura di un fidanzamento aveva fruttato a un soldato la punizione del «rimprovero solenne»:

Dopo circa tre anni di fidanzamento con una signorina di ottima moralità, e dopo essere stato per oltre due mesi ospite della di lei famiglia non portava a compimento l’impegno assunto adducendo per pretesto scuse vaghe e puerili. Nel corso delle indagini, mancava di sincerità. Dimostrava, nel complesso, incoerenza e deplorevole leggerezza79.

All’opposto, un altro soldato era stato punito perché non aveva troncato un rapporto disdicevole, dove il problema era l’età della fidanzata: «Diffidato a troncare relazione amorosa con giovane quindicenne di buona moralità della residenza persisteva nella relazione stessa.80»
A partire dal 1911, per gli ufficiali venne fissata un’età minima per sposarsi (venticinque anni)81, che non era prevista dalla normativa del secolo precedente82. Nonostante i controlli sulle scelte matrimoniali, la politica demografica del fascismo aveva attenuato questi vincoli, abolendo nel 1929 il limite di età per contrarre matrimonio83. Nel 1945 la Consulta nazionale propose il ripristino di tale vincolo, almeno per gli ufficiali della marina e dell’aeronautica: a farsi latore della proposta fu il generale Pietro Piacentini. La motivazione addotta conferma l’osservazione di Rochat sull’idea del matrimonio come situazione potenzialmente pericolosa.

La legge che si intende correggere portava alla esasperazione la questione matrimoniale, autorizzando anche i giovanissimi sotto le armi a contrarre il vincolo. È evidente che questo creava dei turbamenti familiari che incidevano enormemente sul rendimento dei militari, soprattutto per le particolari esigenze del servizio nella Marina e nell’Aviazione84 .

Il generale Paolo Berardi proponeva di introdurre il limite di età anche per i sottufficiali: «I legami familiari costituiscono quanto si può immaginare di più antitetico con la vita militare, che richiede movimento e snellezza»85. Le ingerenze dei comandi militari nella vita affettiva non si limitavano a questi vincoli: usurpando un ruolo che sarebbe spettato al giudice civile, i comandi potevano farsi garanti del mantenimento di una donna dopo la separazione:

Sono diviso dalla moglie […] da circa un anno perché mi venne riferito che essa se l’intendeva con il figlio del podestà […] Per quanto sopra decisi di non convivere più con mia moglie che abbandonai con mia figlia dall’età ora di un anno. Per il mantenimento loro ho rilasciato dichiarazione ed impegno presso il mio Comando di retribuire la somma di £. 500 mensili86.

I documenti caratteristici degli ufficiali

Rapporti e valutazioni su ogni aspetto caratteriale e professionale erano una pratica alla quale dovevano sottoporsi anche gli ufficiali. Per questi venivano redatti, con cadenza annuale, sia una versione di «note caratteristiche» molto più articolata rispetto a quella dei militari di truppa, sia una relazione sul rendimento e sul comportamento (il «rapporto personale»). In questo si prendeva nota non solo degli eventuali richiami o punizioni disciplinari, ma anche di atteggiamenti che costituissero demerito87. In occasioni particolari anche per gli ufficiali venivano redatti rapporti informativi. Note caratteristiche, rapporti personali e rapporti informativi venivano chiamati «documenti caratteristici» e venivano cuciti nel «libretto personale» dell’ufficiale.
L’affinità tra i documenti caratteristici degli ufficiali e i rapporti informativi sui soldati è solo superficiale: essi differivano per forma, finalità, livello di dettaglio e lessico utilizzato. Nel caso degli ufficiali, il rigore critico che avrebbe dovuto caratterizzare il giudizio era frenato da uno spirito di casta che trasformava la compilazione delle note caratteristiche in un rituale per garantire l’avanzamento di carriera. Nel 1948, il sospetto che i giudizi fossero troppo generosi era giunto al ministro della difesa Cipriano Facchinetti:

Se le note caratteristiche e le conseguenti qualifiche corrispondessero realmente alle capacità degli ufficiali, dovrei trarne motivo di compiacimento, in quanto dal grafico risulterebbe che il livello medio dei quadri è veramente soddisfacente. In realtà, però, ho constatato:
a) eccessiva facilità nell’attribuire l’encomio (spesso non meritato);
b) discordanza fra testo, sintesi delle note e qualifica;
c) massima qualifica […] concessa perfino ad ufficiali che nell’anno hanno avuto sanzioni disciplinari anche con grave causale;
d) balzo non graduale da una qualifica all’altra;
e) qualifiche non riferite all’incarico ricoperto e non conformi al grado ed all’incarico stesso;
f) giudizi riferiti non al periodo per il quale l’ufficiale viene esaminato, ma al passato.
Queste infrazioni […] mi inducono a richiamare l’attenzione di tutte le autorità chiamate ad esprimere giudizi sulle ripercussioni morali e disciplinari che una non equa e non giusta valutazione ha sugli ufficiali e […] sulla compagine dell’Esercito88.


Il ministro si era basato sui dati di 6643 note caratteristiche relative all’anno 1947: la valutazione massima («ottimo») era assegnata a 4475 ufficiali (quasi il 70%), e di questi 1588 avevano anche ottenuto l’encomio. All’estremo opposto, soltanto tredici note (lo 0,2%) si concludevano con il giudizio «mediocre» e nessuna con il giudizio «cattivo». L’inclinazione deplorevole rilevata da Facchinetti era frutto di una tradizione consolidata, denunciata con sarcasmo dal generale Giacomo Zanussi:

Nessun documento più delle note caratteristiche e dei rapporti personali e informativi, compilati con criteri che da «anni annorum» sono in auge, si presta a falsare la verità, e quindi a formarsi un’opinione del tutto erronea sugli individui. È notorio […] che, libretti alla mano, un’altissima percentuale dei nostri ufficiali […] possiede doti che di poco si scostano da quelle di un Epaminonda, di un Cesare, di un Washington e di un Napoleone messi insieme89.

Provocatoriamente, Zanussi suggeriva di invertire il criterio per il quale ogni ufficiale veniva giudicato dai superiori, sostenendo che i giudici migliori di un ufficiale sarebbero stati i suoi sottoposti. L’analisi dei libretti contenuti nelle 4699 buste conservate all’Archivio Centrale dello Stato potrebbe fornire una panoramica sociale dell’élite degli ufficiali, oltre che un’analisi dei criteri con i quali essi venivano valutati dai propri superiori. Inoltre, si potrebbe misurare se dopo il 1948 i giudizi si fossero riequilibrati nel senso di una minore tendenza auto-encomiastica dell’élite.

I tribunali militari

I documenti caratteristici degli ufficiali mostrano come, rispetto alla truppa, costoro venissero valutati con un metro diverso. Era uno degli aspetti della natura asimmetrica e classista della comunità militare, come il fatto che i reati di insubordinazione venissero sanzionati con un ordine di grandezza diverso rispetto ai reati di abuso di autorità. Questa non è la sede per analizzare le prassi dei tribunali militari; basti dire che ‒ al netto della disparità di trattamento appena citata ‒ essi applicavano i principi di garantismo comuni anche ai codici penali ordinari: il principio in dubio pro reo; il principio della formazione della prova nel dibattimento;90 il divieto di revisione delle sentenze assolutorie (ne bis in idem); il principio della separazione delle funzioni tra magistrati inquirenti e giudici. Goffmann sottolinea come le istituzioni totali abbiano spazi di «permeabilità» rispetto alla «società esterna»91. Egli intende la permeabilità come mantenimento di alcune delle differenze sociali esistenti all’esterno dell’istituzione, ma il concetto può essere adattato al contesto della giustizia militare: questa è una zona dove, a dispetto di un’idea radicata anche nella storiografia,92 si riscontra una permeabilità ai princìpi che regolano uno Stato di diritto.
Tale permeabilità si risolveva in esiti favorevoli agli imputati93. Tuttavia, il fatto stesso di essere sottoposti a un procedimento penale costituiva un atto vessatorio. Esso comportava conseguenze morali e materiali: una carcerazione preventiva che poteva prolungarsi indefinitamente; in alcuni casi, la necessità di ricorrere a un patrocinio di fiducia, con gli oneri economici che ne conseguivano; anche a fronte di condanne lievi ed estinte, l’obbligo di ottenere la riabilitazione civile e la riabilitazione militare per essere pienamente reintegrati nei propri diritti di cittadini.

Note

  1. Cfr. Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, Einaudi, 1976 [ed. orig. Surveiller et punir. Naissance de la prison, Paris, Gallimard, 1975], p. 154.
  2. Ibidem, p. 207.
  3. Cfr. Antonio Gibelli, L’officina della guerra. La Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, Torino, Boringhieri, 20073, pp. 82-84.
  4. Erving Goffmann, Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, Torino, Einaudi, 2010, p. 145 [ed. orig. Asylums. Essays on the social situation of mental patients and other inmates, New York, Anchor Books, 1961.
  5. Cfr. Lorenzo Greco, Homo militaris. Antropologia e letteratura della vita militare, Milano, Angeli, 1999; Domenico Rizzo, Vita di caserma. Autorità e relazioni nell’esercito italiano del secondo dopoguerra, Roma, Carocci, 2012.
  6. Cfr. Giorgio Rochat, Duecento sentenze nel bene e nel male. I tribunali militari nella guerra 1940-43, Udine, Gaspari, 2002; Toni Rovatti, Diritto di repressione. L’esperienza del Tribunale militare di Lubiana (1941-1943), in Irene Bolzon, Fabio Verardo (a cura di), Cercare giustizia. L’azione giudiziaria in transizione. Atti del convegno internazionale: Trieste, 15-16 dicembre 2016, Trieste, Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia, 2018, pp. 23-40; Paolo Fonzi, I tribunali militari italiani nell’occupazione della Grecia durante la Seconda guerra mondiale, in Cecilia Nubola, Paolo Pezzino, Toni Rovatti (a cura di), Giustizia straordinaria tra fascismo e democrazia. I processi presso le Corti d’assise e nei tribunali militari, Bologna, Il Mulino, 2019, pp. 305-334.
  7. Cfr. Nicolò Da Lio, Per una “organica e disciplinata milizia del lavoro”. Il Tribunale militare territoriale di Verona e il fronte interno (1940-1943), in “Italia contemporanea”, 303, 2023, pp. 98-118.
  8. Cfr. Marco De Paolis, Paolo Pezzino, Monte Sole Marzabotto. Il processo, la storia, i documenti, Roma, Viella, 2023.
  9. Cfr. Mimmo Franzinelli, Le stragi nascoste. L’armadio della vergogna: impunità e rimozione dei crimini di guerra nazifascisti 1943-2001, Milano, Mondadori, 2002.
  10. Il giudizio sui combattenti della RSI si evolve e si modifica tra l’immediato dopoguerra e il consolidarsi della guerra fredda. Cfr. Maria Di Massa, La Nazione e l’«anti-Nazione» nella giurisprudenza del dopoguerra (1945-1954): i giudizi sulla Repubblica sociale italiana nelle sentenze ordinarie e militari, in “Qualestoria”, dicembre 2019, pp. 12-31.
  11. P. Fonzi, I tribunali militari italiani nell’occupazione della Grecia, cit., pp. 327-328.
  12. Art. 48 del Cpmp.
  13. Cfr., volendo, Idalgo Cantelli, La giustizia militare tra fascismo e Repubblica. Il Tribunale militare di Bologna (1943-1948), Firenze, Olschki, 2024, pp. 221-223.
  14. Cfr. Archivio di Stato della Spezia (Assp), Tribunale militare territoriale di Bologna (Tmtbo), b. 3, 1945, f. 218, aff. 31, sentenza 6 ottobre 1945.
  15. Le note caratteristiche erano una griglia valutativa sintetica su qualità fisiche, qualità morali, istruzione e condotta del soldato. Cfr. Assp, Tmtbo, b. 75, 1947, f. 4350, aff. 32.
  16. Cfr. Assp, Tmtbo, b. 2, 1945, f. 170, aff. 20-21; b. 5, 1945, f. 302, aff. 14; b. 8, 1945, f. 459, aff. 36-37; b. 30, 1946, f. 1250, aff. 63-64; b. 40, 1946, f. 1882, aff. 36-37; b. 51, 1947, f. 2817, aff. 24-25; ibidem, f. 2824, aff. 29-30; b. 53, 1947, f. 2942, aff. 29-30; ibidem, f. 2945, aff. 32-33; b. 58, 1947, f. 3304, aff. 70; b. 67, 1947, f. 3928, aff. 14-15; b. 70, 1947, f. 4028, aff. 31; b. 72, 1947, f. 4096, aff. 77; b. 74, 1947, f. 4304, aff. 14-15; b. 74, 1947, f. 4301, aff. 28; b. 76, 1947, f. 4398, aff. 18-19; b. 86, 1947, f. 5070; ibidem, f. 5076, aff. 5; b. 104, 1947, f. 6248, aff. 47; b. 112, 1947, f. 6821, aff. 17; b. 113, 1948, f. 6984; b. 121, 1948, f. 7548, aff. 52; ibidem, f. 7554, aff. 21.
  17. Ai carabinieri poteva essere chiesta la redazione di una breve scheda descrittiva sulle condizioni sociali e psicologiche dell’indagato. Rispetto al «foglietto», era priva delle domande sui precedenti politici e manteneva una sola domanda relativa a tare psicologiche familiari. Cfr. Assp, Tmtbo, b. 70, 1947, f. 4028, aff. 26, 17 giugno 1943; b. 75, 1947, f. 4309, aff. 113, rapporto 19 maggio 1943.
  18. Cfr. Mario Pizzola, Diario dal carcere militare, in “La prova radicale”, anno I, n. 2, inverno 1972, p. 169.
  19. Assp, Tmtbo, b. 68, 1947, f. 3931, aff. 12.
  20. M. Foucault, Sorvegliare e punire, cit., p. 209.
  21. Assp, Tmtbo, b. 30, 1946, f. 1242, aff. 3. Cfr. b. 25, 1946, f. 1049, aff. 3.
  22. Assp, Tmtbo, b. 27, 1946, f. 1129, aff. 4.
  23. Assp, Tmtbo, b. 41, 1946, f. 1884, aff. 4. Cfr. b. 80, 1947, f. 4692, aff. 6, rapporto 4 luglio 1945.
  24. Assp, Tmtbo, b. 34, 1946, f. 1398, rapporto 18 settembre 1945. Cfr. b. 72, 1947, f. 4151, aff. 6, rapporto 11 febbraio 1945.
  25. Assp, Tmtbo, b. 28, 1946, f. 1181. In alcuni casi di insubordinazione, gli stessi accusati citavano lo stereotipo del sardo vendicativo: cfr. Assp, Tmtbo, b. 28, 1946, f. 1203, aff. 64-67, sentenza 1° febbraio 1946; b. 69, 1947, f. 3987, aff. 5.
  26. Assp, Tmtbo, b. 29, 1946, f. 1234, aff. 5.
  27. Assp, Tmtbo, b. 38, 1946, f. 1573, aff. 5. Cfr. b. 50, 1947, f. 2790, aff. 3, rapporto 4 settembre 1944; b. 59, 1947, f. 3349, aff. 6, rapporto 1° maggio 1946; b. 73, 1947, f. 4240, aff. 4, rapporto 26 maggio 1946.
  28. Assp, Tmtbo, b. 55, 1947, f. 3040, aff. 4, rapporto 29 agosto 1946.
  29. Assp, Tmtbo, b. 52, 1947, f. 2921, aff. 3, rapporto 17 febbraio 1947.
  30. Assp, Tmtbo, b. 53, 1947, f. 2970, aff. 3, rapporto 6 agosto 1946. Cfr. b. 53, 1947, f. 2967, aff. 3, rapporto 28 luglio 1946.
  31. Assp, Tmtbo, b. 35, 1946, f. 1457, aff. 10, rapporto 15 giugno 1946. Cfr. b. 41, 1946, f. 1969, aff. 9.
  32. Assp, Tmtbo, b. 35, 1946, f. 1464, aff. 5.
  33. Assp, Tmtbo, b. 68, 1947, f. 3946, aff. 31, rapporto 23 luglio 1946.
  34. Assp, Tmtbo, b. 6, 1945, f. 391, aff. 4.
  35. Assp, Tmtbo, b. 80, 1947, f. 4705, aff. 16. Cfr. b. 61, 1947, f. 3396, aff. 7, rapporto 8 marzo 1945.
  36. Assp, Tmtbo, b. 35, 1946, f. 1449, aff. 25. Cfr. b. 55, 1947, f. 3112, aff. 8v, rapporto 29 gennaio 1946; b. 101, 1947, f. 6049, aff. 4, rapporto 26 settembre 1944.
  37. Assp, Tmtbo, b. 63, 1947, f. 3650, aff. 7, rapporto 23 agosto 1945. Cfr. b. 36, 1946, f. 1515, aff. 2.
  38. Assp, Tmtbo, b. 73, 1947, f. 4170, aff. 3, rapporto 31 ottobre 1945. Cfr. b. 56, 1947, f. 3153, aff. 3; b. 80, 1947, f. 4698, rapporto 29 agosto 1945.
  39. Cfr. Assp, Tmtbo, b. 3, 1945, f. 181, aff. 50; b. 3, 1945, f. 227, aff. 39; b. 65, 1947, f. 3774, aff. 178, rapporto 22 gennaio 1947.
  40. Cfr. Assp, Tmtbo, b. 40, 1946, f. 1881, aff. 79; b. 48, 1947, f. 2663, sf. 2, aff. 40-41; b. 79, 1947, f. 4579, aff. 59, Perizia medico legale sullo stato di mente di C. P., 5 giugno 1947.
  41. Assp, Tmtbo, b. 81, 1947, f. 4791, aff. 4, rapporto 19 dicembre 1943. Cfr. b. 42, 1947, f. 1990, aff. 4, rapporto informativo 7 dicembre 1944; b. 59, 1947, f. 3310, aff. 3, rapporto 1° marzo 1945; b. 59, 1947, f. 3316, aff. 5, rapporto 16 aprile 1945; b. 80, 1947, f. 4645, aff. 7, rapporto 22 agosto 1947; b. 99, 1947, f. 5913, aff. 2, proposta di denuncia 28 maggio 1945; b. 103, 1947, f. 6183, aff. 18, rapporto 13 marzo 1943; b. 127, 1948, f. 7915, aff. 6, rapporto informativo 6 maggio 1942.
  42. Assp, Tmtbo, b. 34, 1946, f. 1399, aff. 7, rapporto 26 luglio 1945. Cfr. b. 63, 1947, f. 3642, rapporto 10 luglio 1945.
  43. Assp, Tmtbo, b. 35, 1946, f. 1458, aff. 35, rapporto 8 agosto 1946. Cfr. b. 37, 1946, f. 1540, aff. 3, rapporto 23 febbraio 1946; b. 54, 1947, f. 3006, aff. 41, rapporto 14 marzo 1947.
  44. Art. 361 del codice penale ordinario (Cp). Per alcuni reati, il codice penale militare di pace (Cpmp) estende anche ai soldati semplici un obbligo simile a quello previsto dall’art. 361 Cp: l’art. 177 Cpmp prevede il reato di «omesso rapporto», con la reclusione fino ad un anno, per chi non faccia immediato rapporto ai superiori sui reati di rivolta e ammutinamento. Nel 1953, una denuncia intempestiva avrebbe fruttato a un ufficiale un richiamo da parte del procuratore militare: cfr. Assp, Tmtbo, b. 295, 1955, f. 18936, aff. 25, lettera 12 maggio 1953.
  45. Codice penale militare di guerra, art. 245. Cfr. Assp, Tmtbo, b. 41, 1946, f. 1938, aff. 6; b. 56, 1947, f. 3167, aff. 7; b. 61, 1947, f. 3406, aff. 7, rapporto 30 luglio 1945; b. 66, 1947, f. 3839, aff. 12, rapporto 3 maggio 1945; b. 69, 1947, f. 4009, aff. 5; b. 80, 1947, f. 4735, proposta ritiro denuncia 22 ottobre 1945; b. 129, 1948, f. 8043, aff. 5, rapporto 4 maggio 1948.
  46. Assp, Tmtbo, b. 63, 1947, f. 3646, aff. 9. Cfr. ibidem, f. 3642.
  47. Artt. 463-464 del codice di procedura penale.
  48. Cfr. Luigi Granata, La vita dell’imputato e l’applicazione dell’art. 133 Cod. pen., in “La Giustizia penale”, 1948, I, cc. 33-36.
  49. Assp, Tmtbo, b. 30, 1946, f. 1242, rapporto 28 maggio 1945.
  50. Ibidem.
  51. Assp, Tmtbo, b. 98, 1947, f. 5826, aff. 4, interrogatorio 25 agosto 1944.
  52. G. Rochat, Duecento sentenze nel bene e nel male, cit., p. 78; cfr. ibidem, p. 95 (sentenza 28 agosto 1939).
  53. Artt. 519-521 Cp.
  54. Cfr. Tribunale supremo militare, sentenza 3 marzo 1942, in “Rivista di diritto e procedura penale militare e rassegna di diritto amministrativo militare”, maggio-giugno 1942, pp. 73-74.
  55. Assp, Tmtbo, b. 69, 1947, f. 3994, aff. 4, rapporto senza data (dopo il 6 luglio 1946). Cfr. b. 4, 1945, f. 290, aff. 5; b. 77, 1947, f. 4482, aff. 22, rapporto 31 agosto 1947.
  56. Assp, Tmtbo, b. 97, 1947, f. 5781, aff. 117, rapporto [13?] luglio 1944.
  57. Assp, Tmtbo, b. 108, 1947, f. 6486, aff. 3, rapporto 18 giugno 1945.
  58. Assp, Tmtbo, b. 88, 1947, f. 5189, aff. 7, rapporto 18 giugno 1943. Cfr. b. 42, 1947, f. 2050, aff. 12, rapporto 25 luglio 1946.
  59. Cfr. Regolamento di disciplina militare per il R. esercito – edizione 1929, Modena, Società tipografica modenese, 1937, pp. 20-21.
  60. Ibidem, p. 160, art. 555. Cfr. ibidem, p. 74, art. 231: il comandante di corpo «Pone gran cura nel reprimere il vizio per i giuochi d’azzardo e l’abitudine di contrarre debiti; vizio ed abitudine troppo spesso esiziali agli individui, e talvolta di disdoro al corpo tutto».
  61. Assp, Tmtbo, b. 3, 1945, f. 173, aff. 7, denuncia 9 agosto 1945.
  62. Assp, Tmtbo, b. 40, 1946, f. 1882, aff. 3, rapporto 25 novembre 1942; è lo stesso procedimento citato in G. Rochat, Duecento sentenze nel bene e nel male, cit., p. 181 (sentenza 219). Cfr. Assp, Tmtbo, b. 37, 1946, f. 1550, aff. 4, relazione senza data (dopo il 24 novembre 1942); b. 73, 1947, f. 4169, aff. 3, rapporto senza data (dopo il 30 luglio 1945); b. 79, 1947, f. 4589, aff. 4, rapporto 4 settembre 1944, dove viene adombrata una relazione sentimentale come causa dell’allontanamento.
  63. Assp, Tmtbo, b. 115, 1948, f. 7198, aff. 3, rapporto 10 settembre 1940.
  64. Assp, Tmtbo, b. 96, 1947, f. 5742, aff. 3, rapporto 30 aprile 1944.
  65. Assp, Tmtbo, b. 130, 1949, f. 8089, aff. 57, rapporto 4 marzo 1947.
  66. Assp, Tmtbo, b. 69, 1947, f. 3982, aff. 4, rapporto 1° ottobre 1946.
  67. Assp, Tmtbo, b. 2, 1945, f. 107, aff. 44, Perizia neuropsichiatrica sul sold. D. G. B., 30 settembre 1945. Cfr. b. 9, 1945, f. 474, aff. 29-30; sentenza 6 settembre 1945; b. 42, 1947, f. 2010, aff. 3, verbale 25 maggio 1945; b. 71, 1947, f. 4070, interrogatorio 28 maggio 1946; b. 73, 1947, f. 4178, aff. 3, rapporto informativo senza data; b. 81, 1947, f. 4748, aff. 7, interrogatorio 11 ottobre 1947; b. 81, 1947, f. 4789, aff. 5, interrogatorio 6 giugno 1946; b. 96, 1947, f. 5700, aff. 20v, interrogatorio 26 febbraio 1944; b. 109, 1947, f. 6560, aff. 34, rapporto 22 agosto 1943; b. 111, 1947, f. 6732, aff. 7, interrogatorio 1° dicembre 1947; b. 114, 1948, f. 7069, rapporto 2 agosto 1947; b. 122, 1948, f. 7599, rapporto 29 dicembre 1941; b. 128, 1948, f. 7957, aff. 19, fonogramma 16 ottobre 1946; b. 141, 1949, f. 8888, aff. 2, denuncia 23 dicembre 1946.
  68. Assp, Tmtbo, b. 62, 1947, f. 3476, aff. 5, rapporto 15 agosto 1943. Il rifiuto di sottoporsi a un’iniezione antitifica configurava il reato di disobbedienza: cfr. Assp, Tmtbo, b. 44, 1947, f. 2422, aff. 34-35, sentenza 2 settembre 1946.
  69. Assp, Tmtbo, b. 118, 1948, f. 7377, aff. 13, rapporto 24 marzo 1947.
  70. Cfr. Assp, Tmtbo, b. 141, 1949, f. 8869, aff. 5, interrogatorio 16 aprile 1946.
  71. Assp, Tmtbo, b. 105, 1947, f. 6284, aff. 38, sentenza 2 dicembre 1947.
  72. Assp, Tmtbo, b. 99, 1947, f. 5930, aff. 3, interrogatorio 29 luglio 1943.
  73. Assp, Tmtbo, b. 127, 1948, f. 7887, aff. 14, interrogatorio 14 febbraio 1941.
  74. G. Rochat, Il mondo militare e le donne. Uno sguardo retrospettivo, in Fabrizio Battistelli (a cura di), Donne e Forze armate, Milano, Angeli, 1997, pp. 41-46 (qui p. 45). Cfr. L. Greco, Homo militaris, cit., pp. 133-135. Per il radicarsi dell’idea all’inizio del secolo cfr. Sabina Loriga, La prova militare, in Giovanni Levi, Jean-Claude Schmitt (a cura di), Storia dei giovani. 2. L’età contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 15-50: «Il nuovo stereotipo marziale, che spingeva Ernst Jünger a far uso esplicito del vocabolario sessuale per rappresentare il campo di battaglia, incoraggiava la rimozione mentale della donna da parte del giovane […] Come avrebbe scritto, parecchi anni più tardi [1939, n.d.a.], Ludwig Tugel, nel romanzo Die Freundschaft: ‘un soldato con una moglie, no, no […] non è possibile; quando deve combattere strenuamente con l’anima e con il corpo egli non può essere legato a una donna’» (p. 41).
  75. Cfr. Regolamento di disciplina militare per il R. esercito, cit., pp. 142-143, artt. 504-510.
  76. Archivio di Stato di Forlì-Cesena, Prefettura, Gabinetto, b. 446, f. 40, Ministero Guerra, Distretto militare di Forlì – Ufficio Comando, 25 aprile 1946.
  77. Ibidem, Questura di Forlì – Gabinetto, rapporto 11 agosto 1947.
  78. Cfr. I. Cantelli, La giustizia militare tra fascismo e Repubblica, cit., p. 166.
  79. Assp, Tmtbo, b. 135, 1949, f. 8510, copia foglio matricolare del 24 giugno 1948.
  80. Assp, Tmtbo, b. 138, 1949, f. 8642, aff. 9v, specchio punizioni (punizione inflitta il 28 giugno 1941).
  81. Cfr. legge 25 giugno 1911, n. 617, in “Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia”, n. 155, 4 luglio 1911, p. 4126.
  82. Cfr. legge 24 dicembre 1896, n. 554, in “Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia”, n. 308, 31 dicembre 1896, pp. 6637-8.
  83. Cfr. legge 7 giugno 1929, n. 916, Soppressione del vincolo dell’età per il matrimonio degli ufficiali del Regio esercito, in “Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia”, n. 135, 11 giugno 1929, p. 2598.
  84. Consulta nazionale, Commissione difesa nazionale, resoconto sommario della seduta di lunedì 29 ottobre 1945, p. 34.
  85. Paolo Berardi, Il problema dei sottufficiali nell’esercito italiano, in “Rivista militare”, marzo 1946, p. 282.
  86. Assp, Tmtbo, b. 97, 1947, f. 5776, aff. 4, interrogatorio 16 maggio 1944.
  87. Cfr. Regolamento di disciplina militare per il R. esercito, cit., p. 33; Istruzioni riguardanti i documenti caratteristici per i militari del R. Esercito, Roma, Ministero della Guerra, 1941; Raccolta di disposizioni relative ai documenti matricolari e caratteristici degli ufficiali dell’esercito, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1948.
  88. Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio segreteria e personale, Affari diversi (1945-1955), b. 4, titolo B/4, Note caratteristiche per ufficiali, circolare 15 maggio 1948.
  89. Giacomo Zanussi, Salvare l’esercito, Roma, Corso, 1946, p. 45.
  90. Anche se all’epoca, come deroga al principio dell’oralità, era ammesso che i rapporti informativi venissero letti in fase dibattimentale.
  91. Cfr. E. Goffmann, Asylums, cit., pp. 145-149.
  92. Cfr. Giangiulio Ambrosini, I corpi separati, in Valerio Castronovo (a cura di), L’Italia contemporanea 1945-1975, Torino, Einaudi, 1976.
  93. I frequentissimi procedimenti per il reato di diserzione, secondo una statistica che considera 3877 casi per gli anni 1945-1948, nel 53,5% dei casi ebbero come esito un proscioglimento in istruttoria o un’assoluzione in dibattimento. Anche le condanne venivano quasi sempre condonate condizionalmente, oppure amnistiate. Per i reati di disobbedienza e di insubordinazione, fortemente lesivi dei princìpi di gerarchia e di disciplina, nel 40% dei 297 casi analizzati i giudici decisero per l’assoluzione, dando così torto ai superiori che avevano sporto la denuncia. Cfr., volendo, I. Cantelli, La giustizia militare tra fascismo e Repubblica, cit., pp. 250-251.

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