Bibliomanie

Science fiction television, storia di una rivoluzione del piccolo schermo
di , numero 54, dicembre 2022, Saggi e Studi, DOI

Science fiction television, storia di una rivoluzione del piccolo schermo
Come citare questo articolo:
Giorgia Bosco, Science fiction television, storia di una rivoluzione del piccolo schermo, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 54, no. 6, dicembre 2022, doi:10.48276/issn.2280-8833.10101

1 Introduzione
Se a partire dai primi anni Duemila le narrazioni fantascientifiche hanno cominciato a saturare il panorama mediale globale, la responsabilità probabilmente è da attribuire alla televisione statunitense. In questo periodo, è cominciata quella rivoluzione industriale e creativa del medium televisivo che ha permesso al racconto seriale di espandere i propri confini a territori fino ad allora più marginali, come quelli della fantascienza. Nonostante programmi fantascientifici come Twilight Zone (CBS, 1959-1964), Star Trek (NBC, 1966-1969) e Battlestar Galactica (ABC, 1978-1980) abbiano segnato tappe fondamentali nella storia del piccolo schermo statunitense, questo genere ha cominciato a essere associato a una vera e propria tradizione televisiva solo a partire dagli anni Novanta, quando è nata una vera e propria Science Fiction Television. Distinguendosi da molte delle produzioni dell’industria culturale degli ultimi vent’anni, che invece sembrano privilegiare una declinazione più formulaica e commerciale del genere,1 la serialità televisiva ha favorito la diffusione di un insieme di novità nel repertorio fantascientifico attraverso il ricorso a strategie industriali e creative originali. Tra queste, la più efficace è probabilmente la tendenza a sperimentare con topoi e meccanismi della fantascienza già rodati ibridandoli con altri generi, in particolar modo con l’horror e il gotico. Pur afferendo principalmente alla TV Horror, programmi dal grande successo di pubblico e critica come True Blood (HBO 2008-2014), The Walking Dead (AMC, 2010-2022), e American Horror Story (FX, 2011-) hanno dato un contributo cruciale all’affermazione della Science Fiction Television, presentandosi così come tre casi di studio piuttosto significativi.

2 La rivoluzione passerà in TV
Negli ultimi vent’anni, la televisione statunitense è stata attraversata da una serie di cambiamenti che hanno portato a una quasi totale riconfigurazione del settore sotto ogni aspetto. Nonostante i primi segnali di questa trasformazione si fossero manifestati a partire dagli anni Ottanta, è a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila che si sono affermate pratiche produttive, distributive e di fruizione nuove e sperimentali con ricadute sulla dimensione artistico-creativa dei prodotti televisivi seriali. Contrariamente ai critici più apocalittici, che hanno visto in queste mutazioni la morte del medium televisivo, l’influente storica dei media Amanda Lotz sostiene che in realtà «la televisione è più viva che mai»;2 ha solo cambiato fisionomia.
La nascita di modelli industriali e creativi nuovi, infatti, ha rivitalizzato il settore televisivo statunitense che, aprendosi a una nutrita serie di nuove possibilità, è diventato incredibilmente variegato e multiforme. Per emergere in uno scenario di crescente saturazione dei contenuti, i nuovi player, le emittenti basic e premium cable, hanno cominciato a investire su molteplici strategie di differenziazione dalla programmazione dei network commerciali,3 che avevano dominato i palinsesti statunitensi dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta. Sfruttando le libertà concesse dagli ambienti pay e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, la cable television è stata in grado di proporre un’esperienza di visione nuova su più fronti che ha catapultato la televisione statunitense in una nuova fase della sua storia, emblematicamente definita da Lotz «post network».4
Un indicatore significativo dei cambiamenti introdotti dalle emittenti via cavo è probabilmente la nascita di tendenze estetiche, stilistiche e di linguaggio profondamente innovative, che hanno allargato notevolmente lo spettro delle storie raccontate dalla televisione statunitense. Libera dai vincoli economici, industriali e socio-culturali che avevano portato i network a puntare su programmi privi di elementi controversi (least objectionable programming),5 la televisione basic e premium cable hanno potuto espandere il perimetro della narrazione seriale fino a includere contenuti meno convenzionali e più rischiosi. Canali premium e basic cable come HBO, AMC e FX hanno infatti lanciato molteplici sfide al paradigma televisivo generalista tradizionale con serie TV come The Sopranos (HBO, 1999-2007), Mad Men (AMC, 2007-2015) e The Shield (FX, 2002-2008), che, oltre a ricorrere a strutture narrative articolate e intricate, ritraggono personaggi dotati di un’inedita profondità psicologica, e affrontano temi controversi e socialmente impegnati.6
Testimone di questo cambiamento radicale che ha attraversato forme, contenuti e linguaggi delle serie TV è stata la tendenza di critici e studiosi a proporre definizioni che segnalassero la peculiarità di questa stagione artistico-creativa della televisione statunitense. La diffusione di questo nuovo modello narrativo, che all’altezza degli anni Dieci del Duemila era già diventato un fenomeno culturale mainstream, è stata presto identificata come l’inizio di una terza Golden Age della serialità televisiva.7 L’alto tasso di innovazione e sperimentazione, infatti, sono valsi alla serialità televisiva contemporanea grande plauso da parte del pubblico, ma soprattutto della critica, che ha presto introdotto termini come «Quality TV»8 o «Complex TV»9 per sottolineare l’eccezionalità di questi programmi rispetto al resto del panorama televisivo statunitense. Nonostante derivino da presupposti teorici differenti, le nozioni di qualità e di complessità hanno svolto un ruolo cruciale in quel processo di legittimazione del mezzo televisivo che, associato sempre più frequentemente a media generalmente percepiti come più prestigiosi come il cinema e la letteratura, ha raggiunto a sua volta le vette delle gerarchie mediali.10

3 La fantascienza in TV: dai margini al centro
Con l’avvento dell’era post network, anche il rigido e standardizzato sistema dei generi televisivi è stato sottoposto a un processo di riconfigurazione. Per differenziarsi dalla programmazione tradizionale, l’ambiente pay, infatti, ha investito su serie TV che hanno riscritto le coordinate di quella mappa dei generi nata e consolidatasi durante il periodo del monopolio dei network commerciali, aprendola a scenari nuovi, più ibridi e diversificati.11
Una delle principali strategie adottate dalla Complex TV per innovare il sistema dei generi televisivi consiste nell’esplorazione di repertori dell’immaginario consolidati, fino ad allora associati ad altri media come il cinema e la letteratura.12 Disponendo di budget più alti e del supporto delle nuove tecnologie digitali, le emittenti via cavo riescono a sondare territori a lungo lasciati inesplorati dai network. Nonostante crime, legal e hospital rimangano tra i più frequentati, il racconto seriale complesso privilegia generi che, sebbene presenti, sono rimasti pressoché esclusi dai palinsesti fino agli anni Ottanta.
Tra i casi più emblematici, spicca la fantascienza, che negli ultimi trent’anni si è progressivamente spostata dai margini al centro del sistema dei generi televisivi. A cavallo tra gli anni Novanta e gli anni Duemila, anche il medium televisivo ha cominciato a investire massicciamente nella creazione di una tradizione fantascientifica che ha ottenuto immediatamente plauso di pubblico e critica. Pur essendo ancora evidente la filiazione con l’immaginario cinematografico e letterario, attraverso programmi come The X-Files (FOX, 1993-2002), Babylon 5 (PTEN, TNT 1994–1998), Battlestar Galactica (2004–2009), la Science Fiction Television (SFTV) ha sviluppato un’identità specifica, raggiungendo livelli di complessità tali da smettere di essere considerata per bambini o per un pubblico di nicchia.13 All’altezza degli anni Dieci del Duemila, la fantascienza si presenta come un genere televisivo così rispettabile e popolare da essere al centro di una vera e propria industria, che punta principalmente su serie televisive in grado di generare franchise transmediali, ovvero molteplici materiali derivativi di varia provenienza mediale.14
Oltre alla necessità di emergere in un momento di saturazione dell’offerta televisiva seriale, un insieme di fattori tanto tecnologici quanto storici e culturali ha contribuito all’ascesa della SFTV. La nascita e la diffusione della Computer-Generated Imagery (CGI), in grado di produrre effetti speciali di alta qualità a costi contenuti, hanno permesso al medium televisivo di competere con il cinema e in particolar modo con Hollywood, che tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta si è imposta come una delle industrie di riferimento del genere fantascientifico.15 A partire dagli anni Novanta, anche le personalità creative della televisione possono realizzare immaginari visionari che suscitano nello spettatore meraviglia e stupore, fino ad allora appannaggio di produzioni cinematografiche ad alto budget come Star Wars (1977), Alien (1979) o Terminator (1984).
La SFTV comincia così ad assumere un ruolo centrale nel settore televisivo statunitense nel momento in cui smette di essere un medium a impronta esclusivamente verbale e diventa a tutti gli effetti un medium visivo. Le serie TV fantascientifiche dell’era post network si distinguono da quelle prodotte tra gli anni Quaranta e gli anni Ottanta perché, pur continuando ad attingere al repertorio della radio e della letteratura, cominciano ad attribuire alla dimensione estetico-stilistica la stessa rilevanza di sceneggiatura e dialoghi.16 Per la nascita di una tradizione fantascientifica televisiva, infatti, è stata cruciale sia l’influenza del cinema hollywoodiano che l’affermazione di un codice figurativo proprio del medium televisivo definito dallo studioso di media John Thornton Caldwell «televisuality».17
Anche la crescente importanza della fantascienza all’interno del mediascape contemporaneo è stata determinante per l’avvento di una nuova stagione artistico-creativa della SFTV. I cambiamenti radicali che hanno attraversato il contesto storico, sociale, culturale e industriale degli ultimi vent’anni hanno rappresentato un terreno fertile per la proliferazione di narrazioni che intercettano le logiche fantascientifiche, soprattutto in area statunitense.18 Dunque, la riscoperta del genere da parte del racconto televisivo seriale si colloca in un momento di vivo interesse per la fantascienza, il cui repertorio è diventato uno dei più frequentati dall’industria culturale e, conseguentemente, uno dei più pervasivi e ubiqui dell’immaginario collettivo.19

4 Fantascienza blockbuster
Con l’inizio del nuovo millennio, si è aperta una nuova fase nella storia della fantascienza, che si è affermata come uno degli strumenti principali a disposizione della società statunitense per navigare la complessità di un momento storico soggetto a trasformazioni tanto costanti quanto radicali. Il repertorio fantascientifico nella sua declinazione statunitense, infatti, è nato e si è evoluto in relazione alla costruzione dell’identità statunitense e dei suoi miti, costituendo da sempre uno spazio di riflessione critica sulle questioni politiche, socioeconomiche e culturali più urgenti.20 Probabilmente è per questo che l’American Science Fiction degli anni Duemila è tra i generi che più si è occupato di fenomeni come l’integrazione sempre più capillare delle nuove tecnologie nella vita quotidiana, o dei traumi storici della nazione, in particolar modo degli attacchi terroristici dell’11 settembre.21
Un altro elemento che ha contribuito alla recente popolarità della fantascienza è la compatibilità tra le logiche di funzionamento del genere e le nuove pratiche dell’industria culturale statunitense, negli ultimi vent’anni al centro di un processo di riconfigurazione simile a quello della televisione. Da un lato, la maturità tecnologica raggiunta da media come il cinema e i videogiochi ha permesso di sviluppare quell’estetica visionaria e futuristica che costituisce una delle principali attrattive dell’immaginario fantascientifico.22 Dall’altro, in un paesaggio mediale in costante evoluzione, il repertorio consolidato e l’intertestualità di cui è dotato il genere, hanno rappresentato una fonte di sicurezza economica. Nei suoi cento anni di storia, l’American Science Fiction ha costruito una tradizione costellata di topoi e meccanismi rodati che, persino in uno scenario di crescente saturazione come quello attuale, conservano la loro efficacia.23 Inoltre, assumendo valore principalmente attraverso le connessioni che attivano con altri testi appartenenti al genere, le narrazioni fantascientifiche si prestano alla costruzione dei franchise, che, in un’epoca di convergenza e integrazione mediale, è diventata una delle strategie di punta dell’industria culturale statunitense.24 A partire dagli anni Duemila, infatti, i prodotti ascrivibili al genere fantascientifico raramente si presentano come testi singoli, ma fanno piuttosto parte di reti transmediali vaste, in grado di protrarsi per anni, talvolta addirittura per decenni.25
Tuttavia, in alcuni casi, l’ingresso nella scena mainstream non ha portato a un’evoluzione creativa della fantascienza. Diverse delle manifestazioni del genere degli ultimi vent’anni si presentano più come prodotti motivati principalmente da ragioni economiche, che non come strumenti di riflessione critica, come dimostrano i franchise blockbuster sui supereroi, di cui Avengers (2012-) costituisce un caso piuttosto emblematico.26 Nonostante intercettino, seppure superficialmente, le questioni chiave della società statunitense contemporanea,27 le narrazioni fantascientifiche più commerciali investono soprattutto sulla costruzione di una dimensione visiva sempre più sofisticata e all’avanguardia, e sul ricorso costante al bagaglio di ambientazioni, temi e personaggi caratteristici del genere, che negli anni è diventato così sistematico da generare una vera e propria «formulaic exhaustion».28 La tendenza dell’industria culturale statunitense a investire in narrazioni fantascientifiche convenzionali e «almost effect-driven»29 ha portato a una forma di «blockbuster hegemony» che ha ostacolato la nascita di visioni artistiche nuove e sperimentali.30

5 Science fiction television e horror: una nuova frontiera
Negli ultimi vent’anni la Science Fiction Television è riuscita a distinguersi da buona parte dei prodotti fantascientifici contemporanei, diventando uno degli spazi cruciali per l’innovazione e l’evoluzione del genere. Sebbene la possibilità di investire su effetti speciali di alta qualità abbia rappresentato un punto di svolta, la serialità televisiva di fantascienza è riuscita a stabilire un equilibrio tra la costruzione di una dimensione visiva elaborata e quella di un’impalcatura narrativa a cavallo tra tradizione e sperimentazione.31 Per farlo, la televisione statunitense è ricorsa principalmente alle pratiche dalla complessità televisiva che più hanno contribuito a innovare il sistema dei generi televisivi statunitense, tra cui l’abbattimento delle barriere di genere e la riscoperta di generi a lungo esclusi dalle programmazioni dei network.32
Di queste, l’ibridazione ha permesso alle SFTV di recuperare quella porosità caratteristica del genere, tendenzialmente trascurata dalle narrazioni più commerciali.33 Nell’era post network, i racconti televisivi seriali di fantascienza, infatti, sono spesso il risultato della contaminazione del repertorio di topoi e meccanismi più classici con un ampio spettro di generi, talvolta molto lontani.34 Esempi rappresentativi sono Fringe (FOX, 2008-2013) e Alias (ABC, 2001-2006), che, sulla scia di X-Files, fondono il repertorio fantascientifico con quello della detective fiction e del police procedural, o ancora Westworld (HBO, 2016-), che propone un’incursione nell’immaginario western. Il parco a tema Far West in cui è ambientata la serie creata da Jonathan Nolan e Lisa Joy, infatti, si presenta come uno spazio per esplorare le interazioni tra esseri umani e androidi, ma soprattutto per sollevare interrogativi sui confini ontologici che li separano in un mondo in cui la tecnologia ha un ruolo sempre più centrale.
Tra le riletture e gli incroci più frequenti, spiccano quelli con l’horror e il gotico, in particolar modo nella sua declinazione statunitense, l’American Gothic. Come è accaduto con la fantascienza, a partire dagli anni Novanta, anche questo genere ha cominciato una rapida risalita che è culminata in una vera e propria proliferazione con l’inizio del nuovo millennio, quando è nata una tradizione di TV Horror più autonoma e meno dipendente dai media a cui fino ad allora aveva massicciamente attinto, ovvero il cinema e la letteratura.35 Così come è successo per la SFTV, le serie televisive dell’era post network appartenenti al gotico e ai suoi sottogeneri si distinguono per la ricerca di una coesistenza tra gli elementi più identificativi del repertorio classico e quelli più sperimentali, legati alle rivoluzioni che hanno scosso l’industria televisiva statunitense negli ultimi vent’anni. Oltre all’ibridazione con buona parte dei generi del sistema televisivo statunitense, dal drama ai programmi per bambini, fino al reality, il ricorso a strutture narrative articolate tipiche della Complex TV è la strategia a cui la TV Horror fa principalmente riferimento per rinnovarsi ed evolvere.36
Inoltre, potendo investire con più forza su quella pratica di critica politica e sociale caratteristica del genere, la nuova tradizione del gotico e dell’horror televisivo ha rappresentato una risorsa cruciale per la rinascita della fantascienza in quanto strumento di riflessione sulla contemporaneità. Altrettanto importante per la rinascita del TV Horror, infatti, è stato l’allentamento delle restrizioni su temi e contenuti introdotto dai nuovi player pay dell’industria televisiva statunitense, che hanno aperto la programmazione a contenuti innovativi, controversi e potenzialmente sovversivi come quelli generalmente legati ai prodotti fantascientifici e gotici.37 Come suggerisce l’influenza che ha avuto il gotico sulla nascita della fantascienza, i due generi, soprattutto nelle loro manifestazioni meno commerciali, sono accomunati dalla tendenza a muoversi nei territori lasciati inesplorati del realismo per proporre nuove prospettive sulla storia e sulla società.38 Ancora una volta, gli Stati Uniti rappresentano un caso significativo, dal momento che esiste una declinazione nazionale anche del genere gotico, l’American Gothic, il cui repertorio, analogamente a quello dell’American Science Fiction, ha avuto un ruolo decisivo nel plasmare l’immaginario collettivo d’oltreoceano. Occupandosi dei traumi e delle colpe che hanno segnato pagine importanti della storia nazionale, il gotico statunitense si propone di esplorare i luoghi del rimosso e del represso dell’inconscio collettivo, e di porsi, così, come una vera e propria contro-narrazione dell’identità statunitense e dei suoi miti.39 Dunque, rispetto alla contaminazione con altri generi, quella con il repertorio gotico e orrifico rivitalizza anche quella tendenza alla critica sociale e politica identificativa della fantascienza che, nelle produzioni più commerciali, è quasi assente.

6 Casi di studio seriali
Per osservare da vicino le traiettorie di cambiamento che negli ultimi vent’anni hanno contribuito a innovare la Science Fiction Television e, più generalmente, la fantascienza, è utile soffermarsi su serie TV come True Blood, The Walking Dead, e American Horror Story. Oltre a declinare in tre modalità differenti, ma altrettanto efficaci, la pratica dell’ibridazioni con altri generi, in particolare, con il gotico, i tre programmi hanno introdotto una serie di novità produttive, distributive e di ricezione che hanno avuto un impatto cruciale sul panorama televisivo statunitense. La loro eredità, infatti, è evidente tanto nelle forme assunte dall’immaginario fantascientifico contemporaneo, quanto nell’evoluzione della complessità televisiva.

6.1 True Blood: i vampiri militanti sono tra noi Cosa succederebbe se un centro di ricerca biomedico in Giappone creasse un composto sintetico sostituivo del sangue per le trasfusioni? Secondo True Blood, uno degli effetti collaterali sarebbe l’uscita allo scoperto dei vampiri, che, potendo smettere di nutrirsi degli esseri umani, comincerebbero a rivendicare un posto nella società civile. Mentre alcuni non rinunciano alle vecchie abitudini, altri intraprendono un cammino di integrazione in cui le difficoltà non mancano, soprattutto a Bon Temps, fittizia cittadina rurale della Louisiana in cui è ambientata la serie. L’arrivo del primo vampiro, Bill Compton, con il quale la protagonista Sookie Stackhouse ha una storia d’amore, segna infatti l’irruzione definitiva del soprannaturale nelle vite degli abitanti del profondo sud statunitense, che presto avranno a che fare anche con altre creature, come fate, negromanti, menadi, mutaforma e lupi mannari.
Costruito nell’arco di sette stagioni mandate in onda dall’emittente premium cable HBO dal 2008 al 2014, l’universo dalle atmosfere afose, violente e seducenti di True Blood ha ottenuto un successo di pubblico e critica tale da raggiungere lo status di cult. Dotata di un’evidente vocazione mainstream, il programma è riuscito a mostrare il potenziale creativo del medium televisivo all’altezza dell’era post network, stabilendo così quell’equilibrio tra componenti motivate da ragioni economiche, e altre, invece, da un tentativo di sperimentazione, caratteristico della fantascienza più innovativa. Nelle parole dello stesso Alan Ball, il produttore – la cui fama era già stata consacrata dal film American Beauty (1999) e dalla serie Six Feet Under (HBO, 2001-2005) – True Blood offrirebbe «popcorn TV for smart people»,40 ovvero si presenterebbe come una serie televisiva che, pur avendo come obiettivo quello di intrattenere, lo fa in modo sofisticato ed elaborato.
Da un lato, il lancio e il successo di True Blood sono stati sostenuti da un’operazione commerciale complessa che, pur presentando elementi di grande novità, avvicinano la serie alle manifestazioni della fantascienza più convenzionali. Una delle gratificazioni principali per lo spettatore, infatti, è il gioco citazionistico proposto dal programma, che si presenta come un mosaico di rimandi alle narrazioni fantascientifiche e gotiche di matrice cinematografica e letteraria.41 Di questi, poi, i più frequenti fanno riferimento alla mitologia classica delle creature soprannaturali, in particolar modo al vampiro, una delle figure che più hanno acceso l’interesse del pubblico negli ultimi vent’anni, soprattutto nel momento di uscita della serie.42
Anche la dimensione visiva di True Blood ha avuto un impatto fondamentale sul suo successo, dal momento che, pur non presentando effetti speciali sofisticati, è stata comunque in grado di provocare stupore e meraviglia nello spettatore attraverso la trasgressione di norme e convenzioni televisive di lunga data. Potendo contare sul supporto di HBO, l’emittente che più ha contribuito a svincolare la televisione dai tradizionali limiti di censura e appropriatezza,43 Alan Ball ha potuto investire sulla presenza di immagini di nudo e di sesso molto esplicite e frequenti, che costituiscono l’altra grande fonte di attrazione offerta dalla serie.44
Inoltre, True Blood è al centro di un nutrito franchise che ha introdotto alcune delle tendenze di punta nelle pratiche di distribuzione e ricezione nell’industria televisiva statunitense contemporanea. Oltre a essere tratta dalla saga di romanzi di Charlaine Harris, The Sookie Stackhouse Novels, nei suoi sette anni di messa in onda, la serie è stata pubblicizzata attraverso marketing campaigns cross-mediali costose e pervasive basate soprattutto su piattaforme online e social media.45
Dall’altro, le sette stagioni di True Blood sono il frutto di una progettazione creativa attenta e sperimentale, che ha coinvolto la maggior parte degli aspetti narrativi della serie, persino quelli d’intrattenimento più mainstream. A distinguere le pratiche di natura economico-commerciale del programma, è probabilmente la presenza di una forte istanza artistica. Un esempio chiave è la ripresa della tradizione fantascientifica e gotica, che avviene in modo così platealmente consapevole da essere auto-ironico,46 oppure l’organizzazione della campagna promozionale secondo un sofisticato storytelling che postula l’esistenza dei vampiri nel mondo dello spettatore come in quello della serie.47
Tuttavia, il territorio in cui si sono concentrati i principali sforzi di sperimentazione è probabilmente il tessuto narrativo del programma, insieme ai suoi temi e contenuti. Al pari delle serie fantascientifiche più innovative, in True Blood il repertorio più tradizionale è riletto alla luce delle norme e delle convenzioni di generi come il fantasy, la soap opera, ma soprattutto il gotico, che introduce una componente di critica sociale così strutturante da risultare immediatamente evidente. Nel tentativo di integrazione sociale dei vampiri, e di tutte le problematiche che questo comporta, è presente un riferimento costante ed esplicito alle battaglie civili degli afro-americani e della comunità LGBTQ nel Novecento statunitense.48 Dunque, attraverso la figura del vampiro, True Blood riesce a sfruttare il potenziale delle premesse fantascientifiche su cui è basata per porsi come uno spazio di riflessione sulla società statunitense e sulla sua storia. Presentandosi come una creatura in bilico tra umanità e inumanità, il vampiro rappresenta un simbolo piuttosto valido delle categorie che una società, in un dato momento storico, percepisce come “diverse”.49 Nel caso di True Blood, che intercetta una particolare declinazione dell’American Gothic, ovvero il Southern Gothic, concentrato sulle realtà storiche più traumatiche del sud, l’Altro coincide inevitabilmente con chi si allontana dai valori di una società bianca, patriarcale ed eteronormata.50

6.2 The Walking Dead o come sopravvivere a un’apocalisse zombie
Un’altra serie televisiva che ha avuto un’influenza cruciale sulla centralità che la fantascienza ha assunto nell’industria televisiva e mediale statunitense è sicuramente The Walking Dead. Trasmesso in undici stagioni dal canale basic cable AMC tra il 2010 e il 2022, il programma segue le vicende di un gruppo di sopravvissuti, capitanati dall’ex vice sceriffo Rick Grimes, che, in seguito a un’apocalisse zombie scatenata da un virus creato in un laboratorio francese, si sposta in una desolata Georgia alla ricerca di cibo e riparo. Il successo della serie, una delle più viste nella storia della televisione,51 ha riacceso l’interesse dell’intero panorama mediale statunitense per la figura dei morti viventi, che, negli ultimi dieci anni, ha spodestato per importanza quella del vampiro, generando una vera e propria «zombie renaissance».52
Tuttavia, il contributo The Walking Dead alla fantascienza, in particolar modo nella sua declinazione statunitense, non si esaurisce nella popolarizzazione del genere, ma nel rinnovamento della sua grammatica e delle sue forme. Nonostante si muova all’interno di uno dei territori più frequentati dalla fantascienza degli ultimi vent’anni, ovvero l’epidemia zombie,53 la serie riesce a introdurre degli elementi di novità attraverso una serie di pratiche simili a quelle adottate da True Blood pochi anni prima. The Walking Dead, infatti, è il risultato dell’interazione tra strategie industriali e creative più tradizionali, che spesso rappresentano una garanzia di successo, e altre, invece, così sperimentali da aver suggellato la reputazione di AMC, che aveva già mandato in onda serie del calibro di Mad Men (2007-2015) e Breaking Bad (2008-2013), come canale di punta della complessità televisiva.54
Pur presentando elementi di novità, buona parte delle pratiche produttive, distributive e di ricezione adottate da The Walking Dead coincide con quelle che caratterizzano le narrazioni fantascientifiche più commerciali. Nella serie abbondano citazioni esplicite di pietre miliari della mitologia zombie, come la saga generatasi da Night of the Living Dead, di George Romero, e 28 Days Later, così come i richiami alla tradizione fantascientifica e gotica di media come cinema, televisione e letteratura, che hanno costituito una delle fonti d’ispirazione più importanti per sceneggiatori e produttori.55
Inoltre, The Walking Dead è dotata di una dimensione visiva molto elaborata, costituita da numerose scene di violenza così crude e così tecnicamente sofisticate da porsi come «qualcosa di mai visto prima in TV».56 Oltre al ricorso massiccio alla CGI, il team creativo della serie ha potuto contare sull’apporto di Greg Nicotero, effettista già celebre per aver collaborato con Romero, che è riuscito a creare dei morti viventi credibili e terrificanti attraverso soluzioni più tradizionali come il trucco, ma soprattutto aprendo una «zombie school» dedicata agli attori che interpretano la parte dei walkers, il nome dato dai sopravvissuti della serie ai non-morti.57 Come nel caso di True Blood, il ruolo dell’emittente ha giocato un ruolo fondamentale: dagli anni Duemila, anche AMC ha investito su una programmazione che si muovesse fuori dai confini del least objectionable content, mostrando una predilezione per i cosiddetti difficult men, carismatici antieroi tormentati e senza scrupoli, e per le loro azioni discutibili o apertamente riprovevoli.58
Infine, anche The Walking Dead è al centro di un franchise transmediale vastissimo, che parte dal fumetto dall’omonimo titolo da cui è stato tratto per estendersi nei prodotti più disparati, come spin-off televisivi, videogiochi, podcast e talk show. Ancora oggi in espansione, l’universo narrativo generato dalla serie è strutturato secondo logiche di progettazione innovative che, partendo da un nucleo centrale costituito da ambientazioni, atmosfere e personaggi, è in grado di generare diramazioni potenzialmente infinite. Contrariamente al modello di storytelling transmediale più “classico” descritto da Henry Jenkins nel suo influente Convergence Culture. Where Old and New Media Collide, The Walking Dead non propone una netta distinzione tra il testo principale, ossia gli episodi ufficiali, e il materiale derivativo costituito dai cosiddetti “paratesti”,59 offrendo così un caso di studio emblematico dei quegli ecosistemi narrativi mediali che nel giro di pochi anni sono destinati ad affermarsi come una delle tendenze principali della televisione e, più generalmente, dell’industria culturale statunitense.60
Sebbene introduca importanti elementi di novità anche in quel set di pratiche industriali che condivide con buona parte della fantascienza contemporanea, è nell’impalcatura che è da ricercare il principale contributo di The Walking Dead all’evoluzione del genere. Così come True Blood, questa serie è il risultato della contaminazione del repertorio fantascientifico con immaginari apparentemente distanti come la soap opera o il western, che, presenti sotto forma di temi, contenuti e situazioni, aggiungono nuove sfumature ai tropi e ai meccanismi rodati delle distopie post-apocalittiche. In The Walking Dead, il tentativo di ricostruzione di una comunità solitamente presente in questo tipo di narrazioni fantascientifiche segue, da un lato, gli schemi narrativi tipici del “melodramma seriale”,61 come dimostra l’importanza attribuita alle relazioni umane, all’emotività e alla moralità,62 dall’altro, quelli legati alla mitologia del west, che identificano nei paesaggi della Georgia distrutta dall’epidemia zombie la nuova frontiera in cui Rick, moderno cowboy, e il suo gruppo di sopravvissuti si muovono, nel tentativo di preservare la specie umana e la società civile.63
Anche nel caso di The Walking Dead, poi, la rilettura della fantascienza alla luce del repertorio gotico ha un ruolo decisivo nella rivitalizzazione del genere in quanto utile strumento di riflessione sulle questioni più urgenti della contemporaneità. Attraverso la figura del walker, la serie riesce a intercettare le ansie legate a quel senso di minaccia che si è instillato nella società statunitense in seguito agli attacchi terroristici del 9/11.64 In grado di adattarsi a qualunque contesto storico per rappresentarne paure e preoccupazioni, lo zombie costituisce una delle categorie più fluide dell’immaginario gotico, a tal punto da essere al centro di una «mitologia persistente e profondamente plasmabile».65 I complessi interrogativi etici su democrazia, controllo e sicurezza che i sopravvissuti all’epidemia zombie si trovano ad affrontare in The Walking Dead, richiamano esplicitamente quelli che hanno accompagnato il processo di elaborazione del trauma collettivo legato all’11 settembre negli ultimi vent’anni.

6.3 American Horror Story, una teoria del complotto ci salverà
Rispetto a True Blood e The Walking Dead, American Horror Story si presenta come un caso di studio piuttosto peculiare. In onda dal 2011 sull’emittente basic cable FX, la serie si presenta come un’antologia stagionale, un formato televisivo nuovo in cui storia, ambientazione, personaggi e attori si rinnovano a ogni stagione. Ognuna delle dodici stagioni che compone American Horror Story, infatti, è dedicata alle diverse mitologie dell’American Gothic e degli immaginari associati ai generi nei quali la serie fa spesso incursione. Di questi, la fantascienza è probabilmente il più emblematico: oltre alle citazioni, di cui la più strutturata è probabilmente quella legata ai rapimenti alieni della seconda stagione, la serie dedica due intere stagioni a temi di matrice fantascientifica: l’ottava, Apocalypse (2018) e l’undicesima, Double Feature: Death Valley (2021).
Come indica il titolo, nel primo caso, la serie ritrae la caduta di un missile balistico sulla terra che provoca la fine del mondo. Sopravvivono solo coloro che sono stati selezionati dalla Cooperative, un’associazione di magnati dell’industria, dei media, e dell’hi-tech che, da tempo a conoscenza della futura apocalissi, hanno costruito dei bunker antiatomici chiamati Outposts. Satanisti convinti, questi leader mondiali, in seguito al disastro nucleare, affidano la gestione del loro gruppo all’anticristo, con l’obiettivo di distruggere il pianeta terra. Riusciranno a opporsi a questo piano solo le streghe della Miss Robichaux Academy, già protagoniste della terza stagione della serie, Coven (2013) che viaggiano nel tempo per uccidere l’anticristo prima della sua ascesa.
Nel secondo caso, invece, la principale minaccia per l’umanità sono ancora una volta gli alieni. Double Feature: Death Valley riscrive la storia degli Stati Uniti durante la Guerra fredda, portando sul piccolo schermo le teorie del complotto che gravitano attorno alla celebre Area 51. Secondo l’ucronia narrata dalla serie, negli anni Cinquanta, l’allora presidente Eisenhower stringe un accordo con gli alieni che dà a questi ultimi il permesso di rapire ogni anno circa 5.000 americani, condividendo in cambio la propria tecnologia avanzata. Il primo e l’unico a opporsi a questa situazione di convivenza è John Fitzgerald Kennedy, che tuttavia viene assassinato prima di poter rompere l’accordo. I rapimenti si protraggono perciò fino ai giorni nostri, quando gli extraterrestri sono riusciti a creare un ibrido umano-alieno con il quale sbarazzarsi degli esseri umani e ripopolare la terra.
Escludendo la scelta narrativa di esplorare molteplici territori dell’immaginario fantascientifico, American Horror Story riesce a rivitalizzare il genere attraverso strategie simili a quelle adottate qualche anno prima da True Blood e The Walking Dead. Anche questa serie è costruita su un sapiente equilibrio in cui pratiche industriali e di sperimentazione artistica non solo hanno pari importanza, ma soprattutto presentano degli elementi di innovazione tali da avere delle ricadute sul resto della televisione statunitense. Ideata e prodotta da Brad Falchuk e Ryan Murphy, due delle personalità televisive più influenti degli ultimi vent’anni, il successo di pubblico e critica di American Horror Story ha dato un contributo decisivo al consolidamento della reputazione di FX come principale competitor di HBO in termini di trasgressione di norme consolidate e libertà creativa.66
Pur condividendo con le narrazioni fantascientifiche più commerciali il ricorso a un repertorio formulaico, l’attenzione alla dimensione visiva e la progettazione tramite franchise, Apocalypse e Double Feature: Death Valley, così come il resto delle stagioni che compongono American Horror Story, declinano queste pratiche secondo modalità idiosincratiche. Il sistema citazionistico su cui si struttura la serie, ad esempio, si presenta come un insieme di luoghi, storie e personaggi dell’American Gothic organizzati senza pretesa di coerenza o coesione, ma con l’obiettivo di ricreare nel loro insieme una American Horror History che funga da contro-narrazione alla mitologia nazionale ufficiale.67 Case infestate, covi di streghe, vampiri e freaks sono solo alcuni dei tasselli di quel mosaico che il programma di Ryan Murphy e Brad Falchuk rappresenta nella sua totalità. American Horror Story, poi, ha investito nella creazione di un codice espressivo che la rendesse immediatamente riconoscibile. Risultato del lavoro di un team di professionisti incaricato di curarne ogni aspetto, lo stile dalle sfumature camp, votato all’eccesso e alla provocazione, della serie ha permesso a quest’ultima di imprimersi con facilità nell’immaginario collettivo fin dalla sua prima messa in onda.68 Inoltre, American Horror Story, al pari di The Walking Dead, ha generato uno storyworld longevo e articolato che ha sperimentato con modalità innovative di progettazione ecosistemica, sviluppando da una matrice narrativi molteplici diramazioni narrative e mediali. Nonostante operi a ogni stagione un cambiamento su ambientazioni, storia e personaggi, la serie riesce a creare continuità riproponendo genere, toni, atmosfere e talvolta anche personaggi, come nel caso di Apocalypse, crossover tra la prima e la terza stagione, Murder House (2011) e Coven. In più, il materiale narrativo di American Horror Story si presta a trasformazioni mediali di vario tipo, ufficiali e non. Nella prima categoria rientrano gli spin-off già in produzione, American Crime Story e American Horror Stories, e quelli annunciati, American Sports Story e American Love Story, così come i prodotti mediali finalizzati a stimolare l’engagement degli spettatori al lancio di ogni stagione.69 Della seconda, invece, fanno parte i cosiddetti fanwork, ovvero il materiale derivativo generato dai fan della serie, che in alcuni casi è entrato a far parte di quello “ufficiale”, come dimostrano gli opening credits di 1984, realizzati in collaborazione con uno spettatore.70 Anche nel caso di American Horror Story, e in particolar modo di Apocalypse e Double Feature: Death Valley, la struttura narrativa, insieme a temi e contenuti, ha rappresentato uno spazio di sperimentazione funzionale al rinnovamento della fantascienza. Per i produttori, questo genere ha costituito uno strumento fondamentale per rivitalizzare quella carica destabilizzante che la serie aveva perso a partire dalla quinta stagione. Apocalypse, infatti, segna un capitolo importante di quell’esplorazione del clima di ansia, paura e incertezza generato dalla recente situazione politica degli Stati Uniti, di cui aveva cominciato a occuparsi già la settima stagione, Cult (2017), incentrata sulle conseguenze della vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali del 2016. Alcuni hanno letto in Apocalypse una metafora del senso impellente di fine che si sarebbe diffuso nella società statunitense negli anni della presidenza Trump.71 In più, come molte narrazioni fantascientifiche che ritraggono scenari post-apocalittici, anche l’ottava stagione di American Horror Story fa ricorso a teorie complottiste comuni nella società statunitense come quella degli Illuminati che, per quanto assurde, offrono allo spettatore uno strumento efficace per l’elaborazione di eventi così traumatici da sembrare privi di logica o di una motivazione accettabile.72 Anche Double Feature: Death Valley segue questo schema, dedicando ancora più attenzione a idee cospirazioniste molto diffuse, che costituiscono addirittura le basi dell’impianto narrativo della serie. L’undicesima stagione di American Horror Story si presenta, infatti, come un’ucronia, dove viene data una spiegazione alternativa per i fatti storici da cui quella percezione di una minaccia perenne esplosa dopo il 9/11 e presentata in Cult e Apocalypse hanno avuto origine, l’assassinio di Kennedy.73 Secondo il filosofo Brian Massumi, questo episodio segna una cesura nella società statunitense, che abbandona così quello slancio ottimistico verso il futuro sulla quale era stata fondata, per abbracciare una prospettiva più fatalista, basata sulla paura dell’attacco e dell’invasione da parte di un nemico tanto più presente quanto indefinito.74 7. CONCLUSIONI La Science Fiction Television ha dato un contributo decisivo all’evoluzione della fantascienza negli ultimi vent’anni. Sfruttando le possibilità offerte da un periodo di grandi rivoluzioni industriali e creative per la televisione, il racconto televisivo seriale ha potuto investire nella costruzione di una tradizione fantascientifica autonoma e, così facendo, introdurre importanti innovazioni all’interno del genere. Mentre una parte dell’industria culturale sembra aver puntato su prodotti di fantascienza che rappresentassero una fonte di sicurezza economica, la Science Fiction Television è diventata uno degli spazi di maggiore sperimentazione per il genere. Come dimostrano i casi di True Blood, The Walking Dead e American Horror Story, la serialità televisiva è stata in grado di creare delle narrazioni fantascientifiche popolari e d’avanguardia allo stesso tempo, in cui strategie industriali e creative avessero pari importanza. Oltre al ricorso a pratiche economicamente vantaggiose come formulaicità, effetti speciali e franchising, queste tre serie sono riuscite a rivitalizzare due delle componenti chiave del genere, solitamente escluse dalle narrazioni fantascientifiche più commerciali, ovvero tendenza all’ibridazione e alla critica politica e sociale. Attraverso la contaminazione con i generi più disparati, in particolare modo con il gotico, la fantascienza, infatti, si caratterizza più decisamente come strumento di riflessione critica sulla contemporaneità, dove i miti di una nazione vengono smontati e i traumi storici elaborati.

Note

  1. G. Canavan, E. C. Link (a cura di) The Cambridge History of Science Fiction, New York, Cambridge University Press, 2019. p. 696.
  2. A. Lotz, Postnetwork. La rivoluzione della TV, Roma, minimum fax, 2016, p. 460.
  3. P. Brembilla, Itʼs All Connected. Strategie competitive ed evoluzioni formali nelle serie TV statunitensi, Dottorato di ricerca in Cinema, Musica, Teatro, Università di Bologna, 2016, p. 63.
  4. A. Lotz, Postnetwork, cit., p. 31.
  5. J. Mittell, Complex Tv. Teoria e tecnica dello storytelling delle serie TV, Roma, minimum fax, 2018, p. 69.
  6. Ivi, p. 25.
  7. A. Bernardelli, G. Grignaffini, Che cos’è una serie televisiva, Roma, Carocci editore, Roma, 2017, p. 63.
  8. R. Thompson, Television’s Second Golden Age: From Hill Street Blues to ER, New York, Syracuse University Press, 1996, p. 16.
  9. J. Mittell, Complex Tv, cit., p. 14.
  10. M. Z. Newman, E. Levine, Legitimating Television. Media Convergence and Cultural Status, Londra, Routledge, 2011, p. 6.
  11. N. Dusi, G. Grignaffini, Capire le serie TV. Generi, stili, pratiche, Roma, Carocci editore, 2020, p. 100.
  12. Ivi, p. 103.
  13. J. P. Telotte (a cura di) The Essential Science Fiction Television Reader, Lexington, The University Press of Kentucky, 2008, p. 1.
  14. Ivi, p. 2.
  15. E. C. Link, G. Canavan (a cura di) The Cambridge Companion to American Science Fiction, New York, Cambridge University Press, 2015, p. 111.
  16. J. Johnson Smith, American Science Fiction TV. Star Trek, Stargate and Beyond, New York, I.B.Tauris & Co Ltd, 2005, p. 3.
  17. J. Thornton Caldwell, Televisuality: Style, Crisis and Authorship in American Television, New Brunswick, New Jersey, Rutgers University Press, 1995, p. 83.
  18. E. C. Link, G. Canavan (a cura di) The Cambridge Companion to American Science Fiction, cit., p. 1.
  19. Ivi, p. 696.
  20. Ivi, p. 4.
  21. D. M. Higgins, American Science Fiction after 9/11, in G. Canavan, E. C. Link (a cura di) The Cambridge Companion to American Science Fiction, New York, Cambridge University Press, 2015, p. 44.
  22. S. Vint, Hollywood Science Fiction, in G. Canavan, E. C. Link (a cura di) The Cambridge Companion to American Science Fiction, New York, Cambridge University Press, 2015, p. 111.
  23. E. C. Link, G. Canavan (a cura di) The Cambridge History of Science Fiction, cit., p. 696.
  24. P. Brembilla, Itʼs All Connected, cit., p. 117.
  25. D. Seed (a cura di) Science Fiction: A Very Short Introduction, New York, Oxford University Press, p.118.
  26. S. Vint, Hollywood Science Fiction, cit., p. 120.
  27. Ivi, p. 111.
  28. J. P. Telotte (a cura di) The Essential Science Fiction Television Reader, cit., p. 3.
  29. Ivi, p. 6.
  30. S. Vint, Hollywood Science Fiction, cit., p. 116.
  31. J. P. Telotte (a cura di) The Essential Science Fiction Television Reader, cit., p. 7.
  32. N. Dusi, G. Grignaffini, Capire le serie TV, cit., p. 100.
  33. D. Seed (a cura di) Science Fiction: A Very Short Introduction, cit., p. 1.
  34. J. P. Telotte (a cura di) The Essential Science Fiction Television Reader, cit., p. 31.
  35. L Jowett, S. Abbott, TV Horror: Investigating the Darker Side of the Small Screen, Londra, Bloomsbury Publishing, 2013, p. 55.
  36. Ivi, p. xiii.
  37. C. L. Crow (a cura di) A Companion to American Gothic, Chichester, John Wiley & Sons, p. xviii.
  38. P. Brantlinger, The Gothic Origins of Science Fiction Author, in “Novel: A Forum on Fiction”, 1980, p. 31.
  39. C. L. Crow (a cura di) A Companion to American Gothic, cit., p. xviii.
  40. J. Hardy, Mapping commercial intertextuality: HBO’s True Blood, in “Convergence”, 2011, p. 9.
  41. G. Iannuzzi, Umani postumi, moderni vampiri. Riuso, serialità, coralità dell’orrore in True Blood, in “Between”, 2016, p. 6.
  42. Sabrina Boyer, “Thou Shalt Not Crave Thy Neighbor”: “True Blood”, Abjection, and Otherness, in “Studies in Popular Culture”, 2011, p. 21.
  43. G. R. Edgerton, J. P. Jones, The Essential HBO Reader, Lexington, The University Press of Kentucky, 2008, p. 307.
  44. G. Iannuzzi, Umani postumi, moderni vampiri, cit., p. 6.
  45. J. Hardy, Mapping commercial intertextuality, cit., p. 10.
  46. G. Iannuzzi, Umani postumi, moderni vampiri, cit., p. 8.
  47. J. Hardy, Mapping commercial intertextuality, cit., p. 10.
  48. G. Iannuzzi, Umani postumi, moderni vampiri, cit., p. 11.
  49. M. Williamson, The Lure of the Vampire: Gender, Fiction and Fandom from Bram Stoker to Buffy, Londra, Wallflower Press, 2005, p. 1.
  50. S. Boyer, “Thou Shalt Not Crave Thy Neighbor”, cit., p. 28.
  51. E. Dell’Agnese, The Walking Dead.Siamo tutti infetti?, in F. Amato, E. Dell’Agnese (a cura di) Schermi americani. Geografia e geopolitica degli Stati Uniti nelle serie televisive, Milano, Unicopli, p. 39.
  52. Luca Barra, Massimo Scaglioni, Zombie televisivi. Politiche della rappresentazione e sistema dei media, in “Rivista di politica”, 2017, p. 191.
  53. D. M. Higgins, American Science Fiction after 9/11, cit., p. 47.
  54. P. Brembilla, Itʼs All Connected, cit., p. 193.
  55. D. Martin, Glen Mazzara’s Eight Horror Inspirations for The Walking Dead, 31/10/2012, visto il 24 ottobre 2022.
  56. A. Grasso, C. Penati, La nuova fabbrica dei sogni. Miti e riti delle serie tv americane, Milano, Il Saggiatore, 2016, p. 199.
  57. J. Horn, The Walking Dead’s Greg Nicotero Talks About Zombie Makeup and Zombie School, 8/2/2015. visto il 24 ottobre 2022.
  58. B. Martin, Difficult Men. Dai Soprano a Breaking Bad, gli antieroi delle serie tv, Roma, minimum fax, 2018, p. 26.
  59. Marie-Laure Ryan, Transmedia narratology and transmedia storytelling, in “Artnodes”, 2016, p. 4.
  60. Guglielmo Pescatore, Dalle narrazioni estese agli ecosistemi narrativi, in Pescatore Guglielmo (a cura di) Ecosistemi narrativi. Dal fumetto alle serie Tv, Roma, Carocci editore, 2018, p. 19.
  61. J. Mittell, Complex Tv, cit., p. 386.
  62. L. Jowett, S. Abbott, TV Horror, cit., p. 32.
  63. E. Dell’Agnese, The Walking Dead, cit., pp. 46/47.
  64. D. M. Higgins, American Science Fiction after 9/11, cit., p. 48.
  65. L. Barra, M. Scaglioni, Zombie televisivi, cit., p. 192.
  66. J. Lynch, John Landgraf on Ryan Murphy’s Importance to FX and Losing Him to Netflix, 27/2/2018, visto il 25 ottobre 2022.
  67. F. Boni, American Horror Story. Una cartografia postmoderna del gotico americano, Milano, Mimesis, 2016, p. 13.
  68. D. Pulici, American Horror Story oltre ogni limite, visto il 25 ottobre 2022.
  69. Tra questi spiccano i teaser e i poster promozionali che accompagnano l’uscita di ogni stagione della serie, che irretiscono lo spettatore nello storyworld horror attraverso strategie sempre diverse. Quelli di Roanoke, sesta stagione della serie, costituiscono un esempio piuttosto emblematico: incentrati sul simbolo “?6”, hanno reso il tema centrale un mistero lasciando ai fan il compito di svelarlo attraverso discussioni su piattaforme come Facebook, Twitter e Instagram. Anche i social network rappresentano uno degli strumenti principali nella stimolazione dell’engagement della serie, come dimostra il caso della settima stagione, Cult, che, attraverso siti web e servizi di messaggistica istantanea, ha offerto allo spettatore la possibilità di sentirsi un vero e proprio membro di una setta nelle sei settimane che hanno preceduto la messa in onda del primo episodio.
  70. N. Starner, American Horror Story: 1984’s Bloody Opening Credits Revealed, 13/9/2019, visto il 25 ottobre 2022.
  71. D. D’Addario, TV Review: ‘American Horror Story: Apocalypse’ , 12/9/2018, visto il 25 ottobre 2022.
  72. E. C. Link, G. Canavan (a cura di) The Cambridge History of Science Fiction, cit., p. 697.
  73. D. M. Higgins, American Science Fiction after 9/11, cit., pp. 53-54.
  74. Brian Massumi (a cura di) The politics of Everyday Fear, Londra, University of Minnesota Press Minneapolis London, p. 9.

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