Tra potere, controllo sociale e trauma: riflessioni sulla vicenda e l’immaginario di Torquato Tasso, specie in rapporto al tema della fortuna

Annarita Magri, Tra potere, controllo sociale e trauma: riflessioni sulla vicenda e l’immaginario di Torquato Tasso, specie in rapporto al tema della fortuna, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 59, no. 1, giugno 2025, doi:10.48276/issn.2280-8833.12895
Introduzione
Il 1500 è un secolo di guerre, divisioni, politiche e religiose, e inquietudine, oltre che di un aumento progressivo del controllo e disciplinamento sociale1 . Ciò potrebbe essere correlato al tormento psicologico di Torquato Tasso, che ha affascinato generazioni2: infatti, egli potrebbe avere sofferto di una sindrome post-traumatica dovuta alle sue vicissitudini3. Dopo una breve discussione metodologica sulle diagnosi retrospettive, lo studio proporrà un quadro, per forza di cose riassuntivo, sulla salute del Tasso in relazione con le pressioni del suo ambiente storico; verrà quindi proposta una diagnosi di sindrome post-traumatica con sintomi dissociativi, ma essa sarà sostanziata dall’analisi di vari passi degli scritti del poeta, in cui ricorre frequente l’allegoria, allora popolarissima, di Fortuna. Nella sua Risposta di Roma a Plutarco egli giungerà però alla decisione di metterla da parte, sintomo, assieme alla scomparsa di Fortuna nel 1600, di una stretta politico-sociale sempre più forte.
Il problema epistemologico delle diagnosi retrospettive
Le diagnosi retrospettive di personaggi storici sono molto dibattute a livello metodologico, in quanto pareri medici su assenti, basati su fonti non cliniche spesso lacunose, col rischio continuo di anacronismi; inoltre, chi viene dal settore della medicina di solito ignora il metodo di analisi delle fonti storiche e / o letterarie e della loro contestualizzazione4.
Il contributo epistemologico più importante al riguardo è opera del prof. Osamu Muramoto5: secondo lui, una diagnosi retrospettiva odierna non può che fondarsi sugli strumenti epistemologici attuali, per cui non rappresenta la “verità” (posizione realista), quanto un’approssimazione pragmatica ad essa (come il lavoro storiografico). Le diagnosi, pure quelle odierne, sono infatti costrutti gnoseologici umani e sociali probabili, espressi con i mezzi disponibili in ciascuna epoca e in continuo aggiustamento. Muramoto suggerisce poi di privilegiare le diagnosi sindromiche (la sindrome è un insieme di sintomi), perché esse sono più generali e possono avvenire anche senza un esame diretto, sulla base di una buona documentazione storica.
Quindi è legittimo chiedersi di cosa soffriva Torquato Tasso: data l’abbondanza dei suoi scritti e previa la loro analisi critica, si ricade nel settore della patografia, fondata sulle opere del personaggio e più sicura6.
La salute di Torquato Tasso. Scarsa resistenza allo stress
Tasso non ha mai mostrato problemi cognitivi: per tutta la lunga prigionia al S.Anna, e anche dopo, continua a comporre lettere, liriche, dialoghi. Insomma, a differenza di altri noti intellettuali sprofondati nella follia (es. F.Nietzsche) è rimasto cognitivamente integro, immergendosi nel lavoro a fondo, quasi che la poesia costituisse l’unica dimensione della sua esistenza: perciò, in lui non sembra ferito il lato cognitivo, quanto quello emotivo.
Però Tasso risente molto dello stress: si ammala spesso anche da giovane, cade infermo alla morte del padre, alla fine della stesura del poema, tra 1574 e 1575, nel luglio 1576, nel febbraio 1579, per non parlare della sua salute perennemente fragile dopo la liberazione7. Che l’alterato stato psicologico del poeta sia correlato alla tensione intellettuale era opinione comune al tempo, come riferisce Michel de Montaigne in Essais II,128. Per descrivere lo stato del poeta, egli impiega una serie di domande retoriche costruite su ossimori, segno della natura profondamente contraddittoria sia dell’esperienza tassiana, che della cultura manierista coeva.
«Non c’è forse da essere grati a questa sua mortale vivacità? A questa lucidità che l’ha accecato? A questa ansia per l’esattezza e la ragione, che gli ha tolto la ragione? Alla curiosa e laboriosa ricerca sulle scienze, che l’ha condotto alla follia? A questa rara attitudine agli esercizi spirituali, che l’ha privato dell’esercizio della sua anima? Provai ancora maggiore dispetto che compassione a vederlo a Ferrara in così pietoso stato, sopravvissuto a se stesso, dimentico di sé e delle sue opere che sono state date alla luce prive del suo sigillo e tuttavia al suo cospetto, prive di correzioni e informi9.»
La tensione intellettuale può tradursi in fatica ed esaurimento: questo, fin dall’antichità è diagnosticato come malinconia, cioè squilibrio umorale della bile nera, con sintomi quali dolore, paura, stanchezza, pessimismo, irritabilità, misantropia10. Comunque, questa teoria si sposa con una ben precisa visione del genio, che traspare chiaramente dalle parole di Montaigne.
Malinconia
Il fatto che il poeta non abbia mai sofferto di veri e propri problemi cognitivi ha indotto vari studiosi a ipotizzare un disturbo dell’umore11: le lettere rivelano abitualmente uno stato depresso, ma non di rado anche ansioso, o talora (in età giovanile) persino euforico12.
Secondo la teoria umorale ippocratica nel corpo esistono quattro fluidi principali, sangue, flegma, bile gialla e nera, il cui equilibrio mantiene la salute; tuttavia l’eccesso di uno può provocare patologie peculiari, o influenzare il carattere. Particolarmente temuta è la malinconia, ovvero la prevalenza della bile nera, donde tristezza, irrequietudine, irascibilità, stanchezza e vari altri sintomi prossimi all’odierna depressione. Tuttavia, con Marsilio Ficino, si afferma la convinzione platonica per cui l’eccesso di bile nera sarebbe una manifestazione eccezionale del genio13. Tasso si dichiara più volte malinconico, sia per giustificare in qualche modo la propria malattia, che per conferirle delle patenti di nobiltà ed eccellenza intellettuale: non solo, rivive la propria sofferenza alla luce dei classici14. Lui stesso costruisce il mito della sua follia, come il prezzo ineludibile da pagare al suo genio, l’“umor saturnino” in cui convergono sensibilità eccessiva, estro straordinario e sofferenza. Non è detto però che questa diagnosi gli concili la pietà: i medici dell’epoca, come G.B.Mercuriale, ritengono corretto redarguire i malati per i comportamenti che, secondo loro, provocano il problema, come inerzia e solitudine (oggi del tutto sconsigliato15).
Un altro disturbo emerge però con evidenza dalle lettere di Tasso: la “malattia degli scrupoli”.
Malattia degli scrupoli e disturbo ossessivo
Nella percezione odierna un disturbo ossessivo implica una compulsione che spinge alla ripetizione, appunto, ossessiva di un comportamento giudicato necessario (per es. controllare la manopola del gas); un caso tipico sono i disturbi ossessivo – compulsivi (Doc)16. Tasso manifesta qualcosa di simile nella correzione delle sue opere, nelle sue autodenunce all’Inquisizione e, in generale, nelle preoccupazioni sulla sua fede.
La revisione del poema corrisponde a un uso letterario in voga, scelto anche da Bernardo per l’Amadigi e volto a prevenire le polemiche letterarie, allora molto velenose, nutrite da un’invasiva codificazione17; ha perciò uno scopo pure difensivo. Però diventa una correzione infinita: il poeta, oltre ai quattro revisori previsti (Silvio Antoniano, Sperone Speroni, Flaminio de’Nobili, Pietro Angelio da Barga, coordinati da Scipione Gonzaga) diffonde le sue ottave anche tra altri che spesso e volentieri non hanno alcun titolo per visionarle. Mentre le correzioni dei revisori spesso mostrano la ristrettezza mentale così ben descritta per la censura ecclesiastica coeva18, le loro lettere provocano in lui una notevole inquietudine, per cui alterna remissività e insofferenza. La revisione si arresta nel 1576, contemporaneamente alla deriva psicologica dell’autore: certo, avviene anche un’evoluzione della sua poetica, ma, perennemente insoddisfatto della sua opera, egli giunge dopo anni a un poema diverso, la Gerusalemme conquistata; qualcosa di analogo avviene anche per altre opere.
La fede del poeta diviene invece un problema politico. Infatti, Ferrara è feudo pontificio e la dinastia si trova nell’occhio del ciclone della Curia romana per due motivi: primo, per via della calvinista Renata di Francia (perciò rimandata nel paese natale dal marito Ercole II); quindi, perché Alfonso non può avere figli e lo Stato della Chiesa minaccia di recuperare il dominio (cosa che difatti avviene alla morte del duca nel 1598)19. In sostanza, gli Estensi cercano di salvare il ducato, mentre Roma opta per mezzi coercitivi come l’Inquisizione onde rafforzare la centralizzazione, sia a livello religioso, che politico, in una partita complessa in cui gli Estensi hanno molto da perdere come potere locale.
Alfonso teme quindi che il comportamento del Tasso (che non si perita di accusare di eresia altri cortigiani) possa provocare un nefasto cortocircuito. Il poeta prima si rivolge all’inquisitore di Bologna, poi a quello ferrarese che, con buon senso (anche politico), lo assolve e cerca di tranquillizzarlo, mentre il duca ingiunge al religioso di bruciare tutte le carte compromettenti, per tema che la cosa si risappia a Roma20. Per buona parte del 1577, il poeta rimane fissato sull’idea di contattare l’inquisitore di Bologna, perché non ritiene valida l’assoluzione ricevuta a Ferrara; redige infine una supplica da indirizzare a Roma. D’altronde, peggiorando moltiplica non solo le preghiere, ma anche le confessioni generali, altro segnale di scrupoli21.
Un aspetto centrale della sua ossessione è il rapporto con l’autorità: religiosa, letteraria, politica. In una lettera sconcertante al suo protettore di sempre, il cardinale Albano, Tasso chiede di «esser restituito ne la sua grazia e ne la grazia di tutti que’ signori i quali la mia fortuna e ‘l mio umor malinconico ha fatti consorti de la mala soddisfazione verso me» (ep. 112). Filippo d’Este, genero di Carlo Emanuele I, intende prendere Tasso al suo servizio a Torino, ma questo al poeta non basta, data l’instabilità dei suoi «umori» e «fortuna»; quindi il cardinale dovrebbe «col peso de l’autorità» sul Tasso stesso, consolidarne il proposito (come se fosse possibile): «…E questa può essere Vostra Signoria illustrissima, la quale, col peso de l’autorità che ha sopra di me, può fermare i moti de la mia mente, sempre che per incostanza o per follia vacillasse.»
Questi propositi surreali ricordano le lettere successive alla prigionia, in cui le richieste di aiuto sembrano non bastare mai: ma qui è paradossalmente l’autorità a non bastare mai, sia perché la patologia di Tasso sta sfuggendo a ogni controllo (come egli deve avvertire con autentico terrore), sia perché tutta l’autorità possibile, anche violenta, non può ridurre al silenzio completo ciò che gli si oppone: in questo caso, la resistenza silenziosa della sofferenza del singolo.
I confessori di Ancien Régime conoscono bene i disturbi ossessivi in ambito spirituale: li definiscono “malattia degli scrupoli”, frequente nelle biografie di santi o religiosi della prima età moderna22. Secondo gli studiosi odierni esiste una correlazione tra Doc, iper-responsabilità e timore di colpa23: eventi traumatici possono costituire un fattore di rischio, così come pressioni educative24. Questa iper-responsabilità sarebbe perciò legata non solo al carattere del poeta, ma anche a pressioni educative o del contesto, allorché il controllo sociale a tutti i livelli (letterario, religioso, politico) diventa sempre più invasivo.
Ipotesi di sindrome post-traumatica e metodologia
Il materiale raccolto conduce a una diagnosi di sindrome post-traumatica cronica, un soggetto molto dibattuto a livello storico specie per i veterani di guerra, come gli antichi soldati romani: l’interrogativo principale è se i traumi provochino reazioni analoghe in tutte le epoche, sulla base della comune biologia dell’essere umano (tesi universalista), oppure se dipendano dalla cultura del contesto (tesi relativista)25. Siamo quindi nell’ambito della psicologia post-traumatica.
Probabilmente, c’è del vero in entrambe: la risposta a un grave pericolo dipende negli esseri umani, come in tutti i vertebrati, dal sistema nervoso parasimpatico, che spinge alle cosiddette “reazioni animali di difesa”: fuga, aggressione, collasso o compiacimento del nemico; esse sono universali, incontrollabili e molto più rapide del lobo frontale, proprio perché è la parte più atavica del nostro sistema nervoso a occuparsene per la sopravvivenza26. Il trauma cronicizzato continua a sollecitarle ogni volta che una circostanza simile lo ricorda al soggetto, finché non diventano un automatismo impazzito: è il trigger, l’”innesco” della memoria traumatica e, quindi, della reazione automatica codificata dal sistema nervoso. D’altro canto, la percezione del pericolo cambia da cultura a cultura e spesso da individuo a individuo: quindi essa è anche culturale. Se per l’epoca antica mancano fonti esaustive tali da permettere una diagnosi completa27, nel caso di Tasso abbiamo invece molto a disposizione.
Tasso vittima di sindrome post-traumatica cronica
E’ quindi possibile proporre per Tasso una diagnosi di sindrome post – traumatica cronica e alcuni sintomi sono già emersi, come la scarsa autostima28: Tasso alimenta una lunga serie di credenze ed emozioni negative e una forma di autocritica feroce, per cui è costantemente insoddisfatto di sé; la sua notevole insicurezza lo porta a un riconoscimento molto instabile dei suoi meriti, a sentirsi perennemente sotto attacco e inadeguato.
Abbondano pure le difficoltà relazionali: secondo Grazioso Graziosi, ambasciatore del duca di Urbino a Roma: «…a questo sfortunato si darebbe ricetto da ogni persona privata, non che da’ signori, e nelle case loro e ne’ cuori; ma i suoi umori lo fanno diffidare di ognuno29.» Potrebbe sembrare paranoia, un delirio sistematizzato di persecuzione30 , ma i paranoici sono psico-rigidi, laddove la diffidenza del Tasso è piuttosto ondivaga31 . Ha più senso l’iper-vigilanza, cioè la paura del traumatizzato, sulla base di ferite ben reali, di essere nuovamente maltrattato: perciò davanti a un trigger prova un disperato bisogno di fuga (reazione di evitamento post-traumatico), che rende impossibile al poeta la permanenza in un posto per un lungo periodo (come a Mantova, dove pure è onoratissimo)32. Si intuisce che Tasso percepisca la vita di corte come un pericolo per la propria integrità psichica e ciò conferma dei passati problemi a Ferrara; perciò, egli avrebbe preferito il ritiro a una vita di otium letterario a carico di qualche principe. Il logoramento indotto dal trauma induce spesso a cercare una sistemazione pacifica, lontano da problemi relazionali.
Nonostante un carnet d’adresses fornitissimo, malgrado molti lo trattino pazientemente, Tasso ha pochi amici veri: d’altronde, i rapporti con lui sono estremamente difficili e la persistenza di un senso di minaccia lo induce a fuga e lamentele continue33. L’epistolario tassiano è pervaso dal pessimismo e dalla profonda solitudine tipici dei grandi traumatizzati e radicati nel senso di abbandono alla radice del trauma, tanto che il poeta ripete in continuazione di avere subito danni da altri, una percezione soggettiva ingigantita. Questa fuga continua lo porta a periodi di reale avvilimento, come a Roma nel 1589, quando si ritrova da solo all’Ospedale dei Bergamaschi34.
Tra i sintomi, si sono già viste l’ipersensibilità allo stress e l’oscillazione dell’umore (pseudo – ciclotimia). Esistono anche indizi di tentazioni suicide: nella lettera 933 a G.B.Licino, dopo avere lamentato il suo stato, Tasso aggiunge: «Se non mi voglion dar la morte, o sforzarmi ch’ io la mi dia da me stesso. Questa libertà m’ insegnerebbe la filosofia, se non me la negasse Cristo». L’argomento filosofico a favore del suicidio opposto al divieto religioso lascia intuire che il poeta rifletteva sulla questione: non sembra però considerarlo un argomento da condividere, se non per accenni e con un’aperta sconfessione, dato che ciò mina l’ortodossia.
La sindrome post-traumatica si complica con sintomi psicosomatici quali i disturbi gastrointestinali e altri (ep.244), ma potrebbe essere peggiorata dalle dipendenze, non rare tra i grandi traumatizzati: ad es. quella dal lavoro, e difatti Tasso si getta nel suo impegno poetico a corpo morto; ma su di lui pesa pure l’ombra del vino35. Esiste però un ultimo grave sintomo post-traumatico, che renderebbe conto delle crisi di aggressività, delle amnesie e di altri atteggiamenti mostrati dal Tasso in via di peggioramento, un sintomo che rappresenta l’ultimo gradino delle sindromi post – traumatiche: la dissociazione.
Dissociazione
Quando il trauma si cronicizza, il paziente può arrivare alla dissociazione, che è una patologia della coscienza: infatti la memoria del trauma viene rimossa, ma permane nell’emisfero destro e incombe come una minaccia finché non è rielaborata36. Assieme al ricordo traumatico sono rimossi anche gli aspetti dell’io più coinvolti nel trauma: per esempio, il ricordo del sé bambino maltrattato, o della parte più aggressiva di sé, che, modellandosi sull’aggressore, avrebbe voluto reagire con la forza. Questi ricordi rimangono al di fuori della coscienza adulta e danno luogo a spezzoni separati della coscienza, ciascuno dotato di una propria memoria e volontà autonome: essi riemergono automaticamente quasi fossero personalità alternative assieme alla memoria del trauma davanti a un trigger, cioè al ricordo indotto del trauma, nel cosiddetto switch (“scambio” di coscienza). Il paziente sembra cambiare personalità, ma, dato che tutto avviene al di fuori della sua coscienza adulta, di solito non si rende conto di nulla o vagamente.
Questo è probabilmente quanto succede a Tasso nelle sue crisi: al S.Anna gli spariscono, specie la notte, pane, cibo, frutta, lettere, libri, talora ritrovati in disordine37. Per lui è il “folletto” (ep.454):
«Del folletto voglio scrivere alcuna cosa ancora. Il ladroncello m’ha rubati molto scudi di moneta: né so quanti siano, perché non ne tengo il conto come gli avari; ma forse arrivano a venti: mi mette tutti i libri sottosopra: apre le casse: ruba le chiavi, ch’io non me ne posso guardare.»
Probabilmente invece lui stesso sposta gli oggetti o mangia il cibo durante uno switch dissociativo – forse della parte bambina, che tende a manifestarsi la notte e a mangiare di soppiatto. Sono coerenti col quadro anche le allucinazioni auditive:
«…Grida di uomini, e particolarmente di donne e di fanciulli, e risa piene di scherni, e varie voci d’animali che da gli uomini per inquietudine mia sono agitati, e strepiti di cose inanimate […] Odo sonarmi gli orecchi d’alcune voci ne le quali quasi distinguo i nomi di Paolo, di Giacomo, di Girolamo, di Francesco, di Fulvio e d’altri…38»
L’io percepisce i pensieri delle parti dissociative come voci di personalità estranee, assieme ad allucinazioni visive («varie imaginazioni», ep. 244). La tendenza a smarrire gli oggetti complica la vita di Tasso per decenni, tanto che accusa altri cortigiani di sottrargli delle lettere (cosa che occasionalmente può essere avvenuta)39, ma dopo la prigionia afferma di perdere le lettere altrui (ep.1083): sorge allora il dubbio fondato che l’absence dissociativa sia stata frequente per un lungo arco della sua esistenza.
Pure le crisi di rabbia si possono spiegare come switch della parte aggressiva: quando nel marzo 1579 il poeta va in escandescenze davanti alle principesse estensi, è immediatamente rinchiuso e tocca al fattore del duca, Guido Coccapani, spiegargli gentilmente la situazione: ma, tornato in sé, Tasso non ricorda nulla40. Difatti, l’altro sintomo più caratteristico della dissociazione è l’amnesia per via della trance dissociativa: ebbene, la mancanza di memoria è un Leitmotiv dell’epistolario tassiano41. Si potrebbe pensare a un vezzo da intellettuale, oppure a sviste dovute allo stress, ma l’epistolario evoca qualcosa di più sinistro: «La mia fortuna, che m’ha fatto dimenticar alcuna volta di me stesso» (ep.547); «Perch’io, tra la debolezza de la memoria, e la perturbazione de’ fantasmi e de l’imaginazione, posso aver commessi molti errori; i quali per la maggior parte son più tosto colpa de la mia fortuna, che de la mia ignoranza» (ep.830). Secondo l’ep.647 il celebre medico G.B.Cavallara aveva prescritto al Tasso delle pillole per recuperare la memoria, pillole che il poeta gli richiede ancora nell’ep. 676; quindi è un sintomo patologico. Si può solo intuire l’enorme sofferenza di percepirsi incapace di controllare le proprie azioni a causa di un mostro interno incontrollabile.
La dissociazione collima con il “bifrontismo tassiano”, per cui il poeta sembra sempre attratto da poli opposti (fede e lato demoniaco, ascesi ed eros ecc.): tutto ciò riflette perfettamente il mondo inquieto del manierismo e le sue interne contraddizioni42 e il poeta vive le drammatiche divisioni della sua epoca nella sua carne. In effetti, a causa dell’influsso delle parti dissociative sulla personalità del soggetto, la dissociazione ne provoca una polarizzazione delle caratteristiche; specie se la dissociazione e il trauma peggiorano, come è il caso di Tasso, le parti invadono progressivamente la coscienza provocando un’involuzione. Si prova infatti sconcerto quando nei suoi ultimi anni il poeta si riduce a una querula ed egocentrica richiesta di aiuto: ciò può succedere in persone in cui la dissociazione è sfuggita a ogni controllo, per cui Tasso sembra regredire al livello del suo lato dissociativo bambino.
Traumi sperimentati dal Tasso
A questo punto è bene ricordare i traumi che hanno inciso più profondamente sull’esistenza di Tasso, partendo dai più recenti e procedendo a ritroso:
1) La settennale prigionia al S.Anna lo ha prostrato definitivamente: il duca non poteva fare altrimenti e Tasso era trattato abbastanza bene, con cibo e biancheria fornite per ordine ducale, visite e occasionali passeggiate all’esterno in compagnia di altri; però era pur sempre rinchiuso43. La sua prigionia sembra anticipare il grand enfermement dei folli che documenta Michel Foucault per il XVII secolo avanzato: il Cinquecento ripropone a iosa il motivo della follia, ma ancora vi convive, anche se i margini di tolleranza, come mostra quanto accaduto al Tasso, progressivamente si restringono e chi è rutenuto “folle” viene sempre più visto come un pericolo ed emarginato44.
2) L’atmosfera repressiva della società coeva, manifestatasi, per esempio, nella repressione politica e religiosa: la paura dell’Inquisizione e del duca in Tasso è molto indicativa.
3) Gl’intrighi di corte, tanto che Tasso è vittima addirittura di un’aggressione da parte di Ercole Fucci45 ; questi si rifugia poi dall’ambasciatore estense a Firenze, sfuggendo così a ogni procedimento giudiziario, il che ingenera il sospetto che fosse sostenuto da persone più in vista, ostili al poeta. Per quanto apprezzato, Tasso potrebbe quindi avere sofferto di qualcosa di simile all’odierno mobbing, cioè vessazioni consistenti in gesti ostili minimi e che passano facilmente inosservate, ma molto stressanti man mano che si accumulano, fino a giungere ad atti persecutori più cospicui46. Esso colpisce di solito persone che eccellono per un qualsiasi motivo; in ogni caso, la condizione del poeta cortigiano dell’epoca, costretto a contendere con altri per il favore del principe e a un ruolo sempre più settoriale e subordinato rispetto al quadro idealizzante del Cortegiano di Baldassarre Castiglione, è di per sé fonte di notevoli pressioni47.
4) Lo stress per la stesura del poema, tanto che i disturbi del poeta si fanno più evidenti a partire dalla fine del lavoro di prima redazione (1575-76).
5) La condizione di instabilità e umiliazione vissuta con il padre esule fin dal 1554: anche questo rientra nel quadro della condizione precaria del cortigiano di fine ‘500.
6) Il peggio è stato sicuramente la separazione e la morte della madre, per di più, secondo Bernardo, avvelenata48: la morte violenta di un genitore può essere uno dei fattori scatenanti la PTSD49.
7) Quando il poeta bambino rimane da solo con la madre e la sorella dopo l’esilio del padre, tra il 1547 e il 1554, Porzia de’Rossi si trova in gravi angustie, anche economiche, a causa dell’avarizia dei suoi parenti50: quindi la famiglia vive in un ambiente tossico, aggravato dal senso di vulnerabilità e abbandono in assenza del padre. Quest’ultimo d’altronde è obbligato a seguire il suo patrono, il principe di Sanseverino, schiacciato nella lotta tra le aristocrazie e le comunità locali e lo Stato cinquecentesco sempre più centralizzato: a Napoli, l’unica città del regno in grado di dar luogo a un’opposizione politica, l’introduzione dell’Inquisizione come strumento di controllo da parte del viceré don Pedro da Toledo provoca tensioni tra questi e i nobili e la cittadinanza locali, donde la disgrazia del principe e di Bernardo51.
Quindi buona parte delle sofferenze del Tasso è provocata dalle difficili condizioni, specie socio-politiche, della sua epoca. Durante il ‘500 un’allegoria estremamente comune nelle opere letterarie e artistiche per rendere le ferite, nonché gli alti e bassi dell’esistenza è Fortuna: prima di interrogare le carte del Tasso al riguardo, è quindi necessaria una breve sintesi al riguardo.
Fortuna
Che cos’è Fortuna per un uomo del 1500? La domanda richiede una risposta complessa, dato che, proprio come il color vario de’ panni di Fortuna in Gerusalemme liberata 14,72,4, Fortuna è quanto mai cangiante e versatile.
La concezione di questa allegoria ha alle sue origini l’omonima divinità adorata dai Greci e dai Romani: ma per i primi Tyche è un’astrazione letteraria, che raggiunge lo status di divinità solo con gli sconvolgimenti dell’età ellenistica; invece, per l’Impero di Roma essa è fin dai primordi una dea di grande importanza, prima venerata in una serie di santuari arcaici, poi nel culto ufficiale, protettrice del popolo romano come Fortuna publica populi romani, quindi dell’imperatore52. In età imperiale viene spesso identificata con Iside e la sua immagine, con gli attributi della cornucopia e del timone, simbolo rispettivamente di prosperità e guida del mondo, si diffonde per tutto l’oikumene. In epoca cristiana S.Agostino (cfr. De civitate Dei 4,18-19) polemizza con l’idea di una falsa dea pagana, perché si tratta solo di un nome convenzionale dell’imponderabile; questa consapevolezza avrebbe dovuto farla scomparire durante il Medioevo e dagli scritti cristiani.
Invece essa permane: la concezione rinascimentale di Fortuna si sviluppa nel solco dell’antichità classica53, assumendo grande importanza nel pensiero politico (si pensi al Principe 25 di Niccolò Machiavelli, censurato dall’Indice, ma letto da Tasso54). Tuttavia, Fortuna possiede soprattutto un’aura esistenziale, che traduce il senso ultimo delle esperienze di un singolo o di una comunità e la loro visione del mondo: la si può intendere in senso provvidenziale, come Dante, che ne fa un’entità angelica sottomessa a Dio in Inferno 7,67-96, al pari di Tasso per la sua Fortuna, che «nel sembiante agli angioli somiglia» in GL 14,72 e 15,3-655 . Ma Fortuna è pure una realtà ambivalente e capricciosa, che nel 1500 indica l’elemento imponderabile dell’esistenza: se gli umanisti confidano nella possibilità di affrontarla con la “virtù” (intesa in senso laico), nell’arte figura come memento mori, come espressione della vanità della vita ed esortazione a sopportare le disgrazie con animo forte56 . Tra guerre, divisioni religiose e monarchie sempre più assolutiste, essa diventa un Leitmotiv nelle autobiografie, ove lo scrivente trasforma le sue disgrazie in exempla edificanti: stampigliata su oggetti di uso comune, quali insegne, vasi, monete, insegna la precarietà della vita, il disordine irrazionale dell’esistenza; eppure, Fortuna autorizza anche a parlare di sé, a esprimere il proprio dolore e a esistere. In Tasso è onnipresente come la sua persecutrice ufficiale: e questo, fin dall’infanzia segnata dalla morte della madre.
La Canzone al Metauro
La celebre Canzone al Metauro, rimasta incompiuta (1578), ma nota per bellezza, complessità stilistica e densità emotiva introduce la Fortuna persecutrice dell’io lirico57: concepita per chiedere ospitalità ai Della Rovere di Urbino58 , il cui emblema era la quercia, la lirica chiede un riparo all’albero che
«…Spiega
i rami sì ch’i monti e i mari ingombra,
mi ricopra con l’ombra.
L’ombra sacra, ospital, ch’altrui non niega
al suo fresco gentil riposo e sede,
entro al piú denso mi raccoglia e chiuda,
sì ch’io celato sia da quella cruda
e cieca dèa, ch’è cieca e pur mi vede,
ben ch’io da lei m’appiatti in monte o ‘n valle
e per solingo calle
notturno io mova e sconosciuto il piede;
e mi saetta sì che ne’ miei mali
mostra tanti occhi aver quanti ella ha strali.»
L’albero in latino è di genere femminile, poiché collegato alla terra: qui la quercia araldica domina il paesaggio e assieme all’ombra (che forse allude a Luca 1,35) è un’immagine protettiva59. Questa ombra, conforto e frescura, deve quasi racchiudere il poeta come un grembo materno a protezione dalla Fortuna: la dea, cieca e irrazionale («cruda» e «cieca», con significativa allitterazione ed epanadiplosi), ma, provvista di mille occhi come la Fama di Aen. 4,181-83 e di «strali» ben più minacciosamente che Cupido, perseguita l’io lirico ovunque. Sembra quasi un’antitesi della figura materna, mentre l’io lirico è presentato con i tratti del Cristo povero (cfr. la canzone In questa notte, che il rigor del verno, v.17-8: «…mosse notturno e sconosciuto il piede, / e per solingo calle in umil chiostro»)
Nella seconda strofa il poeta si dice perseguitato da Fortuna fin dalla nascita:
«…fui de l’ingiusta e ria
trastullo e segno, e di sua man soffersi
piaghe che lunga età risalda a pena.
Sàssel la gloriosa alma sirena,
appresso il cui sepolcro ebbi la cuna:
così avuto v’avessi o tomba o fossa
a la prima percossa!
Me dal sen de la madre empia fortuna
pargoletto divelse.»
Le «piaghe» mai rimarginate sono le ferite dell’animo e la più grave di tutte è il distacco dalla madre: l’enfasi sul «me» iniziale, la costruzione chiastica del v. 31, l’anastrofe del verbo «divelse», che fa pensare a un germoglio strappato, sottolineano lo strazio del Tasso bambino su cui troneggia l’«empia fortuna». Il luogo di nascita del poeta fonde, come la terra, la culla, il grembo materno e la tomba (della sirena Partenope), quindi svela il desiderio di essere morto ancora in fasce, eco forse di Giobbe 10,18-19. In questi versi in cui si intrecciano varie immagini materne, Fortuna appare come il negativo della madre, quasi che il ben noto “bifrontismo tassiano” generi la contrapposizione di due immagini femminili, la materna, buona e luminosa, e la mostruosa Fortuna dai mille occhi. La credenza che Fortuna abbia continuato a perseguitarlo si sostanzia poi nel ricchissimo epistolario tassiano.
Fortuna nelle lettere
Per verificare quale valore Tasso attribuisca al termine “Fortuna”, ho passato in rassegna tutte le ricorrenze del vocabolo nell’edizione Guasti, punto di partenza obbligato, anche se deficitario a livello filologico60. Ho distinto le seguenti accezioni del termine:
1) Menzioni di Fortuna o simili nel poema o in altre opere (come allegoria e nome proprio).
2) Fortuna come “disgrazia” (nome comune).
3) Senso neutro (come “sorte”) o anche positivo (buona fortuna).
4) Senso economico e sociale (es.: “beni di fortuna”)61.
Lo spoglio rivela innanzitutto che il termine apparteneva allora all’intercalare quotidiano; d’altro canto, spesso il suo valore positivo o negativo permane ambiguo e i confini tra le varie accezioni sfumate: per esempio, l’espressione «la mia fortuna» può apparire neutra (= sorte), raramente favorevole, ma per lo più negativa. L’apprezzamento di queste sfumature è alle volte piuttosto opinabile: tuttavia, nonostante questi limiti e quelli dell’edizione del Guasti, malgrado l’irregolarità con cui ci sono pervenute le lettere tassiane – molto più abbondanti negli ultimi anni –, i risultati seguenti appaiono significativi e l’aumento delle accezioni negative di fortuna, sia relativo, che assoluto, è visibile.

Il termine “fortuna” all’epoca era comune, ma controverso e poco accetto, specie alla censura ecclesiastica: nell’ep. 217, Tasso si mostra perfettamente consapevole che S.Agostino rifiuta l’esistenza della Fortuna, eppure, data la sua frequenza negli scritti di vescovi e padri della Chiesa, chiede l’avviso del presule di Ferrara.
Ora, nell’epistolario il poeta impiega sovente frasi fatte come la «malignità della fortuna»: persino nella I a Vittoria Colonna la cita riguardo alla sorte infelice del padre («la fortuna l’ha privato de la roba e de la moglie che amava quanto l’anima »; cfr. anche 1560). In seguito, l’espressione è ricorrente per descrivere l’esperienza del poeta stesso62; egli parla di «fortuna nemica»63, «avversa»64, di «impedimenti della fortuna»65, o anche solo della «mia fortuna», nel senso di «mia disgrazia», sintagma tanto frequente che basta aprire le pagine dell’epistolario per trovarlo. La fortuna è associata a ogni sorta di mali: alla povertà, alla malattia e all’infermità66, nella 112 alla malinconia, nella 109 alla morte; addirittura, si estende ai «mal fortunati componimenti» per il cui successo il poeta è osteggiato (ep.109 e 1531); persino gli errori tipografici (ep. 1366) o la perdita delle lettere è addebitata alla fortuna (641). Insomma, egli si presenta come «un povero gentiluomo infermo e perseguitato da la fortuna», «oppresso a torto da la fortuna» (1109 e 1483): con essa costruisce una sorta di “mito della disgrazia” della famiglia Tasso e della biografia del poeta.
Molto interessanti anche le metafore relative: Tasso è perennemente in cerca di un porto sicuro, come Napoli, la città della sua infanzia: «Ma qual porto fu mai più tranquillo in ogni fortuna, di quello al qual m’invita? » (ep.328). La fortuna è un «turbine», che intralcia la navigazione (ep.1501), un mare tempestoso da cui trovare riparo: così egli spera nei signori napoletani come «ancora, che potrà fermare questa quasi nave de la mia vita fra l’ agitazioni de la fortuna, accioch’ ella non rompa ne le sirti o’n qualche scoglio» (ep. 1088; cfr. pure 1463). Il riparo da fortuna è un Leitmotiv dell’opera tassiana fin dall’invocazione ad Alfonso II d’Este in GL 1,4,1-3:
«Tu magnanimo Alfonso, il qual ritogli
Al furor di fortuna, e guidi in porto
Me peregrino errante, e fra gli scogli,
E fra l’onde agitato…»
Ma un qualsiasi principe benevolo potrebbe ospitare Tasso in un porto quieto, come papa Sisto V, supplicato affinché non lo abbandoni qual nave esposta al vento e ai marosi della fortuna, tradizionalmente associata alle traversie del trasporto marittimo (ep.988 e 1253)67. Non stupisce che l’estremo approdo del poeta possa essere l’ordine benedettino da lui amato fin dall’infanzia, come nel sonetto: «Nobil porto del mondo e di fortuna»68. Altre metafore si avvicendano: nella dedica del dialogo Del giuoco (ep.226), il poeta, biasimando il gioco d’azzardo, dedica il testo ad Alessandro Pocaterra «acciochè con la vostra prudenza mi consigliate in modo, ch’ io niuna azione di questa vita, ch’è quasi un giuoco, a la fortuna sottoponga». La vita non può essere vissuta come un gioco d’azzardo: del resto, «dove ha gran parte la prudenza, poca suole averne la fortuna» (ep.1502); prudenza e virtù sono l’opposto naturale della fortuna.
Tasso sa però impiegare la fortuna come difesa: «Le mie pazzie si possono imputare a la mia fortuna» (ep.697), cioè il poeta non ha colpa della sua follia. In effetti, la diagnosi di cui sopra calza a pennello, perché il paziente dissociativo compie degli atti inconsulti che sembrano intenzionali agli estranei, mentre per lui sono del tutto incontrollabili, quindi avvilenti: così Tasso si affanna molte volte a protestare che le sue azioni (che talora deve definire «falli» o «torti») sono effetto della fortuna o degl’inganni dei nemici, non della sua volontà69. La patologia provoca un comportamento aberrante, che gli altri non possono interpretare e di cui riversano il marchio sulle spalle del poeta: ed egli reagisce, grida che la sua follia è colpa della fortuna (e, in fin dei conti, ha ragione).
D’altro canto, in Tasso, sempre ambivalente, c’è anche una parte di deresponsabilizzazione e indubbio vittimismo: egli regredisce a uno stato quasi infantile, per essere semplicemente compianto e aiutato, anzi, se la fortuna lo priva di tutto, può presentarsi come vittima e così manipolare gli altri, forzarli a occuparsi di lui; la sofferenza gli ridona una forma di eccellenza, che la follia sembrava sottrargli assieme al lume della ragione. Paradossalmente, egli si sente così autorizzato a volgere la fortuna in accusa contro gli altri nell’ep. 283: «Picciolo obbligo ho a la mia fortuna ed a l’altrui cortesia» (e dal contesto risulta che sta aspettando uno smeraldo in regalo!). Se si pensa che Tasso scrive lettere a decine e le imbottisce di richieste, talora anche bizzarre, si comprenderà come questi malati esigano una grande pazienza70.
Ma che cos’è la fortuna per Tasso? Nell’angosciata lettera 1041 a Maurizio Cataneo, egli si pone questo interrogativo tormentoso:
«La mia fortuna è quella medesima che dà tanto animo a’ nemici miei d’offendermi e di schernirmi; o sia il diavolo, o temerità, com’ altri estima, o cagione che opera oltre il proponimento de gli uomini, e spesso rivolge il mondo sottosopra. In tutti i modi ella è un non so che di maligno, di temerario e di pazzo; se pur è cosa alcuna […] Né sono così ignobil soggetto, ch’io devessi esser abbandonato a la fortuna, come nave al mare o palla al vento: almeno sono creatura d’Iddio, dotata di libero arbitrio, e non ostinato in cosa alcuna, ch’io reputi peccato […] Vorrei e più tosto morire infelice con la provvidenza, che viver felice con la fortuna, ne la quale non confiderei uno de’ mici libri o uno de’ fogli da me scritti.»
Nel mondo si affrontano la Fortuna e la Provvidenza, due poteri opposti, l’uno buono e razionale, l’altro caotico e maligno: e Tasso sembra esitare tra lo scetticismo di S.Agostino e il credere in qualcosa di ben più minaccioso. Fortuna è la somma dei traumi di Tasso, di quella parte della vita che non riesce a controllare: allora, la ruota della Fortuna diventa per lui uno strumento di tortura in un sonetto della prigionia dedicato ad Alfonso d’Este: «Me novello Ission rapida aggira / La rota di fortuna…71»
Simbolo dell’instabilità di Fortuna fin dall’antichità, la ruota rappresenta soprattutto gli alti e i bassi del potere: e difatti Tasso chiede al duca «se mia sorte / rotar pur vuole, intorno a voi mi rote», quasi che la sua vita dipenda dall’autorità del principe, come un pianeta dal Sole del nuovo modello copernicano. Però egli è legato alla ruota come il mitico Issione del Tartaro greco (cfr. Virgilio, Georg. 3,38-9): la sofferenza del poeta deriva dall’«ira» del principe (v.8), che lo ha rinchiuso «in carcer profondo», tanto che ora (vv.9-11) «è più acuto e forte / vecchio dolor cui giro aspro sia cote». Le vecchie ferite del poeta si riacutizzano nella nuova prigionia e l’io lirico continua a chiedere la liberazione: difatti, anche se al S.Anna il Tasso viene trattato bene (dopo le austerità iniziali, quando veniva legato), la sua sofferenza rimane il prodotto di pressioni di ogni genere e della tendenza a rinchiudere i marginali e i personaggi scomodi.
William Shakespeare nell’Amleto (2,2,464-68 e 3,3,15-22) e Miguel de Cervantes nel Don Chisciotte della Mancha 1,8 recuperano in senso pessimistico la stessa immagine: in Amleto, la ruota della Fortuna rinvia al crollo della dinastia e del regno; in Cervantes, i celebri mulini a vento evocano la ruota della Fortuna, che condanna don Chisciotte a cadere nella polvere72, segno che le vicende dei singoli e quelle della collettività vanno all’unisono a rotta di collo. Intanto in Italia, gli storici realizzano che, con la discesa di Carlo VIII, il paese da un secolo è abbandonato agli stranieri e ai capricci della fortuna73.
Conclusione: la Risposta di Roma a Plutarco e la “morte di Fortuna”
Nell’opuscolo Risposta di Roma a Plutarco (1590 ca.)74, Tasso oppone la maestosa prosopopea di Roma al biografo greco che nel De fortuna Romanorum attribuisce la nascita dell’Impero romano sia alla virtù, che alla fortuna: un antico dibattito, che risale fino a Polibio e alimentato dal risentimento dei Greci, per cui il rimando alla dea Fortuna serviva a sminuire i meriti della virtus romana; tuttavia, in Plutarco l’argomento risente di un certo provvidenzialismo75. Per Tasso, questa opzione è inaccettabile: mai e poi mai una realtà per lui sacra come Roma può essere sorta con l’intervento di un’entità irrazionale, bensì, come il creato è frutto della Provvidenza, così: «L’Impero romano ebbe origine simile a quella del mondo, dunque non ci ha parte la Fortuna» (par. 18). Nel seguito, con un ragionamento a fortiori, Tasso esclude l’azione del caso e della fortuna dalle realtà più variabili del creato (gli astri, le maree, il vento), il che conferma l’esistenza di un ordine universale onnicomprensivo, che si esplica pure nell’esistenza di Roma e bandisce a priori la fortuna.
Il poeta anticipa così una tendenza che si manifesterà appieno solo a partire dalla metà del Seicento, quando l’allegoria di Fortuna scompare dalla letteratura e dall’iconografia: l’avvento in filosofia del razionalismo, materialismo, meccanicismo e determinismo la rendono del tutto obsoleta76. Difatti, la politica e la società procedono verso il perfezionamento dell’assolutismo, mentre la Rivoluzione scientifica opta per le certezze sperimentali e il cosmo viene visto sempre più come un gigantesco meccanismo in cui ogni ingranaggio è al suo posto e non v’è più spazio per l’imprevisto; infine, il controllo sociale avanza con quello che Michel Foucault ha definito le grand enfermement.
Tasso decide di cancellare Fortuna dalla riflessione politica e di ridurne drasticamente la portata anche in altri campi: è una scelta logica, perché Fortuna rappresenta l’imponderabile, il caos e il suo martirio. Però non si rende conto che sta cancellando anche l’allegoria che gli permette di esprimere la sua sofferenza: proprio perché essa rappresenta l’imponderabile, Fortuna rinvia al permanere di spazi non controllati e liberi entro l’esistenza. Cancellandola, in realtà Tasso, come è visibile nell’ultima parte della sua esistenza, tende ad appiattirsi davanti alle pretese eccessive delle autorità che fronteggia, di qualsiasi genere esse siano, politiche, religiose o letterarie. Cancellare fortuna, cancellare l’imprevedibile nella vita, significa infine cancellare se stessi e la propria libertà. Questo rimane un monito per la nostra epoca, il cui controllo sociale è forse più silente che a fine Cinquecento, ma, tra nuove tecnologie, social media, videosorveglianza, più invasivo e tentacolare.
Note
- Per un quadro dell’epoca, Mark Greengrass, Christendom Destroyed. Europe 1517 – 1648, London – New York, Penguin Books, 2014; Hamish Scott, The Oxford Handbook of Early Modern European History. 1350-1750, Oxford University Press, 2015; Evan Cameron, Early Modern Europe. An Oxford History, Oxford University Press, 2001; Henry Kamen, Il secolo di ferro. 1550-1660, Roma – Bari, Laterza, 1982 (trad.it.; I ed. 1971). Sul disciplinamento sociale, Adriano Prosperi, Riforma cattolica, Controriforma, disciplinamento sociale, in AA.VV., Storia dell’età religiosa. 2. L’età moderna, Bari, Laterza, 1994, p.3-48; Norbert Elias, La civiltà delle buone maniere, Bologna, Il Mulino, 1998 (trad.it.; I ed.1982); Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino, Einaudi, 1996; Peter Godman, Histoire secrète de l’Inquisition de Paul III à Jean-Paul II, Paris, Perrin, 2007(trad.fr.; I ed. 2005).
- Sul mito tassiano nei secoli successivi, a parte le rapide osservazioni di Giovanni Getto, Malinconia del Tasso, Napoli, Liguori, 19793, pp.9-11 e 21-26, cfr. soprattutto Alessandra Coppo, All’ombra di Malinconia. Il Tasso lungo la sua fama, Università degli Studi di Torino – Ed. Le Lettere, 1997. Un capitolo a parte della fortuna del mito di Tasso è segnalato per Jean-Jacques Rousseau: cfr. Jean Starobinski, Rousseau e Tasso: lezione Sapegno 1993, Torino, Bollati Boringhieri, 1994; in proposito, si veda Anna Cerbo, La malinconia di Torquato Tasso e di Jean – Jacques Rousseau attraverso l’esegesi di Jean Starobinski, “Annali del Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Comparati. Sezione romanza dell’Università degli Studi di Napoli L’Orientale“ 61 (2019), pp. 71-82, che tocca anche l’amore di Tasso da parte di Leopardi.
- Pur non essendo psicologa, ho dovuto approfondire la questione per motivi di lavoro, volontariato e personali; ringrazio di cuore il dott.Delves Fozzato, specializzato in elaborazione del trauma, per la sua preziosa consulenza. Ovviamente, ogni errore seguente resta responsabilità mia.
- Cfr. Axel Karenberg, Retrospective Diagnosis: Use and Abuse in Medical Historiography, “Prague Medical Report” 110 (2009), p.140–145; Anna Jamison, The Perils and Possibilities of Retrospective Diagnosis, “The Polyphony” 4 (2020), visto il 13/3/2025; Sam Kean, Diagnosing the Dead. Can scrutinizing the ailments of historical figures teach us anything?,“Science History” 15 dicembre 2022, visto il 13/3/2025.
- Cfr. Osamu Muramoto, Retrospective diagnosis of a famous historical figure: ontological, epistemic, and ethical considerations, Philosophy,“Ethics, and Humanities in Medicine” 9 (2014), visto il 13/3/2025; A.J.Larner, Retrospective Diagnosis: Pitfalls and Purposes, “Journal of Medical Biography” 27 (2019), p.127-128.
- Per la metodologia, cfr. D.T. Bradford, Neuropathography: origins and methodology, “Perceptual and Motor Skills” 103 (2006), p.471–485; il manuale di riferimento è William Todd Schultz (a cura di), Handbook of psychobiography, Oxford University Press, 2005.
- Cfr. Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, Roma – Torino, Loescher, 1895, vol. I, p. 126, 199-200, 275-6; per le lettere, Cesare Guasti (a cura di), Lettere di Torquato Tasso, Firenze, Le Monnier, 1852-55 (5 voll.); cfr. ep. 10, 11, 18, 40. E’ inevitabile impiegare questa vecchia edizione completa, nonostante i suoi limiti (cfr. infra, nota 60), anche se gruppi ristretti di epistole, come quelle poetiche, sono stati editi recentemente (vedi nota 17). Negli ultimi giorni è venuto alla mia attenzione il volume Giampiero Giampieri, Torquato Tasso. Una psicobiografia, Roma, Le Lettere, 1995, che sembra però un serio tentativo di ricostruire la psicologia tassiana sullo sfondo del periodo storico.
- Il passo di Montaigne fa chiaro riferimento alla stampa non autorizzata del poema del 1581 e fu aggiunto alla ristampa degli Essais del 1582; perciò è improbabile che il pensatore francese abbia conosciuto Tasso a Ferrara il 15-16 novembre 1579, dato che nessuno dei due parla di una visita nei suoi scritti. Inoltre, Tasso divenne famoso a livello europeo soltanto con la pubblicazione del poema del 1581, per cui Montaigne avrebbe aggiunto il riferimento a lui solo dopo: cfr. Renzo Bragantini, Anima e corpo. La povertà di Tasso, in Silvia Zoppi Garamapi (a cura di), Povertà: atti del sesto Colloquio internazionale di letteratura italiana, Università degli studi Suor Orsola Benincasa, Napoli, 27-29 maggio 2015, Roma, Salerno Ed., 2020, p.171-88; Angelo Solerti, Vita, cit. p.324-25; Jackie Pigeaud, Prologue. Tasso, poète malade, et les médecins, in Frédéric Le Blay (a cura di), Transmettre les savoirs dans les mondes hellénistique et romain, Presses Universitaires de Rennes, 2010, p.13-28 (25-28).
- Traduzione mia da Michel Eyquem de Montaigne, Les Essais, Eds. P. Villey and V.-L. Saulnier, online edition by P. Desan, University of Chicago, visto il 13/3/2025.
- Cfr. Anna Katherine Schaffner, Exhaustion: A History, Columbia University Press, 2016, cap. 1.
- Cfr. Angelo Solerti, Vita, cit., pp.861-66; Pierluigi Cabras – Donatella Lippi, La patobiografia e il caso Torquato Tasso, “Medicina nei secoli” 19 (2007), p.475-80.
- Visibilmente euforica è l’ep. 62; per l’ansia cfr. ep.20, 836 e le lunghe serie di richieste a partire dalla prigionia.
- Cfr. Raymond Klibansky – Erwin Panofsky – Fritz Saxl, Saturn and Melancholy. Studies in the History of Natural Philosophy Religion and Art, Nendeln/Lichtenstein, Kraus Reprint, 1979 (I ed. 1964).
- Cfr. Francesca Leonardi, Nel corpo di Tasso: tra malattia e malinconia, in Maria Di Maro – Matteo Petriccione (a cura di), Il racconto della malattia. Atti delle sessioni parallele del convegno internazionale di studi Il racconto della malattia (L’Aquila, 19-21 febbraio 2020), Napoli, Paolo Loffredo Ed., 2021, p. 49-64; Jackie Pigeaud, Prologue. Tasso, poète malade, cit. e, soprattutto, il I capitolo di Bruno Basile, Tasso. Poeta Melancholicus. Tradizione classica e follia nell’ultimo Tasso, Pisa, Pacini, 1984 = Archeologia di un mito tassiano: il poeta malinconico, “Lingua e stile” 2 (1970), p. 293-308; alcune note peculiari sull’autopercezione della sofferenza tassiana nei capitoli Malinconia e follia nell’epistolario tassiano e La malinconia e il demonio, in Fabio Giunta, Magia e storia in Torquato Tasso, Milano, Unicopli, 2013.
- Cfr. Jackie Pigeaud, Prologue. Tasso, poète malade, cit., p.17-18.
- Cfr. American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. Fifth Edition, Text Revision, Washington, APA, 2022 (= DSM-5-TR), p.265-71.
- Sulla revisione del poema, cfr. Emilio Russo – Franco Tomasi (a cura di), Tasso, Roma, Carocci, 2023, p.125-30; sulla Conquistata, p.189-206; Angelo Solerti, Vita, cit., 205-6; Torquato Tasso, Lettere poetiche (a cura di Carla Molinari), Parma, Fondazione Pietro Bembo – Ugo Guanda Ed., 1995; Torquato Tasso, Lettere (1587-1589), (E.Russo a cura di) Roma, BITS – Testi e Studi, 2020.
- Cfr. Peter Godman, Histoire secrète de l’Inquisition, cit.
- Il caso di Ferrara, dove nel 1536 le infiltrazioni calviniste alla corte di Renata e la visita di Calvino stesso provocano uno scandalo, è ben illustrato in Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza, cit., p. 35-7; per Tasso e l’Inquisizione, cfr. Angelo Solerti, Vita di Tasso, cit., p.210 – 67.
- Bernardo Tasso era stato vicino ad ambienti in odore di riforma, come il circolo di Vittoria Colonna e quello di Juan de Valdès a Napoli: cfr. Maria Sirago, La penna e la spada. Bernardo e Torquato Tasso da Tunisi a Lepanto, Nocera Superiore, D’Amico Ed., 2021, specie p. 57-76; secondo Dominique Fratani, Virtù et Servitù: Bernardo Tasso ou les tribulations d’un humaniste du XVIe siècle, Pessac, Presses Universitaires de Bordeaux, 2023, la vicinanza di Bernardo al circolo valdesiano di Napoli lo avrebbe indotto a incoraggiare il principe di Sanseverino a prevenire l’introduzione dell’Inquisizione in città.
- Cfr. la supplica per l’Inquisizione a Roma (98) ed ep. 37, 101, 123 e 133.
- Cfr. Jean Delumeau, Il Peccato e la Paura. L’idea di colpa in Occidente dal XIII al XVIII secolo, Bologna, Il Mulino, 20002 (trad.it.; ed.orig. 1983), p.555-89. Ne soffre S.Marguerite – Marie Alacoque: cfr. Annarita Magri, Le valenze culturali della devozione al Sacro Cuore (dagl’inizi, fine Seicento, al 1765), Tesi di Laurea Magistrale in Storia dell’Età dell’Illuminismo, relatore prof. Rolando Minuti, Università di Firenze, a.a. 2020-21; un’altra vittima di scrupoli è Martin Lutero: cfr. Adriano Prosperi, Lutero. Gli anni della fede e della libertà, Milano, A.Mondadori, 2017; Silvana Nitti, Lutero, Roma, Salerno Editrice, 2017.
- Cfr. Mariangela Gaudio, Il timore di colpa per irresponsabilità nel disturbo ossessivo compulsivo: studi clinici, State of mind, 21 settembre 2016, visto il 13/3/2025; Francesco Mancini, Un modello cognitivo del disturbo ossessivo-compulsivo, Psicoterapia 23-24 (2001). L’autore è il migliore specialista italiano di Doc.
- Cfr. DSM-5-TR, cit., p.268.
- Cfr. Matthias Schmidt – Saskia Wilhelmy – Dominik Gross, Retrospective diagnosis of mental illness: past and present, “The Lancet” 7 (2019), p. 14–16; Erik Brown, The Hidden Evidence of PTSD in the Ancient World, “Medium”, 3 luglio 2020, visto il 13/3/2025; Anthony Riches, Did Roman Soldiers Suffer PTSD?, Historia , 29 settembre 2017, visto il 13/3/2025; Joseph Hall, A Roman PTSD?, “Ancient Warfare” 10, p.48-52. La definizionw dei traumi si è trasformata costantemente: Marc-Antoine Crocq – Louis Crocq, From shell shock and war neurosis to posttraumatic stress disorder: a history of psychotraumatology ,“Dialogues in Clinical Neuroscience” 2 (2000), p.47-55, visto il 13/3/2025.
- Cfr. Pat Ogden – Janina Fisher, Psicoterapia Sensomotoria. Interventi per il trauma (trad.it. a cura di Giovanni Tagliavini et alii), Milano, Raffaello Cortina Ed., 2016 (I ed. 2015), pp. 127 – 144.
- Per aggirare il problema, gli studiosi catalogano i singoli sintomi attestati: Philippe J. Birmes† – Eric Bui – Rémy Klein – Julien Billard – Laurent Schmitt – Charlotte Allenou – Nicolas Job – Christophe Arbus, Psychotraumatology in Antiquity, Stress and Health 26 (2010), p.21–31; Walid Khalid Abdul – Hamid Jamie Hacker Hughes, Nothing New Under the Sun: Post-Traumatic Stress Disorders in the Ancient World, “Early Science and Medicine” 19 (2014), p. 549-57.
- Cfr. DSM-5-TR, cit. p.301-13 e Pete Walker, Complex PTSD: From Surviving to Thriving. A Guide and Map for Recovering from Childhood Trauma, Azure Coyote Book, Pete Walker, 2014.
- Lettera del 1589 riportata da Cesare Guasti, Lettere, cit., vol.IV, p.146-47.
- Cfr. DSM-5-TR, cit., p.737-41: «Paranoid personality disorder should be diagnosed only when these traits are inflexible, maladaptive, and persisting» (cit.p.741).
- Cfr. Angelo Solerti, Vita, cit., pp. 254-55.
- Cfr. DSM-5-TR, cit., cit.p.121: «Posttraumatic stress disorder may include flashbacks that have a hallucinatory quality, and hypervigilance may reach paranoid proportions».
- Cfr. Renzo Bragantini, Anima e corpo. La povertà di Tasso, cit. p. 182.
- Cfr. Angelo Solerti, Vita, cit., p.643-4.
- Cfr. Angelo Solerti, Vita, cit., p.275 ed. ep.258.
- A parte DSM-5-TR, cit., p.330-37, cfr. Kathy Steele – Suzette Boon – Onno Van der Hart, La cura della dissociazione traumatica. Un approccio pratico e integrativo, Milano – Udine, Mimesis, 2017 (trad.it. a cura di Giovanni Tagliavini; I ed.2017); Id., La dissociazione traumatica. Comprenderla e affrontarla, Milano – Udine, Mimesis, 2013 (trad.it. a cura di Giovanni Tagliavini – Gabriella Giovannozzi; I ed.2011).
- Cfr. Angelo Solerti, Vita, cit., p.407.
- Cfr. ep. 190 e 244.
- Cfr. Angelo Solerti, Vita, cit., p. 241-6 ed ep. 86.
- Cfr. Angelo Solerti, Vita, cit., p. 261.
- Cfr., ep.920, in cui parla di «memoria indebolita», 700 o 770 e gli incipit delle ep. 620, 639 o 634, da cui pare che il poeta fosse abituato ai mancamenti di memoria.
- Cfr. Lanfranco Caretti, Il Tasso e l’epoca sua, in Id, Ariosto e Tasso, Torino, Einaudi, 1961, p. 53-121.
- Cfr. Angelo Solerti, Vita, cit., capp. 16, 18, 19 e 21.
- Cfr. Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica, Milano, Rizzoli, 1976 (ed.orig.1972), cap. I.
- Cfr. Angelo Solerti, Vita, cit., p. 239-42 ed ep. 84-5.
- Cfr. Iňaki Piňuel, Mobbing. Cómo sobrevivir al acoso psicológico en el trabajo, Madrid, Suma de Letras, 2003 e le osservazioni di Renzo Bragantini, Anima e corpo. La povertà di Tasso, cit.
- Cfr. Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana II. Dal Cinquecento al Settecento, Milano, Elemond, 1991, p.184-86; Antonio Daniele, La Canzone al Metauro, “Studi tassiani” 27 (1979), p.91-117 (97-99).
- Cfr. Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, cit., p.21 e le lettere di Bernardo 2,2,9; 2,59; 2,69.
- Cfr. DSM-5-TR, cit., cit. 309: in caso di morte di una persona cara, «Symptoms of both prolonged grief disorder and PTSD may be present».
- Cfr. Angelo Solerti, Vita, cit., p.16-23; i parenti addirittura sequestrarono Cornelia rimasta orfana.
- Cfr. Giuseppe Foscari, Stati e sistemi politici dell’età moderna, in Giuseppe Foscari – Eugenia Parise (a cura di), Il lungo respiro dell’Europa. Temi e riflessioni dalla Cristianità alla globalizzazione, Salerno, Edisud, 2006, p.55-83 (18).
- Cfr. Jacqueline Champeaux, Fortuna : recherches sur le culte de la Fortune à Rome et dans le monde romain des origines à la mort de César, Rome, CEFR, 1982-87, 2 voll.; Ijro Kajanto, Fortuna, ANRW XVII,1, p.503-58; H.V.Canter, “Fortuna” in Latin Poetry, Studies in Philology 19 (1922), p. 64-82; Daniele Miano, La dea Fortuna. Una divinità e i suoi significati nella Roma repubblicana e nell’Italia antica, Roma, Carocci, 2021 (trad.it.; I ed. 2018); Yasmina Foehr-Janssens – Emmanuelle Métry (a cura di), La Fortune. Thèmes, représentations, discours, Genève, Droz, 2003.
- Cfr. Luciano De Sanctis, La Fortuna di Fano: quale Fortuna?, in Oscar Mei – Paolo Clini (a cura di), Fanum Fortunae e il culto della dea Fortuna, Venezia, Marsilio / Centro Studi Vitruviani, 2017, p. 67-96.
- Cfr. Emilio Russo, Tasso, Torquato, in Gennaro Sasso (a cura di), Machiavelli: Enciclopedia Machiavelli, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2014, p.589-90.
- Nell’imponente bibliografia su questo passo, rinvio solo a Giuseppe Ledda, “Inferno” VII, in Lectura Dantis Bononiensis, a cura di Emilio Pasquini, Bologna, Bononia University Press, 2020, p. 119-141; Maria Luisa Doglio, Sul canto VII dell'”Inferno”. Avarizia e accidia. Vizi capitali e “gente” senza identità umana. Abbrutimento e fango, in Raffaella Bertazzoli – Fabio Forner – Paolo Pellegrini – Corrado Viola (a cura di), Studi per Gian Paolo Marchi, Pisa, ETS, 2011, p.339-351; Gustavo Costa, “Inferno”, VII, «Esperienze Letterarie», 29, (2004), 2, p.3-29. Dante sembra sottinteso nell’ep.302, secondo cui Dio avoca a sé le cose grandi, ma lascia le piccole alla Fortuna.
- Cfr. Florence Buttay – Jutier, Fortuna. Usages politiques d’une allégorie morale à la Renaissance, Paris PUPS, 2008, p.246-72. La studiosa ha pubblicato una di queste autobiografie, quella del diplomatico Giorgio Giglio Pannilini (1607-79): Id., Storia vera di un impostore: Giorgio Del Giglio nel Mediterraneo del Cinquecento, Roma, Officina libraria, 2022 (trad.it.). Per il ‘500 cfr. anche Mario Santoro, Fortuna, ragione e prudenza nella civiltà letteraria del Cinquecento, Napoli, Liguori Ed., 19782 (I ed. 1967).
- Per il testo, Torquato Tasso, Rime (a cura di Bruno Basile), Roma, Salerno Ed., 1994, p.624-5. Forse la canzone è stata volutamente lasciata ferma a tre strofe, perché aveva già raggiunto la completezza lirica: cfr. Giovanna Rabitti, Note sulla canzone ‘al Metauro’ con un’appendice leopardiana, “Lettere Italiane” 46 (1994), p. 76-105, con accurata storia del testo; Antonio Daniele, La Canzone al Metauro, cit.
- Tasso aveva condiviso da ragazzo gli studi del duca Francesco: cfr. Angelo Solerti, Vita, cit., p. 26-34.
- Cfr. ep.494 per questa aspirazione a una vita di otium letterario «sotto l’ombra di qualche felice pianta, che mi ricopra in modo da la fortuna».
- Cfr. Cesare Guasti (a cura di), Lettere, cit. e Archilet, visto l’11/3/2025. In merito, cfr. Emilio Russo – Franco Tomasi (a cura di), Tasso, cit., p.81-97; Gianvito Resta, Studi sulle lettere del Tasso, Firenze, Felice Le Monnier, 1957 e gli studi di Emilio Russo: Per l’epistolario tassiano (1). Appunti su tradizione e questioni critiche, in Laura Fortini – Giuseppe Izzi – Concetta Granieri (a cura di), Scrivere lettere nel Cinquecento. Corrispondenze in prosa e in versi, Roma, Ed. di Storia e Letteratura, 2016, p. 185-98; Id., Per l’epistolario di Tasso (2). Schede su quattro autografi, in Clizia Carminati – Paolo Procaccioli – Emilio Russo – Corrado Viola (a cura di), Archilet. Per uno studio delle corrispondenze letterarie di età moderna, Atti del seminario di Bergamo, 11-12 dicembre 2014, Verona, QuiEdit, 2016, p.55-66; Id., Per l’epistolario del Tasso (4). Le lettere mantovane del 1586-87, in Luca Morlino – Daniela Sogliani (a cura di), Gli archivi digitali dei Gonzaga e la cultura letteraria in età moderna, Milano, Skira, 2016, p. 25-44; infine Clizia Carminati – Emilio Russo (a cura di), Ricerche sulle lettere di Torquato Tasso, Bergamo, Civica Biblioteca “Angelo Mai”, 2016, p.61-76.
- Ho incluso alcuni termini della stessa radice (come fortunato o sfortunato); ovviamente, la quantità e l’arco cronologico delle lettere di ogni volume del Guasti variano molto, senza contare quanto è andato perduto.
- Cfr. ep.11, 114, 140, 745, 1253.
- Cfr. ep.745, 884, 1010, 1054.
- Cfr. ep. 987, 988, 1052, 1055, 1075.
- Cfr. 262, 1017, 1117, 1503; in ep. 534, 747, 1139 la fortuna è soggetto o complemento d’agente del verbo impedire.
- In ep. 40 Tasso afferma di essere allettato e di avere dovuto «pagare il tributo solito ed ordinario d’ogni anno a la mia fortuna»; cfr. pure ep.477, 1320, 1423, 1485.
- Per il legame tra fortuna e mare, cfr. Wolf Burkhardt, Fortuna’s Sea Change, in Arndt Brendecke – Peter Vogt, The End of Fortuna and the Rise of Modernity, Berlin – Boston, De Gruyter, 2019, pp. 47-62. La follia è spesso associata all’acqua: cfr. Michel Foucault, Storia della follia, cit., p.8-10.
- Edito in Massimo Castellozzi, Il codice A4 delle Rime di Torquato Tasso, “Studi Tassiani” 56-58 (2008-10), p.43-96 (81).
- Cfr. ep. 436, 456 o 494, dove pare reagire a rimproveri ingiusti mossigli a causa della sua malattia, che gli ha tolto tutto, anche la «sanità» e la «memoria delle cose lette, e quasi il senno».
- Invece nelle lettere che Tasso rivolge come consolatio ad altri in lutto, il tono è molto meno tragico, quasi sbrigativo: cfr. per es., l’ep.749 a Dorotea degli Albizi, appena rimasta vedova, ma esortata a farsi forza con argomenti del tutto tradizionali, ed ep.630, 1010.
- Cfr. Torquato Tasso, Rime, cit., p.761.
- Sul motivo cfr. David M.Robinson, The Wheel of Fortune, “Classical Philology” 41 (1946), pp. 207-216; Eric J.Ziolkowski, Don Quijote’s Windmill and Fortune’s Wheel, “The Modern Language Review” 86 (1991), pp. 885-897; Catherine Brown Tzacz, The Wheel of Fortune, the Wheel of State, and Moral Choice in “Hamlet“, “South Atlantic Review” 57 (1992), pp. 21-38.
- Cfr. Mario Santoro, Fortuna e prudenza nel De bello italico del Rucellai, in Id., Fortuna, ragione e prudenza, cit., p.141-86.
- Cfr. Torquato Tasso, Risposta di Roma a Plutarco (a cura di Emilio Russo – Claudio Gigante), Torino, Ed.RES, 2007; Emilio Russo, Sul testo della ‘Risposta di Roma a Plutarco’, «Filologia e critica» (27) 2002, p. 321-362. Però il soggetto di Fortuna in quest’opera necessita ulteriori approfondimenti.
- Cfr. Ida Gilda Mastrorosa, La Fortuna populi Romani e l’ascesa egemonica di Roma fra tradizione antica e riletture moderne, in Gabriella Moretti – Alice Bonandini (a cura di), Persona ficta. La personificazione allegorica nella cultura antica fra letteratura, retorica e iconografia, Università degli Studi di Trento, 2012, p.301-24; per il testo, Plutarco, La fortuna dei Romani (a cura di G.Forni), Napoli, D’Auria, 1991.
- Cfr. Arndt Brendecke – Peter Vogt, The End of Fortuna, cit., specie Peter Vogt, The Death of Fortuna and the Rise of Modernity, pp.125-50.
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