Bibliomanie

Roll on John. Lennon quarant’anni dopo
di , numero 50, dicembre 2020, Saggi e Studi, DOI

Roll on John. Lennon quarant’anni dopo
Come citare questo articolo:
Ferdinando Fasce, Roll on John. Lennon quarant’anni dopo, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 50, no. 1, dicembre 2020, doi:10.48276/issn.2280-8833.5112

New York, 8 dicembre 1980. John Lennon è assassinato da uno squilibrato davanti alla sua abitazione1. Quarant’anni dopo è forte la tentazione di leggervi un passaggio d’epoca, come si è fatto a proposito dello scioglimento dei fab four nel 1970, un evento assunto dagli storici a metafora della fine dello spirito pubblico del decennio della protesta2.
Lo stato ancora molto embrionale della riflessione storiografica su Lennon suggerisce invece di mettere le metafore da parte e riannodare pazientemente le conoscenze a disposizione, partendo da una rassegna dei principali contributi biografici che si sono accumulati in questi quattro decenni su di lui. Sono in tutto una decina di lavori, scelti fra la miriade di saggi di vario genere sull’ex beatle.
Condividono con la letteratura sui Beatles, e più in generale sulla musica pop e rock, il fatto di essere scritti in larghissima maggioranza da uomini, bianchi, anglosassoni, quasi equamente distribuiti fra Regno Unito e Stati Uniti. I lavori britannici, com’è consuetudine del settore, sono opera di giornalisti, musicali e non, alcuni provenienti dal “profondo Nord” come gli stessi Beatles; quelli americani, cosa invero molto meno comune, sono scritti da accademici di varie discipline, in prevalenza collocati in quei dipartimenti letterari e di media che costituiscono da sempre le roccaforti degli studi di popolar music. Nonostante questo inusuale ancoraggio accademico, a differenza della letteratura sui Beatles, in quella lennoniana è mancato ogni tentativo sistematico di riflessione sullo stato dell’arte e le sfide metodologiche e di sostanza che la vicenda pone3. Senza alcuna pretesa di rispondere in maniera esaustiva a queste domande, ecco dunque una prima lettura ragionata, a voce alta, delle schede di lavoro da me raccolte sulla questione.

1. PRO E CONTRO

La prima biografia di Lennon compare nel 1984. L’autore è Ray Coleman, un giornalista musicale britannico di spicco, che può a buon diritto dire “c’ero anch’io”. Tre anni più dell’ex beatle (è nato nel 1937), ne ha seguito dappresso la carriera, intrattenendo buoni rapporti con il gruppo e poi soprattutto con lui, con la prima moglie Cynthia Powell e con la seconda Yoko Ono. Grazie a questo e alle entrature giuste costruite nel corso della sua lunga militanza professionale, Coleman raccoglie una preziosa, ampia batteria di testimonianze orali, la più comune fonte usata per lavori di questo genere, integrate da corrispondenza inedita e messe al servizio di una prosa cattivante. Dal punto di vista interpretativo il libro si inserisce nel solco tracciato tre anni prima da Shout!, la biografia collettiva dei Beatles firmata da Philip Norman, un altro giornalista, cronista di costume e spettacoli. Coetaneo di George Harrison (1943), a differenza di Coleman, Norman negli anni del loro successo ha avuto rapporti solo sporadici con i fab four. Il che non gli impedisce, però, di sfornare, ancora una volta sulla base soprattutto di fonti orali, una massiccia, puntigliosa monografia destinata a grande fortuna. Apparso immediatamente a ridosso della tragica scomparsa del fondatore del gruppo, Shout! ha beneficiato della forte reazione emotiva suscitata nella sfera pubblica dall’assassinio, in un clima che ha premiato la visione sostanzialmente lennoncentrica del libro. Il che gli ha consentito di scalzare, nei favori del pubblico, la prima e unica biografia “autorizzata” del complesso, comparsa una dozzina d’anni addietro a opera di un altro pubblicista inglese, Hunter Davies, un anno più vecchio di Coleman, giornalista e scrittore, con alle spalle alcuni anni di studio del violino durante l’infanzia. All’acuto, ma irenistico, ritratto della band come una compatta compagine saldamente incardinata attorno alla geniale coppia Lennon-McCartney, disegnato, a caldo, da Davies, Norman ha sostituito quello di un gruppo dipendente dall’estro e dagli umori di Lennon, lungo una linea che si approfondisce nel lavoro di Coleman. Come i suoi predecessori, questi fornisce numerosi elementi conoscitivi di indubbio rilievo sulla vita e la carriera dell’autore di Imagine, prima, con alcuni notevoli squarci sulla sua fanciullezza, durante, con pagine molto belle sulla vita quotidiana da star, e dopo, i Beatles. Ma li rinchiude in una cornice nella quale l’affetto per il biografato fa aggio su tutto il resto, la partnership Lennon-McCartney viene ridimensionata a beneficio esclusivo di Lennon, l’inossidabile, «straordinaria chimica» del rapporto di coppia Lennon-Ono ha ragione di ogni tensione, inclusa la celebre separazione di un anno e mezzo nel 1973-74, la “casalinghitudine” del ritiro volontario tra le mura del Dakota Building per crescere il figlio Sean non è una scelta facile, ma non sembra quasi mai rannuvolata dal disagio per la perdita dell’ispirazione che le è sottesa. Comuni a tutti e tre questi autori (Davies, Norman e Coleman) sono due elementi. Il primo, che riflette un costume non infrequente nel mondo della carta stampata di metà anni Sessanta dal quale provengono, è la tendenza a concentrarsi sulla vita dei biografati nel suo insieme, piuttosto che approfondire le pratiche artistiche e creative, la materia sonora, le dinamiche strutturali e organizzative dell’industria della musica registrata e dal vivo (nel libro di Coleman la musica occupa appena 1/10 del totale). Il secondo è l’assenza di note a piè di pagina, di riferimenti sulle fonti orali usate, delle quali mancano non solo gli estremi di raccolta, ma anche una semplice lista che consenta uno sguardo complessivo delle voci interpellate, e di una qualsivoglia bibliografia4.
Le note e i riferimenti documentali specifici continuano a mancare anche nella seconda biografia che compare a fine decennio, ma che è comunque forte, per la prima volta, di un’appendice sulle fonti, nella quale si discutono con attenzione quelle a stampa e, sezione per sezione, sono citati i principali testimoni coinvolti. Sono parte delle circa 1200 interviste condotte a innumerevoli parenti, amici, collaboratori e conoscenti di Lennon, in qualche caso sentiti anche trenta e quaranta volte, nell’arco di sei anni di frenetico lavoro, da una squadra di ricercatori sotto la guida dell’autore. Peccato che questi, Albert Goldman, sessantenne ex docente precario di letteratura a Columbia University da tempo riciclatosi in una più lucrativa attività di biografo dei divi, in specie musicali, si sia specializzato in lavori di forte impronta scandalistica. E che non si smentisca nel caso di Lennon. Nelle sue mani la vicenda dell’ex beatle diventa così un caso patologico di autodistruttiva, inarrestabile caduta dai traumi infantili a un abisso di “sesso, droga e rock n’n roll”. Volta a demolire la ricostruzione di Coleman e a conquistare le luci della ribalta, quella di Goldman finisce, a sua volta, demolita in maniera inequivocabile dalla critica. Perché il realismo che essa introduce rispetto al quadro, indubbiamente troppo roseo, prevalente, precipita negli eccessi a tratti parodistici con i quali l’autore distorce l’evidenza, o sottace la partigianeria e l’inattendibilità delle fonti, pur di dimostrare la sua tesi che Lennon fosse un povero tossicodipendente e un modesto artista sopravvalutato e Ono un’avida strega, ennesima incarnazione del “pericolo giallo”, senza alcun talento5.
Tra i critici più puntuali di Goldman c’è uno storico di professione, Jon Wiener, della stessa generazione dei Beatles (un anno meno di Harrison). Laurea a Harvard, dottorato a Princeton e cattedra in storia sociale e culturale all’Università della California, Wiener, che è anche un pubblicista e documentarista radical, nell’ambito di una ricerca per un documentario tv su Lennon, preparato a ridosso della morte dell’artista, da tempo ha ingaggiato un tiro alla fune legale con l’FBI. Obiettivo: farsi consegnare le schedature da questa redatte sull’ex beatle poco dopo il suo arrivo negli Stati Uniti, nei primi anni Settanta, per le sue attività politiche radicali. E’ una battaglia, quella di Wiener, destinata a durare un quarto di secolo, sul filo del rasoio della legge federale Freedom of Information Act che dal 1966 ha aperto ai cittadini statunitensi uno spiraglio informativo sui propri servizi segreti. Nel frattempo, sulla base di un’ampia indagine comprendente una trentina di interviste, due terzi delle quali a militanti di spicco della scena controculturale e della New Left americana, e una valanga di pubblicistica e di fonti audio e televisive, nello stesso anno della biografia di Coleman, Wiener ha pubblicato un originale contributo. Fitto di note e con una lunga intervista a Yoko in appendice, il volume concerne la complessa maturazione di una visione e di una pratica politico-artistica da parte di Lennon: dagli anni dei Beatles, all’incontro con la pacifista militante Yoko, all’esperienza americana che lo vede finire, per il suo radicalismo, nel mirino dell’FBI e poi dell’Ufficio Immigrazione che cerca di farlo espellere dal paese. Pur con qualche forzatura, il libro e i lavori successivi di Wiener dischiudono una prospettiva sino a questo momento poco esplorata della vita della star, facendone plausibilmente una figura di punta, per quanto segnata da ingenuità e cadute, del controverso rapporto fra rock e politica a cavallo fra i Sessanta e i Settanta. Nel contempo, senza nascondere la difficile condizione esistenziale e pubblica della coppia, sotto le pressioni personali e quelle del governo statunitense, tali lavori conferiscono un nuovo spessore alla partnership John-Yoko, arrivando alla conclusione per cui, se anche i tre-quattro intensissimi anni di attività militante controculturale della coppia (1969-72) «non produssero una svolta», i loro sforzi incarnarono un atteggiamento verso le istituzioni, il pubblico e le tecniche artistiche «attivo, curioso, sperimentale e sovversivo6».

2. CON LE SPALLE AL FUTURO?

Vent’anni dopo. Wiener ha da poco concluso con successo la sua lunga disputa con l’FBI. Le schedature da lui faticosamente acquisite «dimostrano il livello dei pregiudizi e l’entità delle infrazioni alla legge nella prolungata e sistematica persecuzione» condotta ai danni di Lennon da parte dei servizi segreti britannici e statunitensi7. Ed ecco che nel 2008, a due decenni dal libro, ormai ampiamente screditato, di Goldman, torna in campo, forte del persistente successo di cassetta di Shout!, Philip Norman. Fedele alla formula del proprio sforzo precedente, Norman consegna un corposo lavoro (John Lennon. La biografia) incentrato sul solo Lennon, con l’obiettivo dichiarato di superare la polarizzazione Coleman-Goldman. Asso nella manica, dice, nuove, ma ancora una volta non identificate con opportuni riferimenti documentali in nota, fonti orali, di cui il lettore può farsi un’idea in una lista di nomi nell’ultima delle quattro paginette di “ringraziamenti” che chiudono le centinaia di pagine di testo. L’impatto sulla critica non è tuttavia quello sperato. Perché i tempi sono cambiati. Frutto della maggiore distanza dagli avvenimenti, dell’uso di ulteriori e meglio contestualizzate fonti orali e della disponibilità di materiali tratti dagli archivi EMI ad Abbey Road grazie al lavoro di scavo del pubblicista e archivista musicale Mark Lewisohn, una nuova, più avvertita letteratura sui Beatles, elaborata dalla generazione di quanti erano bambini o adolescenti ai tempi d’oro della band, si sta facendo avanti. Sul piano metodologico tende ad abbattere le rigide partizioni fra giornalismo musicale, musicologia e scienze sociali e mettere in comune le pratiche, gli standard e le acquisizioni di questi diversi ambiti, come sta accadendo nel più ampio universo della ricerca sulla popular music. Su quello dei contenuti promuove una visione più equilibrata e mossa della dinamica interna al gruppo e dei suoi rapporti col mondo. In questo clima in rapida evoluzione, per quanto dettagliato e ben scritto, il lavoro di Norman dà l’impressione di un contributo pervenuto fuori tempo massimo. La sua originalità si disperde, dice un critico, in un dedalo di minuzie, magari utili in sé, ma che, come ad esempio la testimonianza della modella di nudo della scuola d’arte in cui John studiò da ragazzo, poco aggiungono al quadro d’insieme, prive come sono di un respiro complessivo, di un’idea-guida, all’altezza della ricerca in corso sui Beatles, che sorregga l’intera costruzione8.
L’assenza di una tale idea può però trasformarsi in un punto di forza, se significa un atteggiamento di apertura e ascolto come quello adottato da un esponente della coorte più recente di studiosi beatlesiani in un libro uscito nel 2011 che con tutta probabilità costituisce la migliore biografia esistente di Lennon. L’autore è il cinquantenne statunitense, musicista di formazione e docente di giornalismo all’Emerson College, Tim Riley. Il suo approccio si riassume in una serie di domande («dove la sua vita si intreccia con la sua arte? […] può il “John Lennon” britannico essere riconciliato con il suo personaggio pubblico americano? […] che ci dicono […] le sue contraddizioni sul suo bilancio complessivo?»), poste in apertura, che informano un percorso libero da schemi preconcetti. Unico fil rouge, ma mai sovrimposto in modo meccanico agli eventi e ai processi narrati, l’articolato dipanarsi dell’esperienza musicale lennoniana – seguita con grande rigore empirico, appoggiato a una considerevole documentazione comprendente la pubblicistica più varia, carte provenienti da archivi musicali inglesi e statunitensi e numerose fonti orali – dall’infanzia liverpulliana al tragico epilogo newyorkese. L’apprendistato al banjo con la madre trascolora così negli ostinati esercizi a due con il sodale Macca, per poi distendersi in un esame ravvicinato delle prime audizioni alla Decca e alla EMI, sino al jamming con l’avanguardia e le band di movimento della “Grande mela”, o al lavoro con Yoko su Double Fantasy nel fatale 19809. Il tutto senza mai perdere di vista almeno i contorni essenziali dell’intrico di passioni, interessi, amori, investimenti emotivi, individuali e collettivi, e il più ampio contesto di dinamiche di potere, rivalità e scontri, o la cornice mediatica e istituzionale, che fanno da sfondo a questa così intensa vicenda personale. Né l’assenza di un’adeguata concettualizzazione sul rapporto musicisti-mondo corporate o sulla questione del divismo, di una tabella organica delle notevoli fonti orali utilizzate (da McCartney, agli Elephant’s Memory Band, all’ultimo produttore Jack Douglas) e di una conclusione capace di tirare le fila degli interrogativi d’apertura intacca il valore di queste oltre settecento, densissime pagine. Esso è tanto più rimarchevole in quanto il libro precede di un paio d’anni il primo volume della magistrale biografia beatlesiana di Mark Lewisohn. Volume che, grazie al pieno accesso agli archivi EMI e all’esame delle più diverse carte inedite, da quelle scolastiche ad altre, pubbliche e private, liverpulliane e nazionali, ha sciolto non pochi nodi relativi all’evoluzione di John dai travagli dell’infanzia ai primi successi10.
Del lavoro di Lewisohn (e di quello di Riley) si è avvalso nel 2018 un altro illustre veterano del cerchio magico del “c’ero anch’io”, il giornalista musicale Ray Connolly, in un libro che mostra come anche autori della sua estrazione professionale e della sua generazione abbiano ormai acquisito i parametri (note, esplicitazione delle fonti) tipici di un contributo scientifico. Coetaneo di Lennon come Coleman, Connolly vanta una vicinanza e una continuità di contatti per alcuni versi senza eguali con l’ex beatle, che doveva intervistare, per il lancio del disco Double Fantasy, nei giorni stessi in cui Lennon fu ucciso. Questa familiarità non gli ha impedito tuttavia di firmare una biografia, certo meno accurata di quella di Riley, soprattutto dal lato musicale, ma capace comunque di tenersi sostanzialmente al riparo dalle insidie del sentimentalismo. E di fornire, attingendo al taccuino di osservatore partecipante dell’autore, provocatorie suggestioni sull’identità di Lennon e sul rapporto con Yoko. Sul primo versante Connolly restituisce con efficacia le molte e controverse sfaccettature della personalità del musicista, sottraendola ai tentativi di “beatificazione” postuma, della vedova e di altri. Meno convincente risulta, però, quando, in un impulso che pare tributario dell’eterna insofferenza del senso comune dominante britannico verso la controcultura, per liquidare come una semplice moda passeggera il radicalismo di John brandisce, senza contestualizzarla, una frase autocritica dell’ex beatle pronunciata in un periodo successivo alla fase più militante. Allo stesso modo, mentre ha il merito di richiamare opacità e stanchezze del rapporto Lennon-Ono e invitare alla cautela nella valutazione del ruolo svolto da Yoko nella maturazione artistica del compagno, sottolineando le tensioni affettive e le ricadute di impasse professionale che, prima e dopo il “week-end perduto” della separazione, materiarono la loro vita di coppia, Connolly finisce forse per ridimensionare troppo un’influenza decisamente positiva da parte dell’artista giapponese che invece indubbiamente ci fu. E sottovaluta il significato artistico e sociale di una partnership tanto intensa e proficua, quanto rara, nel clima di persistente sessismo della scena rock dei Sessanta e Settanta11.

3. UN CANTIERE APERTO

La questione-Yoko torna con forza anche nei due principali contributi biografici, entrambi concentrati su un aspetto della vita di Lennon, che il quarantennale della morte ha portato sugli scaffali delle librerie nel 2020. L’uno, britannico, è il primo lavoro a firma femminile di un qualche rilievo. L’altro, statunitense, viene ancora una volta dal mondo accademico. L’autrice che ha infranto il “soffitto di cristallo” di genere della letteratura lennoniana è Lesley-Ann Jones, attiva nel mondo giornalistico musicale dagli anni Ottanta. Una carriera che le ha dischiuso le porte necessarie a mettere insieme una ricca dotazione di interviste (un’ottantina nominative, più alcune altre a vari testimoni che hanno preferito conservare l’anonimato) a tante figure vicine a Lennon: dall’amico del cuore di sempre liverpulliano Pete Shotton, all’ex moglie Cynthia Powell, al figlio di primo letto Julian, a Linda e Paul McCartney, a George Martin, a Marianne Faithfull. Sono citate nella ricca appendice di apparati che comprende anche una sezione musicale, a integrazione di quel terzo del testo dedicato in vario modo al principale interesse di John. Col quadrante saldamente puntato sulle «figure femminili che hanno accompagnato i quattro decenni della sua [di Lennon] vita» il libro disegna per la prima volta in maniera organica il percorso di accidentata “educazione sentimentale” del nostro. Un percorso che dalla ben nota tensione, della fase fanciullesca e adolescenziale, fra la madre, l’eterna good-time girl Julia, e l’ispida zia tardovittoriana Mimi, trascorre all’incontro con la ragazza della porta accanto e prima moglie Cynthia Powell, qui restituita, sulle orme di Mark Lewisohn, al difficile ruolo di madre vicaria e donna profondamente innamorata di un ragazzo geniale, sbandato e narcisista. O a quello con le tante amanti, fra cui spicca la cantante di successo, più grande di lui e con una carriera ormai quasi alle spalle, Alma Cogan. Per poi approdare a Yoko, in un rapporto che Jones cerca di stringere nella sottile dialettica fra l’effetto destabilizzante e il ruolo maieutico e di apertura di nuovi orizzonti che l’irruzione dell’artista giapponese nella vita di Lennon esercitò. Purtroppo l’inveterata vocazione dell’autrice a sottoporre l’ex beatle a una “psicanalizzazione” postuma, addirittura con l’aiuto di un paio di psicoterapeuti e psichiatri veri, e il suo insopprimibile gusto per le frasi a effetto nuocciono non poco al risultato finale e ne compromettono seriamente la credibilità12.
Ben diversi la prospettiva e il baricentro analitico del contributo statunitense. L’autore, Kenneth Womack, è una delle autorità accademiche riconosciute sui Beatles. Cinquantenne, docente di letteratura e popular music, ha creato presso la Mounmoth University, in New Jersey, uno dei migliori laboratori di storia e analisi dei fab four. Anche la sua non è una biografia in senso proprio, ma una tranche de vie, una ricostruzione molto accurata degli anni di ritiro volontario nel Dakota e soprattutto del contrastato, e poi improvvisamente accelerato, processo che riporta Lennon alla ribalta discografica, fra l’estate e l’autunno del 1980. Le interviste originali sono appena una decina, e in parte a personaggi, dalla segretaria-amante May Peng, al produttore Douglas, al chitarrista Earl Slick, già sentiti da altri. Ma, lavorandoci in profondità e integrandole con una cospicua messe di pubblicistica e di carte e video provenienti dagli archivi dei network radio-tv statunitensi, Womack ne ricava una narrazione particolarmente attendibile e di grande efficacia. Che ci consente di vedere, seguendolo con un ritmo incalzante, giorno dopo giorno, come un talento musicale e artistico, profondamente segnato dalle battaglie personali e politiche condotte per tre anni per evitare l’estradizione, dai ricorrenti demoni dell’alcol e delle droghe, dallo stress che la condizione divistica proietta sulla sua routine individuale e famigliare, sopravvive a se stesso, nel ridotto della vita domestica. Per poi recuperare l’ispirazione e, con l’aiuto della moglie e di alcuni collaboratori e musicisti entusiasti di lavorare con lui, l’interesse per il proprio mestiere. Fra paure, incertezze, passi falsi, consumo insaziabile di libri, giornali e tv, attenzione costante alle trasformazioni in atto nella società, incessante sperimentazione musicale, discussioni e improvvise difficoltà, e altrettanto improvvisi scioglimenti, con Yoko. Di particolare rilievo è la ricostruzione delle pratiche creative e delle dinamiche di studio, che conferma e rafforza l’immagine, già emersa nel lavoro di Riley, di un Lennon leader “orizzontale”, capace di delegare e sollecitare consigli, ma al tempo stesso pronto ad assumersi la piena responsabilità degli eventuali fallimenti. E fornisce squarci penetranti sulla ridefinizione, sotto la spinta del crescente protagonismo di Yoko, del rapporto di profonda complicità con la moglie13.
Il che non toglie che anche una disamina così acribica come questa di Womack lasci trasparire ancora buchi e interrogativi sul delicato equilibrio di coppia, artistico e affettivo, sotteso alla costruzione di Double Fantasy. Eccoci così ricondotti per l’ennesima volta a quel nodo John-Yoko che forse solo una rigorosa biografia dell’artista giapponese, capace di restituirne la multiforme e controversa personalità, gli stigmi sessisti e “orientalisti” contro i quali dovette combattere, e il poliedrico profilo, pubblico e professionale, da sola e in compagnia di John, potrà contribuire a sciogliere14. Accanto a tale nodo, fra le questioni sul tappeto che sollecitano approfondimenti non si può non citare la necessità di un’applicazione al caso Lennon di quella prospettiva atlantica e globale che tanti risultati ha già prodotto nella ricerca sui Beatles e che pare particolarmente promettente con una figura così fisiologicamente cosmopolita e votata a superare le barriere fra continenti, gruppi etnorazziali e culture. Infine, Lennon si propone come uno studio di caso esemplare della tormentata convivenza di istanze commerciali, politiche e culturali nella “società dello spettacolo” del secolo scorso e di quello presente15. Speriamo di non dover attendere il prossimo anniversario a cifra tonda per vedere gli sviluppi di queste e altre, nuove piste di ricerca.

Note

  1. Sull’assassinio siamo fermi al complottistico resoconto a caldo di Fenton Bresler, Who Killed John Lennon?, New York, St. Martin’s Press, 1989. Per un ritratto giornalistico essenziale vedi da ultimo Enzo Guaitamacchi, Amore, morte e rock’n’roll. Le ultime ore di 50 rockstar. Retroscena e misteri, Milano, Hoepli, 2020, pp. 60-67.
  2. William Graebner, Patty’s got a gun. Patricia Hearst in 1970s America, Chicago, University of Chicago Press, 2008, p. 155.
  3. Per la storiografia sui Beatles Erin Torkelson Weber, The Beatles and the Historians. An Analysis of Writings About the Fab Four, Jefferson, McFarland & Company 2016 e Ferdinando Fasce, Beatles, storici e storia a cinquant’anni da Sgt. Pepper’s, in “Contemporanea”, XX, n. 2, gennaio-aprile 2017, pp. 335-348. Devo a Tim Riley, Kenneth Womack e Jon Wiener, che ringrazio, preziosi suggerimenti circa la letteratura su Lennon. Una discussione delle fonti a stampa (canzoni, lettere e scritti di Lennon) disponibili in italiano e dei saggi che le accompagnano richiederebbe un contributo a parte che esula dai limiti di questa rassegna. Corre comunque l’obbligo di citare, per la discografia da solista, l’impeccabile Luca Perasi, I Beatles dopo i Beatles. Le carriere soliste di John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr (1970-1980), Milano, LILY Publishing, 2016.
  4. Ray Coleman, Lennon. The Definitive Biography, New York, McGraw-Hill, 1985, pp. 96-118, 320-360 e 619-649; Philip Norman, Shout! La vera storia dei Beatles, Milano, Mondadori, 1981 (ed. or. 1981), pp. 263-548; Hunter Davies, I Beatles, Milano, Longanesi (ed. or. 1968).
  5. Albert Goldman, John Lennon, Milano, Mondadori, 1988 (ed. or. 1988).
  6. J. Wiener, Come Together. John Lennon in His Time, London, Faber & Faber, 2000, pp. XXIII-XXV [1^ ed. 1984]; Idem, Dimmi la verità. Il Watergate del rock’n’roll. Il dossier dell’FBI su John Lennon, Milano, Selene, 2002 (ed. or. 1999); Idem, Pop and Avant-Garde: The Case of John and Yoko, in “Popular Music and Society”, XXII, n. 1, p. 14.
  7. Mimmo Franzinelli, Rock e servizi segreti. Musicisti sotto tiro: da Pete Seeger a Jimi Hendrix a Fabirizio De Andrè, Torino, Bollati Boringhieri, 2010, p. 190.
  8. Philip Norman, John Lennon. La biografia, Milano, Mondadori, 2009 (ed. or. 2008), pp. 490-500; Michael Faber, Toppermost of the poppermost, in “Guardian”, 11 ottobre 2008, p. 9. Per la letteratura più recente sui Beatles Ferdinando Fasce, La musica nel tempo. Una storia dei Beatles, Torino, Einaudi, 2018; Kenneth A. Womack (a cura di), The Beatles in Context, New York, Cambridge University Press, 2020 e Guido Michelone-Corrado Rizza, The Beatles. Fatti, canzoni, curiosità, Rimini, Theoria, 2020.
  9. Sul rapporto con il movimento e con la controcultura, politica e musicale, newyorkese vedi anche James A. Mitchell, The Walrus & the Elephants. John Lennon’s Years of Revolution, New York, Seven Stories Press, 2013.
  10. Tim Riley, The Man, the Myth, the Music — The Definitive Life, London, Virgin Books, 2011; Mark Lewisohn, All These Years, vol. 1 Tune In, London, Little, Brown, 2013. Sull’infanzia si veda anche l’intimista e partecipe ritratto dello scrittore liverpulliano Francis Kenny, The Making of John Lennon, Edinburgh, Luath, 2014, pp. 23-69.
  11. Ray Connolly, Being John Lennon. A Restless Life, New York, Penguin Books, 2018, pp. 276-296 e 334-343.
  12. Lesley-Ann Jones, John Lennon. La biografia definitiva, Milano, Sperling & Kupfer, 2020 (ed. or. 2020), pp. 15-30 e 131-287. Un più sorvegliato approccio psicologico a Lennon si trova in Anthony Elliott, The Mourning of John Lennon, Berkeley, University of California Press, 1999.
  13. Kenneth Womack, John Lennon 1980. The Final Days in His Life, London, Omnibus Press, 2020, pp. 10-236. Il bel volume di Joe Goodden, Riding So High. The Beatles and Drugs, London, Pepper&Pearl, 2017, pp. 272-273, fornisce un’opportuna integrazione sul rapporto di Lennon con le sostanze in questa fase.
  14. Per un primo esame storico della ragguardevole esperienza artistica di Yoko Ono, Kevin Concannon, Yoko Ono’s Cut Piece: From Text to Performance and Back Again, in “PAJ: A Journal of Performance and Art” XXX, n. 3, pp. 81-93; Barry Shank, The Political Force of Musical Beauty, Durham and London, Duke University Press, 2014, pp. 72-107; Brigid Cohen, Limits of National History: Yoko Ono, Stefan Wolpe, and Dilemmas of Cosmopolitanism, in “The Musical Quarterly”, XCVII, n. 2, pp. 181-237 e Elizabeth Ann Lindau, “Mother Superior”. Maternity and Creativity in the Work of Yoko Ono, in “Women and Music”, XX, pp. 57-76.
  15. Utili spunti in Janne Makela, John Lennon Imagined. A Cultural History of a Rock Star, New York, Peter Lang, 2007 e in Alan Bradshaw-Linda Scott, Revolution. Storia di una canzone dei Beatles dalla protesta alla pubblicità, Roma, Luiss University Press, 2020 (ed. or. 2017).

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