Bibliomanie

Per il ritratto di Liano Petroni. Idee e stile di un maestro cosmopolita nella memoria di un allievo
di , numero 29, aprile/giugno 2012, Saggi e Studi,

Come citare questo articolo:
Davide Monda, Per il ritratto di Liano Petroni. Idee e stile di un maestro cosmopolita nella memoria di un allievo, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 29, no. 2, aprile/giugno 2012



[La letteratura è una] forma di mediazione che non offre garanzie, ma senza la quale ci sarebbe per sempre preclusa la grazia di un cuore intelligente. Senza letteratura, potremmo forse conoscere le leggi della vita, ma certo non la sua giurisprudenza.
Alain Finkielkraut


1. A mo’ di premessa

Mi è impossibile delineare in questa occasione un’immagine completa o, comunque, accettabile di Liano Petroni (1921-2006). Fortunatamente, tuttavia, studiosi di fama internazionale come Ezio Raimondi, François Germain, Pierre Brunel, Robert Jouanny, Giorgio De Piaggi ed altri hanno dedicato al Nostro saggi puntuali, affettuosi ed accessibili1, i quali contribuiscono, specie se esaminati comparativamente, a restituirne un profilo appagante e fedele.
Nelle righe che seguono, desidererei invece offrire alcuni elementi sull’uomo e l’opera che possano risultare utili a qualunque lettore di cultura – docenti di ambito non filologico, così come studenti universitari, magistrati, diplomatici, liberi professionisti, imprenditori etc. – non troppo avvezzo a frequentare le impervie regioni delle scienze filologiche. Ho deciso di muovermi in tal modo poiché sono persuaso che l’essenza del magistero lungamente ponderato e ampiamente rappresentato da Liano Petroni sia in grado di giovare ad ogni cittadino europeo da più punti di vista non certo marginali. A onor del vero, la totalità delle sue fatiche filologiche propone a piene mani informazioni d’indubbia qualità su figure e problemi centrali (o per lo meno significativi) nella storia della cultura, metodi della ricerca umanistica capaci di dare un ordine (e forse un senso) alle più diverse indagini, orientamenti decisivi per la formazione complessiva e senza fine della persona, e molto altro ancora.
In maniera diretta o meno, quattro aggettivi ricorreranno sovente in questa panoramica, giacché sono convinto che possano contraddistinguere con una certa precisione la parabola esistenziale e creativa di questo homme de lettres che, non per caso, proveniva da una formazione squisitamente europea e che – fatto ben più importante – si è confrontato di continuo con la miglior cultura europea (e talora mondiale) disponibile: rigoroso, liberale (anche nell’accezione etimologica), prudente, saggio. E desidero subito aggiungerne un altro: giovane. Già altri hanno notato come Petroni, in fondo, sia rimasto sempre giovane: mi riferisco, in primis, a Pierre Brunel, a Corrado Rosso e a Giorgio De Piaggi.
Ma mi si consenta, a questo punto, una prima, brevissima digressione, solo all’apparenza di carattere meramente autobiografico. Perché proprio io, Davide Monda, sto ricordando Liano Petroni? Invero, di là da una diuturna, affettuosa, devota frequentazione del Maestro durata quasi vent’anni, non troppo sembrerebbe legarmi ai suoi interessi precipui – o meglio, a quelli che più colpiscono dopo una rapida lettura delle sue opere maggiori. Che nesso reale potrebbe sussistere, infatti, tra il grande francesista, esperto indiscusso di tematiche e problematiche prettamente filologico-letterarie, e uno studioso che, sin dai primi anni novanta, ha tentato perlopiù di compiere itinerari inediti fra letterature e filosofie moderne, diritto e teologia, storia dell’arte moderna e politologia?
Come ha affermato e scritto lo stesso Petroni, il rapporto invece non solo esiste, eccome, ma costituisce altresì lo sviluppo di uno dei filoni di ricerca che più gli stavano a cuore. La miglior prova di ciò va individuata, con ogni probabilità, nella sua biblioteca, ampia e varia come poche altre, ma diverse tracce eloquenti sono agevolmente reperibili pure in taluni suoi testi meno conosciuti, che rivelano, fra l’altro, una vastità di letture, curiosità e passioni “da far tremar le vene e i polsi”. C’era dunque, nel Maestro, un’evidente, insopprimibile apertura alla visione comparata dei saperi e alla storia della cultura tout court.
C’era poi un’indubbia convergenza metodologica fra noi: a prescindere da miei limiti di varia natura, reputo di essere uno degli allievi che meno si è discostato dai princìpi del suo metodo storico-filologico, tutto teso a ricostruire la volontà consapevole dell’autore preso in esame. E, va da sé, fra le ragioni che mi hanno indotto ad abbracciare in toto siffatta metodologia – che oggi peraltro continua da più parti a stimarsi efficace, vitalissima e, per più aspetti, insuperata – risulta certo decisiva quella mia lunga e ininterrotta frequentazione di Petroni di cui dicevo or ora: dal 1988 alla sua scomparsa, ci siamo incontrati e sentiti spessissimo – nella peggiore delle ipotesi una volta a settimana.

2. Qualche orientamento storico (e geografico) di base

Liano Petroni si è spento all’alba del 2006 nella sua dimora, dopo alcuni giorni di aspra sofferenza: a detta di tutti i testimoni, la sua è stata una morte esemplare, davvero degna di quegli autori stoici ed insieme cristiani – Agostino, Petrarca, Montaigne, Pascal, Vigny et alii – che aveva meditato e investigato per tutta l’esistenza. Ben consapevole dello stato tragico e, de facto, irreversibile della sua condizione somatica, lo incontrai un’ultima volta, dietro sua richiesta, qualche giorno prima del trapasso. Fu garbato e premuroso come di consueto, e mi domandò anzitutto a che punto erano le mie fatiche scientifiche e didattiche. Passammo però ben presto, ma con una delicatezza vieppiù rara di questi tempi, alla palese, ineludibile precarietà del suo stato; ciononostante, ancorché non ignorasse né trascurasse la gravità della propria situazione, egli sembrava pensare a tutto salvo che alla morte, seguitando a progettare e a programmare, fra il resto, riedizioni aggiornate di suoi libri, originali intraprese saggistiche e nuove curatele di volumi collettanei. Ma il corso degli eventi, come si sa, lo ha tradito e sopraffatto.
Studioso e docente di respiro e rinomanza internazionali, professore emerito di lingua e letteratura francese presso l’Ateneo felsineo (ove insegnava da oltre un quarantennio), nonché insigne decano dei francesisti italiani, Liano Petroni è anche stato, per quasi mezzo secolo, una delle personalità più operose, vivide e affidabili nel panorama accademico e culturale tout court di Bologna, sua patria d’adozione amata e, nel contempo, criticata senza reticenze di sorta.
Nato a Montecarlo (Lucca) il 20 agosto del 1921, Liano Petroni aveva studiato sotto la guida di Luigi Russo (suo prestigioso relatore della tesi di laurea, incentrata sulle Rime e sull’Aminta tassiane), Carlo Pellegrini (il suo mentore, forse, più generoso e perspicace), Giovanni Macchia, Giorgio Pasquali, Augusto Mancini, Cesare Giarratano, Delio Cantimori, Guido Calogero, Walter Maturi e Giovanni Battista Ricotti. Grazie a meriti universalmente riconosciuti, ebbe quindi modo di raffinare per diversi anni la sua già solida paideia umanistica alla Sorbona, specie partecipando alle lezioni di Charles Bruneau, Pierre Moreau, Verdun-Louis Saulnier, Ferdinand Baldensperger e di altri protagonisti della storia della lingua e della civiltà letteraria d’Oltralpe.
Della sua vasta, aggiornata e sempre rigorosa produzione, ci limitiamo a menzionare le indagini sul Tasso (un amore giovanile mai abbandonato), i lavori sul teatro moderno (in primis su Pierre de Larivey e, più in generale, sopra i debiti della grande commedia francese verso il Rinascimento italiano), nonché le instancabili, apprezzate ricerche consacrate al Romanticismo. In quest’ambito, appaiono ancora pregevolissime non solo la cospicua monografia Poetica e poesia d’Alfred de Vigny, ma pure l’esemplare edizione critica dello Chatterton dello stesso Vigny: si tratta di un dramma in prosa che costituisce – anche secondo diverse voci critiche di rilievo – uno degli esiti più interessanti e dirompenti dell’intero Romanticismo europeo.
È necessario tuttavia soggiungere che, fin dagli anni ’60, Petroni ebbe sempre a cuore tutte le letterature francofone effettivamente contemporanee: basti por mente ai saggi davvero fondativi su Albert Camus (di cui fu amico e corrispondente), ai pezzi dedicati a L. S. Senghor e alle pagine su Antonine Maillet, scrittrice canadese che, oltreoceano, è già un classico. Conviene inoltre precisare come, in tutte queste indagini novecentesche, si percepisca nitidamente l’aspirazione, ardente ed insieme esigente, a potenziare e scaltrire i propri strumenti esegetici ed ermeneutici.
Vero pioniere nello studio delle Letterature dei paesi francofoni, Liano Petroni ha fondato, nel 1981, la rivista Francofonia, che seguita regolarmente ad ospitare contributi riguardanti la globalità delle letterature di lingua francese.
Didatta di serietà e humanitas davvero non comuni, egli si è speso per tanti e tanti lustri, impegnandosi liberalmente nella formazione di parecchie generazioni di studenti. D’altronde, egli ha sempre riservato un’attenzione profonda ad ogni sodalizio virtuoso e costruttivo, ai rapporti umani autentici, sempre vivendoli in maniera piena quanto disinteressata: fra i tanti suoi amici, conviene nominare almeno Vittorio Lugli, Amelia Bruzzi, Aldo Capitini, Carlo M. Cipolla, Walter Binni, Giuseppe Caputo, Norberto Bobbio, Carlo Bo, Mario Luzi, Pierre Brunel, Yves Bonnefoy, Corrado Rosso, Ovidio Capitani, Giovanni Dotoli, Giovanni Bogliolo, Italo Mariotti, Paolo Budini, Alberto Destro, Andrea Fassò, Maurizio Fabbri, Emilio Pasquini e Carlo Azeglio Ciampi, con cui condivise proficui anni di studio presso la Normale di Pisa.
Tanto gli allievi che insegnano nelle Facoltà di Lettere e Filosofia, di Lingue e Letterature Straniere, di Scienze della Formazione e di Economia di Bologna e del Paese (Cagliari, Napoli, Ferrara, Urbino, Bari etc.), quanto parecchie persone sensibili al divenire della cultura non potranno non ricordare con sincera gratitudine – e, forse, con qualche commozione – la fervida attività scientifica e le rare qualità umane di questo autentico “maestro di color che sanno”.

3. Sul metodo di un autentico umanista

Personalità infaticabile, incontentabile e inquieta, Liano Petroni ha perlustrato con sistematicità, intelligenza e gusto l’opera di protagonisti delle lettere mondiali anche celebri – non casualmente – per la loro profonda, radicale inquietudine (da Tasso a Montaigne, da Molière a Stendhal, da Vigny a Ungaretti, da Camus a Senghor etc.), spesse volte giungendo a conclusioni che, di là dagli indiscussi e, non di rado, illuminanti esiti specialistici, suscitano pensieri ed emozioni in ogni cittadino europeo attratto dall’autentica cultura, dal Rinascimento alla nostra temperie.
Pur esigendo di continuo – ma sempre con aristocratica libertà – un dialogo vivace e costruttivo con le migliori metodologie proposte, in almeno tre secoli, dalla filologia testuale, dalla storiografia letteraria e dalla critica internazionali, Liano Petroni ha via via maturato uno stile ermeneutico affatto personale, che sapeva avvalersi, fra l’altro, della globalità degli strumenti disponibili per affrontare qualunque testo nella sua specificità incommensurabile, nella sua concretezza storico-culturale, nella sua ricezione sempre e comunque labirintica, sfuggente, misteriosa.
Alieno, del resto, da quelle metodiche generali ed astratte che tendono, tanto spesso, ad andare per conto proprio, e rischiano di allontanare dai dati realmente presenti nel testo, l’intellettuale toscano ha voluto sempre tenere, per dir così, i libri fra le proprie mani, forti e delicate a un tempo, restando in tal maniera fedele all’esempio offerto da autori a lui cari. Mi riferisco non solo ad alcuni dei principali critici europei dell’età romantica, cui Petroni ha consacrato riflessioni importanti anche in veste di teorico della letteratura, ma pure ai numerosi scrittori (perlopiù otto e novecenteschi) che si sono cimentati nell’arte dell’interpretazione di opere altrui: mi limito qui a menzionare Sainte-Beuve, Baudelaire, Flaubert, Gide, Valéry, Proust, Du Bos, T. Mann, I. Calvino, M. Tournier, Y. Bonnefoy.
Ritengo opportuno, a questo punto, indugiare un poco sulla spiccata, quasi onnipresente inclinazione petroniana alla comparazione, sia perché la sua attività è stata da più parti considerata naturaliter comparatistica, sia perché questo talento tutt’altro che diffuso – specie nell’Italia attuale – può far risultare la sua scrittura più familiare e attraente a coloro che sono avvezzi a compiere letture o ricerche in apparenza lontane dalla storia letteraria.
Ma che deve intendersi, a maggior ragione quando si discorra del lavoro storico-critico di Petroni, per letteratura comparata? Riprendendo una definizione di H. Remak (1971), tanto fortunata quanto tuttora condivisa, possiamo dire in breve che tale disciplina «studia la letteratura al di là dei confini nazionali e in relazione alle altre aree della conoscenza e della cultura in generale, come le arti (ad esempio la pittura, l’architettura, la scultura e la musica), la filosofia, la storia, le scienze sociali (politica, economia, sociologia), le scienze esatte, la religione, e così via. In sintesi, potremmo dire che si tratta del confronto fra due o più letterature, e fra la letteratura e le altre sfere della cultura».
È legittimo sostenere senza tema di smentita che queste limpide parole illustrano comme il faut una parte cospicua dell’impegno interpretativo del Nostro: in realtà, per lui fare critica o storia letteraria ha equivalso, fin dagli anni di formazione, non solo a porre in dialogo diverse civiltà letterarie europee o extraeuropee, bensì a riconoscere o, più semplicemente, a ricordare relazioni fruttuose e, non di rado, decisive fra la letteratura e altri saperi all’apparenza remoti da essa quali – per restare ad ambiti che egli prediligeva – le arti figurative, il cinema, le scienze della psiche, l’antropologia culturale, la sociologia. Duole riconoscere, d’altronde, che ancor oggi diversi apprezzati studiosi si ostinano a evitare, o addirittura a condannare, un approccio del genere alle humanae litterae, violando clamorosamente, fra il resto, evidenze di natura testuale e tematica.
Ad ogni modo, è assai probabile che, oltre alla “sua” letteratura, il campo dello scibile più amato da questo homme de lettres dotato d’invidiabili capacità di lettura sia stato il pensiero filosofico. Dagli anni industriosi quanto duri (si rammenti che era in atto la guerra più terribile del secolo passato) della giovinezza, le opere dei filosofi lo hanno accompagnato nel suo lavoro quotidiano di scienziato delle lettere, così come nella più pura e segreta dimensione esistenziale. Come ha dichiarato egli stesso pure in sede autobiografica, da Machiavelli a Montaigne, dai più sagaci moralisti francesi del Sei e del Settecento a Tocqueville, da Rosmini a Croce e al miglior Gentile, da Bergson a Jaspers, da Gadamer a Ricoeur, dalla Weil a Popper, dalla Arendt alla Nussbaum, parecchi sono stati i protagonisti della riflessione filosofica moderna e contemporanea con i quali ha conversato traendone innegabile profitto, e che hanno influenzato il suo stile di pensiero e di vita.
D’altro canto, come accennato dianzi, ogni suo contributo costituisce valido esempio del suo metodo perennemente in fieri, di una tensione epistemologica e zetetica che mai ha potuto trovar fissa dimora nei pur solidi e stimabili approcci filologici maturati presso le diverse scuole del globo. Un elemento, però, sembra emergere pressoché costante nel suo modus operandi: prescelto l’oggetto della sua indagine, sembrava voler instaurare subito, senza por tempo in mezzo, una dialettica virtuosa e serrata fra i dati riscontrabili e il contesto storico, ideologico, culturale e sociale donde era sorto e a cui doveva, sempre e comunque, far ritorno.
Circa la sua passione inesauribile per la storia delle idee e della cultura, conviene forse ascoltare quanto ebbe a scrivere, una trentina d’anni or sono, Adriano Prosperi a proposito della metodologia di Lucien Febvre – il padre nobile delle “Annales”, carissimo a Petroni per oltre sessant’anni: «Quel che si vuol cogliere è, in fondo, la vita stessa in movimento: una histoire vivante, radicalmente diversa dalla storia morta, fatta di strutture, istituzioni, depositi stratificati di gusci dell’animale umano non più abitati dall’essere vivente: storia viva di fremiti e pulsazioni, di emozioni, sentimenti, passioni, che nessuno schema precostituito può spiegare, e di fronte alla quale ogni spiegazione semplificatrice è un atto di passività intellettuale e di tradimento della verità».
In consonanza col senso profondo di tali pregnanti espressioni sono del resto le parole pronunciate dal Maestro in una delle ultime sue lezioni: «Forse vi sarete chiesti perché mi sono occupato di letteratura per tutta la vita e perché continuo ad occuparmene tuttora. Risponderò, in breve, che per me la letteratura aiuta a conoscere la vita ed a capirla; che la letteratura sostiene gli entusiasmi, consola, rasserena; che la letteratura permette di socializzare in modo più consapevole e, probabilmente, più facile».

Note

  1. Per una conoscenza più completa e approfondita di tutti i temi e i problemi che qui si tratteranno, va senz’altro visto A Liano Petroni montecarlese. Testi di C. Biondi, P. Brunel, G. De Piaggi, V. Fortunati, R. Jouanny, L. Petroni, W. Romani, a cura di D. Monda, Cesena, «Il Ponte Vecchio», 1997. Non meno utile è la pregevole Miscellanea in onore di Liano Petroni. Studi e ricerche sulle letterature di lingua francese, Bologna, CLUEB, 1996.

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