Bibliomanie

Un’identità camaleontica e controversa: l’Athletic Club tra memoria e oblio
di , numero 52, dicembre 2021, Saggi e Studi, DOI

Un’identità camaleontica e controversa: l’Athletic Club tra memoria e oblio
Come citare questo articolo:
Igor Santos Salazar, Un’identità camaleontica e controversa: l’Athletic Club tra memoria e oblio, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 52, no. 6, dicembre 2021, doi:10.48276/issn.2280-8833.9589



… el poeta puede contar o cantar las cosas, no como fueron, sino como debían ser; y el historiador las ha de escribir, no como debían ser, sino como fueron, sin añadir ni quitar a la verdad cosa alguna. M. de Cervantes, Segunda parte del ingenioso caballero don Quijote de la Mancha, cap. III.

1 INTRODUZIONE
L’Athletic Club è la squadra di Bilbao nota in tutto il mondo calcistico per la sua filosofia di tesserare soltanto giocatori nati o cresciuti calcisticamente nella geografia di lingua e cultura basca, ovvero nei territori dell’odierna Comunità Autonoma Basca (formata dalle province della Biscaglia, Guipúzcoa e Álava), della Comunità Forale della Navarra e della parte meridionale del dipartimento francese dei Pirenei Atlantici. Questa scelta ha destato da sempre sentimenti contrastanti: dall’ammirazione del quotidiano sportivo “L’Équipe”, che descrisse l’Athletic negli anni Sessanta come «un caso unico nel calcio mondiale», e di Gianni Mura, per il quale il teambasco rappresenterebbe ancora oggi «un’ostinata eresia»1; alle critiche di chi, travisando l’idea che spinge tale particolarissima filosofia, considera la squadra un club razzista.
Negli ultimi anni, soprattutto in Italia, la squadra viene intesa sovente come la più compiuta espressione dell’identità basca, e la sua storia viene letta, acriticamente, come un esempio popolare di resistenza identitaria contro una certa idea di Spagna, descritta sempre come prettamente franchista, a prescindere dalla cronologia della feroce dittatura militare che distrusse per quarant’anni tutto il paese.
L’obiettivo di questo articolo è quello di mostrare come l’identità dell’Athletic abbia percorso momenti carichi di significati spesso divergenti attraverso l’analisi di tre periodi storici di frattura politica: la fondazione a cavallo della crisi del sistema della restaurazione2, la guerra civile (1936-1939) e gli anni della transizione verso l’odierno sistema democratico, si mostrerà come l’Athletic Club ha sempre risposto a diversi interessi, essendo sovente manipolato a vantaggio del proprio credo politico da chi, via via, deteneva il potere nel territorio della Biscaglia.

2 UNA FONDAZIONE AVVOLTA NEL MITO
La città di Bilbao dista dal mare una manciata di chilometri ma rimane indissolubilmente unita al Cantábrico dal corso del Nervión, che scorre tra montagne note per la loro ricchezza ferrosa. Trainati dall’acqua, cantieri navali e acciaierie iniziarono a popolare le sponde del fiume durante l’ultimo terzo del XIX secolo. Alla luce degli altiforni approdarono nella città basca, centro nevralgico dell’industria e della finanza di un regno in crisi, i capitali britannici con cui furono costruite le prime grandi fortune dell’alta borghesia della Biscaglia (e con loro, le prime grandi dinastie imprenditoriali anglospagnole)3. Insieme ai soldi, ai tecnici e ai lavoratori specializzati provenienti dalle isole britanniche, giunse a Bilbao anche il pallone, protagonista di un gioco nuovo, mai visto nei campi e nelle piazze basche: il football. Le prime partite, a dire il vero, videro opporsi squadre in cui giocavano esclusivamente calciatori anglosassoni, che passavano parte del loro ozio dedicandosi a uno sport già ben affermato nelle isole, a volte anche in partite disputate con finalità assistenziali e di beneficenza4.
In poco tempo la febbre per il pallone si diffuse: i figli delle principali famiglie locali furono i primi ad affiancare i britannici in partite informali, che destavano la curiosità della gente fino a provocare sfide tra squadre ‘locali’ e ‘straniere’5. La passione per lo sport in una città in fermento, che mutava pelle vertiginosamente spinta dall’arrivo di migliaia di emigranti provenienti da altre zone della Spagna, favorì la creazione dei primi club polisportivi all’interno di alcune fabbriche6. Fu la ditta “Astilleros del Nervión”, situata a Sestao, pochi chilometri a valle di Bilbao, sulla sponda sinistra del fiume, il luogo dove venne fondata, nel 1889, la prima associazione di cui si conservi memoria: il Club Atleta, di cui facevano parte tecnici scozzesi – notizie del club si ritrovano, non casualmente, nei vecchi numeri del “Glasgow Evening Post” – e pochi ‘nativi’ che lavoravano nel cantiere proprietà di José Martínez Rivas y Charles Mark Palmer7. Poco dopo, si ha notizia dell’esistenza di un Bilbao F.C. che non ha lasciato molte altre notizie della sua storia se non l’essere composto da soli giocatori britannici.
La crisi e successiva chiusura della società di Martínez Rivas & Palmer portò con sé la fine delle associazioni sportive nate nei suoi stabilimenti. La fine del cantiere navale significò anche il rimpatrio di quasi tutti i tecnici e dei manovali scozzesi. Per avvertire la presenza di una nuova società sportiva con una particolare attenzione al calcio bisognerà aspettare il 1900, anno in cui si fa menzione per la prima volta di un nuovo Bilbao F.C., diverso dal suo precedente omonimo perché fondato da studenti della città appassionati di calcio e con legami professionali e di studio in Inghilterra, tra cui si possono citare Carlos Castellanos e Manuel González Careaga. Entrambi arriveranno in tempi diversi a diventare presidenti dell’Athletic Club8.
E quest’ultima squadra?
Tra gli appassionati di calcio l’anno di fondazione dell’Athletic Club, il 1898, è ben noto, tanto per l’importanza del club nella storia della pedata iberica quanto per la sua antichità, superata soltanto dal Recreativo de Huelva, decano del calcio spagnolo, fondato nel 1889 in un contesto socioculturale simile a quello della città di Bilbao durante l’epoca della restaurazione9. Peccato che la data di fondazione dell’Athletic sia un’invenzione successiva di José María Mateos, giornalista bilbaino molto presto legato alle principali testate giornalistiche della città come “El porvenir vasco”, liberale, proprietà del figlio di Martinez Rivas, e “La Gaceta del Norte”, cattolico e monarchico come lo stesso Mateos10. Questi, nominato c.t. della nazionale spagnola tra 1922 e 1933, voleva sostenere la maggiore antichità del’Athletic Club nei confronti del Barcellona di Joan Gamper (club fondato nel 1899) e non esitò, per farlo, a mentire, manipolando nei suoi scritti la data di fondazione dell’Athletic, retrodatando al 1898 una realtà che non coincideva nemmeno con la creazione del Bilbao F.C. (1900). La verità è un’altra: l’11 giugno 1901 un gruppo di sportmenamici che frequentava la palestra Zamacois e altri luoghi della socialità d’élite dei rampolli della borghesia cittadina – attivi in un orizzonte economico molto gerarchizzato, con le masse lavoratrici ridotte a una povertà estrema – , riuniti nel caffè García della Gran Vía di Bilbao, decise di dare il via a una nuova associazione sportiva ancora oggi in vita11.
Due dei principali cliché sull’identità della squadra non possono sostenere il vaglio della critica storica. l’Athletic non fu fondato nel 1898, né conta nella sua storia su giocatori baschi soltanto. Nei primi anni di vita furono molti i britannici che difesero i colori della società (una relazione durata fino al 1917) e uno di loro, Alfred Edward Elvin Mills, già giocatore del Bilbao F.C., fu addirittura eletto secondo capitano della squadra nella riunione del Caffè García. In più, il primo presidente di una squadra che ancora non portava neanche la maglia biancorossa (era biancoblu) fu l’andaluso Luis Márquez Marmolejo, un amministrativo nato a Moguer, la città del poeta Juan Ramón Jiménez. La storia dei club bilbaini iniziava così nel XX secolo senza retoriche identitarie e divisa in due squadre: l’Athletic Club e il Bilbao F.C., società che finì per confluire nell’Athletic nel marzo 190312.

3 VINCITORI E VINTI: LA GUERRA CIVILE (1936-1937)
Il primo terzo del XX secolo rimane il periodo in cui la squadra riuscì a vincere più trofei: 4 scudetti e 14 coppe (del re e del presidente della Repubblica) senza tenere conto di altri, numerosissimi campionati regionali. La grande stagione dell’Athletic nell’epoca repubblicana venne troncata dalla guerra civile in cui il fallimento del colpo di stato militare perpetrato il 18 luglio 1936 (il giorno precedente nei possedimenti nordafricani della Repubblica spagnola) fece precipitare la Spagna13. L’aggressione militare alla legalità democratica; la decomposizione immediata della II Repubblica; la proclamazione dello Statuto di Autonomia Basco nell’ottobre 1936 e la creazione del primo governo autonomo presieduto dal lehendakari (presidente) José Antonio Aguirre, lui stesso ex-giocatore dell’Athletic; la resistenza della provincia della Biscaglia – buona parte dei Paesi Baschi odierni furono con i golpisti o caddero subito nelle loro mani, dettaglio che la vulgata nazionalista tende a dimenticare –; il bombardamento di Guernica, di Durango e di altre piccole località da parte dell’Aviazione Legionaria Italiana e della Legione Condor nazista; l’esilio di molti giocatori della prima squadra, membri, insieme con altri calciatori baschi, della nazionale dei Paesi Baschi, battezzata Euzkadi, seguendo il dettato della nuova nomenclatura in lingua basca creata spesso ex novo negli ambienti del Partito Nazionalista Basco (PNV); l’orrore, la morte e l’imposizione di una dittatura brutale che sarebbe durata ancora quattro decenni, fanno di questo tempo uno dei più controversi di tutta la storia dell’Athletic14.
Polemiche che colpiscono anche le vicende biografiche di molti degli uomini più in vista dell’istituzione (tanto nel campo come negli uffici) nel tempo che separa la proclamazione della II Repubblica (14 aprile 1931) dalla caduta di Bilbao in mano ribelle (19 giugno 1937) e dal definitivo consolidamento della dittatura negli anni Quaranta15. Questo drammatico periodo viene spesso letto, in modo interessato, come quello dell’aggressione spagnola contro le libertà basche e si tende a ridurre il tutto, in modo manicheo, a una tenace resistenza basca contro la violenza fascista (come se non vi fosse una guerra in tutto il paese), senza tenere neanche conto dell’ampio numero di baschi conservatori, contrari alla Repubblica e ben dentro alla Falange spagnola, ai partiti tradizionalisti della galassia carlista o rapidamente saliti sul carro franchista per opportunità o convinzione: tutti coloro che, una volta “conquistata” Bilbao, celebrarono una messa in memoria dei membri del club caduti “per Dio e per la Spagna”. La stessa gente che non battè ciglio quando persino il nome dell’istituzione fu cambiato in modo coatto, spagnolizzando Athletic in Atlético16.
La storia del club, dunque, è un ottimo esempio di una realtà storica durissima, che separa vincitori e vinti in modi talmente drammatici che non hanno bisogno di nessuna vernice retorica e ideologica. Intrecciare in un unico racconto alcune delle più significative biografie di presidenti e giocatori dell’Athletic che, nella loro diversità, insistono sulla drammaticità degli avvenimenti che avrebbero sconvolto per sempre la Spagna, getta luce sulla complessità dei tempi che dovettero affrontare gli uomini dell’Athletic Club e gli esiti diversissimi delle vicende personali dei singoli (dalla morte all’esilio alla vittoria).
José María Olavarría Martínez de las Rivas, politico conservatore, membro del partito monarchico, più volte consigliere comunale a Bilbao, giunse alla presidenza dell’Athletic Club nel 1933, pochi mesi dopo la proclamazione della II Repubblica e divenne, successivamente, allenatore della prima squadra nelle prime tre partite della stagione 1935/193617. Olavarría era il figlio di Carmen Martínez de las Rivas Tracy, figlia del Martínez Rivas padrone degli “Astilleros del Nervión” dove sorse il Club Atleta.
Olavarría apparteneva dunque all’oligarchia attorno alla quale era cresciuta la passione per il football in città. Come attraversasse gli undici mesi di guerra fino alla conquista di Bilbao da parte dei faziosi non è dato sapere; in ogni caso appare ben inserito nella società politica locale subito dopo la caduta della città in mano ai golpistas in qualità di consigliere comunale (membro della “destra indipendente”) e come membro del consiglio direttivo (vocal) di un Athletic completamente sotto controllo di uomini di contrastata fedeltà franchista18. Una storia per certi versi simile a quella del giornalista Mateos, l’inventore della fondazione del club nel 1898: nonostante fosse stato quadro dirigente della federazione calcistica della Biscaglia sotto il governo di Aguirre, l’entrata dei faziosi a Bilbao non ebbe per lui alcuna conseguenza politica. Anzi: fu sin da subito ai vertici della federazione spagnola di calcio nel territorio fedele ai militari ribelli.
Molto diversa fu la parabola di Manuel de la Sota Aburto, figlio dell’armatore Ramón de la Sota, uno dei più eminenti membri dell’oligarchia industriale e finanziaria basca della belle époque e anima e finanziatore del PNV. Manuel fu un intellettuale importante, che sviluppò la letterattura e gli studi in lingua basca e che condivideva con il padre il credo nazionalista, ma in una versione ancora più radicale. Fu anche un assiduo collaboratore delle principali riviste letterarie della Spagna della generación del 27, da “Rivista de Occidente” a “Litoral”19. Giunse alla presidenza dell’Athletic negli anni 1926-1929. Grazie al suo cosmopolitismo (aveva insegnato anche a Cambridge), nell’aprile 1937 fu uno dei politici legati al presidente Aguirre che accompagnò la nazionale basca nella sua tournée europea. Già nel 1940 lo si trova a New York, tra i membri della delegazione del Governo Basco attiva negli Stati Uniti. Nel 1946 scelse di rimanere in esilio – suo fratello Alejandro era rientrato invece in Spagna qualche anno prima, “perdonato” dal regime – scegliendo di abitare la casa di famiglia a Biarritz, nei Paesi Baschi francesi20.
Tra i giocatori è possibile documentare una diversità di destini dettata da scelte ideologiche, capacità personali e caso. Vi furono caduti in entrambi gli schieramenti, a volte nella stessa azione militare, come nelle lotte sulle sommità che dominano Bilbao e che videro opporsi reparti militari del governo basco (gudariak) e truppe di Franco: in queste azioni morirono il gudari Manuel Yurrebaso Jugo e il soldato ribelle Fernando Bergareche Maruri, che non fece in tempo a debuttare con la prima squadra21. Altri giocatori furono barbaramente assassinati nella retroguardia: Alfonso González de Careaga, ucciso da miliziani comunisti mentre era prigioniero nella nave Altuna Mendiil 25 settembre 1936. L’uccisione dei prigionieri, per lo più semplici simpatizzanti dei partiti conservatori, fu perpetrata come rappresaglia per i bombardamenti franchisti contro Bilbao e, nella sua ferocia, mise in imbarazzo lo stesso governo basco, che tentava disperatamente di mantenere l’ordine pubblico in un contesto di totale decomposizione politica22.
Altri giocatori finirono, prigionieri di guerra, nelle galere di Franco: questo fu il caso di Manuel Castaños e José Luis Ispizua23. Altri ancora, ancora bambini (giocatori dell’Athletic soltanto più tardi), subirono i disastri della guerra in prima persona, come Rafael Iriondo, bimbo sopravvissuto al bombardamento di Guernica o Emilio Aldecoa che, partito quattordicenne verso l’Inghilterra come rifugiato di guerra – nonostante l’opposizione a questa misura umanitaria da parte del primo ministro Stanley Waldwin –, riuscì a entrare nel Wolverhampton e, successivamente, durante gli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale, a essere tesserato nelle file del Coventry City. La sua esperienza calcistica gli permise di tornare a Bilbao per giocare con l’Athletic tra 1947 e 1949 e continuare più avanti nel tempo la sua carriera sportiva in altri club spagnoli24.
In diversi momenti e attraverso vie differenti, furono molti i giocatori che intrapresero le strade dell’esilio, come Justino Alberdi, José Mandaluniz e José María Belausteguigoitia, ma la storia più stupefacente dell’esilio di sportivi durante la guerra civile spagnola fu compiuta dalla nazionale basca25. Il team Euzkadi partì da Bilbao verso la Francia nell’aprile 1937 arrivando a Parigi il 24 accompagnato da Ricardo de Irezabal e Manuel de la Sota, due ex-presidenti dell’Athletic vicini al PNV e al governo di Aguirre. Due giorni dopo, una pioggia di fuoco distruggeva buona parte di Guernica mentre i baschi battevano nella capitale francese il Racing di Parigi (0-3). La squadra venne a conoscenza della tragica notizia del bombardamento il giorno successivo.
In una condizione psicologica simile, non risulta difficile immaginare l’ambiente in cui continuò la tournée calcistica basca con partite a Praga, Tolosa, Parigi ancora, Marsiglia, Sète e di nuovo Praga, in un periplo che occupò un mese, dal 6 maggio al 5 giugno 1937. L’obiettivo delle partite, al di là dei risultati sportivi, comunque brillanti, fu prettamente propagandistico ed ebbe anche l’intento di raccogliere fondi per l’assistenza ai rifugiati. L’assedio di Bilbao e la sua succesiva conquista da parte delle truppe franchiste costrinse la squadra a un prolungamento del giro europeo: furono giocate partite in Polonia (dove la nazionale ebbe dei problemi, considerata come fu, in modo sbagliato, un covo di comunisti) e nell’URSS, incontrando il Lokomotiv e la Dynamo a Mosca e altre squadre in Bielorussia, Ucraina e Georgia26. Il viaggio finì dopo due partite in Norvegia e Danimarca27.
La conquista di quel poco che rimaneva fedele alla Repubblica nei Paesi Baschi costrinse la nazionale a rimanere radunata in Francia, a Barbizon, nelle vicinanze di Parigi. Tuttavia in quelle tese settimane la squadra si ruppe. Tre dei suoi membri decisero, per ragioni diverse, di abbandonare il raduno: Perico Birichinaga, Roberto Echevarría e Guillermo Gorostiza. Il primo era il massaggiatore dell’Athletic e gli altri due giocatori della medesima società.
Le circostanze di queste defezioni non sono state mai del tutto chiarite e su di esse è calato l’oblio. Se Birichinaga sembra aver avuto il nulla osta della nazionale per tornare a Bilbao, i casi di Echevarría e Gorostiza furono ben diversi: entrambi si allontanarono da Barbizon con la scusa di andare a trovare membri delle loro famiglie per comparire immediatamente dopo nella Spagna nacional28. Probabilmente nessuno dei due aveva mai condiviso credo politico con i compagni e soltanto le circostanze di ritrovarsi in una zona fedele alla Repubblica nei momenti successivi al colpo di stato li aveva costretti a inscenare una finzione. Echevarría, festeggiato dalla stampa falangista per le sue scelte politiche, prese le redini dell’Athletic nella prima stagione della “Liga” celebrata a guerra finita29.
Il caso di Gorostiza è ancora più stupefacente. Il giocatore biscaglino, ala sinistra velocissima e tecnica (soprannominato “pallottola rossa”), era uno dei miti viventi della squadra: internazionale con la Spagna e membro del primo attacco leggendario della storia dell’Athletic che regalò al club quattro scudetti e altrettante coppe (lui fu due volte capocannoniere) e che ancora oggi noi tifosi recitiamo come una preghiera laica Lafuente-Iraragorri-Bata-Chirri-Gorostiza. La sua condotta fuori dal campo di gioco, fatta di feste ed eccessi, aveva garantito la sua fama anche tra le persone che non seguivano gli almanacchi calcistici. Giunto in Spagna non perse tempo e partecipò alla guerra combattendo nel Tercio Requeté “Órtiz de Zárate”, tra i carlisti più fondamentalisti, ovvero nel settore più reazionario della reazione franchista. A guerra finita sarebbe tornato a giocare nell’Athletic, diretto proprio da Echevarría. Poi passò al Valencia (vinse altri due scudetti e una coppa, ormai quella del “Generalissimo”). Nella città del Turia sarebbe diventato persino una star del cinema del nuovo regime, partecipando nel 1943 al film Campeones, insieme con altri mitici giocatori quali Zamora e Quincoces30.
I suoi eccessi favorirono il triste tramonto della sua vita, finita a 57 anni in un sanatorio per bisognosi gestito a Bilbao dalle suore e documentato in un film di Manuel Summers: Juguetes Rotos (1966), dove un Gorostiza mal ridotto e dimenticato da tutti, vincitori e vinti, non esita a sottolineare, poche settimane prima della morte, l’abbandono in cui vive non avendo ricevuto l’aiuto richiesto. Nel film, in una testimonianza molto cruda di un tempo duro anche per certi “vincitori”, Gorostiza indica le ragioni per cui avrebbe dovuto ricevere tale assistenza:

«Non servo per lisciare il pelo, perché l’ho lisciato quando ho dovuto farmi avanti nella guerra, da volontario […] ebbi una ferramenta e arrivò la guerra, la nostra guerra, chiamiamola pur così, dove dovemmo difendere quel che andava difeso e dovetti lasciare tutto per partire al fronte. Andai con un battaglione di requetés, volontario, come un altro mio fratello volontario… altro fratello anche lui volontario, e lo cercai là… vicino Teruel… e andai in aviazione… comunque… Eravamo quattro fratelli e i quattro eravamo in terra, mare e aria: due in terra, uno nell’aria che rimase a terra a vent’anni a Villanueva de Córdoba… mio fratello José Manuel, che è la cosa che non mi va giù della guerra.31»

Gorostiza, mitico protagonista di tante partite in tempo di guerra a San Mamés organizzate dal PNV e dal governo basco, taceva la sua partecipazione alla nazionale basca ancora nel 1966, raccontando a sé stesso e agli altri l’entrata in guerra dal bancone di una ferramenta. La sua complicità con i golpisti lo rende ancora oggi invisibile alla memoria degli sconfitti; la sua morte fu ricordata con imbarazzo in un breve necrologio pubblicato nelle pagine del giornale madrileno ABC: la vita bohémienne e la passione per l’alcol avevano provocato che fosse espulso anche dal pantheon sportivo della farisaico e criminale Spagna di Franco.
Molti altri giocatori dell’Athletic, compagni di Gorostiza nella prima avventura di Euzkadi, scelsero di mantenere la loro fedeltà alla Repubblica o almeno, alla solidarietà venutasi a creare tra tutti loro, come propaganda viva di una situazione drammatica, e di continuare il viaggio, che ripartì nell’ottobre del 1937 verso terre americane (Messico, Argentina, Cile e Cuba). Al contempo, la FIFA (fair play?) riconosceva la federazione di calcio controllata dal nuovo regime. Tra loro, sono tante le biografie che meritano di essere ricordate, tuttavia mi soffermerò su José Iraragorri Ealo, giocatore anche lui di quel mitico e mai dimenticato attacco dell’Athletic precedente alla guerra civile.
Come altri atleti del club di Bilbao (Blasco, Muguerza, Zubieta…), Iraragorri arrivò in Messico nel novembre 1937, ignaro del tempo che avrebbe passato in un altro continente. Nel frattempo, i franchisti tramavano per fermare una squadra che vedevano come un continuo urlo in favore dei nemici. I loro sforzi ebbero successo poiché, all’indomani delle partite a Cuba, gli incontri programmati in Argentina non furono consentiti dalla FIFA, nonostante che la squadra basca fosse arrivata a Buenos Aires dopo quasi un mese di viaggio dalla partenza dal porto dell’Avana (27 febbraio – 20 marzo 1938). L’Argentina aveva riconosciuto il regime di Franco, scelta politica di campo che aveva agevolato la decisione dell’organismo calcistico internazionale. Questo contrattempo ebbe conseguenze sulla nazionale: l’allenatore e alcuni giocatori decisero di lasciare, partendo verso l’Uruguay o restando in Argentina accanto ad altri famigliari esuli. Il resto continuò l’odissea: ancora Cile e ancora Cuba; finalmente Messico, dove il governo del presidente Lázaro Cárdenas fu, senza dubbio, quello che più fece per dare una mano all’esilio repubblicano spagnolo, dentro e fuori dai confini del proprio paese32. Fu però a Cuba dove Iraragorri rimase a causa di un infortunio al ginocchio, arrivando nel paese azteco soltanto più tardi, nell’ottobre 1938. Nella capitale la squadra si iscrisse alla Liga Mayor per disputare il campionato 1938/1939, riuscendo ad artigliare il secondo posto33.
Tuttavia, la vittoria di Franco chiudeva ogni speranza per loro e per la Spagna tutta. Molti giocatori tentarono, dopo anni di viaggi e partite, di rifarsi una vita come giocatori professionisti di squadre messicane e argentine. Alcuni, come Blasco, non sarebbero mai più tornati. Iraragorri giocò in due tappe diverse nel club España del Messico tra 1939 e 1946, separate da un periodo in Argentina, dove insieme a Lángara fu giocatore di San Lorenzo di Almagro.
Con lo stesso Lángara sarebbe stato uno dei pochissimi a fare ritorno in Spagna (1946), riuscendo persino a giocare di nuovo nell’Athletic per tre stagioni, fino al 1949, anno del suo ritiro dai campi ma non dal club della sua vita, quando diede inizio a una carriera di allenatore in 101 gare ufficiali in una squadra dove giocavano Zarra, Venancio, Iriondo, Gaínza e Panizo; il secondo attacco da leggenda della storia dell’Athletic34. Sotto la sua direzione la squadra vinse una coppa e una coppa Eva Duarte, torneo (una sorta di precedente dell’odierna Supercoppa) creato per ringraziare il sostegno argentino al regime durante gli anni di isolamento internazionale della Spagna all’indomani della sconfitta dell’Asse35. Le ragioni del ritorno in Spagna di Iraragorri, malgrado il rischio di subire punizioni per la sua fedeltà a Euzkadi e le sensazioni che dovette provare nell’alzare una coppa che ricordava il suo soggiorno sudamericano, sono temi che devono essere ancora studiati.
I dati di tutto questo periodo sono incontrovertibili: l’orrore tra luglio del 1936 e giugno del 1937 fu amministrato in forme diverse da entrambi i lati della barricata: terrore programmatico nelle file della reazione; puntuali atti di violenza inaudita tra coloro che, nel contesto della guerra, cercarono, più che di difendere la democrazia repubblicana, di imporre un loro totalitarismo… Dall’estate del 1937, invece, la violenza e la persecuzione furono monopolio esclusivo degli uomini del nuovo regime36. L’Athletic non fu, non poteva esserlo, baluardo di nessuna ostinata resistenza antitotalitaria e rimase in mani franchiste per decenni.
Qualunque altra considerazione è propaganda senza fondamenti storici. Le vite dei singoli, invece, raccontano centinaia di altre storie: di esilio, sconfitta, vittoria, tradimento, eroismo e morte.

4 TRANSIZIONE, TERRORISMI E STORYTELLING (1976-2011)
Negli anni della dittatura, l’Athletic fu, come le altre, una squadra ben dentro al sistema franchista. La maggiore novità di quei tempi – oltre al progressivo ingrandimento dello stadio di San Mamés, che negli anni immediatamente successivi all’imposizione della dittatura fu testimone di cerimonie propagandistiche, con un Franco Franco Franco scritto sulla tribuna sud a caratteri cubitali –, fu la restaurazione del vecchio nome del club, che da Atlético tornava ad Athletic nel tramonto della vita del dittatore, già nell’estate del 1972.
Nel frattempo, la repressione andò intensificando la propria azione durante tutti gli anni Sessanta, subito dopo la nascita dell’Eta (Euskadi ta Askatasuna, “Euskadi e Libertà”, 1959), e successivamente, nel contesto dei movimenti studenteschi legati al ’68. Le preferenze ideologiche dei giocatori restavano in ombra, affogate nel silenzio, per evitare conseguenze politiche; il mutismo e l’obbedienza erano le scelte predilette degli organi direttivi del club per non dare copertura a nessuna posizione eterodossa che potesse alterare un equilibrio finto e sempre più precario. Avvenimenti come il “Processo di Burgos” (1970), dove un tribunale militare chiedeva la pena di morte per attivisti dell’Eta; l’assassinio, dopo giudizi-farsa, del militante anarchico Salvador Puig Antich (1974), e degli antifascisiti del FRAP (Frente Revolucionario Antifascista y Patriota), José Humberto Baena, José Luis Sánchez Bravo e Ramón García Sanz, insieme a due membri dell’organizzazione basca come Juan Paredes Manot (Txiki) e Ángel Otaegi (1975), fecero il giro del mondo destando la condanna di molti governi tra cui quello di papa Paolo VI37.
Eppure, nonostante la feroce repressione, la coscienza politica di alcuni giocatori si fece via via più presente.
Il portiere José Ángel Iribar è entrato nella storia del club non soltanto come l’uomo con più presenze nella storia centenaria dell’Athletic. Insieme a Kortabarria, giocatore della Real Sociedad di San Sebastián, calcò l’erba prima del fischio d’inizio del derby basco ad Atotxa portando una bandiera basca (Ikurriña) il 5 dicembre 1976, quando il vessillo nazionalista era illegale. La fotografia di quell’atto è ancora oggi uno dei momenti fondativi del movimento indipendentista. Iribar fu a lungo l’uomo di sport più in vista di quella parte politica, al punto di diventare membro del direttivo (Mesa Nacional) di Herri Batasuna, il braccio politico dell’Eta, tra 1978 e 1979, anni in cui la banda assassinò quasi centocinquanta persone38.
La morte di Franco portò qualche cambiamento, lentissimo, anche nel governo del club. Lievi prove d’apertura giunsero nell’agosto 1977, quando l’Ikurriñafu innalzata a San Mamés nei prolegomeni di una partita amichevole contro l’Aston Villa, con un ritardo molto significativo nei confronti di altri club baschi. Il presidente di quei giorni, Jesús María Beti Duñabeitia, fu il primo uomo vicino al PNV che si insediava a capo del club dal 1937… E nonostante che la sua elezione fosse avvenuta tramite suffragio, il voto si estese a tutti i soci soltanto nel 1982, quando fu eletto Pedro Aurtenetxe39.
Con Aurtenetxe l’Athletic mutò definitivamente pelle da un contesto politico prono al regime verso lidi ideologici vicini alla nuova forza politica egemone nei Paesi Baschi, il Partito Nazionalista Basco, legalizzato, insieme con gli altri partiti spagnoli, nel marzo 1977. Aurtenetxe curò la creazione di un nuovo inno del club, scritto in basco (la cui retorica non fa i conti con la vera storia dell’Athletic, neanche per quel che riguarda la fondazione40), e comprò il palazzetto d’Ibaigane per farlo diventare la nuova sede istituzionale della società. Questo palazzo, di stile eclettico, fu costruito nel 1900 per volere di Ramón de la Sota e fu sequestrato dalle autorità illegittime alla famiglia del figlio, l’ex presidente del club Manuel de la Sota Aburto. Si chiudeva un cerchio e, in un certo senso, si riabilitava la memoria istituzionale della squadra precedente alla guerra.
Ma i problemi politici non sarebbero finiti. La feroce violenza dell’Eta e la reazione criminale dello stato spagnolo attraverso gruppi terroristi quali i Gal (Grupos Antiterroristas de Liberación), macchia indelebile per la giovane democrazia spagnola, provocarono che la lacerazione sociale lasciata in eredità dal franchismo non finisse41.
Fino al 2008, il governo dell’Athletic non ritenne necessario commemorare le vittime innocenti della follia terrorista dell’Eta con minuti di silenzio prima delle partite disputate all’indomani della barbarie e con tangibili manifestazioni di solidarietà nei confronti dei morti e di repulsione dei carnefici, ai cui “tifosi” ha lasciato spesso un certo spazio nelle curve42.
Non diversamente da quanto aveva fatto durante i lunghi e terribili anni della dittatura, l’Athletic scelse il silenzio nei confronti delle vittime. Diversamente che nell’epoca franchista, si astenne almeno dall’esaltare pubblicamente l’azione dei violenti senza fare mai i conti con il dolore di tanti suoi soci, prima vittime di Franco e poi del terrorismo. Con questo ambiguo atteggiamento, non del tutto chiuso con la sconfitta dell’Eta (2011), il club ha rispecchiato una posizione ben radicata nella società basca: quella di tutti coloro che, nazionalisti spagnoli e baschi, interpretano con cinismo la violenza e il dolore subito da ampi settori della società durante quasi un secolo a seconda dello storytelling che scaturisce dalla propria appartenenza politica43.

5 CONCLUSIONI
Se la storia degli ultimi centoventi anni dell’Athletic dovesse riassumersi in un’unica, gigantesca foto, vedremmo all’interno della sua numerosa massa sociale insieme ripresi in bianco e nero e colore, vittime e carnefici, in una danza macabra che ha occupato fin troppi decenni (con alcuni dei carnefici divenuti vittime e viceversa) che solo negli ultimi anni sembra aver intrapreso la strada di una convivenza più civile.
Tuttavia, il governo di un’istituzione fondata dai rampolli più in vista di un’alta borghesia industriale e finanziaria attiva in una società iper-gerarchizzata ha seguito binari molto più circoscritti nel mondo dell’alta politica. Se nei primi decenni di storia del club dominava il denaro degli industriali, dei banchieri e degli armatori, senza che contasse tanto il milieu ideologico dei singoli (nazionalisti, monarchici, liberali), accomunati dalla loro appartenenza di classe a un pugno di famiglie dell’élite locale, il colpo di stato militare alterò per sempre le regole della convivenza, segnando una lacerazione (ancora oggi non rimarginata) tra vincitori e vinti.
La lama della repressione separò anche personaggi prima appartenenti allo stesso gruppo dirigente, come l’esilio di Manuel de la Sota dimostra. Tuttavia, la vera repressione, feroce e senza fine, si fece sentire in tutta la sua violenza tra i membri della squadra che condividevano ideologie di sinistra. In fondo, le persone legate al PNV, cattoliche e conservatrici, ricevettero un trattamento molto diverso, nonostante siano da annoverare tra gli sconfitti e nonostante molte di loro affrontassero anni di esilio e punizioni con grande dignità e consapevolezza delle proprie ragioni.
La morte di Franco e l’avvento della democrazia spagnola, per quanto imperfetta, ha permesso che quella primordiale ferita andasse via via rimarginandosi, malgrado che, tra la folle violenza dell’Eta – che, fino alla sua sconfitta, per quasi quarant’anni ha aggredito uno stato di diritto – e le altrettanto criminali rappresaglie del terrorismo di Stato, nuove lacerazioni abbiano complicato un quadro sociale già molto drammatico. E l’Athletic? In tutto quel tempo è stata un’istituzione sempre governata dallo establishmentlocale. All’oligarchia finanziaria delle origini subentrò con la violenza il Franchismo. Dall’avvento della democrazia è saldamente in mano nazionalista (con brevissime eccezioni negli ultimi anni). La squadra, la sua filosofia, l’epica delle sue storie calcistiche migliori è stata da tutti manipolata per innalzare le più diverse bandiere (in senso nazionalista spagnolo e basco) a seconda del singolo momento.
Per quel che riguarda la tifoseria, invece, il discorso è leggermente diverso, più articolato. Nella mente dei suoi numerossisimi tifosi, l’Athletic è un jolly capace di rappresentare le più diverse sensibilità: dall’identità basca più nazionalista al qualunquismo post-ideologico. Questo permette, inoltre, che quella della squadra di Bilbao sia, senza dubbio, l’unica bandiera in cui si riconosce, senza drammatici odi politici, la maggior parte della società della Biscaglia (non dei Paesi Baschi, si badi, come è normale in un territorio con altre squadre nella massima categoria, nonostante che per i tifosi più vicini al sentimento nazionalista che vivono in altre province basche la squadra di Bilbao rimanga un simbolo, come lo è per tanti stranieri…) e un ampio numero di tifosi di calcio radicati ovunque nella Spagna attratti dalla particolare filosofia dell’Athletic.
La storia della squadra è così testimone della manipolazione che, spesso, ha subito e subisce ancora il team che meglio rappresenta nel mondo quella filosofia romantica – giocare al più alto livello con ragazzi di casa – ancora in vita centoventi anni dopo il giorno in cui uomini di provenienze e milieu culturali diversissimi si riunirono nel Caffè García, ignari dell’incredibile storia che il loro piccolo club avrebbe vissuto.

Note

  1. La definizione del quotidiano francese fu immediatamente usata nel titolo di un libro celebrativo, v. Enrique Terrachet, Historia del Athletic de Bilbao “caso único del fútbol mundial”, La Gran Enciclopedia Vasca, Bilbao, 1969 e Gianni Mura, Il Napoli di Bombay contro l’Inter di Dallas, in “Guerin Sportivo”, dicembre 2014.
  2. Con “restauración” è conosciuto il periodo che, dopo il golpe del generale Martínez Campos (29 dicembre 1874), fece finire la I Repubblica riportando sul trono di Spagna la dinastia Borbone nella persona di Alfonso XII (1874-1885) a cui seguì la reggenza della sua vedova, Maria Cristina d’Austria (1885-1902), che coincide con la crisi del 1898 e la perdita delle ultime colonie spagnole d’oltremare (Puerto Rico, Cuba e le Filippine). Sul periodo v. Carlos Dardé, La Restauración, 1875-1902. Alfonso XII y la regencia de Maria Cristina, Temas de Hoy, Madrid, 1996.
  3. Antonio Escudero, Minería e industrialización de Vizcaya, Crítica, Barcelona, 1998. Stefan Houpt, Putting Spanish steel on the map: The location of Spanish integrated steel, 1880-1936, in “European Review of Economic History”, 6, 2009, pp. 1913-220.
  4. Adrian Harvey, Football: the first hundred years. The untold story, Routledge, London, 1995 e Paul Dietschy, Storia del calcio, Edizioin Paginauno, Vedano al Lambro, 2016. Per la prima partita giocata a Bilbao il 29 giugno 1889: Fernando Arrechea, Primera crónica periodística de un partido de fútbol jugado en España, in “Cuadernos de Fútbol”, 39, n. 1, 2013, pp. 1-2.
  5. La prima partita tra britannici e locali fu giocata il 3 maggio 1894, v. Josu Turuzeta Zarraga, El Athletic Club. Origen de una leyenda o cuando el león era aún cachorro, Txertoa, Donostia, 2012, pp. 79-102.
  6. All’altezza del 1900 il 63,5% della popolazione della capitale della Biscaglia era nata altrove, v. Arantza Pareja Alonso, Población y cambios sociales, in Mikel Urkijo Goitia (a cura di), Vasconia (1876-1937): entre la tradición y la modernidad, Lur, Donostia, pp. 13-74.
  7. Il nome di battesimo del propietario era José Martín Martínez de Lejarza y Rivas, capostipite di una importante famiglia di imprenditori che avrebbe finito per acquisire come unico il cognome Martínez Rivas, v. Fernando Arrechea, Lartaun de Azumendi, El Club Atleta de los Astilleros del Nervión (1889-1894) y el Athletic Club de Bilbao (1901-), in “Cuadernos de Fútbol”, 132, n. 1, 2021, pp. 10-12. Suo figlio, José Martínez Rivas, fu anche uno dei principali protagonisti dell’industria del Nervión tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo v. P. Díaz Morlán, Tras las huellas del empresario schumpeteriano: el caso de José Martínez Rivas (1872-1913), in “Revista de Historia Económica”, XXII, n. 1, 2004, pp. 39-64.
  8. Presidentes Athletic Club, visto il 02 agosto 2021.
  9. Phil Ball, Morbo. The story of Spanih Football, WSC Books, London, 2003, p. 55.
  10. José María Mateos fu anche il primo storico della squadra, di cui diede alle stampe una prima storia, Athletic Club de Bilbao, 1898-1922, Editorial Vizcaína, Bilbao, 1922.
  11. Ma sarebbe altrettanto sbagliato pensare all’Athletic come una società di uomini altolocati: membri di quella prima squadra furono anche liberi professionisti vicini a ideali socialisti, come il sarto Agustín Oresanz, v. Arrechea, de Azumendi, El Club Atleta, cit.
  12. Entrambe le società decisero di concorrere, unite in un un’unica squadra, chiamata Bizcaya, al torneo ufficialmente conosciuto con il nome “Concurso Madrid de Foot-ball Association” giocato nella capitale spagnola dal 13 al 16 maggio 1902. Si tratta della Coppa d’Incoronazione del re Alfonso XIII, primo titolo della storia dell’Athletic, v. Simone Bertelegni, Athletic Club Bilbao. L’utopia continua, Bradipolibri, Milano, 2017, pp. 19-21.
  13. Impossibile dare conto qui della sterminata bibliografia dedicata al colpo di stato militare e alla successiva guerra civile che distrusse la legalità repubblicana. Basti citare Julián Casanova, A Short History of the Spanish Civil War, I.B.Tauris, London, 2012, con bibliografía.
  14. Per la guerra nei Paesi Baschi, José Luis de la Granja, El oasis vasco. El nacimiento de Euskadi en la República y la Guerra Civil, Tecnos, Madrid, 2007. Per la nazionale basca v. Edoardo Molinelli, La nazionale della libertà. La storia mai raccontata della selezione basca di calcio: una squadra antisfascita, Hellnation Libri, Roma, 2016, anche se, come si vedrà, non tutti i suoi giocatori erano antifascisti.
  15. Di solito è il periodo che si tocca sempre in modo più celere in tutte le storie dell’Athletic con l’eccezione del monumentale libro di Joseba Moro Aguayo, San Mamés. Memoria e historia de la Catedral, Athletic Club, Bilbao, 2013, che a pp 206-212 include prezioso materiale fotografico dell’epoca.
  16. Un decreto-legge firmato il 16 maggio 1940 proibiva in Spagna l’uso di parole in lingue che non fossero lo spagnolo. La misura non si fece sentire nella stampa di Bilbao fino al gennaio successivo, quando il nome Athletic scomparve dall’inchiostro per fare posto ad Atlético, v. Jon Rivas, El Athletic, otra vez el Athletic, in “El Mundo”, 30 maggio 2016.
  17. Fu sostituito alla quarta partita della stagione da William Garbutt, allenatore inglese che aveva ottenuto tre scudetti guidando il Genoa prima e dopo la Grande Guerra. A Bilbao vinse lo scudetto di quell’anno, l’ultimo prima del colpo di stato militare e della guerra. Su Garbutt v. Pierre Lanfranchi, Mister Garbutt: The First European Manager, in “The Sports Historian”, 1, 2002, pp. 44-60.
  18. È possibile documentare la sua presenza nel comune di Bilbao quando fu sindaco José Félix de Lequerica: Composición del ayuntamiento de Bilbao 19.08.1938-29.03.1939, (visto il 03 agosto 2021), e al governo dell’Athletic già nello stesso 1937, v. Félix Martialay, El fútbol en la guerra. III: Federaciones regionales Guipuzcoana, Navarra y Vizcaína, Madrid, 2017, p. 488, libro che contiene una miniera di dati in una cornice interpretativa che è una insopportabile apologia del franchismo.
  19. Il fermento della vita letteraria spagnola e i rapporti di amicizia tra autori e autrici che la guerra avrebbe separato per sempre è stato magistralmente descritto da Andrés Trapiello, Las armas y las letras. Literatura y guerra civil, Destino, Barcelona, 2010.
  20. Si veda la voce dell’enciclopedia basca Auñamendi, visto il 03 agosto 2021.
  21. Moro Aguayo, San Mamés, p. 208.
  22. Alfonso era figlio del terzo presidente dell’Athletic (1903-1906), Enrique González Careaga, morto in Messico quel medesimo anno. Rappresaglie simili continuarono anche nei mesi successivi v. Carmelo Landa Montenegro, Bilbao, 4 de enero de 1937: memoria de una matanza en la Euskadi autónoma durante la Guerra Civil española, in “Bidebarrieta”, 18, 2007, pp. 79-115.
  23. Le vicende di questi due prigionieri del nuovo Stato nacional-católico in I. Gorriti, El Athletic en la cárcel de Sevilla e, per il caso di Ispizua, liberato a condizione di firmare come nuovo giocatore del Real Valladolid: José Luis de Ispizua, cambió la cárcel por el Valladolid, visto il 04 agosto 2021.
  24. La sua storia è stata ricordata dal quotidiano inglese “The Independent”: I. Herbert, A Spanish refugee boy 78 years ago blazed the trail for David Silva and Cesc Fabregas, visto il 04 agosto 2021.
  25. Ángel Iturriaga, Diccionario de jugadores del Athletic Club, Siníndice editorial, Logroño, 2017, p. 22 (Alberdi) e p. 165 (Mandaluniz). Per Belausteguigoitia, conosciuto anche come Belauste, militante nazionalista radicale del partito Azione Nazionalista Basca (ANV), i problemi politici iniziarono già nel 1922 dopo aver urlato “Muoia Spagna!”, e il suo successivo espatrio in Francia. Mitico giocatore agli albori della nazionale spagnola finì i suoi giorni esule in Messico v. Alberto Bacigalupe, Belauste: el caballero de la furia, Muelle de Uribitarte, Bilbao, 2008.
  26. Per le partite a Mosca v. Robert Edelman, Spartak Moscow. A history of the people’s team in the worker’s state, Cornell University Press, Ithaca and London, 2009, pp. 104-109.
  27. Molinelli, Euzkadi, pp. 62-64.
  28. Alfredo Relaño, Memorias en Blanco y Negro. Historias del deporte en los tiempos del Nodo, Córner, Madrid, 2015, pp. 231-233.
  29. Carlos Aiestaran Álvarez, El largo periplo de la Selección Vasca de Fútbol, su participación en la Liga Mayor de México D.F. en la temporada 1938-1939 y su disolución, in “Cuadernos de Fútbol”, 115, 2019, pp. 2-3.
  30. Jacinto Quincoces, nato a Barakaldo, a poca distanza della Santurce natale di Gorostiza, fu invece uno dei giocatori più importanti del Real Madrid prima e dopo la guerra civile, quando la squadra subì pesanti trasformazioni per colpa della dittatura: Eduardo González Calleja, Le Real Madrid, “équipe du régime”? Footballa et enjeux politiques pendant la dictature de Franco, in Le football dans nos sociétés. Une culture populaire 1914-1998, Autrement, Paris, 2006, pp. 65-81.
  31. «Yo no sirvo para pasar la mano por el lomo, porque la mano he pasado cuando he tenido que dar la cara en la guerra, y he sido voluntario […] tuve una ferretería y llegó la guerra, la guerra nuestra, llamémosla así, donde tuvimos que defender lo que tuvimos que defender y tuve que dejar todo para ir al frente. Me fui a un tercio de requetés, como voluntario, como otro hermano voluntario… otro hermano también voluntario, lo fui a buscar allí… cerca de Teruel… y me fui a aviación… en fin… Éramos cuatro y los cuatro estábamos en tierra, mar y aire: dos en tierra, uno en el aire que se quedó en tierra con 20 años en Villanueva de Córdoba…. mi hermano José Manuel, que es lo que más tengo clavado en mi vida de la guerra.» Il frammento che riguarda Gorostiza nel film di Summers qui: Guillermo Gorostiza – Bala Roja, visto il 04 agosto 2021.
  32. Abdón Mateas, Los republicanos españoles en el México cardenista, in “Ayer”, 47, 2002, pp. 103-128.
  33. Gerson Alfredo Zamora Perusquía, El equipo de fútbol Euzkadi en México (1937-1939), tesi di laurea, Universidad Autónoma de México, 2010, pp. 135-156.
  34. Per la scheda di Iraragorri come allenatore dell’Athletic, v. Entrenadores Athletic Club, visto il 05 agosto 2021.
  35. Igor Santos Salazar, Eva Duarte, Zarra y una copa en Bilbao, in “Los otros 18”, 9 maggio 2019, visto il 05 agosto 2021.
  36. Paul Preston, El holocausto español. Odio y exterminio en la Guerra Civil y después, Debate, Barcelona, 2017.
  37. Gisèle Halimi, Le procés de Burgos, Gallimard, Paris, 1971. Per il Frap si v. ora Gaizka Fernández Soldevilla, El terrorismo en España. De Eta al Dáesh, Cátedra, Barcelona, 2021.
  38. Mariano Sánchez Soler, La transición sangrienta. Una historia violenta del proceso democrático en España (1975-1983), Península, Madrid, 2010.
  39. La squadra è proprietà dei suoi soci, non è una società anonima per azioni e non appartiene a nessun ricco fondo d’investimento o proprietario uscito dal ranking “Forbes”.
  40. L’inizio dell’inno indica “come sei nato dal popolo il popolo ti ama” (herritik sortu zinelako maite zaitu herriak…). Abbiamo visto quanto oligarchica fosse la prima storia del club.
  41. Fernández Soldevilla, El terrorismo, pp. 161-165. Le criminali azioni di guerra sucia condotte da questo gruppo paramilitare, spesso sostenuto da altissimi ufficiali delle forze di sicurezza spagnole e dello stesso governo, furono compiute tra 1983 e 1987. Più di sessanta persone furono assassinate, molte delle quali senza nessun tipo di relazione con l’Eta né con il suo braccio politico. Non tutti i responsabili di questa folle attività criminale (a prescindere dell’obiettivo dei loro atti) sono stati puniti.
  42. Il minuto di silenzio fu introdotto per volontà della Junta Directiva presieduta dal’avvocato Fernando García Macua (Bilbao, 1963), primo governo del club nell’epoca democratica lontano dal PNV. Il silenzio non fu rispettato da un numero indeterminato di tifosi della squadra basca, vicini al mondo radicale: San Mamés rompe el primer minuto de silencio por una víctima de ETA, visto 3 agosto 2021.
  43. Molto significative, da questo punto di vista, le dichiarazioni di Maddalen Iriarte, portavoce nel parlamento basco di EH Bildu (erede politico di Herri Batasuna): “il danno causato dall’Eta è stato riconosciuto; che fosse o no ingiusto dipende da ogni narrazione”, in “El Correo”, 21 gennaio 2021. Sullo storytelling in politica, v. Marco Cacciotto, Storytelling e politica. Un binomio vincente?, in Comunicazione politica, 3 (2011), pp. 343-364.

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