Bibliomanie

La rappresentazione del fenomeno mafioso nei media italiani e francesi dopo le stragi di mafia del 1992
di , numero 55, giugno 2023, Saggi e Studi, DOI

La rappresentazione del fenomeno mafioso nei media italiani e francesi dopo le stragi di mafia del 1992
Come citare questo articolo:
Grazia Enerina Pisano, La rappresentazione del fenomeno mafioso nei media italiani e francesi dopo le stragi di mafia del 1992, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 55, no. 8, giugno 2023, doi:10.48276/issn.2280-8833.10481

1. Introduzione
Nel corso dei secoli gli avvenimenti legati alle mafie sono stati raccontati in maniera differente: immagini alle volte eroicizzate o martirizzate di vittime innocenti si sono spesso affiancate a quelle stereotipate delle mafie e dei mafiosi, diffuse dai media tradizionali – e non – e poi penetrate all’interno dell’immaginario collettivo.
Fortemente influenzato da film e romanzi che «hanno contribuito a conferire alla mafia un’aura di sinistro splendore»1 – paradigmatico è il caso del film “Il Padrino” di Francis Coppola2 -, come scrive lo storico Marcello Ravveduto, l’immaginario delle mafie «è stato a lungo un racconto di un ectoplasma»: un’ombra che prende «consistenza» grazie allo specchiarsi nei media che, in un continuo di «rifrazioni e rimbalzi tra specchi diversi, costruiscono l’immaginario collettivo.3» In questo contesto, nel «circuito autoreferenziale dei media», riprendendo l’antropologo Benedict Anderson, Ravveduto sottolinea come, anche nel caso della narrazione delle mafie, si sia di fronte a una «comunità immaginata» in cui gli «spettatori non conosceranno mai personalmente un mafioso eppure, nella loro mente, l’immagine delle mafie è più che reale.»4
Da qui, dall’importanza dei media nella narrazione e rappresentazione delle mafie – e nella successiva costruzione dell’immaginario collettivo – nasce l’idea di questo saggio tratto dal mio lavoro di tesi magistrale sulla «Rappresentazione e percezione del fenomeno mafioso in Francia», nel quale ho avuto modo di constatare come, nei giorni successivi ai principali avvenimenti legati alle mafie, la loro rappresentazione e narrazione si rivelino da un lato varie e diversificate, dall’altro perennemente contraddistinte da topoi ricorrenti.
Emblematici sono i casi della «loi du silence» e dell’«omertà» che nei media francesi diventano dei veri e propri leitmotiv fin dalla Strage di Ciaculli, avvenuta a Palermo il 30 giugno 19635. Diametralmente opposta è, invece, la definizione delle mafie come «holding du crime», apparsa sul quotidiano francese “Le Monde” nei giorni successivi all’omicidio del generale Dalla Chiesa, nel settembre 1982. Tra le pagine dei giornali francesi la narrazione si polarizza, da un lato, intorno ad analisi dettagliate delle mafie e delle loro attività6, dall’altro al cinismo nei confronti dello Stato e della popolazione italiana. Esemplificativo è il caso del racconto dell’inizio del Maxiprocesso del 1986, in una Palermo descritta come «absente [qui] une fois de plus, n’a rien voulu savoir. Rien voir. Rien entendre»7.
Fino al 1992 la mafia viene principalmente raccontata dai media francesi come un fenomeno tipicamente italiano, figlio di una determinata mentalità italiana e di uno Stato, italiano8. Soltanto dopo le Stragi di Capaci e Via D’Amelio questa comincia a essere percepita come una questione globale capace di interessare tutti i Paesi, Francia compresa9. Da parte dei giornali e telegiornali francesi si assiste così a un progressivo abbandono di quei cliché che, per decenni, avevano descritto le mafie come onnipotenti10, la popolazione come connivente11 e lo Stato come assente12.
All’interno di questo panorama narrativo il 1992 si rivela essere un «anno-cerniera»13, sia per la storia dell’Italia repubblicana, che per il cambio di prospettiva adottato dai media francesi nel racconto degli avvenimenti legati alle mafie.
Come cambia la rappresentazione del fenomeno mafioso nei giornali e telegiornali francesi dopo le Stragi di mafia del 1992? Cosa raccontano, invece, quelli italiani?
La scelta delle fonti è stata condizionata dagli indici di diffusione su scala nazionale nel periodo analizzato. Per quanto riguarda la Francia, a causa delle statistiche di lettura fornite dal libro “Histoire de la presse en France, XX- XXI siècles” (2016) degli storici Christian Delporte, Claire Blandin e François Robinet, si è ritenuto opportuno consultare i giornali “France Soir”14, “Le Figaro”15 e “Le Monde”16. Per l’Italia, la scelta è ricaduta sui tre principali quotidiani, il “Corriere della Sera”17, “La Repubblica”18 e “La Stampa”19, e i telegiornali del servizio pubblico (per quanto reperibili negli archivi)20.

2. 1992, «Anno cerniera»
Il 1992 è stato un anno cruciale per la storia dell’Italia, capace di mettere «in causa i fondamenti basilari dello Stato di diritto»21: è l’anno dell’inchiesta “Mani pulite” che, avviata dalla magistratura milanese, travolge i partiti tradizionali22. È l’anno dell’instabilità politica e dell’elezione del democristiano Oscar Luigi Scalfaro alla presidenza della Repubblica, il 25 maggio 1992 dopo un mese di vuoto istituzionale23. Infine, è l’anno della violenza mafiosa e delle Stragi di Capaci e Via D’Amelio, rispettivamente contro i giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli agenti delle scorte, a seguito della sentenza finale della Corte di Cassazione sul Maxiprocesso (30 gennaio 1992)24.
Dopo la nomina nel 1991 di Falcone a Direttore generale degli affari penali al ministero di Grazia e Giustizia25, dopo l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti (9 agosto 1991) – rappresentante dell’accusa davanti alla Cassazione26 – e quello dell’onorevole Salvo Lima (12 marzo 1992) – che «aveva perso il suo ruolo di mediatore e garante degli equilibri tra mafia e politica»27 -, il 23 maggio è la volta della Strage di Capaci. In un clima di aperto contrasto tra Stato e mafia, in un’esplosione sull’autostrada che dall’aeroporto di Punta Raisi porta a Palermo, nell’omonima località vengono uccisi da Cosa nostra i giudici Giovanni Falcone, Francesca Morvillo (sua moglie) e gli uomini della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
«57 giorni dopo la Strage di Capaci» è il turno di Paolo Borsellino, procuratore aggiunto di Palermo, parte del pool antimafia e organizzatore del Maxiprocesso insieme a Falcone, del quale raccolse l’eredità dopo la Strage28. Il 19 luglio 1992, un’autobomba imbottita di tritolo scoppia davanti alla casa della madre di Borsellino in Via D’Amelio a Palermo, mentre il giudice si era recato a farle visita: insieme a lui muoiono gli agenti della scorta Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi29, prima donna della Polizia di Stato uccisa in servizio.
Con le Stragi di Capaci e Via D’Amelio, preoccupata per la propria esistenza dopo la sentenza della Cassazione, Cosa nostra inaugura «la strategia del terrore30» in un attacco frontale allo Stato e ai suoi funzionari.
Come in passato per la Strage di Ciaculli (1963) e per gli omicidi del segretario del Pci, Pio La Torre, e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (1982), i media francesi dedicano particolare rilievo alla notizia delle Stragi di Palermo. In quest’occasione però, molti dei leitmotiv propri della narrazione francese precedente cominciano a essere prima modificati e poi ribaltati. A tal proposito, si rivela interessante analizzare le differenze – ma soprattutto le somiglianze – che intercorrono all’interno dei principali media francesi e italiani.

3. Il primo racconto dei media
Considerata la natura dei fatti, i media nostrani conferiscono maggior rilievo alla notizia rispetto a quelli francesi, nei quali questa è comunque presente dal 24 al 29 maggio (per quanto riguarda la Strage di Capaci) e dal 19 al 24 luglio (per quella di Via D’Amelio).
Per la prima volta, nonostante lo scetticismo nei confronti della politica italiana, i media francesi “discolpano” la popolazione siciliana – e italiana – dall’accusa di “connivenza” con la mafia. I cittadini che, in occasione dell’omicidio del generale Dalla Chiesa, avevano dichiarato: «Nous ne savons rien. […] Ici, d’ailleurs tout va bien, on mange et boit et nous ne pouvons rien faire», e la Palermo che «[semblait] saisie de léthargie»31 lasciano il posto a una città che si mobilita in una «résistance civile contre la Mafia.32»
Diverso è il caso dei giornali italiani che focalizzano la propria attenzione sulle opinioni e sui commenti di politici, magistrati, ministri, cardinali e familiari delle vittime.
In occasione della Strage di Capaci, tra editoriali e cronistorie, i media italiani lasciano la parola al presidente del Senato, Giovanni Spadolini, che in pieno vuoto istituzionale dichiara: «C’è un’ansia di Stato, di legalità»33; all’onorevole Bettino Craxi che afferma: «La mafia colpisce ancora una volta lo Stato, lo sfida e lo sconfigge»34; e al ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli, che accusa il Consiglio superiore della magistratura di aver calunniato Falcone35. Vengono riportate le dichiarazioni dell’intellettuale Norberto Bobbio – che rivela di «vergognarsi di essere italiano»36 -, dello scrittore Gesualdo Bufalino – che definisce la Sicilia come una «terra dannata»37 – e di Rita Bartoli, moglie del magistrato Gaetano Costa38, secondo la quale anche l’omicidio di Falcone rimarrà impunito39 come quello del marito40. Dopo l’omelia del cardinale Pappalardo41, viene ricostruito nel dettaglio l’intervento della vedova Rosaria Costa, diventata il nuovo simbolo dell’antimafia in occasione dei funerali di Stato per le vittime di Capaci42.
Allo stesso modo, anche per la Strage di Via D’Amelio, vengono riportati tutti i punti di vista di personalità più o meno coinvolte e vicine alle vittime. Dopo le dichiarazioni del neoeletto presidente della Repubblica Scalfaro che invoca una «nuova resistenza»43, nel corso delle differenti edizioni la parola passa ai giudici Antonino Caponnetto44 e Giuseppe Ayala – «l’ultimo dei tre […] moschettieri dell’antimafia»45 – secondo il quale «non resteranno inutili i sacrifici di Giovanni, di Francesca, di Paolo e di otto agenti di scorta.46»
In questo continuo alternarsi di commenti, i media italiani dedicano ampio spazio alle reciproche accuse tra politici, magistrati e avvocati: mentre questi ultimi scioperano contro il decreto antimafia Scotti-Martelli (precedentemente approvato l’8 giugno 1992 e poi ampliato nei giorni successivi alla Strage di Via D’Amelio)47, molti giudici si dimettono e gli agenti delle scorte protestano per essere stati ridotti a «carne da macello»48. Il parlamentare leghista Gianfranco Miglio dichiara: «Via lo Stato dalla Sicilia»49 e non si fa attendere la risposta di Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso: «Miglio, prego per lei»50. Le reciproche accuse di connivenza con la mafia tra l’onorevole Giulio Andreotti e il sindaco di Palermo Leoluca Orlando si rivelano sintomatiche del clima di fazionismo italiano51.
Sui media nostrani non mancano le dichiarazioni e le interviste di amici e familiari che, con toni drammatici, vengono minuziosamente riportate. È il caso di Antonino Caponnetto che, allontanando il microfono del “Tg1”, si chiude nel suo silenzio, incapace di fornire alcuna dichiarazione52; di Maria Falcone, sorella del giudice che rivolge un “j’accuse” al Consiglio superiore della Magistratura per la morte del fratello53; dei familiari di Emanuela Loi che accusano lo Stato di aver «mandato la figlia verso la morte»54; di Agnese Piraino Leto, moglie di Paolo Borsellino che, dopo aver rifiutato i funerali di Stato affinché «il lutto autentico non venga mischiato alle frasi di circostanza», appare «devastata» in mezzo ai figli55: «Fiammetta è in bianco, Lucia in beige, Manfredi in grigio. Il nero è morte, loro hanno deciso di lottare», questa la descrizione fortemente icastica pubblicata su “La Repubblica”56.
I toni utilizzati dai quotidiani italiani si rivelano ricchi di pathos e contraddistinti da una forte drammaticità: emblematici il racconto della storia d’amore tra Morvillo e Falcone pubblicato sul “Corriere della Sera”57 e la cronistoria del ritorno a casa di Fiammetta Borsellino58, la figlia del giudice, che insieme al fratello Manfredi diviene il simbolo della ripartenza di Palermo e della società civile. «Mio padre amava questa città. […] Noi, malgrado tutto, non possiamo e non dobbiamo gettare la spugna», queste le parole di Manfredi in uno dei tantissimi editoriali de “La Repubblica”59.

4. «Vittime, eroi o martiri?»
L’attenzione conferita dai media italiani e francesi ai dettagli, alla vita quotidiana e alla caratterizzazione delle persone vicine alle vittime si rivela sintomatica di quel processo di umanizzazione ed “eroicizzazione” esplicitato da Deborah Puccio-Den nel saggio “Victimes, héros ou martyrs?”.
L’antropologa evidenzia come, nel caso del magistrato Falcone, tale processo inizi fin dagli istanti successivi all’omicidio, quando moltissimi cittadini cominciano a recarsi, come in processione, nei pressi della casa dei due giudici per confermare la loro adesione alla lotta alle mafie. Sul luogo, ai piedi dell’albero immediatamente ribattezzato “Albero Falcone”, vengono deposti regali, fiori, fotografie, lettere e disegni: piccoli doni che, secondo Puccio-Den, escono dalla «sfera intima» per diventare «spazio pubblico». L’albero si trasforma così in un «altare civico», contribuendo alla «costruzione simbolica della metamorfosi di un giudice in santo»: come scrive l’autrice, proprio come i santi votarono la loro esistenza a Dio, anche Falcone consacra la propria vita alla lotta alle mafie morendo, in un «sacrificio per lo Stato», da «martire.60»
Questo “sacrificio”, insieme alla trasformazione della magnolia in un vero e proprio luogo di pellegrinaggio e in «uno dei sempre più numerosi e […] invincibili simboli della lotta alla mafia»61, viene raccontato con toni fortemente drammatici e analisi molto simili sia dai media francesi che italiani. Come era stato per il generale Dalla Chiesa nel 198262, anche Falcone viene presentato da “Le Monde” come un «un serviteur de l’État en terre infidèle»63: uno di quei «servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere», come scrive il “Corriere della Sera” riprendendo le parole dello stesso giudice. «Eroe? No, siciliano come loro»64: «forse l’unico vero uomo d’onore che la Sicilia abbia mai avuto»65, queste le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta che, nei giorni successivi al 23 maggio, rievocano una mentalità e un lessico fortemente mafiosi66.
Ugualmente, anche l’omicidio di Borsellino e degli agenti delle scorte viene definito un «estremo sacrificio»67 che, riprendendo le parole di Caponnetto pubblicate su “La Stampa”, «dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi.»68 Come si legge sui quotidiani francesi e italiani, il giudice Borsellino – «l’héritier»69 di Falcone – diviene «un altro martire dello Stato.70» Il termine “martirio” rievoca esplicitamente il campo semantico religioso che si rivela essere il vero protagonista della narrazione francese e italiana nei giorni dei funerali di Stato di Falcone e Borsellino.
In quest’occasione, oltre agli agenti delle scorte presentati come «angeli custodi»71, anche la figura di Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani, si inscrive perfettamente all’interno di quel processo di «martirizzazione», «santificazione» ed «eroicizzazione» teorizzato da Puccio-Den. Sui quotidiani francesi e italiani, dopo la lettura del suo drammatico discorso – «Le pardon existe aussi pour vous, mais vous devez venir le demander à genou. Avec le courage de changer»72, queste le sue parole di fianco al cardinale Pappalardo – Costa viene descritta «con quel volto di madonna dolente, intenso e diafano»73 che rievoca «ces images pieuses que les familles des rues surpeuplées ou des campagnes misérables épinglent à la tête du lit»74. Trasformata in «sainte», viene definita come la «Jean D’Arc de Palerme»75, diventando il «simbolo della Sicilia che non vuole arrendersi, eppure non ci crede più.76»

5. La lotta alla Mafia al di là della realtà: tra crociate e guerre civili
Nei media francesi e italiani, i giudici diventano “martiri” e le vedove “sante”, mentre le Stragi vengono raccontate come l’«Apocalisse»77, l’operato della magistratura come «le chemin de croix de la justice»78 e la lotta alla mafia come «une croisade»79: una “crociata”, qualcosa che va aldilà delle capacità meramente umane sbarcando definitivamente nell’ambito dell’ultraterreno.
In un editoriale de “La Repubblica” sul funerale delle vittime di Capaci, mentre Rosaria Costa afferma «cose che suonerebbero giuste nella Chanson de Roland», Paolo Borsellino viene descritto come «un cavaliere antico che giura fedeltà di fronte al compagno caduto» e Ayala viene presentato «come una figura di El Greco.80» In questo caso, al lessico religioso si sostituiscono i toni epici che, ripercorrendo i grandi racconti mitici, raccontano la lotta alla mafia prima come una crociata e poi come un duello cavalleresco, ma sempre oltre la realtà umana.
Per quanto riguarda la scelta dei campi semantici utilizzati, data l’importanza delle parole nella costruzione del pensiero, è fondamentale sottolineare come, nei media analizzati – sia francesi che italiani – al campo semantico religioso si affianchi progressivamente quello bellico, che alla fine trasforma la lotta alla mafia in una “guerra”.
Come riportato dal quotidiano “La Repubblica”, nei giorni successivi alla Strage di Capaci, mentre l’allora ministro dell’Interno Vincenzo Scotti dichiara: «Siamo in guerra»81, il segretario nazionale del Siulp82, Antonino Lo Sciuto, invoca nuovi mezzi per «essere attrezzati: la guerra è guerra.83» Allo stesso modo, tra le pagine del giornale francese “Le Monde”, dopo la Strage di Via D’Amelio, si legge l’«appel au combat [car] la guerre s’était ouverte à Palerme84. Lo scetticismo per la vittoria è tangibile: in una guerra da sempre «impari» – come la definisce Ayala85 -, dieci anni dopo l’omicidio del generale Dalla Chiesa, Pino Arlachi si domanda: «Con la sconfitta netta e inequivocabile dello Stato e della società civile nella loro azione contro la Mafia, […] come faremo a spiegare […] che questa è una guerra che possiamo vincere?86» Una guerra che, come precisa “La Stampa”, non è «un’iperbole retorica.87» È interessante notare come, sebbene l’utilizzo del campo semantico bellico per il racconto di fatti legati alle mafie non si riveli essere una novità all’interno del panorama mediatico francese e italiano – una guerra «entre un État, l’Italie, et un contre-État, la Mafia»88, queste le parole della redazione di “France Soir” dopo la Strage di Via D’Amelio – tra le pagine dei quotidiani nostrani la guerra non viene più presentata come un contrasto tra due forze distinte e separate, ma come una «guerra civile […] contro ignoti.89»
In questo «scontro aperto fra italiani sullo stesso territorio nazionale», Palermo diventa lo scenario che vede «da una parte la violenza ripugnante della società mafiosa, dall’altra una Sicilia perfettamente europea, pulita, maggioritaria, […] così ben rappresentata dai siciliani Falcone, Borsellino e altri.90» Una Palermo che anche per i giornali francesi, sebbene ancora presentata come «la capitale mafieuse»91, a differenza dei decenni precedenti – quando regnava «la loi du silence» – si erge in una nuova mobilitazione civile92.

6. Una nuova resistenza
Il discrimine tra media francesi e italiani diventa palese nel racconto della società civile e nella descrizione del clima politico, istituzionale e civile nei giorni successivi alle stragi del 1992, quando lo scetticismo nei confronti della politica italiana viene affrontato con toni e analisi differenti.
In Italia viene pubblicato il lungo appello di Eugenio Scalfari alle istituzioni italiane, in Francia non mancano le dure accuse nei confronti della politica e dello Stato: mentre il direttore de “La Repubblica” scrive che «la Mafia si avvale delle […] lentezze partitocratiche, della debolezza delle istituzioni [mentre] il vuoto la favorisce»93, il quotidiano francese “France Soir” definisce il Parlamento italiano come «une cour de récréation.» Sebbene anche secondo i giornali italiani l’omicidio di Falcone «avrà per sempre mandanti senza volto»94, tra le pagine dei quotidiani nostrani, allo scetticismo si contrappone immediatamente la mobilitazione civile dei “lenzuoli bianchi”95, in una «Palermo [che] vuole giustizia»96.
Diverso è, invece, il caso del panorama mediatico francese dove “Le Monde” scrive: «À l’heure […] du futur grand marché européen, il serait temps ‘d’oublier Palerme’, dont les pratiques font singulièrement ‘retro’» e, in un paragone con la Colombia, precisa: «Il s’agit là de pays du Tiers-monde. Della stessa idea anche “Le Figaro” che, nonostante l’appello del presidente Spadolini a evitare il confronto tra Italia e Paesi sudamericani97, condanna in toto le istituzioni e i politici italiani98. Ancora una volta, nonostante la nuova presa di posizione della società civile – raccontata attraverso la volontà dei palermitani di «s’assurer que cette fois c’était vraiment la dernière»99 – Cosa nostra viene presentata dai media francesi in tutta la sua onnipotenza.
In questo caso è evidente come, fatta eccezione per la società civile (“discolpata” dall’accusa di collusione nei confronti della mafia), ritornino alcuni dei topoi propri della narrazione francese, analizzata dagli stessi giornali italiani nei giorni dopo le Stragi. “La Stampa” sottolinea come «a leggere i giornali francesi, […] bisogna munirsi di stoicismo [:] i colpi arrivano in massa, tanti da far male»100, “La Repubblica” e il “Corriere della Sera” riportano alcuni degli articoli pubblicati sui principali quotidiani internazionali: dall’“Independent” che parla di una nazione «disperata», al “Times” che racconta di un’Italia dove «nessuna regola delle giustizia è più garantita, con i sequestri nel Nord ricco, con la camorra e la mafia nel Sud.101»

7. L’analisi
Nei giorni successivi alle Stragi di Capaci e Via D’Amelio, i media italiani e francesi focalizzano la propria attenzione su dettagli differenti: da un lato i giornali e telegiornali francesi forniscono approfondite analisi sulle attività internazionali delle mafie, dall’altro quelli italiani riportano minuziosamente tutte le opinioni e ricostruiscono la biografia dei giudici – dai rapporti con i collaboratori di giustizia fino alla notizia del suicidio della testimone di giustizia Rita Atria, erroneamente definita da “La Repubblica” «una […] delle piccole collaboratrici […] “scoperte” da Paolo Emanuele Borsellino.102»
A differenza dei quotidiani italiani – dove gli approfondimenti su Cosa nostra, la sua struttura e più in generale le attività delle mafie sono relegati in brevissimi excursus -, su quelli francesi vengono problematizzati i rapporti tra mafie e territorio francese. Attraverso l’analisi delle infiltrazioni della criminalità organizzata in Francia «pour blanchir»103 il denaro all’interno dell’economia legale104, la mafia smette di essere considerata come circoscritta al solo territorio italiano e comincia a essere raccontata come un fenomeno transnazionale: «les mafiosi n’ont pas attendu l’avènement du marché unique de 1993 pour abolir la frontière entre la France et l’Italie»105, queste le parole di “France Soir”. Allo stesso modo, come si può leggere tra le pagine de “Le Figaro”, le mafie iniziano a essere ufficialmente percepite come «une menace […] pour tous les pays»106, non solo per l’Italia.
A tal proposito, è importante evidenziare come, proseguendo in questa direzione, anche nelle altre edizioni dei giorni successivi alle Stragi, “Le Figaro” cerchi di scardinare ufficialmente quell’immagine stereotipata di mafie e mafiosi che, per decenni, aveva relegato il fenomeno alla sola Italia. Il mafioso non è più raccontato come il “padrino” dell’omonimo film di Coppola, ma diventa l’uomo d’affari che si mimetizza all’interno dell’economia legale e dei mercati internazionali: «les parrains de Corleone ou leurs fils ont troqué leur vieille veste de velours et leur Borsalino pour le costume trois-pièces et le cigare de l’homme d’affaires»107, queste le parole de “Le Figaro” che descrive i nuovi mafiosi come «‘Golden Boys’ virtuoses de l’ordinateur qui gèrent les centaines de milliards amassées par la Mafia108

8. Conclusioni
Per concludere, è importante analizzare i toni e gli stili utilizzati dai differenti quotidiani e telegiornali italiani e francesi.
A differenza dei decenni precedenti quando, in occasione di fatti legati alle mafie, i servizi televisivi francesi si erano contraddistinti per i toni ricchi di pathos e le musiche incalzanti che rievocavano la colonna sonora del film “Il Padrino”109, dopo le Stragi del 1992, nonostante il ritorno di alcuni cliché propri della narrazione francese – dall’onnipotenza della mafia110 allo scetticismo nei confronti della politica italiana111 – una nuova prospettiva trova posto nella rappresentazione della mafia112.
Nel complesso, oltre i casi specifici, il racconto offerto da “Le Monde” si contraddistingue per le dure condanne verso la politica italiana e lo scetticismo nei confronti dello Stato113. “France Soir” fornisce una narrazione dettagliata e analitica. “Le Figaro” riprende, da un lato, alcuni dei soliti leitmotiv – che raccontano una mafia davanti alla quale regna un grande senso di impotenza e rassegnazione114-, dall’altro cerca di scardinare quell’immaginario collettivo ereditato da Hollywood. Dopo il 1992 vengono progressivamente abbandonante le narrazioni stereotipate dei decenni precedenti e, mentre i mafiosi lasciano le vesti de “Il Padrino” in favore di quelle degli uomini d’affari115, la mafia smette di essere considerata come «une vraie façon de se comporter» propria della popolazione siciliana116, cominciando a essere raccontata come un fenomeno globale117.
Diverso è, invece, il caso dei principali giornali e telegiornali italiani: i primi contraddistinti da differenti linee editoriali, i secondi da toni distaccati propri del giornalismo di cronaca.
In una narrazione che dedica particolare attenzione alle varie dichiarazioni, “La Repubblica” offre ai suoi lettori lunghi editoriali. “La Stampa” alterna la cronistoria dei fatti ad approfondimenti ricchi di pathos: emblematici gli articoli fortemente icastici del giornalista Paolo Guzzanti nei giorni successivi alla Strage di Via D’Amelio118. Il “Corriere della Sera” si distingue per i toni distaccati.
Per quanto riguarda il caso francese, è importante sottolineare come, nonostante il cambio di prospettiva e il progressivo abbandono di stereotipi sedimentati, anche dopo le Stragi del 1992 continuino a ritornare quei leitmotiv contraddistinti dalla disillusione e dal cinismo nei confronti dello Stato italiano. Emblematici si rivelano i giorni successivi all’arresto del boss Totò Riina, quando, fatta eccezione per le analisi del quotidiano “Libération”119, “Le Monde” definisce i festeggiamenti per la sua cattura come un «grand exercice d’exorcisme collectif»120 in «un État tenu trop longtemps en échec par un crime organisé qui a gangrené, peut-etre, les bases memes de ses institutions.121».
La rappresentazione mediatica francese delle mafie e dei mafiosi continua così a polarizzarsi tra approfondimenti e narrazioni stereotipate capaci di agire potentemente sulla percezione collettiva del fenomeno mafioso.
A tal proposito, sebbene secondo l’Ocp122 la Francia sia uno dei paesi più esposti alla presenza di gruppi criminali123, l’immaginario collettivo francese si rivela ancora oggi fortemente influenzato dai canoni del mondo hollywoodiano. In un divario con il mondo accademico – contraddistinto dalla pubblicazione di studi sulla storia, sulla natura e sugli sviluppi delle mafie all’interno delle società contemporanee (Francia compresa)124 -, secondo la ricercatrice Anne-Sophie Canto, queste sono ancora oggi percepite e raccontate dai media francesi come «una forma di delinquenza organizzata dannosa per la società civile, ma in proporzioni ancora contenute». Si tratta di «un’analogia all’italiana» di gruppi criminali che dilagano sul territorio, ma «cosparsa del mito – ancora molto vivo in Francia – di un Al Pacino dai capelli a spazzola». Secondo l’autrice, nei media francesi un’«aurea romantica» investe la mafia italiana e il suo racconto125.
Questo saggio si pone in aperto dialogo con il testo di Canto, uno dei pochi studi pubblicati sulla rappresentazione e percezione del fenomeno mafioso in Francia, capace di suscitare, con un focus incentrato sul giornalista Roberto Saviano, molteplici domande sulla narrazione mediatica francese delle mafie e dei mafiosi126.
Secondo la ricercatrice, «grazie a una serie di articoli pubblicati dal 2007 sulla stampa nazionale», in Francia Saviano è considerato una delle fonti più attendibili per la narrazione delle mafie: emblematici si rivelano gli articoli pubblicati nei giorni successivi agli arresti di Antonio Iovine e Michele Zagaria127 quando, sui maggiori quotidiani francesi, vengono riportati i suoi commenti128 e le sue analisi129. Negli ultimi anni la figura di Saviano, la potenza mediatica del suo romanzo “Gomorra” e il conseguente impatto sull’opinione pubblica sono diventati i protagonisti di numerosi studi accademici, italiani e stranieri, volti ad analizzare il rapporto tra media e immaginario collettivo: esemplificati si rivelano i testi di Marcello Ravveduto130, Giuliana Benvenuti131 e gli approfondimenti di Jane e Peter Schneider132.
In ogni caso, qualunque sia l’influenza – dal panorama hollywoodiano alle narrazioni che relegano il fenomeno mafioso alla sola Italia – come sottolinea Canto, è fondamentale analizzare la rappresentazione delle mafie per poterne comprendere la reale percezione prima nei media e poi all’interno dell’opinione pubblica133.

Note

  1. John Dickie, Cosa Nostra – Storia della mafia siciliana, Laterza, Roma, 2014, XXXIII.
  2. Emiliano Morreale, La mafia immaginaria: Settant’anni di Cosa Nostra al cinema (1949-2019), Donzelli Editore, Roma, 2020 pp.153-155.
  3. Marcello Ravveduto, Lo spettacolo della mafia – Storia di un immaginario tra realtà e finzione, Edizioni gruppo Abele, Torino, 2019, p.169.
  4. Ivi, pp.170-171.
  5. L’attentat meurtrier de Palerme, in “Ouest France”, 2 luglio 1963.
  6. Philippe Pons, La trahison de la bête provoque l’arrestation de cinqu cents membres de la Camorra in “Le Monde”, 19 e 20 giugno 1983, sezione “Étranger”.
  7. Claire Tréan, Un maigre public venu «seulement pour voir» in “Le Monde”, 12 febbraio 1986, p.7.
  8. Journal télévisé, su “Antenne 2”, h.13, 4 settembre 1982, disponibile su Hyperbase.
  9. Gèrard Nirascou, «La Mafia est impalante en France depuis longtemps» in “Le Figaro”, 27 maggio 1992, p.26.
  10. Philippe Pons, «Un meurtre préventif» in “Le Monde”, 7 settembre 1982, p.6.
  11. Les ravisseurs de Paul Getty III: peut-être des trafiquants de drogue, in “France Soir”, 18 dicembre 1973, p.4.
  12. Le journal de 20h, h.20, su “Antenne 2”, 1 settembre 1982
  13. Charlotte Moge, La mobilitasion antimafia de 1992 in Rivista di studi e ricerche sulla criminalità organizzata, Università degli Studi di Milano, 2016, Vol.2 (1), p.26.
  14. Nonostante la progressiva diminuzione di copie vendute, cessa di essere il primo quotidiano nazionale ma mantiene una posizione di rilievo all’interno del mondo della stampa francese, dopo “Le Figaro” e “Le Monde”.
  15. Nel 1994 registra 386 mila copie vendute, diventando il quotidiano francese per diffusione.
  16. Secondo quotidiano nazionale con 354mila copie vendute nel 1994.
  17. In perenne competizione con “La Repubblica”, alla fine degli anni Ottanta (1989) sfiora il milione di copie (Paolo Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Il Mulino, Bologna, 2000, p.289).
  18. Nel 1992 il quotidiano di Eugenio Scalfari sfiora le 700.000 copie (Mauro Forno, Informazione e potere. Storia del giornalismo italiano, Laterza, Roma-Bari, 2012, p.210).
  19. Sotto la direzione di Paolo Mieli, dal 1990 “La Stampa” conosce un forte rilancio, affermandosi come terzo quotidiano nazionale dopo il “Corriere della Sera” e “La Repubblica” (Paolo Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Il Mulino, Bologna, 2000, p.297).
  20. Si sottolinea a tal proposito l’impossibilità di prendere visione dei telegiornali non ancora digitalizzati e dunque non disponibili né online né all’interno del portale “TecheRai” consultato in data 09 febbraio 2023 presso la sede Rai di Bologna.
  21. Giuseppe Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-2007, Il Mulino, Bologna, 2012, pp. 510-513.
  22. Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto, Storia contemporanea – Dalla Grande Guerra a oggi, Editori Laterza, Roma-Bari, 2019, pp.501- 503.
  23. Ibidem.
  24. Alberto Perduca, La justice face à la Mafia en Italie in Les cahiers de la justice, Dalloz, 2013/2, (n°2), pp.89-100.
  25. John Dickie, Mafia Republic, Editori Laterza, Roma, 2014, p.359 .
  26. Alberto Perduca, La justice face à la Mafia en Italie in Les cahiers de la justice, Dalloz, 2013/2, (n°2), pp.89-100.
  27. Umberto Gentiloni Silveri, Storia dell’Italia contemporanea (1943-2019), Il Mulino, Bologna, pp.272-273.
  28. John Dickie, Mafia Republic, Editori Laterza, Roma, 2014, p.359.
  29. Ibidem.
  30. Deborah Puccio-Den, Victimes, héros ou martyrs? Les juges antimafia, Terrain, 51 | 2008, V 94-111.
  31. Philippe Pons, «Un meurtre préventif» in “Le Monde”, 7 settembre 1982, p.6.
  32. Danielle Rouard, «Lève-toi, Palerme», in “Le Monde”, 23 luglio 1992, p.1.
  33. La protesta è reale non va demonizzata, in “La Repubblica”, 26 maggio 1992.
  34. Tg1 notte, su “Rai 1”, 23 maggio 1992, archivio “Teca T92144/261”.
  35. Antonio Ravidà, Martelli al Csm, in “La Stampa”, 26 maggio 1992, p.1.
  36. Bobbio divide i senatori, in “La Stampa”, 26 maggio 1992, p.8.
  37. Umberto Rosso, Bufalino: «Ci salverà solo un’invasione..», in “La Repubblica”, 27 maggio 1992.
  38. Vittima innocente di mafia, assassinato a Palermo da Cosa nostra il 6 agosto 1980.
  39. Alessandra Longo e Alessandra Ziniti, «Falcone non avrà “giustizia”», il presagio della vedova Costa, in “La Repubblica”, 29 maggio 1992.
  40. Alfio Sciacca, Nessuno uccise Costa, in “Corriere della Sera”, 29 maggio, p.17.
  41. Alessandra Ziniti, E Pappalardo grida dall’altare: «Smascherate chi l’ha tradito», in “La Repubblica”, 26 maggio 1992.
  42. Una vedova: mafiosi inginocchiatevi e vi perdono, in “Corriere della Sera”, 26 maggio, p.1.
  43. Sandra Bonsanti, L’appello di Scalfaro: «Nuova resistenza», in “La Repubblica”, 23 luglio 1992.
  44. Francesco Viviano, «Paolo ti giuro, vinceremo», in “La Repubblica”, 25 luglio 1992.
  45. Paolo Guzzanti, Paolo, quel cadavere eri tu, in “La Stampa”, 21 luglio 1992, p.4.
  46. Antonino Caponnetto, Un fiore per un uomo solo, in “La Stampa”, 25 luglio 1992, p.1.
  47. Franco Coppola, Avvocati, lo sciopero va avanti, in “La Repubblica”, 25 luglio 1992.
  48. Paolo Guzzanti, «Noi, carne da macello nel mirino della Piovra», in “La Stampa, 26 luglio, p.5.
  49. Grida e insulti tra Lega e Dc, in “La Repubblica”, 25 luglio 1992.
  50. Miglio, prego per lei, in “La Stampa”, edizione del 28 luglio 1992, p.2.
  51. Giovanni Maria Bellu, Andreotti a Orlando: il mafioso sei tu, in “La Repubblica”, 25 luglio 1992.
  52. Tg1 notte, su “Rai1”, 23 maggio 1992, archivio “Teca T92144/261”.
  53. Laura Laurenzi, Al Csm il j’ accuse di Maria Falcone, in “La Repubblica”, 31 luglio 1992.
  54. Corrado Grandesso, Emanuela, ti hanno mandato verso la morte, in “La Stampa”, edizione del 21 luglio 1992, p.6,
  55. Francesco La Licata, «Ai funerali non vogliamo lo Stato», in “La Stampa”, edizione del 21 luglio 1992, p.3.
  56. Alessandra Longo, Ultimo atto d’ amore di una famiglia giusta, in “La Repubblica”, 25 luglio 1992.
  57. Felice Cavallaro, Francesca, fiaba di una moglie coraggio, in “Corriere della Sera”, 25 maggio p.6.
  58. Cesare Martinetti E la figlia del giudice non sa ancora niente, in “La Stampa”, 21 luglio 1992, p.3.
  59. Alessandra Longo, Ultimo atto d’ amore di una famiglia giusta, in “La Repubblica”, 25 luglio 1992.
  60. Deborah Puccio-Den, Victimes, héros ou martyrs? Les juges antimafia, Terrain, 51 | 2008, V 94-111.
  61. Mille braccia sorreggono Agnese, in “La Stampa”, 21 luglio 1992, p.7.
  62. Serviteur de l’Etat in “Le Monde”, edizione del 5 e 6 settembre 1982, p.1.
  63. «Un serviteur de l’Etat en terre infidèle», in “Le Monde”, 26 maggio 1992, p.3.
  64. Fabio Felicetti, «Eroe? No, siciliano come loro», in “Corriere della Sera”, 24 maggio p.3.
  65. Buscetta: «Onore al grande ex nemico» ,in “La Repubblica”, 26 maggio 1992.
  66. L’espressione “uomo d’onore” è utilizzata nel gergo mafioso in riferimento agli affiliati a Cosa nostra.
  67. Mario Pirani, Chi ha seminato veleno…, in “La Repubblica”, 21 luglio 1992.
  68. Antonino Caponnetto, Un fiore per un uomo solo, in “La Stampa”, 25 luglio 1992, p.1.
  69. Marie-Claude Decamps, «L’assassinat du auge Borsellino relance le débat sur la crédibilité de l’État» in “Le Monde”, 21 luglio 1992, p.3.
  70. Pantaleone Sergi, «Non è la superprocura l’obiettivo del massacro», in “La Repubblica”, 21 luglio 1992.
  71. Alessandra Ziniti, Accanto a lui fino all’ultimo il sacrificio degli angeli custodi, in “La Repubblica”, 24 maggio 1992.
  72. Pascal Cotuogno, Falcone: l’FBI veut traquer les mafiosi, in “France Soir”, 26 maggio 1992, p.6.
  73. Alessandra Longo, «Troverò io gli assassini del mio Vito», in “La Repubblica, 27 maggio 1992.
  74. Jean-François Crozier, Falcone: 150 millions pour un nom, in “France Soir”, terza edizione del 28 maggio 1992.
  75. Jean-François Crozier, Falcone: 150 millions pour un nom, in “France Soir”, terza edizione del 28 maggio 1992; o articolo di Alessandra Longo, «Troverò io gli assassini del mio Vito», in “La Repubblica, 27 maggio 1992.
  76. Giuseppe Zaccaria, «Mafiosi, vi perdono, ma inginocchiatevi», in “La Stampa”, 26 maggio 1992, p.9.
  77. Francesco Viviano, Un’altra catena umana per ricordare le 2 stragi, in “La Repubblica”, 24 luglio 1992.
  78. Un kamikaze incorruptible, in “Le Figaro”, 25 maggio 1992, p.38.
  79. Le FBI propose son aide in “France Soir”, 26 maggio 1992, p.1.
  80. Giorgio Bocca, Quelle facce di italiani onesti, in “La Repubblica”, 26 maggio 1992.
  81. Guido Gentili, Vogliono conquistare lo Stato, in “Corriere della Sera”, 25 maggio p.4.
  82. Sindacato italiano unitario lavoratori polizia.
  83. «La guerra è guerra, noi siamo disarmati e le scorte…», in “La Repubblica”, 26 maggio 1992.
  84. Marie-Claude Decamps, C’est la guerre, in “Le Monde”, 22 luglio 1992, p.3.
  85. Lucio Luca, «Caro fratello mio, mia dolce amica», in “La Repubblica”, 25 maggio 1992.
  86. Pino Arlacchi, Ma stiamo perdendo la guerra, in “La Repubblica”, 25 maggio 1992.
  87. Sergio Romano, Leggi di emergenza, in “La Stampa”, 20 luglio 1992, p.1.
  88. Pascal Cotuogno, Un avertissement aussi à la population qui s’était révoltée, in “France Soir”, terza edizione del 21 luglio 1992.
  89. Ferrara Giuliano, Un Paese in emergenza permanente, in “Corriere della Sera”, 25 maggio p.9.
  90. Giorgio Battistini, Stanno facendo a pezzi l’Italia, in “La Repubblica”, 24 luglio 1992.
  91. Jean-François Crozier, Falcone: 150 millions pour un nom, in “France Soir”, terza edizione del 28 maggio 1992.
  92. Ibidem.
  93. Eugenio Scalfari, Ai signori del Parlamento, in “La Repubblica”, 25 maggio 1992.
  94. Attilio Bolzoni, Un aereo per la strage, in “La Repubblica”, 25 maggio 1992.
  95. A proposito della mobilitazione civile e della nascita del “Comitato dei lenzuoli bianchi” nei giorni successivi alle Stragi del 1992 si suggerisce la lettura del saggio di Charlotte Moge, La mobilitasion antimafia de 1992, pubblicato sulla Rivista di studi e ricerche sulla criminalità organizzata nel 2016.
  96. Federico Geremicca, «Come un qualunque italiano chiedo giustizia», in “La Repubblica”, 27 maggio 1992.
  97. Marzio Breda, Contro il palazzo rabbia a Palermo, in “Corriere della Sera”, 25 maggio, p.3.
  98. Pourissement international, in “Le Figaro”, edizione del 26 maggio 1992, p.1.
  99. Le journal de 20h , h.20, su “TF1”, 24 luglio 1992, disponibile su Hyperbase.
  100. Enrico Benedetto, I francesi, in “La Stampa”, 27 maggio 1992, p.3.
  101. Maria Novella De Luca, Un paese allo sbando dove vince il crimine, in “La Repubblica”, 26 maggio 1992.
  102. Suicida una confidente di Borsellino, in “La Repubblica”, 28 luglio 1992.
  103. Trad. in italiano: «Per riciclare».
  104. Gèrard Nirascou, «La Mafia est impalante en France depuis longtemps» in “Le Figaro”, 27 maggio 1992, p.26.
  105. Trad. in italiano: «I mafiosi non hanno aspettato l’avvento del mercato unico del 1993 per abolire la frontiera tra Francia e Italia».
  106. Gèrard Nirascou, «La Mafia est impalante en France depuis longtemps» in “Le Figaro”, 27 maggio 1992, p.26.
  107. Francis Puyalte, Les dessous d’une multinationale, in “Le Figaro”, 27 maggio 1992, p.26.
  108. Ibidem.
  109. Le journal de 20h, h. 20, su “Antenne 2”, 11 settembre 1982.
  110. Le journal de 20h, h. 20, su Antenne 2, 21 luglio 1992, disponibile su Hyperbase .
  111. Le journal de 13h su Antenne 2, 20 luglio 1992, disponibile su Hyperbase.
  112. Journal de 20 heures, h.20, su “FR1”, 24 maggio 1992, disponibile su Hyperbase.
  113. Du crime mafieux au terrorisme, in “Le Monde”, 26 maggio 1992, p.1.
  114. Le long combat d’un mort vivant, in “France Soir”, 25 maggio 1992, p.7.
  115. Francis Puyalte, Les dessous d’une multinationale, in “Le Figaro”, 27 maggio 1992, p.26.
  116. Journal télévisé, h.13, su “Antenne 2”, 4 settembre 1982 disponibile su Hyperbase.
  117. Ibidem.
  118. Paolo Guzzanti, Da Borsellino, nella casa del dolore, in “La Stampa”, 23 luglio 1992, pp.1-2.
  119. La revanche postume du juge Falcone, in “Libération”, 17 gennaio 1993, p.4.
  120. Trad. in italiano: «Un grande esercizio di esorcismo collettivo».
  121. Ibidem.
  122. Organised crime portfolio, realizzato con il supporto della Commissione europea.
  123. Final Report of Project OCP – Organised crime portfolio, From illegal markets to legitimate businesses: the portfolio of organised crime in Europe, 2015.
  124. Emblematici gli studi dell’antropologa Deborah Puccio-Den e degli storici Marie-Anne Matard-Bonucci e Jacques De Saint Victor.
  125. Anne-Sophie Canto, L’evoluzione della percezione della mafia italiana e l’impatto di Saviano sulla stampa francese in Comparative Cultural Studies – European and Latin American Perspectives, 2023, 7(15), pp.85-96.
  126. Ivi, p.88.
  127. Esponenti del clan dei Casalesi, catturati rispettivamente il 17 novembre 2010 e il 7 dicembre 2011.
  128. Cyrille Louis e Richard Heuzé, Le chef de la Camorra napolitaine arrêté in “Le Figaro”, 19 novembre 2010.
  129. Philippe Ridet, La chute d’un chef mafieux, arrêté dans sa cave blindée in “Le Monde”, 10 dicembre 2011.
  130. Marcello Ravveduto, Lo spettacolo della mafia – Storia di un immaginario tra realtà e finzione, Edizioni gruppo Abele, Torino, 2019, p.169.
  131. Giuliana Benvenuti, Il brand Gomorra – Dal romanzo alla serie tv, Mulino, Bologna, 2017 p.135.
  132. Jane Schneider e Peter Schneider, Inside Italy’s Gomorrah in Anthropology Now, Vol. 2, No. 1, 2010, pp. 64-71.
  133. Anne-Sophie Canto, L’evoluzione della percezione della mafia italiana e l’impatto di Saviano sulla stampa francese in Comparative Cultural Studies – European and Latin American Perspectives, 2023, 7(15), pp.85-96.

tag: , , ,

Questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International. Copyright (c) 2023 Grazia Enerina Pisano