Bibliomanie

La Lega Nord e la reinvenzione dei miti identitari (1984-2010)
di , numero 49, giugno 2020, Saggi e Studi, DOI

La Lega Nord e la reinvenzione dei miti identitari (1984-2010)
Come citare questo articolo:
Filippo Cola, La Lega Nord e la reinvenzione dei miti identitari (1984-2010), «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 49, no. 7, giugno 2020, doi:10.48276/issn.2280-8833.4063

La nascita del sogno padano

«Noi, popoli della Padania, solennemente proclamiamo: la Padania è una Repubblica federale indipendente e sovrana. Noi offriamo, gli uni agli altri, a scambievole pegno, le nostre vite, le nostre fortune e il nostro sacro onore». Con questa celebre dichiarazione, il 15 settembre 1996, il segretario della Lega Nord Umberto Bossi proclama la secessione della Padania di fronte a centinaia di migliaia di militanti convenuti a Venezia nei pressi del «grande fiume». Con la caduta del primo governo Berlusconi materializzatasi il 17 gennaio 1995, la Lega Nord ristruttura la propria identità dirottando tutte le forze propagandistiche e organizzative verso la definitiva costruzione del disegno indipendentista1. Anche se priva di alcun valore legale nell’ordinamento giuridico italiano, la Padania si propone come un’entità politica indipendente, dotata di tutte le strutture e gli organi rappresentativi che costituiscono una nazione: nell’arco di due anni designa un parlamento, una bandiera, una capitale, un inno, una moneta, una Guardia Nazionale, dei comitati, dei sindacati, numerose associazioni, enti sportivi e organi di comunicazione che fanno vacillare l’iniziale scetticismo manifestato dall’opinione pubblica e dalle istituzioni politiche e religiose presenti nel suolo italiano.
Attraverso un’accurata conoscenza del tessuto sociale ed economico del territorio, il Carroccio riesce a gestire in modo proficuo la macchina comunicativa, definendo un sincretismo tra vecchie e nuove immagini provenienti da ambiti disgiunti che agevola la coesione fra i gruppi sociali e rafforza il concetto di comunità2: la costruzione identitaria poggia le sue basi su un complesso e articolato disegno teorico in cui compaiono riferimenti al celtismo, al mondo pagano, al mondo cristiano, alla mitologia fluviale e a un passato mitizzato.

La memoria collettiva nella narrazione leghista

La Lega Nord propone un nuovo racconto in un’epoca in cui il crollo delle grandi ideologie aveva creato un buco nella classe politica italiana: l’affermazione del Carroccio si verifica in concomitanza con alcuni eventi storici, come la caduta del muro di Berlino, nel quale cominciano a dissolversi gli ideali dell’egualitarismo socialista e il capitalismo finanziario inizia a mostrare il suo volto cinico3. Il partito di Bossi colma questo vuoto con una narrazione etno-regionalista che ha lo scopo di sopire il malcontento dei cittadini4: il progetto padano si configura attorno a dicotomie culturali ben definite («noi» contro «loro») e si avvale con regolarità della coppia oppositiva mediante la quale riesce a definire i connotati dell’«Altro», ovvero di colui che risulta estraneo alla semiosfera leghista5. Inoltre, il Carroccio costruisce attorno a sé un’immagine vittimistica nella quale il popolo padano risulta essere storicamente assediato e condizionato da forze politiche antagoniste. Per liberare l’orgoglio leghista, «soppresso dalla morsa della cappa centralistica»6, dai palchi dei comizi Umberto Bossi ricorre soventemente all’utilizzo di espressioni come: «La Lega nacque nel 1979 non tanto per fare storie, per fare chissà quale federalismo, nacque per la rabbia… perché capivamo che il nostro popolo sarebbe stato annientato dalla storia»7 […] «Siamo stanchi, oggi come otto secoli fa, stanchi di essere una terra di invasori, colpita prima dal Mezzogiorno e oggi dal Terzo Mondo»8. Il Carroccio evoca radici e tradizioni storiche per pianificare una presunta liberazione da un nemico che assume sembianze differenti a seconda della strategia politica proposta dal partito. Nella fase di costruzione dell’identità padana la Lega Nord evidenzia addirittura gli effetti che la colonizzazione romana avrebbe arrecato alle popolazioni preromane presenti nel territorio padano: questa critica viene alimentata per dimostrare i difetti congeniti alla storia del Paese e per favorire il processo di distaccamento dallo Stato «centralista» romano, propagatore di ozio e corruzione. Nel periodo secessionista, il partito e gli intellettuali che si prestano a questo ambizioso progetto, mediante un’attenta valorizzazione delle proprietà insite nella funzione narrativa, riescono a costituire un apparato simbolico-rituale-mitico che contribuisce a dar vita a una sorta di religione politica.
Il filosofo francese Paul Ricoeur, in «La Memoria, la storia, l’oblio», ricorda che sul piano più profondo, quello delle mediazioni storiche, attraverso la funzione narrativa la memoria viene incorporata alla costruzione dell’identità; le risorse di variazione offerte dal lavoro di configurazione narrativa, rendono possibile l’ideologizzazione della memoria e così come i personaggi del racconto sono costruiti in un intreccio insieme alla storia raccontata, allo stesso tempo la configurazione narrativa contribuisce a modellare l’identità e i contorni dell’azione dei protagonisti9.
Per divulgare il romanzo padano, la Lega Nord non attinge dalla storia, ma si appella piuttosto alla tradizione o alla memoria collettiva10: il Carroccio vuole presentarsi come forza nuova, ma al contempo si configura come forza antica, premoderna, costruendo un’identità legata più al mondo contadino e montanaro che a quello urbano, nonostante avesse un bacino elettorale proveniente dai luoghi più industrializzati del Paese11. Attraverso un continuo richiamo alle radici, alle tradizioni e alla naturalizzazione del proprio passato, il Carroccio tenta di ostentare la propria non-modernità e si distingue dai nazionalismi storici per aver conferito importanza ad una dimensione più tribale che nazionale12.
I teorici del progetto padano, la maggior parte dei quali si esprimono nelle pagine della rivista “Quaderni Padani”, riescono dunque a strutturare delle identità collettive attorno a riferimenti spazio-temporali che rinsaldano la memoria di un passato comune. La memoria rievoca eventi collocati in qualche punto nello spazio e sui «luoghi della memoria» l’identità proietta e trae la propria storia: come scrive Pierre Nora, i luoghi della memoria sono «siti» in cui condensare le immagini di un passato carico di significati13. I luoghi della memoria possono essere molteplici e possono essere reali, ispirati per esempio a eventi significativi come una battaglia, un eroe, un martirio, oppure possono essere inventati, prodotti da un’attività immaginativa del pensiero collettivo. L’autorità e il potere hanno bisogno di convogliare l’attenzione delle masse verso punti dello spazio nel quale si sono prodotti eventi ritenuti significativi per la comunità e per la sua identità: alcuni luoghi possono essere ritenuti originari, mentre fiumi, montagne e pianure possono essere considerati sacri14. Infine, ci possono essere dei luoghi che fungono letteralmente da luoghi di costruzione della memoria nel senso che hanno un potere politico che può produrre una rappresentazione pubblica dell’identità: in tal caso, questa può venire a coincidere con una manipolazione di oggetti, eventi e rappresentazioni mediante i quali si tenta di produrre un’identità che risulta essere «ufficiale» e che chiede dunque di essere ufficialmente riconosciuta15
. Gli autori dell’invenzione padana dimostrano di conoscere e padroneggiare le modalità e l’insieme di pratiche che concorrono a strutturare il processo identitario. La narrazione leghista sceglie abilmente dei simboli che posseggono un’eccedenza semantica che rende possibile una metamorfosi delle attribuzioni di significato: attraverso questa funzione, il Carroccio riesce a stabilire e generare connessioni con esperienze immaginali, mitiche ed emotive, capaci di trasferire nel contempo un contatto con fatti ed eventi significativi del passato16. Alberto da Giussano, il guerriero (probabilmente mai esistito) che guidò i comuni della Lega Lombarda nella storica battaglia di Legnano del 1176 contro Federico Barbarossa, viene scelto come rappresentate dei valori leghisti, della volontà di autonomismo e dell’opposizione al centralismo politico17; Pontida, località che avrebbe ospitato il giuramento e la conseguente nascita della Lega, diviene il «sacro suolo» dove il partito decide di svolgere un raduno annuale; il Sole delle Alpi di colore verde viene selezionato come simbolo della bandiera padana presentata nel 1996 in piena fase secessionista. Infine, il Po, che sancisce i confini territoriali della Padania, viene investito di una molteplicità di significati: esso viene utilizzato per collegare l’ideale celtico delle origini con una rappresentazione che può apparire territoriale e pagana allo stesso tempo18 e incarna dunque una fonte di memoria e sacralità, «la vera sorgente di vita della terra padana e delle sue genti di cui è il padre ancestrale»19.

3. L’invenzione della tradizione

I vessilli, i rituali e i miti hanno esercitato un peso notevole nella definizione dell’autorappresentazione della Padania che si fonda sull’uso strumentale del passato e sull’invenzione della tradizione: la Lega Nord si avvale di strumenti che adempiono funzioni teoriche e pratiche grazie alle quali riesce a originare una retorica adattata alla valorizzazione dell’autonomia, dell’identità, dell’autenticità. Sebbene la dimensione mitico-simbolica leghista manifesti interpretazioni controverse, in alcuni casi prive di un fondamento storico, riesce in ogni modo ad attirare l’attenzione di ampi settori della società italiana. Umberto Bossi imbastisce una campagna culturale funzionale ai principali obiettivi politici del partito: legittimazione localista, costruzione dell’identità padana, secessione e lotta fiscale. Il simbolismo e la ritualità vengono impiegati per demolire e rinnovare le liturgie politiche preesistenti: come confermano Cristina Demaria e Cecilia Gallotti, la Lega Nord non risponde alle attese sociali solamente con modalità negative e distruttive, ma lo fa anche in modo positivo e creativo con procedure simboliche che, per quanto possano essere deboli sul piano contenutistico, costituiscono comunque una condizione formale qualificante un contesto rituale efficace e non liturgico, caratterizzato dall’ufficialità, dalla cerimonialità, dalla convivialità e dalla dissacrazione alla quale si partecipa al tempo stesso con adesione e con distacco20. Il Carroccio combina insieme le procedure di sacralizzazione con elementi ludici e informali che rievocano un ordine simbolico popolare e quotidiano; le forme espressive scelte dal partito oscillano da un registro mistico-extraquotidiano, che richiama la «tradizione» padana, a un registro familiare-quotidiano che riprende la natura popolare caratteristica del sentimento di appartenenza della Lega Nord21.
Questa sorta di ingegneria sociale e culturale padana si è ispirata ai numerosi processi che hanno caratterizzato l’affermazione delle nazioni moderne: il testo, «L’invenzione della tradizione», curato da Eric J. Hobsbawm e Terence Ranger, dimostra come nazioni, antiche istituzioni e gruppi ideologici sono ricorsi all’utilizzo di un complesso insieme di procedure per adattare vecchi modelli a nuovi scopi o per cercare di legittimare la loro più recente storia22. Ad esempio, se si osserva il saggio di Prys Morgan intitolato «From a Death to a View: la caccia al passato gallese in epoca romantica»23, è possibile rilevare come alcuni elementi presenti nella ricostruzione della tradizione padana rievochino quelli selezionati dalla tradizione gallese: i più evidenti riguardano la riscoperta dei Celti, la «sacralizzazione» del paesaggio e la rivalutazione di antichi miti e cerimoniali. Lo storico britannico Hobsbawm, oltre a ricordare che l’aspetto della continuità con il passato generalmente risulta essere in larga misura fittizio, mette in luce due caratteristiche ricorrenti nei processi di invenzione della tradizione che sono ben evidenti nella narrazione padana: la prima riguarda l’utilizzo «quasi obbligatorio» della ripetitività, che risulta indispensabile per la costruzione di un passato proprio, mentre la seconda riguarda l’immutabilità, utilizzata per tentare di attribuire a qualche aspetto della vita sociale una struttura immobile24. Infine, secondo Hobsbawm, l’invenzione della tradizione si verifica più frequentemente quando una rapida trasformazione della società indebolisce o distrugge i modelli sociali ai quali si erano informate le «vecchie» tradizioni, producendone di nuovi ai quali queste non sono più applicabili; oppure quando le vecchie tradizioni, le loro carriere istituzionali e i loro promotori non si dimostrano più abbastanza adattabili o flessibili, o vengono comunque eliminati25. L’idea di costruire una nazione padana nasce proprio in condizioni analoghe a quelle menzionate dallo storico britannico: tra la fine degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, l’Italia viene scossa da profonde trasformazioni politiche che determinano inevitabili mutamenti sociali come la scomparsa di importanti subculture che per decenni si erano ramificate nel territorio26.

4. “Quaderni Padani”

La rivista storico-scientifica “Quaderni padani”, attiva dal 1995 al 2011, contiene e riassume il repertorio ideologico che è stato utilizzato per legittimare la storia, la tradizione, lo status dei popoli padani e per rafforzare la coesione sociale, i sistemi di valore e le convenzioni di comportamento. Pubblicata da “La libera compagnia padana”, la rivista viene ideata e diretta da Gilberto Oneto oltre che da Alberto E. Cantù e Gianfranco Miglio, l’ideologo più illustre e rappresentativo del leghismo a cui sono dedicati tre numeri monografici. “Quaderni Padani” ospita le riflessioni di più di duecento autori tra cui intellettuali, scrittori e giornalisti che approfittano della vetrina concessa dalla rivista per compiere ricerche storiche, approfondimenti politici e culturali o più semplicemente per esprimere il proprio parere in merito a una specifica materia; la rivista non segue fedelmente le direttive del partito, ma rappresenta piuttosto la tribuna che permette agli intellettuali di rendere note questioni politiche, storiche e culturali sino ad allora misconosciute dai lettori padani e scientificamente celate dalla cultura ufficiale che viene accusata di essere asservita alla politica unitarista italiana.
Gilberto Oneto, amico e collaboratore di Gianfranco Miglio, di cui raccolse l’eredità spirituale, rappresenta uno dei massimi esperti di cultura padanista e di storia dell’autonomismo e nell’arco della sua carriera ha pubblicato più di cinquanta opere, alcune legate alla sua attività professionale, architetto paesaggista, e atre dedicate alla ricerca della libertà dei popoli padani. Oneto, battezzato da molti come l’«anima» della rivista, si serve di “Quaderni Padani” non solo per sottolineare i «crimini» socioeconomici perpetrati dallo Stato italiano, ma anche per offrire spazio a dibattiti e proposte sulle seguenti questioni: secessione, riforma federalista, protesta fiscale, ruolo dell’Europa ed immigrazione. Durante i suoi sedici anni di attività, le tematiche affrontate da “Quaderni Padani” ricalcano l’evoluzione del partito nonostante i direttori della rivista non sempre hanno manifestato una piena condivisione delle scelte politiche del Carroccio. Ad eccezione dei numeri 81-82, 83, 84-85,86-87, pubblicati dal 2009 al 2011, tutti i numeri sono accomunati da costanti richiami a personaggi, luoghi, ricorrenze e festività del mondo padano. Analizzando i primi otto numeri, pubblicati nel 1995 e nel 1996, è possibile identificare la linea editoriale assunta dalla rivista che decide di conferire importanza quasi esclusivamente alla definizione dei tratti culturali e identitari della Padania e alle possibili forme amministrative: si concede rilevanza ad approfondimenti che spaziano dalla descrizione delle origini della lingua e dei confini dei popoli padani, all’analisi della «questione nazionale», dal recupero del celtismo padano, al racconto delle gesta del Re «padano» Liutprando, dall’analisi del tricolore italiano, al nazionalismo scozzese, dai criteri di autodeterminazione adottati da Paesi come il Québec e l’Irlanda del Nord, alla descrizione della bandiera padana, dalla conquista romana della Gallia cisalpina, alla toponomastica dell’area ligure, dall’analisi del comunismo in Italia sino allo studio dei significati del Sole delle Alpi.
In pieno periodo secessionista la rivista continua a recuperare storie e rituali che avevano la finalità di rafforzare l’immagine di una comunità etnica che non si era mai avvicinata così tanto al compimento del progetto indipendentista: in questa fase politica, i comizi del Carroccio abbondano di citazioni e rievocazioni storiche presenti nell’ immaginario costruito nelle pagine della rivista. I numeri 9-10-11-12-14 ospitano articoli sulla «cavalleria padana», sulla differenza tra la Padania di Sant’Ambrogio e quella moderna, sulle radici della cultura letteraria padana, sulle origini identitarie, sull’alfabeto Ogam della cultura celtica, sulla lingua arpitana, sull’unità etno-culturale e sull’identificazione degli antenati padani, sulla svalutazione di Garibaldi, sull’onomastica padana e sull’elogio del coraggio di Spartaco e di San Pellegrino dell’Alpe; il tredicesimo numero, introdotto dalle origini dell’ «oppressione toponomastica italiana», viene dedicato interamente al «vero» nome delle regioni padane (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Veneto, Lombardia, Trentino, Sud Tirolo, Friuli, Emilia, Romagna e altre comunità). I numeri successivi continuano l’esplorazione nelle civiltà celtiche, valorizzando leggende e storie romanzate diffuse principalmente in età medievale: particolarmente interessanti risultano i numeri 15 e 18, infatti, questi illustrano il valore della spiritualità celtica, del recupero della religiosità ancestrale e specificano i caratteri della Chiesa Padana. Il numero 22-23 costituisce invece uno «Speciale» sul rapporto tra Padania e islam: gli articoli pubblicati nel quinto anno di attività della rivista, ricostruiscono il ruolo della Padania nell’eterna lotta tra Europa ed Islam, l’operato del condottiero «padano» Raimondo Montecuccoli, il ruolo dei «padani» nelle crociate, il ruolo del Papa piemontese Pio V, il rapporto tra Chiesa cattolica e islam e soprattutto anticipa un tema caro al Carroccio, ovvero, le ragioni dell’incompatibilità per la difesa culturale dell’occidente. La narrazione padana continua ad essere arricchita da canti popolari, da studi sull’architettura e sull’ arte padana e da ricerche sulla sovranità popolare e sul diritto di autodeterminazione dei popoli; i numeri vengono intervallati da alcune edizioni speciali, come quelle dei numeri 43-44 e 45, le quali ospitano il dibattito sul ruolo dell’Europa27.
Tramontato il sogno indipendentista, la Lega Nord decide di rilanciare le ambizioni del Carroccio attraverso la proposta della devolution: la rivista non si fa trovare impreparata e a gennaio del 2005 pubblica uno «Speciale» (n. 57-58) riservato alla proposta federale, portando alla luce il caso della Scozia ed altri testi costituzionali di riferimento. Da questo momento in avanti la direzione decide di alternare gli approfondimenti sulla devolution e le ricerche storico-culturali in modo quasi regolare. Negli ultimi cinque numeri pubblicati tra il gennaio del 2009 e il novembre del 2010, la tematica dell’identità padana risulta essere pressoché assente: ad eccezione del n. 83, tutti gli altri numeri affrontano problematiche sociali e questioni fiscali (il n. 86-87 è uno «Speciale» intitolato «Tassazione, natura arbitraria ed effetti perversi») mentre l’ultimo numero viene dedicato al tema dell’immigrazione28.


5. Analisi della costruzione identitaria

La ricerca di maggiore autonomia e la successiva dichiarazione di indipendenza nascono da una ricostruzione storica nella quale la nazione padana viene chiaramente distinta dalla nazione italiana. Nel seguente articolo, Alberto Vitale esplicita quali sono i fattori che ne garantirebbero la veridicità:

«Essendo la Padania un’entità etnicamente omogenea (una “vera nazione”, in radicale contrasto con la “nazione italiana”, invenzione storica), perché caratterizzata da tradizioni storiche, abitudini, cultura (un principium individuationis delle etnie diverso dalla cultura è introvabile), lingue, modi di vita, istituti giuridici, geografia, economia comuni, dal punto di vista politico essa potrebbe oscillare fra l’opzione rappresentata dall’indipendenza politica e la ricerca di un sistema federale esteso all’intera penisola.29»

Nello stesso numero della rivista, pubblicato nel gennaio del 1996, Gilberto Oneto illustra i caratteri con i quali è possibile determinare i confini fisici ritenuti «oggettivi» ed «inconfutabili»:

«Gli elementi che determinano i confini fisici di una koiné come quella Padana, intesa come comunità etno-culturale e sociale che aspira ad istituzioni coerenti anche dal punto di vista delle suddivisioni territoriali, possono essere sintetizzati nei seguenti: i caratteri etno-linguistici, la storia, la geografia, i caratteri culturali e socioeconomici, la volontà popolare.30»

Oneto, inoltre, nella descrizione dei caratteri storici specifica che nell’ultimo millennio il perimetro padano si è dimostrato estremamente mutabile a causa di vicende umane che hanno determinato la formazione di comunità e confini politici che in precedenza non esistevano sull’arco alpino e avevano una certa consistenza solo sugli Appennini. Ciononostante, vengono riportati i luoghi nei quali il confine padano è rimasto immutato per lungo tempo:

«In particolare si può evidenziare che in due settori il confine padano è immutato da almeno mille anni: sul tratto alpino fra il Monte Rosa e il passo di Grìes (con l’eccezione del passo del Sempione) e nel tratto appenninico compreso fra l’Abetone e la Futa. Altri tratti che hanno superato i cinquecento anni di persistenza sono il crinale alpino fra il Colle della Maddalena e il Moncenisio, fra il Mont Dolent e il Rosa, fra il passo di Grìes, lo Stelvio e Riva del Garda (sulla linea Cevedale-Adamello-lago d’Idro), fra la Marmolada e il Tarvisio e – sul crinale appenninico – la linea Massa-Abetone, il tratto ad est della Futa e quello fra il Falterona, il Fumaiolo e oltre.31»

La demarcazione geografica dei confini padani viene invece calcolata attraverso l’identificazione di elementi naturali che rappresentano dei veri e propri spartiacque:

«Generalmente più facile risulta la determinazione dei confini geografici dell’area padana. Essi seguono tutto lo spartiacque alpino e quello dell’Appennino tosco-emiliano. Appena più complesso è il ragionamento che si deve fare per le aree di costa e di margine. Sulle Alpi Marittime il confine è generalmente fatto coincidere con il corso del Roia o del Varo (secondo una versione che risale addirittura all’81 a.C.) o con il loro spartiacque. Nella zona delle Alpi Apuane il confine è costituito dal Vara o dal suo spartiacque orientale, sulla costiera adriatica dal corso del Foglia o del più “classico” Esino (come in uso dal III secolo a.C.) o da ogni altro corso d’acqua fra essi compreso. Infine, sulle Alpi orientali il margine è generalmente fatto coincidere con lo spartiacque dell’Isonzo e del Timavo seguendo una linea assai incerta che porta fino al Quarnaro.32»

Anche le componenti etnico-linguistiche, socioculturali e religiose sarebbero dunque rintracciabili sulla base di «indagini scientifiche che non sono mutate nel tempo»:

«Forse gli abitanti della Padania non costituiscono quell’etnia monolitica cui faceva spesso riferimento Gianni Brera ma rappresentano pur sempre una comunità umana con un notevole bagaglio di elementi disuguaglianza interna e di differenziazione nei confronti dell’esterno. Per certo esistono numerosissimi punti di omogeneità etnica e linguistica. Il dato essenziale fa riferimento alle comuni origini di tutta la popolazione formata dai discendenti di Liguri, Veneti, Celti e Longobardi, le quattro stirpi che hanno contribuito in forma prioritaria e pressoché esclusiva alla formazione del comune patrimonio genetico dei padani. Si tratta di apporti che sono tuttora chiaramente rintracciabili sulla base di indagini scientifiche e che non sono molto mutate nel tempo, come hanno dimostrato gli studi di Luca Cavalli-Sforza sul substrato genetico e le considerazioni di Michele Corti sulla inconsistenza degli apporti esogeni rispetto al continuo rinsanguamento della Padania da parte delle zone alpine, abitate da popolazioni originarie non toccate da contaminazioni esterne. Questa persistenza genetica ha non poco contribuito a conservare e a costruire una tipologia fisica ricca di caratteri generali comuni appena variati da differenziazioni locali dovute alle diverse amalgame dei quattro gruppi iniziali.»33 […] «Piuttosto analogo è il discorso sulle lingue locali (che si collocano come ponte fra etnia e storia): la Padania è caratterizzata dalla presenza prevalente di lingue celto-romanze e in particolare dei loro gruppi gallo-italico (padano), veneto, friulano e ladino-romancio. Sulle Alpi questi vengono in contatto con altri gruppi celto-romanzi a occidente (arpitano e provenzale), con varie forme di lingue germaniche a nord, con lingue slave ad est e con lingue romanze meridionali a sud (toscano e italiano superiore o mediano).»34 […] «Una rapida annotazione meritano le considerazioni sulla religione, intesa come componente importante nella definizione dei limiti comunitari. Si tratta di un elemento che, nel caso specifico della Padania e dei suoi confini, non porta nessun elemento aggiuntivo giacché la Padania è quasi uniformemente cattolica (con le sole ragguardevoli eccezioni dei Valdesi e dei Riformati grigionesi) e confina solo con paesi di uguale fede35. Neppure la peculiarità del cattolicesimo padano (riconosciuta attraverso i riti Ambrosiano e Patriarchino) e la grande diffusione di movimenti eretici e riformisti in tutta l’area può aiutare a delineare dei confini specifici.36»

Tuttavia, esaminando con un approccio critico le fonti e le indagini che costituiscono le fondamenta di questa ricostruzione storica, vengono alla luce forzature ideologiche e manipolazioni storiche che attestano una mancanza di rigore scientifico e di cautela nelle valutazioni. Le più evidenti, rintracciabili nei numerosi articoli della rivista dedicati alla valorizzazione del legame celtico, riguardano la presunta struttura federale e l’individuazione di un unico nemico comune, utili per enfatizzare l’effetto antinomico con gli ascendenti italici, ma privi di vero riscontro storico. Ad esempio, se si osservano le modalità con le quali Gualtiero Ciola descrive i «veri antenati padani», identificati nei Liguri, nei Celto-Veneti e nei Longobardi, si potrà notare come il testo sia permeato da riferimenti provenienti da una dimensione mitica e da una tradizione in larga parte artefatta («i nonni celtici sono quelli più simpatici», «decisamente celtico è il gusto per la buona cucina e per il buon vino», etc…).

«Le comunità padano-alpine trovano infatti le loro radici dalla sovrapposizione dei cosiddetti popoli originari che si sono insediati e che hanno abitato la nostra terra. Questi possono essere raggruppati in tre famiglie principali. La prima è costituita dagli abitatori più antichi: ai primi di cui si ha sicura memoria di struttura comunitaria (che vengono chiamati Garalditani) si sono aggiunti popoli (Camuni, Liguri, Reti eccetera) che li hanno del tutto assimilati fino a perdere ogni differenziazione e a cui si fa più genericamente riferimento col nome di Liguri. La seconda famiglia è rappresentata dai cosiddetti Proto-Celti (Golasecchiani, Liguri celtizzati ecc etera), dai Veneti e dai Celti veri e propri. Per aspetto fisico, per costumi e cultura, tutti questi erano molto simili fra di loro al punto che i loro contemporanei non li distinguevano che per la lingua. Questa sostanziale identità di fondo è oggi provata dall’archeologia che mette anche in evidenza un alto grado di commistione insediativa fra questi diversi gruppi e le preesistenti popolazioni liguri. La terza è infine costituita dai popoli di stirpe germanica che sono giunti in Padania nel periodo compreso fra la liberazione da Roma e il IX secolo. Si tratta principalmente di Goti e di Longobardi ma anche di tutti quei gruppi che si sono associati ai flussi principali (sopra tutto a quello longobardo): Alemanni, Burgundi, Gepidi, Bulgari, Sarmati, Pannoni, Suebi, Noricani ecc etera. Piccoli gruppi di stirpi diverse (Umbri ed Etruschi) si erano affacciati in tempi più antichi sulla valle del Po ma con insediamenti così limitati per numero di persone e per estensione geografica che sono stati espulsi senza lasciare traccia concreta sul carattere delle nostre genti. Lo stesso si può dire di tutti gli apporti successivi che fino alle massicce immigrazioni del secondo dopo guerra hanno costituito fenomeni ininfluenti. Così si può, con sicurezza, affermare che noi oggi siamo gli eredi dei Liguri, dei Celto-Veneti e dei Longobardi. Questi gruppi di popoli hanno influenzato i nostri caratteri sociali, il nostro aspetto fisico e la nostra cultura e le differenze che oggi esistono all’interno della Padania sono il frutto di diversi dosaggi locali di questi tre ingredienti principali. Ma è soprattutto nella creazione del nostro immaginario collettivo più profondo e radicato che dobbiamo molto ai Celti. La religione che professa oggi la maggioranza dei Padani è in larga parte il risultato della cristianizzazione di antiche credenze celtiche (dalla Trinità, al culto della Vergine, dal rapporto col mondo dell’aldilà alle più famigliari iconografie dei Santi), quasi tutte le ricorrenze e le feste sono di origine celtica, i luoghi di culto più popolari, la struttura iconografica più radicata, la localizzazione degli insediamenti ci derivano dalla cultura celtica. Celtici sono il gusto per il colore, per la luce e per la decorazione che hanno caratterizzato l’arte padana per millenni, decisamente celtico è il gusto per la buona cucina e per il buon vino. Profondamente celtico è il rapporto sacrale con la natura, il rispetto per tutto ciò che c’è di magico negli alberi, nelle fonti, negli animali e nelle montagne ma anche nel mondo invisibile del “piccolo popolo”, di tutti gli esseri fatati che riempiono fiabe, credenze, immaginario collettivo e quotidianità. Dai Celti abbiamo ereditato l’amore per la letteratura fantastica, il culto per i nostri eroi veri, per i simboli che accompagnano la coscienza delle nostre genti dall’inizio del mondo e che sono sempre rimasti acquattati nel cuore dei popoli padano-alpini. Questo spiega la facilità e la naturalezza con le quali sono riaffiorati nella nostra quotidianità draghi, trisceli, soli delle Alpi e il piacere dei raduni comunitari pieni dicanti, di colore e di miti. Liguri, Celti (e i Veneti dai quali erano indistinguibili) e Longobardi sono i nostri nonni che amiamo e rispettiamo e a cui continuiamo incredibilmente a somigliare dopo tanti secoli. I nonni celti sono però quelli più simpatici, che ci raccontano un mondo di miti e di eroi, che ci descrivono visioni di libertà. Con la forza e la determinazione dei nonni Liguri e Longobardi dobbiamo trasformare questi sogni in realtà.37»

Il Carroccio, ispirandosi ai nazionalismi scozzesi, gallesi e irlandesi, attribuisce ai Celti una rilevanza differente rispetto agli altri antenati originari: per comprendere il motivo di questa scelta, bisogna osservare l’influenza che questa comunità ha avuto nella creazione dell’immaginario collettivo della Padania. Nel prato di Pontida, nelle manifestazioni e nelle cerimonie padane (La Festa dei popoli padani, il rito dell’ampolla etc…), il partito rievoca le credenze, i culti, le ricorrenze, le feste e l’iconografia di un popolo che è riuscito meglio di altri a demarcare le presunte divergenze culturali con gli italiani, eredi degli etruschi, dei greci e delle popolazioni italiche stanziate nel Mezzogiorno38. In conclusione, si possono rimarcare due componenti che contraddistinguono la natura della rivista: l’eterogeneità, offerta dalla vastità degli autori e delle tematiche affrontate, e la relativa inconsistenza che tale impianto culturale mostra nella sua integrità. Per cercare di esemplificare questa lettura, si menzionano due articoli, pubblicati entrambi nel decimo numero del marzo del 1997. Il primo, «Identità e tradizione» firmato da Massimo Centini, affronta la questione dei criteri metodologici impiegati nella rivalutazione delle culture minori: quest’ultime, oscurate dal Romanticismo e dai mass media, i due fattori che hanno favorito «l’esclusivo interesse per la cultura tradizionale», secondo l’autore andrebbero studiate ignorando le «suggestioni confuse che caratterizzano molti giudizi sulla cultura popolare», ma attenendosi piuttosto alle indicazioni e alle valutazioni di sociologi e antropologi come Durkheim, Boas e Radcliffe-Brown39. Il secondo, «L’identità della letteratura padana moderna e contemporanea» scritto da Andrea Rognoni, presenta invece delle interpretazioni che sembrano non tener conto della dovuta accortezza e del rigore scientifico evocati dal collega precedentemente. Rognoni, l’autore che più di tutti si è dedicato alla ricerca sulla letteratura padana all’interno della rivista, redige un elenco di elementi «distintivi» (la coscienza del ruolo giocato dal lavoro e dall’economia, il forte spirito educativo fondato sul recupero di alcuni valori morali e autenticamente religiosi, l’attenzione al particolare rapporto tra socialità e individualità e tra responsabilità del singolo e condizionamenti collettivi), i quali avrebbero influenzato scrittori e letterati padani sin dal Duecento e che li avrebbero pertanto differenziati dalla letteratura italica e toscana. Anche in questo caso tuttavia, le teorie avanzate dall’autore non sono supportate da sufficienti argomentazioni capaci di attestarne l’autenticità, ma al contrario tendono ad aumentarne il carattere arbitrario.

«Il Settecento si presenta come il secolo dei lumi in tutta Europa ma si configura soprattutto come il secolo del definitivo successo della cultura letteraria di marca padana L’illuminismo padano non ha bisogno di presentazioni: da Baretti a Verri, da Beccaria a Muratori e Gozzi, c’è una schiera di menti che nulla ha da invidiare ai francesi e agli inglesi. […] Alfieri, Parini e Goldoni sono la voce di una Padania europea, capace di sviscerare la profondità dei sentimenti umani, di denunciare in termini di grande poesia la negligenza dell’aristocrazia e i primi problemi ecologici, infine di rappresentare nel dialetto veneto la vivacità della nuova borghesia. […] L’Ottocento, secolo grandioso per la letteratura mondiale, rappresenta paradossalmente un periodo di stallo per la “padanità”. Il peso maggiore riguarda l’ossessione di alcuni letterati padani di costruire l’Italia a tutti i costi, col risultato di rifiltrare l’idioma gallo-italico con toscanismi e romanismi destinati a mio giudizio a compromettere la bellezza di alcune opere, per esempio degli stessi Promessi Sposi. Rileggiamoci allora Fermo e Lucia, così prealpino e lariano, vicino al cuore della gente, e scopriremo qualcosa di artisticamente più felice di quel romanzone che si legge a scuola, osannato dagli italici solo perché “decontaminato” dalla parlata padana. C’è pertanto un Manzoni padano che va riscoperto (si pensi anche alle lettere e a certi passi della Colonna infame) assieme a quel romanticismo filonazionale e toscofilo che presenta dietro le righe una non ancor bene valorizzata padanità. Ugo Foscolo respirò aria greca da piccino ma fu la Padania euganea a dargli l’ispirazione giusta per le Ultime Lettere di Jacopo Ortis. Il Foscolo maturo, poi, visse nell’area pavese e di pavesità sono impregnati i suoi saggi migliori. […] Diverse avanguardie letterarie sono fiorite soprattutto a nord degli Appennini, come crepuscolarismo e neorealismo ma soprattutto – ancora una volta – il passo migliore rispetto all’evoluzione del gusto letterario europeo è stato tenuto da autori padani. A nostro giudizio sono stati scritti negli ultimi cent’anni grandi romanzi d’ambientazione o ispirazione padana dall’emiliano Bacchelli (Il Mulino del Po), dal lombardo Gadda (La cognizione del dolore), dal triestino Svevo (La coscienza di Zeno), dal piemontese Eco (Il nome della rosa), da ligure Calvino (Il barone rampante) e dal veneto Parise (Il Prete bello). Si tratta di opere che rimarranno imperiture, a detta di molti critici ai vertici della letteratura di tutti i paesi e di tutti i tempi. Che cosa li accomuna? Molto di più di quanto voglia far credere chi sostiene che ogni regione d’Italia possiede una autonomia culturale indipendente dalla sua posizione spaziale. La cultura letteraria padana si riconosce attraverso un’attenzione particolare al rapporto tra socialità e individualità, tra responsabilità del singolo e condizionamenti collettivi, trattato con moduli più decisamente realistici o con spunti favolistici e metafisici (si pensi anche per quest’ultimo versante ad autori come Pavese, Buzzati, Arpino, Berto, Morselli e Sgorlon)[…] Montale, Campana, Saba, Sbarbaro, Rebora, Bertolucci e Sereni sono cantori della terra e del cielo, dell’ineffabile legame tra microcosmo e macrocosmo. Infine i poeti dialettali come Noventa, Loi, Guerra, Marin e molti altri, sono eroici salvatori di parlate altrimenti destinate a venir soffocate per sempre.40»

L’appropriazione dei simboli e dei miti della Lega medievale è in larga parte basata su una nozione romanticizzata della Lega che non risale a prima del XIX secolo. Non tutti gli elementi scelti dal Senatur risultano essere confacenti all’evocazione dell’alleanza comunale formata per contrastare Federico Barbarossa, ad esempio, la Lega medievale non portava avanti una battaglia comune per fondare uno stato lombardo separato, ma al contrario, cercava il riconoscimento delle «regalie», ovvero i costumi e i privilegi locali all’interno della struttura costituzionale del regno italico dominato dagli imperatori germanici; inoltre, un altro elemento che discosta con il parallelo storico, riguarda il peggior nemico della Padania, la capitale dello Stato italiano, la quale, sotto forma di Papato risulta essere l’alleato più fedele della Lega medievale.
Al termine di questa breve analisi, si evince pertanto che nella costruzione identitaria padana la puntuale fedeltà storica viene intenzionalmente subordinata alla funzionalità della dimensione simbolica che ha favorito l’aggregazione ed il riconoscimento della comune appartenenza etnica. Sebbene la veridicità delle ricostruzioni presentate risulti essere poco plausibile, l’apporto culturale della rivista contribuisce a dare consistenza al progetto che raggiunge un’indiscussa efficacia politica, coinvolgendo milioni di militanti che hanno abbracciato la causa padana e sono scesi nelle strade per ripristinare i principi di saggezza e libertà delle antiche tribù, soffocati per troppi anni dall’«abbraccio mortale del Mediterraneo»41.

Bibliografia

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Note

  1. Secondo Roberto Biorcio, la storia della Lega Nord è caratterizzata da tre grandi «ondate» elettorali intervallate da fasi di relativo declino. Dopo aver individuato la prima espansione elettorale nel biennio 1992-1994, lo storico colloca l’inizio della seconda «ondata» proprio nel 1996, anno dell’attuazione del piano indipendentista: questa fase, in cui partito di Bossi raccoglie oltre quattro milioni di voti, ottenendo il 10,1 % dei consensi a livello nazionale, è contraddistinta dall’abbandono della logica bipolare del progetto federalista, sostituito dal piano secessionista. Infine, la terza «ondata» si materializza a partire dalle elezioni politiche del 2008: il Carroccio si ricolloca nella coalizione di centro-destra e certifica un aumento notevole dei consensi anche alle elezioni europee del 2009. Cfr. Roberto Biorcio, La rivincita del Nord. La Lega dalla contestazione al governo, Bari, Laterza, 2010
  2. La Lega Nord, attuando una semplificazione delle problematiche sociali e politiche, riesce a marcare due linee di conflittualità che rappresentano il paradigma della protesta leghista: da un lato, radicalizza le fratture tra popoli e territori, dall’altro, contrappone chi sta al vertice con chi sta nel fondo della stratificazione sociale.
  3. Marco Aime, Verdi tribù del Nord, Bari, Laterza, 2012, p. 44.
  4. Per analizzare il fenomeno dell’etnoregionalismo, le eredità storiche della spinta autonomista, i fattori che hanno generato la frattura fra centro e periferia e le connessioni con il processo di national-building e state building italiano, si consiglia la lettura delle ricerche condotte da Nicoletta di Sotto. Cfr. Nicoletta Di Sotto, Alle origini dei partiti etnoregionalisti. Una rassegna della lettura, in “Quaderni di Scienza Politica”, anno XV, Terza serie, vol. 2, n.3, 2008, pp.529-565; Nicoletta Di Sotto, Tra protesta e governo. Successi, trasformazioni e crisi della Lega Nord, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014.
  5. All’interno della strategia comunicativa leghista assume particolare importanza anche la valorizzazione dell’idioma locale che viene impiegato per segnare la discontinuità con la lingua italiana, rappresentante dello statalismo, e per dimostrare la mancata sottomissione alle istituzioni politiche e religiose. Nella fase della «padanizzazione», in particolare, il dialetto viene strettamente legato al culto del genius loci comunitario, una forma di autodifesa ed un modo di stabilire una complicità tra i cittadini del Nord. Lynda Dematteo, L’idiota in politica, Bologna, Feltrinelli Editore, 2011, p. 140.
  6. Michele Corti, L’ identità italiana: un mito evanescente, in “Quaderni Padani”, Anno II, n. 3, gennaio-febbraio, 1995, p. 15.
  7. Claudio Lazzaro, Camicie verdi, min. 16:02
  8. M. Aime, Verdi tribù del Nord, cit., p. 23.
  9. Paul Ricoeur, La Memoria, la storia, l’oblio, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2003, p. 122.
  10. Come scrive lo storico Mario Isnenghi, «la memoria collettiva- sia nazionale che di partito, o di chiesa, comunque di un grande gruppo sociale- nasce da eventi che hanno la forza di coinvolgere e rendersi memorabili; ma poi anche dalla capacità di dare forma ai contenuti di una memoria che va aureolandosi di mito e intrecciando alla realtà documentabile le libertà della favola”. “Le memorie che si affermano via via vincenti nel conflitto per dar forma al passato e tramandarne un racconto pubblico più o meno ampiamente condiviso, si affidano a un reticolo di strumenti e di propagazione e organismi di tutela: associazionismo, nomenclatura varia, monumenti, scuola». Mario Isnenghi (a cura di), I Luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, Bari, Editori Laterza, 1996, pp. VIII-IX.
  11. Cfr. Renato Mannheimer, Chi vota Lega e perché, in R. Mannheimer (a cura di), La Lega Lombarda, Milano, Feltrinelli, 1991; Ilvo Diamanti, La Lega. Geografia, storia e sociologia di un soggetto politico, Roma, Donzelli, 1995.
  12. M. Aime, Verdi tribù del Nord, cit., p.44.
  13. Ugo Fabietti e Vincenzo Matera, Memorie e identità. Simboli e strategie del ricordo, Roma, Meltemi Editore, 2000, p.35.
  14. Ivi, p. 36.
  15. Ivi, p. 37.
  16. Paolo Sorcinelli, Viaggio nella storia sociale, Milano, Bruno Mondadori, 2009, p. 143.
  17. L’effige di Alberto da Giussano compare per la prima volta nel 1982 sulle pagine del giornale lombardo “Lombardia Autonomista”; nel 1984 diviene il simbolo della lista Lega Autonomista Lombarda e da quel momento in poi viene confermato in tutti i loghi elettorali del Carroccio.
  18. M. Aime, Verdi tribù del Nord, cit., p.30.
  19. Gilberto Oneto, Il Po è un drago, in “Quaderni Padani”, Anno II, n. 6, luglio-agosto, 1996, pp. 1-4.
  20. Cristina Demaria e Cecilia Gallotti, Nuove forme dello spettacolo politico. Il Congresso della Lega fra strategie comunicative e azione rituale, in “Rassegna italiana di Sociologia”, n.3, 1999, p. 382.
  21. Ivi, p.373.
  22. Nel saggio introduttivo, dopo aver precisato che spesso viene utilizzato in senso generico ed impreciso, Eric J Hobsbawm fornisce la definizione del termine «tradizione inventata», ovvero, «l’insieme di pratiche, in genere regolamentate da norme apertamente o tacitamente accettate, e dotate di una natura rituale o simbolica, che si propongono di inculcare determinati valori e norme di comportamento ripetitive nelle quali è automaticamente implicita la continuità con il passato». Eric John Ernest Hobsbawm e Terence Ranger (a cura di), L’invenzione della tradizione, Torino, Einaudi, 1987, p. 3.
  23. Prys Morgan, From a Death to a View: la caccia al passato gallese in epoca romantica, in E. J. Hobsbawm e T. Ranger (a cura di), L’invenzione della tradizione, cit., pp. 45-98.
  24. Ivi, p. 4.
  25. Ivi, p. 7.
  26. Pietro Grilli di Cortona, Il cambiamento politico in Italia. Dalla prima alla seconda Repubblica, Roma, Carracci, 2007, pp. 60-68.
  27. La redazione ha ricevuto talmente tanti contributi dagli autori che ha deciso di pubblicare due numeri di cui uno doppio: nonostante gli autori siano giunti da sponde ideologicamente anche molto distanti, nella rivista emerge una comune volontà di respingere qualsiasi forma di unificazione europea. Non viene criticata l’idea di Europa come casa comune e culla delle radici cristiane, bensì i tentativi di coalizione che richiamano i processi del tanto disprezzato Stato nazionale.
  28. Con la terza «ondata» registrata nell’aprile del 2008, la Lega Nord completa il processo di evoluzione da movimento di protesta a partito di governo: si verifica, inoltre, un forte allineamento del Carroccio sui programmi elettorali delle forze conservatrici presenti nella coalizione di centro-destra. La Lega Nord modifica la strategia populista utilizzata nella fase iniziale per sfruttare il vuoto politico creatosi con la fine della Prima Repubblica, adottando un atteggiamento più pragmatico, volto al mantenimento delle cariche di governo (da office-seeking a party-governament): questo mutamento, tuttavia, non provoca la rinuncia dell’utilizzo del territorio come strumento di antagonismo e di appartenenza. Ilvo Diamanti, Le subculture territoriali sono finite. Quindi (r)esistono, in Carlo Baccetti, Silvia Bolgherini, Renato D’Amico, Gianni Riccamboni (a cura di), La politica e le radici, Torino, Liviana-De Agostini, 2010, p. 57.
  29. Alessandro Vitale, Padania, etnie e federalismo, in “Quaderni Padani”, Anno II, n. 3, gennaio-febbraio, 1996, p.1.
  30. Gilberto Oneto, I confini della Padania, in “Quaderni Padani”, Anno II, n. 3, gennaio-febbraio, 1996, p.10.
  31. Ibidem.
  32. Ibidem.
  33. Ibidem.
  34. Ivi, pp. 12-13.
  35. Il cattolicesimo padano viene visto con diffidenza dalla Chiesa con la quale il Carroccio entra in contrasto prevalentemente nella fase nascente del partito, nel periodo indipendentista e negli ultimi anni di governo con la coalizione di centro destra, animati da una lunga diatriba sui temi dell’immigrazione e della sicurezza. I rapporti tra la curia romana e la Lega Nord raggiungono i minimi storici nei mesi successivi all’annuncio del disegno secessionista: i vertici ecclesiastici accusano il Carroccio di aver commesso pericolose ingerenze politiche e religiose e il partito risponde con un attacco diretto al Papa e con reiterate minacce di scisma. Per approfondire tale tematica, si consiglia: Paolo Bertezzolo, Padroni a Chiesa nostra. Vent’anni di strategia religiosa della Lega Nord, Bologna, Emi, 2011.
  36. Gilberto Oneto, I confini della Padania, in “Quaderni Padani”, Anno II, n. 3, gennaio-febbraio, 1996, pp. 13-14.
  37. Gualtiero Ciola, L’unità etnoculturale della Padania, in “Quaderni Padani”, Anno III, n. 12, luglio-agosto, 1997, pp. 1-2.
  38. M. Aime, Verdi tribù del Nord, cit., p. 36.
  39. Massimo Centini, Identità e territorio, in “Quaderni Padani”, Anno IV, n. 15, gennaio-febbraio, 1997, p. 32.
  40. Andrea Rognoni, L’identità della letteratura padana moderna e contemporanea, in “Quaderni Padani”, n. 10, marzo-aprile, 1997, pp. 45-46.
  41. Brenno, È tempo di tornare a casa/, in “Quaderni Padani”, Anno IV, n. 15, gennaio-febbraio, 1997, pp. 1-2.

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