Le persone che avevano risalito dalla Versilia costiera le iniziali pendici delle Alpi Apuane si sentivano relativamente tranquille su quelle colline, in quanto le ritenevano quasi irrilevanti per gli eserciti alleati che fronteggiavano i reparti nazi-fascisti; inoltre, le suddette colline apparivano idonee a fornire una qualche sistemazione abitativa nelle sparse borgate nonché un po’ di cibo, consistente in prodotti agricoli tradizionali e in greggi o animali da cortile. Queste risorse di sussistenza comportavano, comunque, residue modalità di commercio rispetto ai beni essenziali, come sale e grano; suddetti scambi risultavano basati prevalentemente sul baratto o svolti, talvolta, ricorrendo a una limitata circolazione di denaro ormai sempre più svalutato e sempre meno richiesto .
La famiglia paterna di Renato Bonuccelli , pur essendosi allontanata da Capezzano Pianore dove risiedeva, poteva fare affidamento in vario modo sulle proprie attività commerciali correlate alla economia di zona: alcuni terreni coltivati tramite contratti a mezzadria, un mulino, un negozio di gene... continua a leggere
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«Aveva veduto nel sonno, o sognato…. Che diavolo era stato capace di sognare?… uno strano essere, un pazzo: un topazio. Aveva sognato un topazio: che cos’è, infine, un topazio?[…] E s’era involato lungo le rotaje cangiando sua figura in topaccio e ridarellava topo-topo-topo-topo» (C. E. Gadda, Quer Pasticciaccio brutto de la via Merulana)….
«Chi sono gli animali che compaiono nei nostri sogni?» Ricavo la domanda da James Hillman, psicoanalista junghiano, così come il titolo di questa piccola riflessione. Mi figuro una folla di animali appollaiati o aggrappati sulle testiere del letto, grandi e piccoli, in attesa di entrare nei nostri sogni. Di adulti e di bambini. «Balzano fuori da quelle lontananze per ritrovarsi nel nostro letto al buio.» Sono l’altrove, il diverso da noi, lo straniero. Sono le “wild things” di Maurice Sendak, sono noi.
Del resto, sappiamo da Giorgio Agamben che «l’uomo-animale e l’animale-uomo sono due facce di una stessa frattura, che non può essere colmata né da una parte né dall’altra.»
Sicur... continua a leggere
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« Cuando despertó, el dinosaurio todavía estaba allí», si divertì a suggerire, con assolta brevità, Augusto Monterroso nel 1959, sfidando centinaia di semiologi e filologi a ricostruire la scena: chi racconta, chi si è svegliato, dove si trovano? ecc. Avrei potuto osare anche io, col titolo che ho scelto per questo ennesimo ritorno alle Sirene, grazie a Magda Indiveri, riducendo l’enigma a una sola domanda: a chi avrebbe potuto dirlo, una Sirena? A Ulisse naturalmente. Augusto Monterroso scrisse anche di una Sirena inconforme nel 1968, unica a cedere al fascino di Ulisse, avendone un figlio,
«il favoloso Hygrós, cioè l’Umido nella nostra asciutta lingua, proclamato in seguito patrono delle vergini solitarie, delle pallide prostitute che le compagnie di navigazione ingaggiano per intrattenere i passeggeri timidi che nelle notti vagano sulle coperte dei vasti transatlantici, dei poveri, dei ricchi, e di altre cause perdute.»
Avrebbe potuto, anzi dovuto dirlo a Ulisse una Sirena ‘diaculturale’, cioè capace di essere insieme mito e contemporaneità, c... continua a leggere
tag: animali, sirena, Ulisse
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Nella vastità del nostro percorso storico, il legame con il regno animale ha assunto una natura intricata e multiforme. Dal periodo preistorico fino all’epoca contemporanea, gli animali hanno occupato una posizione centrale all’interno del tessuto culturale, spirituale ed economico delle società umane. In tutte le loro manifestazioni e rappresentazioni, queste creature hanno costituito un punto di connessione essenziale tra l’umanità e l’ambiente circostante, contribuendo a definire l’essenza della nostra condizione. Nel corso dei millenni, l’uomo ha esercitato una supremazia nei confronti delle altre specie, sottoponendoli a pratiche di addomesticamento, caccia, allevamento e, non di rado, venerazione. Questa complessa relazione si è manifestata attraverso una molteplicità di forme, dalle rappresentazioni artistiche ai racconti mitologici, dalle attività quotidiane alle speculazioni filosofiche.
Abbiamo imparato a osservare e interagire con gli animali, sviluppando nuove strategie di sopravvivenza e aumentando la loro capacità di adattamento ambientale,... continua a leggere
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Folletto: […] Gli uomini son tutti morti, e la razza è perduta.
[…]
Gnomo: A ogni modo, io non mi so dare ad intendere che tutta una specie di animali si possa perdere di pianta, come tu dici.
Folletto. Tu che sei maestro in geologia, dovresti sapere che il caso non è nuovo, e che varie qualità di bestie si trovarono anticamente che oggi non si trovano, salvo pochi ossami impietriti […]
Gnomo: Sia come tu dici. Ben avrei caro che uno o due di quella ciurmaglia risuscitassero, e sapere quello che penserebbero vedendo che le altre cose, benché sia dileguato il genere umano, ancora durano e procedono come prima, dove essi credevano che tutto il mondo fosse fatto e mantenuto per loro soli. […]
G. Leopardi, “Dialogo di un folletto e di uno gnomo”, in Operette morali.
Leopardi propone l’esercizio distopico e ironico di porsi sulla soglia della fine del mondo degli uomini. Gli uomini sono tutti morti, e la razza è perduta. C’è mondo senza uomo? C’è rappresentazione senza linguaggio? O sopravviene il kaos al kos... continua a leggere
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«Kircher e altri immaginano invece che nel centro del canale del Maelström, ci sia un abisso che entra nel globo terrestre per uscire in qualche altra lontanissima regione»
La letteratura occitanica moderna e contemporanea non si insegna in Italia. Rarissime le traduzioni. Questo dato di fatto ha sottratto agli studiosi un patrimonio di grande bellezza e interesse, anche per quanto concerne il ruolo che vi gioca l’ambiente naturale e il mondo animale.
Restando solo nell’ambito di quello che è riconosciuto come uno dei massimi poeti e prosatori, Joseph d’Arbaud (1874-1950), cantore della Camargue, possiamo iniziare osservando il suo mondo degli animali a partire da La Bestia del Vacarés, il suo capolavoro. La creatura ibrida che la nostra cultura mitologica ci porta a nominare Pan o fauno, in questo romanzo ambientato in Camargue, resta sempre e solo chiamata “Bestia”. Come tale il mandriano cacciatore la insegue, la stana, e, con sorpresa e orrore, gli si rivelano il volto d’uomo e le... continua a leggere
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L'ignorante è non solo zavorra, ma pericolo della nave sociale.
Cesare Cantù, Attenzione! Riflessi di un popolano, 1871
L'ignoranza è una condizione perfetta. Ed è comprensibile che chi ne gode non voglia uscirne.
Emil Cioran, Quaderni, 1957/72 [postumo, 1997]
De Quincey comprese che il compito della sua vita era l’evocazione dell’ombra. L'ombra conteneva in sé divinità antiche e cancellate, divinità ancora viventi, sentimenti augusti e abbietti, sensi di colpa, rimorsi, ricordi, presentimenti, tesori sontuosi e oscuri; ed egli doveva portarla alla luce, rappresentarla in grandi figure musicali e irraggianti, che avrebbero lasciato un'eco indefinita nell’animo dei suoi lettori.
Pietro Citati, Il male assoluto, 2000
Non è davvero semplice – né, per naturali ragioni, granché piacevole – tratteggiare in maniera concisa un'immagine a un tempo adeguata ed efficace di quel che ha rappresentato Arnaldo Picchi (1943-2006) per la mia persona; come che sia, proverò a cimentarmi nell’intrapresa, soffermandomi in p... continua a leggere
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«La filosofia animale contro l’istituzione della morte», leggiamo in un punto del Maiale non fa la rivoluzione di Leonardo Caffo (Sonda 2013). La filosofia dell’animalità aggredisce l’istituzionalizzazione del genocidio animale nelle pareti della morgue. Per suo tramite Homo sapiens si ridesterà dalla propria assuefazione allo sconfinato cadavere reso dall’esecuzione industriale, dall’abitudine alla cosificazione della differenza, all’inosservanza della diversità di specie, alla perdita di biodiversità. E una filosofia che non discrimina le specie, e che fuori dei dogmi pratica un pacifico smantellamento dei presupposti dell’antropocentrismo, ha i requisiti per contrastare la deriva di Homo sapiens in quanto filosofia altamente implicata con la questione ecologica e con la salute globale. Ma qui emerge l’errore da evitare. Perché una battaglia animalista non esclusivamente finalizzata alla liberazione animale e all’ammissione della sua dignità di soggetto di diritto con vita emotiva e cognitiva proprie non sarebbe disinteressata, e farebbe ricorso a un orientamento di pensiero ancor... continua a leggere
tag: filosofia animale, Leonardo Caffo, postumano contemporaneo, veganesimo
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Che gli umani da tempo immemorabile abbiano provato a dar vita alla materia che si credeva inanimata ci risulta da una lunghissima casistica di testimonianze e racconti. Questa aspirazione è presente nella storia che ci è giunta passando prima per la sapienza tradizionale e religiosa orientale, sin dai tempi della antichissima civiltà cinese, e successivamente tramite la filosofia occidentale di cui siamo tuttora permeati. Diversa dalla cultura orientale, seppure le domande ultime sull’esistenza siano perlopiù le stesse, ma da risolversi con uno stile di vita prevalentemente conservativo anche per la persistenza del mito, la filosofia occidentale tende piuttosto al suo superamento e a dare sin dall’inizio un’impronta razionalistica al proprio orientamento di pensiero, attraverso i secoli volto all’emancipazione e alla libertà. Ed a porre una distinzione fra la speculazione pura, il problema religioso e la saggezza pratica. Ma il senso di sfida verso le divinità che popolavano le prime cosmogonie non è ancora estinto. Dalla sterminata lontananza dei tempi, eroi come Prometeo e Gilgamesh sfidano il limite esatta... continua a leggere
tag: etica della macchine, intelligenza artificiale, veicoli senza conducente
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«Una volta Zhuāngzĭ sognò di essere una farfalla. – Lei non sapeva di essere Zhuāngzĭ. Di colpo si svegliò e lì era solidamente e senza dubbio, Zhuāngzĭ. Ma egli non sapeva se fosse Zhuāngzĭ che aveva sognato di essere una farfalla o una farfalla che sognava di essere Zhuāngzĭ. Tra Zhuāngzĭ e una farfalla ci devono essere delle differenze. Questa è chiamata la trasformazione delle cose».
Zhuāngzĭ sogna una farfalla o una farfalla sogna Zhuāngzĭ. Zhuāngzĭ ha sognato di essere una farfalla o sta sognando di essere un uomo. Zhuāngzĭ non poteva determinare se era veramente un uomo ad aver appena finito di sognare di essere una farfalla o una farfalla che aveva appena iniziato a sognare di essere un uomo. I sogni di Zhuāngzĭ sono forse reali quanto i sogni di una farfalla. Zhuāngzĭ, mentre sognava, si vedeva farfalla, ma allo stesso tempo era anche un uomo (1).
Il filosofo e mistico cinese Zhuāngzĭ è alla ricerca della base metafisica dell’ordine naturale, il Tao (Dàojiào, “la Via” o “Il reale che esiste in sé”), ... continua a leggere
tag: allucinazioni zooptiche, delirio dermatozoico, Hermann Rorschach, metamorfosi teurgica, simbologia teriomorfa, Zhuangzi, zoopatia licantropica
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Sono passati 30 anni, ma Mani pulite non ha ancora trovato una lettura condivisa. Anzi, il racconto dell’inchiesta sulla corruzione in Italia che nel 1992-93 ha determinato la fine del sistema dei partiti nato nel dopoguerra è diventato più slabbrato e contraddittorio. Oggetto oggi di “revisionismo” e “negazionismo” anche da parte di molti giornalisti, commentatori e politici che avevano vissuto Mani pulite e l’avevano raccontata per quello che è stata: una grande, complessa, multiforme, ma ordinaria indagine giudiziaria; non un’operazione politica. Ieri salutata – in maniera impropria – come “la rivoluzione italiana”, oggi viene invece da molti criticata e ritenuta l’avvio della “guerra dei 30 anni”, cioè dello scontro tra magistratura e politica.
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tag: Corruzione, Fine dei partiti storici, Italia 1992-94, Mani Pulite, Tangentopoli
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Se Ruffilli non avesse scritto, a conclusione del Prologo di Maschere e figure. Repertorio dei tipi letterari (Il ramo e la foglia, Roma 2023), che le opere narrative da lui messe in campo giungono fino alla metà del Novecento e non oltre, si sarebbe tentati di includere nel repertorio dei tipi il protagonista del suo romanzo del 2011, L’isola e il sogno. Ma sotto quale voce classificarlo? L’insoddisfazione di Ippolito, la sua erranza mentale alla ricerca d’altro, di un nesso tra esperienza e sogno, suggerirebbero un modello di irresoluto, di terrassenüberdachung
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tag: critica letteraria, Paolo Ruffilli, personaggi, romanzo
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Gasparo Gozzi (1713-1786) and Giuseppe Baretti (1719-1789) have been intellectuals who dealt with varied and multiple interests, ranging from theatre, to critique, from reflections on language, to the argumentative or moralizing tendency that characterizes their periodical production.
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tag: corruption, Gasparo Gozzi, Giuseppe Baretti, periodicals, satire
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Al fine di compiere un itinerario siffatto attraverso il fenomeno della corruzione dal suo darsi come processo empirico avente luogo nel sostrato materico, fino all’atto percettivo mediante il quale il fenomeno viene indagato e pensato, si deve intraprendere un’operazione di oltrepassamento della chiarezza oggettiva con cui lo stesso si offre allo sguardo e al pensiero. van dutch cap
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tag: Aristotele, Corpora incorrupta, Corruzione, Dante Alighieri, Incorruzione, Pietra filosofale, Situazione-limite, Sokushinbutsu
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Un viaggio, una meta, una ripartenza: una città come Bologna è anche questo. Forse è soprattutto questo, sia per chi ci vive che per chi la visita. Ogni volta si scopre qualche cosa di nuovo, spinti da quella curiosità che muove ogni percorso di vita. Dal centro alle porte cittadine fino alle zone al di fuori, al di là, oltre. Dopo una prima escursione all’interno di un centro eccentrico, dopo una seconda lungo la soglia esotica delle porte e dei giardini, se ne fa possibile anche un’altra per cogliere una delle tante dimensioni di questa nostra sfuggente città che mi piace definire estatica, quasi fosse una visione che dal qui e ora porta al verde dei colli tutt’intorno e all’azzurro pallido d’un cielo che sovrasta ogni realtà, attraversando pezzi d’anima che amiamo chiamare quartieri.
Così, a un tratto, per rivelazione, l’io, il soggetto, diventa parte d’un tutto, tassello egli stesso d’un mosaico in continuo divenire, eppure ossessivamente stretto al proprio passato, antico o recente che sia non importa, in cui conoscersi è riconoscersi. Perché a Bologna tutto si fa possibile, pure un att... continua a leggere
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A Ezio Raimondi, interprete geniale e incontentabile
che ha saputo leggere l’opera di Petrarca
e di molti suoi discepoli europei
in maniera insuperata.
Noi pure siamo tra quelli che credono in una letteratura che sia presenza attiva nella storia, in una letteratura come educazione, di grado e di qualità insostituibile.
Italo Calvino, Il midollo del leone [1955]
Se il mio unico problema è capire quanto un romanzo è migliore o peggiore di altri romanzi, o quanti altri sonetti nasconde nella sua filigrana un sonetto, io, di fatto, sto esiliando quel romanzo e quel sonetto nel regno della morte.
Emanuele Trevi, Istruzioni per l’uso del lupo [1994]
Non si ripeterà mai abbastanza che l'idealismo platonico è lungi dal corrispondere ad una visione ingenua o trasfigurata. Esso cerca, è vero, l'aria del paradiso, ma sorge, e non lo nasconde, da un mare di zolfo.
Mario Andrea Rigoni, Variazioni sull'Impossibile [2006]
Dal Poema fisico e lustrale di Empe... continua a leggere
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Chiedere a un uomo di non distrarsi mai, di sottrarre senza riposo all’equivoco, alla pigrizia dell’abitudine, all’ipnosi del costume, la sua facoltà di attenzione, è chiedergli di attuare la sua massima forma.
C. Campo, Attenzione e poesia (1961), in Ead., Gli imperdonabili, 1987
L'elemento centrale della visione religiosa biblica in generale e cristiana in particolare [...] è stato formulato teologicamente con il termine incarnazione, sulla scia di quella celebre affermazione del prologo del Vangelo di Giovanni: ho Lógos sárx eghéneto, "la Parola carne divenne" (1, 14). La perfetta trascendenza della Parola creatrice, salvatrice e redentrice di Dio entra nella fragilità carnale dell'uomo Gesù di Nazaret, la divinità s'irradia nella storia. Le due sfere dell'umano e del divino in Gesù Cristo entrano in collisione, ma non per un'esplosione di rigetto bensì per un abbraccio.
G. Ravasi, Biografia di Gesù. Secondo i Vangeli, 2019
Da allora, del tempo è certo trascorso. E per quanto molte cose siano passate ... continua a leggere
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“Bisogna arrivare al punto che non solo gli aerei, ma le navi e i treni e le strade siano insicure, bisogna ripristinare il terrore e la paralisi della circolazione. Diamo un segno inequivocabile della nostra presenza. Ci riconosceranno. Ci seguiranno, perché ciò che vogliamo è ciò che essi vogliono: la distruzione del mondo borghese... Borghesia e proletariato sono entrambi risultato dello stesso processo di decomposizione. Trovarsi d'accordo per distruggere è l'unico modo di restare insieme. Dobbiamo lanciare un segnale e raccoglierci... Arrecare danni al sistema è un errore, il sistema te ne chiederà conto. Ma provocarne la disintegrazione, questo è il rimedio, occorre una esplosione da cui non escano che fantasmi. Occorre che il nostro gesto sia così chiaro da far nascere in tutta la popolazione inerme inginocchiata due sole risposte: nessun dubbio, sono loro e finalmente”
Pubblicazione clandestina “Linea Politica” dell’ordinovista Carlo Battaglia, pag. 984 sentenza 6.4.022;
“Hanno marciato divisi ma per colpire uniti. Non c 'e una destra extraparla... continua a leggere
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Dal 1962, anno della sua scomparsa, sono state numerose le pubblicazioni dedicate alla figura di Enrico Mattei. Marchigiano, imprenditore dell’industria chimica sotto il fascismo, coordinatore delle forze partigiane cattoliche durante la Resistenza, nel 1945 viene nominato dal Comitato di Liberazione Alta Italia commissario dell’Azienda generale italiana petroli (Agip), l’ente petrolifero pubblico istituito nel 1926 dallo Stato italiano. Negli anni del dopoguerra Mattei si oppone alla liquidazione dell’Agip, preferendo invece preservare l’azienda e utilizzare le sue risorse tecniche per attuare la ricerca di petrolio e gas nella Pianura Padana. Con la sua posizione rafforzata dalla scoperta dei giacimenti metaniferi di Caviaga e Cortemaggiore e dal supporto dei vertici della Democrazia cristiana, Mattei è tra i promotori in parlamento della costituzione di un nuovo organismo per la gestione delle risorse energetiche: l’Ente nazionale idrocarburi.
L’Eni, di cui Mattei è primo presidente, diventa sotto la sua guida uno dei motori del processo di industrializzazione post-bellico... continua a leggere
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Ad una riflessione sia pure succinta su di un tema semplice nel comune esperire e nell’immediato consapere, ma oltremodo complesso negli ambiti dottrinali di riferimento, non è dato svincolarsi dall’imperativo metodologico dell’assunzione di un oggetto.
Il nostro oggetto è psichico, ma non è classificabile né fra le pulsioni istintive né fra gli atti di volizione. Una sensazione, una percezione, una rappresentazione, un pensiero sono definibili con generale consenso, laddove il concetto di sentimento pare addirittura sfuggire all’analisi terminologica, rinviando a tutte le formazioni psichiche non chiaramente delineate, quasi “confuse”, cui invero - per dirla con Jaspers - “non si sa dare un altro nome” se non “fatto multiforme” dello psichico “non appartenente alla coscienza obiettivabile”(6). È universalmente ammesso che i sentimenti rappresentino il nucleo della sfera affettiva o timopsiche, posta tra la sfera istintivo-volitiva e quella intellettiva o sofropsiche, e che essi si possano ordinare secondo dimensioni o qualità designate dalla cop... continua a leggere
tag: beatitudine, colpa, felicità, Max Scheler, nichilismo, postmodernità, psiche quadripartita
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«Sì come dice lo Filosofo nel principio della Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere.»
«La ragione di che puote essere [ed] è che ciascuna cosa, da previdenza di prima natura impinta, è inclinabile alla sua propria perfezione; onde, acciò che la scienza è ultima perfezione della nostra anima, nella quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti»
Affrontare un tema pressoché impossibile come la felicità può parere uno sforzo titanico. E lo è. Mi è sembrato più lieve dialogare con autori tra passato e presente. Il punto di partenza è l’incipit del Convivio di Dante, che si propone uno scopo prettamente didascalico e divulgativo, perché è scritto per tutti, anche per quelli che non conoscono il latino. Il poeta fiorentino si rifà ad Aristotele (lo Filosofo) con quella... continua a leggere
tag: Alluvione, dante, Guareschi, Zambrano, Zibaldone
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Negli ultimi anni si sta assistendo ad un cambio di rotta del potere della ‘Ndrangheta: la figura tradizionale del mafioso coinvolto in sparatorie e altri reati legati al mondo fisico si sta dissolvendo pian piano. Oggi, infatti, il mafioso è sempre più impegnato in altro genere di attività, specialmente quelle relative a questioni economiche e sociali. Non è un caso che il numero degli attentati di mafia sia diminuito a scapito di un aumento di transazioni relative ad investimenti via web; ed è proprio per questi motivi che il mafioso è sempre più “costretto” ad avere a che fare con l’economia e l’informatica.
Negli ultimi mesi, il rapporto tra 'ndrangheta e criptovalute è diventato un argomento di intensa discussione. Oltre ad essere stata definita come una delle più potenti organizzazioni criminali nel mondo, la ‘Ndrangheta è stata accusata anche di aver riciclato miliardi di euro grazie all’aiuto delle criptovalute. D’altronde, non può essere considerata una novità il fatto che la ‘Ndrangheta è disposta allo sfruttamento di qualsiasi opportunità per perseguire il successo delle proprie... continua a leggere
tag: 'ndrangheta, criptovalute
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L’associazione a delinquere di stampo mafioso è una struttura organizzata di uomini e donne che detiene un potere territoriale circoscritto e ben definito, delimitato da confini nazionali oppure internazionali. All’idea di territorio è congiunto l’interesse economico delle cosche. Gli uomini d’onore non pensano solo al territorio in quanto tale, come gestirlo e occuparlo, ma ad edificare intorno ad esso l’idea di un profitto economico che fa da saldatura tra il luogo (fisico) e il ricavo che in termini valutativi esso è in grado di offrire. Il controllo economico delle mafie mostra capacità di infiltrazione in molteplici contesti finanziari sfruttando al meglio il tessuto sociale in cui opera l’organizzazione.
Nel settentrione d’Italia, i clan ottengono un miglior rendimento finanziario da introiti erogati dallo Stato, dalla Comunità europea o da appalti pubblici (in primo luogo i bandi che fanno riferimento alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti). Nel mezzogiorno d’Italia, territorio governato da uno scarso inserimento nel mondo del lavoro e, di conseguenza, una mancata aspettativa in un siste... continua a leggere
tag: Bitcoin, pandemia, Rifiuti
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All’uscita dalla scuola materna:
EDO (4 anni) “Sai che oggi ho piangiuto?”
NONNA “E perché hai pianto?”
EDO “Non lo so. Andiamo a giocare con i Gormiti? Evvai!”
«Felici i felici» scriveva Borges. E quale immagine più stereotipata e ingombrante si accampa nella nostra retina di quella di un bambino felice per definizione? Felice (secondo noi adulti) perché ignaro del futuro, accudito e curato, senza responsabilità…. Naturalmente, parliamo del bambino del nostro mondo industrializzato e consumista, della società del benessere; ma anche di quello dell’iconografia mariana, o il piccolo Buddha, il puer aeternus. Quel bambino ci appare pienamente felice, nel gioco, nel riposo, nella sua crescita armonica. Con il sospetto che quella felicità sia proprio lei, la stessa, che si ripresenterà nella vita adulta, come un ricordo, un ritorno, in un fuggevole momento. «Felicità raggiunta, si cammina / per te su fil di lama» scriveva Montale.
Ma anche la felicità bambina ha uno statuto di precarietà e di sospensione. Sospeso è lo sta... continua a leggere
tag: Beatrice Alemagna, Benjamin, infanzia, letteratura per l’infanzia, Topipittori
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L’intervista è stata ideata e condotta da Alessandro Trabucco in un’unica sessione di circa 150 minuti nella mattina di venerdì 7 aprile 2023 presso la residenza dell’intervistato sita in Lecce. Essa ripercorre nelle sue pagine gli anni più intensi della carriera politica di Giovanni Pellegrino, dagli esordi fino al termine dell’esperienza in Senato, concentrandosi maggiormente sulle esperienze del Pellegrino nella Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari e nella Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi. Per migliorare la scorrevolezza e la linearità dell’intervista l’autore ne ha ricomposto il testo seguendo un ordine cronologico e logico, eliminando le divagazioni, riordinando le risposte spezzate lungo il discorso e ricostruendo al discorso indiretto le parti dialogiche di più difficile intendimento. Parte essenziale dell’intervista è l’apparato di note, destinato a semplificare la comprensione degli eventi, oltre che permettere al lettore di orientarsi fra i numerosi personaggi storici citati dal... continua a leggere
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Si arriva a un momento della vita in cui ci si sente totalmente disillusə rispetto al concetto di felicità. Oltre a non saperla bene definire, non saperle dare forma, ci si convince che sia un costrutto del tutto astratto, raccontato ai bambini insieme al bene, l'amore e la bellezza come motori dell'esistenza a sé stanti.
Nell'infanzia genericamente esiste la felicità, nella misura in cui non ci si mette in dubbio quando si dice sono felice, mamma. Forse solo perché c'è il sole, perché si vede un cane buffo passeggiare per strada, perché si è ricevuto un regalo di qualsiasi tipo. Ed è genuino.
Crescendo è sempre più difficile fare questa affermazione. Felice diventa una parola da dosare. Richiama una sensazione che, mano a mano che si palesa la complessità delle cose intime e del mondo, sembra non poter esistere individualmente e semplicemente come lo faceva prima. Forse inizia a sembrare incompleta perché non esiste da sola.
Studiando Fisica, l’idea di fenomeni duplici o in qualche modo polivalenti mi ha aperto alla possibilità di tracciare linee di pensiero tr... continua a leggere
tag: contrari, elettrone, felicità, fisica, panta rei
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Stati Uniti, 1929. Il crollo della Borsa di Wall Street è un brutto risveglio per milioni di persone, in particolare per chi non ha gli strumenti per comprendere gli andamenti finanziari che la anticipano. È la Grande Depressione, una devastante crisi economico-sociale aggravata nel 1931 dal Dust Bowl, delle incessanti tempeste di polvere che flagellano i territori del Midwest provocate da una errata politica agricola e da una lunga siccità: da tempo la terra è costretta a rispondere alle richieste di mercato, ciò comporta una mancata rotazione delle colture e un sistema di aratura che non rispetta l’equilibrio della superficie del terreno.
I “ruggenti” anni Venti, succeduti alla Prima Guerra Mondiale, sono caratterizzati dall’accumulo di grandi fortune per una piccola percentuale di ricchi uomini d’affari rispetto alla maggioranza della popolazione per cui il minimo problema economico comporta pov... continua a leggere
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«Qui les connaît encore aujourd’hui, sinon les enfants, dont se nourrissent les contes, et les médiévistes qui sont, nul ne l’ignore, de grands enfants?»
Straordinario e prolifico scrittore, Jacques Roubaud è un matematico, poeta e romanziere che dal 1966 fa parte dell’OuLiPo. Cultore della letteratura medievale, dei romanzi graaliani pratica la riscrittura, assicurandone in questa forma la trasmissione e la memoria.
Le Chevalier Silence rimanda alle avventure narrate nel Roman de Silence di Heldris de Cornuälle (XIII sec.). Ma l’autore rivendica la paternità della versione originaria dell’opera; si presenta infatti come un conteur gallese di centonove anni, la cui prima redazione, composta «en notre belle langue galloise», sarebbe stata plagiata e voltata in antico francese da un certo «Chr.» (CS, p. 9) . “Heldris”, d’altronde, non sarebbe che la storpiatura del suo vero nome, deformazione del medesimo impostore ... continua a leggere
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«Quando ci mettiamo a parlare della foresta non possiamo dire: ‘Questa è la mia storia, questo è quello che ho scritto, queste sono le mie idee’, perché ai veri saggi che abitano la foresta, quelli che hanno le proprie radici nella terra, gli esseri selvatici signori degli alberi, a loro non piace quando parliamo a questo modo. Ci stanno ascoltando e non vogliono che pensiamo che i nostri pensieri umani provengano solo da noi stessi. Queste non sono le nostre idee. Sono le loro. Piuttosto dobbiamo lasciare che gli stessi pensieri di una foresta vivente ci attraversino affinché arrivino agli altri. Gli esseri selvatici ce li stanno offrendo per permetterci di vivere insieme.»
Così dice Manari Ushigua, leader politico e spirituale del popolo Sapara.
Imperversa da un po’ di tempo la pratica di andare nei boschi, abbracciare alberi e fare esperienza di felicità, si chiama Terapia forestale, perché il verde fa bene alla salute in generale, a quella psichica, emotiva in particolare. Imperversa dunque la pratica di cercare nei boschi felicità.
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In Monsters, Catastrophes and the Anthropocene: a postcolonial critique, Gaia Giuliani, filosofa politica presso il Centro de Estudos Sociais (CES) dell’Università di Coimbra, conduce uno studio sui mostri e le catastrofi che abitano l’immaginario del Capitalismo nell’era dell’Antropocene, con l’intento di mettere in discussione il dispositivo che tende a opporre un “noi” (da intendersi come espressione dell’identità bianca e borghese occidentale) a un “loro” alterizzato (Other). Giuliani decide di attingere dalla cultura di massa e pop attraverso una disamina di film e serie televisive del genere horror e fantascientifico, per scoprire come sono raccontate, esorcizzate o combattute, le ansie e le paure della catastrofe nell’epoca del tardo capitalismo e della crisi ecologica, dando modo ai lettori di avere un aggancio molto concreto e familiare per riflettere non solo sulla condizione generale ma soprattutto sul proprio stesso posizionamento all’interno di tale crisi.
Molto ben esplicitato è il suo posizionamento in quanto ... continua a leggere
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Lo stoico abbandona questa vita senza passione, mentre il martire cristiano muore infiammato da una santa passione per la causa di Cristo, perché sa di far parte del grande dramma della salvezza.
O. Cullmann, Immortalità dell'anima o risurrezione dei morti? La testimonianza del Nuovo Testamento, 1986
La professione di fede nella resurrezione di Gesù Cristo costituisce per i cristiani l'espressione della certezza che è vera quella parola che sembrerebbe solo un bel sogno: «L'amore è forte come la morte» (Ct 8,6). Nell'Antico Testamento questa massima è incastonata in un inno che esalta la forza dell'eros. Ciò, tuttavia, non significa affatto che possiamo accantonarla semplicemente come un'enfatica esagerazione innodica. Nelle sconfinate esigenze dell'eros, nelle sue apparenti esagerazioni e intemperanze, viene in realtà alla ribalta una problematica fondamentale, anzi il problema fondamentale dell'esistenza umana, in quanto vi si manifestano la natura e l'intrinseca paradossalità dell'amore: l'amore esige infinità, indistruttibili... continua a leggere
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Lunga, ed estremamente dibattuta, è la storia dell’istituzione del canone delle Rime di Dante, che, com’è noto, non acquisirono dalla mano dell’autore sigillo e perimetro definiti e ultimi, ma furono affidate alle spesso discordanti testimonianze dei codici e al giudizio talora azzardato dei posteri – basti pensare al famigerato Credo di Dante, palesemente una goffa falsificazione, avallato tuttavia come autentico da vari editori fino agli inizi del Novecento. Queste incertezze attributive investono tanto più le rime mariane, delle quali vi fu ampia produzione nel Trecento, e che potrebbero in qualche caso essere state attribuite falsamente a Dante, e in altri invece nascondere elementi di autenticità ma essere state respinte come false per eccessivo, se pure non illegittimo, dubbio metodico. E a queste incertezze, è superfluo ricordarlo, concorse l’intrecciarsi incessante – nella stratificazione altamente polisensa improntata alla polisemia biblica – di motivi complessi, di autobiografismo dissimulato, di ragioni letterarie e terminologie traslate, di sacro e di eretico, di echi dalla tra... continua a leggere
tag: allegorismo medievale, attribuzionismo letterario, dante, Matteo Veronesi, rime dubbie
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Questo contributo punta a un approfondimento e una integrazione delle conoscenze sul contesto e sugli eventi culminati nella strage nazi-fascista eseguita sabato mattina, 12 agosto 1944, in Versilia a di Sant'Anna di Stazzema; questa frazione - prima trascurata e ignorata per alcuni decenni - è poi divenuta una delle tragedie più pubblicizzate e identificate con la lotta partigiana nonché oggetto anche di ricerche approfondite poi pubblicate. Tuttavia essa merita di essere inquadrata e descritta ulteriormente grazie a una testimonianza obiettiva.
In questo elaborato abbiamo delineato, in primis e brevemente, il luogo e in contesto economico-sociale dove essa era stata eseguita. Ogni successiva affermazione o quesito concernente la strage troveranno riscontro, precisazioni, integrazioni, valutazioni o correzioni grazie - soprattutto - alle dichiarazioni di uno dei più giovani sopravvissuti di allora: nostro testimone oculare inoltre ritenuto particolarmente attendibile dai magistrati del Tribunale Militare di La Spezia, durante le fasi del processo attivato con estremo ritardo soltanto cin... continua a leggere
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Come si vivrà in un futuro più o meno prossimo?
Le belle lettere sembrerebbero relativamente ottimiste: certo, gli sconvolgimenti geopolitici e climatici saranno massicci, tuttavia si vivrà – magari un po’ peggio di adesso ma neanche troppo. Nulla che ricordi il McCarthiano La strada per intenderci. L’angoscia, eventualmente, è più sottile.
Mi riferisco all’ultimo romanzo dell’austriaco Christoph Ransmayr: Il maestro della cascata, Feltrinelli 2022, e al romanzo Telluria (2013), del russo Vladimir Sorokin. Di Telluria non esiste traduzione italiana mentre è disponibile in tedesco, francese e inglese. Io ho letto la traduzione tedesca.
Ci si potrebbe chiedere innanzitutto che cosa accomuni due scrittori nati entrambi alla metà degli anni cinquanta, eppure così lontani per esperienze e universo di appartenenza. Legato al mito, persuaso che la chiave del presente sia da ricercare nel passato, in configurazioni fissate prima degli inizi del tempo che ripercorre con scrittura raffinatissima e colta, fin dagli esordi festeggiato dall’establishment letterario l’au... continua a leggere
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In ricordo di Mauro Conti allievo e amico carissimo
Se sappiamo osservare con attenzione il recente passato non possiamo non percepire con nitidezza che il grande dibattito sulla modernità in Italia nel secondo Novecento ha toccato le sue punte più alte e significative nel dialogo fertile e polemico, via via, di Vittorini, Calvino, Moravia, Pasolini. Ma anche, seppure in modalità altre, fra poeti come Luzi, Bigongiari, Gatto, Montale, Giudici, Caproni. Come a dire che, per la peculiarità stessa della nostra tradizione, adusa, tra tardo Medioevo e Umanesimo, a dislocare il proprio fuoco ermeneutico e speculativo nella letteratura, tra scrittori e letterati, anche nel Novecento, in Italia, si è condensata una riflessione di fondamentale rilievo, ovvero quella che pertiene al "passaggio" verso il Terzo Millennio (e in questa ottica due raccolte saggistiche di Calvino, Una pietra sopra e Lezioni americane, rappresentano proprio per un verso il bilancio di quella combattuta stagi... continua a leggere
tag: mario luzi, pasolini, umanesimo
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Per me raccontare di Pasolini è sempre una sfida che mi provoca costantemente. Forse non si riuscirà a definire mai nulla di questo autore e del resto non si può delimitare chi era eretico e corsaro allo stesso tempo. Ho scelto di partire dal verso «tremando di intelletto e di passione» della poesia intitolata “La Crocifissione”, tratta dalla raccolta Versi dal paese dell’anima. Intelletto e passione sono due parole chiave dell’immaginario pasoliniano in un accostamento ossimorico estremamente significativo, rafforzato dal verbo tremare di derivazione dantesca:
« […] tremando disse queste parole: «Ecce Deus fortior me, qui veniens dominabitur michi!», parole della Vita nuova, quando «lo spirito della vita, lo quale dimora nella secretissima camera del cuore, cominciò a tremare sì fortemente che apparia nelli menimi polsi orribilmente.»
Il tema della poesia è quello della crocifissione che risulta un po’ il fil rouge anche della produzione cinematografica ... continua a leggere
tag: cinema, pasolini, poesia
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La fantascienza è quel genere che, partendo dall’analisi della contemporaneità, ha sempre cercato di immaginare il mondo del futuro nelle sue innumerevoli sfumature. Quali saranno i sogni del domani? E le aspirazioni, i progressi sociali, quelli tecnologici? Ma più di ogni altra cosa la fantascienza si è dedicata a immaginare le società vissute dai prossimi umani, e i conseguenti problemi che verranno, giungendo spesso a inquietanti visioni.
Crisi di ogni genere, devastazioni, invasioni e, in particolare, scenari politici inquietanti la fanno da padroni. Scovare un’opera di fantascienza animata da una visione positiva del futuro è molto difficile, come se, a ogni tentativo di scrutare nella sfera di cristallo della fantasia, ci si sia trovati di fronte a un ineluttabile scenario nero, anche per “esigenze di copione”.
Si comincia a parlare di fantascienza all’inizio del Novecento, secolo tumultuoso, più volte scosso da avvenimenti epocali e da trasformazioni radicali e velocissime, che hanno attraversato ogni ambito della società umana.
Ogni decennio è stato caratterizzato da rivoluzioni, socia... continua a leggere
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Il 6 aprile di quest’anno la Corte d’Assise di Bologna ha condannato Paolo Bellini all’ergastolo ritenendolo responsabile della strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Anche gli altri imputati, Piergiorgio Segatel e Domenico Catracchia, sono stati condannati per reati commessi nel corso delle indagini e tesi ad ostacolarle, rispettivamente a sei e a quattro anni di reclusione. Le linea investigativa portata avanti dalla Procura Generale è stata dunque pienamente accolta dalla Corte.
È un processo che pur essendo iniziato a circa quarant’anni dall’epoca dei fatti è importante non solo perché ha accertato, almeno nel primo grado di giudizio, la responsabilità nella strage di un esecutore ulteriore rispetto a quelli già condannati in altri processi, ma anche perché si occupa di alcuni soggetti, ormai deceduti, indicati come i mandanti, gli organizzatori e i sovventori di quello che è stato il più grave atto terroristico del dopoguerra italiano.
Si tratta, oltre a Licio Gelli, di Federico Umberto D’Amato, Umberto Ortolani e Mario Tedeschi, tutti affiliati alla P2.
Prima del processo Bellini, la s... continua a leggere
tag: Bellini, strage di Bologna
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Come saranno le biblioteche del prossimo futuro? Le scienze in generale e quelle politico-sociali in particolare non hanno capacità predittiva-previsionale, dato che anche l’ipotesi più accurata non è altro che un'ipotesi. Il futuro si progetta, si modella, si costruisce, ma non si prevede. Il principio è lo stesso per il quale, negli ospedali, si mettono rilevatori di fumo ed estintori. Essi non servono a nulla in chiave predittiva-previsionale: servono esclusivamente per domare il fuoco qualora scoppi un incendio.
Come potremo immaginare, inventare le biblioteche del prossimo futuro? Per certi versi, il futuro è già cominciato e alcuni tratti già si vedono, mentre altri li abbozziamo progettandone il consolidamento. Le biblioteche del prossimo futuro:
1. Avranno un'atmosfera in cui Gemuetlichkeit, Fremdheit ed Entfremdung si misceleranno sapientemente. Vediamo un poco più in profondità che s'intende: "La miglior forma di ospitalità nei confronti di uno straniero che arriva in casa mia mi sembra quella di abbandonare la mia casa e diventare io stesso un po' straniero" (Ortega ... continua a leggere
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Mentre la pandemia di Covid-19 si diffondeva aggressivamente e rapidamente in tutto il mondo, molte società hanno assistito alla diffusione di altri fenomeni altrettanto virali come le fake news, le teorie cospirative e i sospetti generali di massa su ciò che sta realmente accadendo. Anche se la maggior parte di queste teorie sono state rapidamente smontate nei loro contenuti e dimostrate come false, la pervasività della disinformazione e delle teorie cospirative sui social media ha portato il Direttore Generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ad avvertire che «non stiamo solo combattendo un'epidemia; stiamo combattendo un'infodemia. Le fake news si diffondono più velocemente e più facilmente di un virus e sono altrettanto pericolose.»
La diffusione di informazioni false e fuorvianti non è certamente una novità. L'epidemia globale di inizio 2020 ha reso infatti palese, nelle analisi più ponderate che le sono state dedicate, legami di continuità con il passato nella produzione di narrazioni del complotto, generando altresì una pletora di nuove teorie cospirative che hanno interpretato questo ev... continua a leggere
tag: cospirazionismo, epidemie, fake news, malattia
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L’essere umano è stato da sempre un organismo fragile, sottoposto ad una serie di sfide che minavano costantemente la sua sopravvivenza. Nei nostri primi manuali di storia abbiamo imparato subito come i nostri antenati ominidi fossero in balia tanto degli animali predatori, quanto delle occasionali catastrofi naturali come eruzioni vulcaniche, terremoti, uragani e via dicendo.
Anche con l’avvento della civiltà e la creazione di società sempre più complesse e organizzate, l’uomo si è dovuto misurare costantemente con tali difficoltà, e spesso con risultati alterni: ci viene in mente, per esempio, la cosiddetta Peste di Atene che colpì la città greca nel 430 A.C., durante la disastrosa Guerra del Peloponneso. Solo in tempi recenti, in quella piccola porzione della Terra che chiamiamo “Primo Mondo”, problemi e difficoltà legati ad eventi come guerre e malattie endemiche sembrano essere relegati al passato, al massimo alla generazione dei nostri nonni che hanno vissuto gli orrori della Seconda Guerra Mondiale.
Sicuramente è un dato di fatto che l’uomo occidentale vive in cond... continua a leggere
tag: Firenze, libri di ricordi, Peste nera, storia della famiglia
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The ongoing scandal concerning parties held in Downing Street during periods of Covid lockdown has engulfed British politics, threatening the future of the Conservative Prime Minister, Boris Johnson, as he faces public resentment that while they made enormous sacrifices in the face of the pandemic, often with tragic consequences, he broke his own rules. Though the onset of the Ukrainian crisis temporarily diverted attention away from ‘Partygate’, the issuing of a lockdown fine to Johnson on 12 April 2022 following a police investigation reignited the controversy. The scandal raises several questions about the current state of British politics. Has Johnson fallen victim to his own brand of populism? Are we reaching the end of a style of British Conservative politics that has been inseparable from Brexit? How far has Brexit itself been a success two years after leaving the EU? Does Johnson still have the support of those who voted to leave the European Union in June 2016, to whom he largely owes his landmark victory at the general election of December 2019?
On the morning of 24 June 2016, many Remain voters were... continua a leggere
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Ventre, intestino, interiora, epa, trippa, budella, pancia, pinguedine, addome, adipe, viscere
purga, clistere,
colite, stitichezza, diarrea, diverticolite, melena, emorroidi, rettocolite ulcerosa, obesità, bulimia, anoressia
celiachia (dalla radice stessa di colon), intolleranze alimentari, malattie del sistema immunitario,
Disturbi dell’umore
Feci muco sangue microbiota fermenti lattici. Vivi. Staminali.
Da una piccolissima e superficiale ricognizione etimologica sull’argomento intestino si può notare che si passa dal colon che è un vuoto da riempire, al ventre come semplice ampliamento dello stomaco (gaster in greco), alle budella o alla trippa che invece richiamano il gonfio, il mucchio, il troppo pieno, il grasso, adiposo, pingue. Insomma di pancia e ventre si dice tutto e il contrario di tutto. E soprattutto se ne parla molto.
Ma si alternano, fra i vari sinonimi e persino fra le malattie connesse al cibo e al ventre, termini considerati pronunciabili con altri considerati indicibili se non in contesti scientifici o comici. C’... continua a leggere
tag: alimentazione, malattia, ventre
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1 Introduzione
Gli studi africanistici negli ultimi decenni hanno riconosciuto nelle pratiche cosiddette consuetudinarie, sviluppate in contesti tradizionali, punti di vista privilegiati per cogliere la portata del più ampio mutamento sociale. In questo contesto interpretativo, gli strumenti propri della storiografia, quali le fonti d’archivio, entrano in dialogo con quelli offerti da antropologia della cura, sociologia, subaltern studies. La ricerca, che sarà illustrata brevemente in queste note, si propone di cogliere le dimensioni storiche cui partecipano le eterogenee prassi di cura, rilevate per la prima volta in Rwanda a inizio Novecento dai missionari, ma agite sino agli sgoccioli del “secolo breve”. Proprio alle relazioni dei Padri Bianchi, uno dei perni dell’indagine, emerge l’intuizione, seppur non scientificamente orientata, che esse fossero linguaggi e serbatoi di credenze tanto duttili quanto persistenti. Queste pratiche infatti possono essere lette come spazi simbolici di incontro tra individuo e società, tra le comunità dei vivi e degli spiriti, ma anche aperti a... continua a leggere
tag: colonialismo, possessione, pratiche terapeutiche, Rwanda
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Al braccio alzato del carabiniere che intimava l’alt misi la freccia e accostai l’automobile nei pressi della pattuglia; la strada deserta, lo sfarfallio delle prime luci della sera. Spento il motore, un silenzio spettrale.
Era la seconda settimana di aprile del 2020, gli italiani da un mese vivevano un’esperienza mai vissuta; il lockdown e la pandemia avevano trasformato completamente la vita di ciascuno. Tra me e il militare le espressioni non verbali erano dimezzate dalla mascherina, ma c’era una calma quasi irreale, una gentilezza naturale, la stessa situazione che avevo trovato arrivando a New York un mese dopo l’11 settembre. Certo dovevano controllare i miei documenti che mi autorizzavano a circolare, ma il desiderio più grande era scambiare finalmente due chiacchiere con qualcuno.
Con un cenno della mano il brigadiere mi fermò mentre stavo recuperando il tesserino dei giornalisti dalla tasca interna, e subito attaccò discorso. Venivo dall’ospedale di Baggiovara, alla periferia di Modena, dove, insieme a Daniele Ferrero, il regista, avevo registrato le prime storie. I due carabinieri erano mo... continua a leggere
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La Fontaine amava le parole e sapeva sceglierle. Solo a questo prezzo si è scrittori. Le parole sono idee: si ragiona esattamente soltanto con una sintassi rigorosa e un vocabolario preciso. Credo che il miglior popolo del mondo sia quello che possiede la miglior sintassi. Accade sovente che gli uomini si scannino fra loro a causa di parole che non intendono. Si abbraccerebbero se potessero comprendersi. Nulla giova al progresso dello spirito umano quanto un buon dizionario, capace di spiegare tutto...
Anatole France, Il genio latino, 1913,
Un libro su La Fontaine resta difficile scriverlo a causa della stessa facilità con cui esso si presenta in un primo momento alla nostra immaginazione di lettori.
Giovanni Macchia, Gli anni dell'attesa, 1987
Ha saputo essere un grande immaginativo e, contro i cartesiani, un grande avvocato del sogno, della fantasia, delle visioni, senza tuttavia cessar di compiere il suo dovere di educatore del senso comune. Ha saputo essere un grande erudito, un uomo della memoria e della tradizione letterarie senza sembrarlo a... continua a leggere
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Questo saggio tratta all’apparenza alcuni argomenti tra loro distanti avvicinandoli sempre più fino a intrecciarli in una trama epistemologica ed euristica al centro della quale vi è il romanzo come viatico per costruire solide e potenti teorie sociologiche e vi è la biblioteca, privata e oggi inevitabilmente multimediale, dello studioso di scienze politiche e sociali, che costituisce per così dire il DNA di quella teoria sociologica. Se è intuibile che grandi romanzieri e grandi sociologi hanno spesso, più o meno consapevolmente o casualmente, portato avanti concetti, idee e tematiche comuni o almeno simili (Freud-Schnitzler, Kafka-Luhmann, Svevo e Pirandello-Goffman, ecc.), la posta in gioco di questo saggio non è porre in luce questa piuttosto evidente intuizione quanto fare un passo avanti su ciò che accomuna la costruzione di un romanzo (ma non di ogni tipo di romanzo, segnatamente il tipo di romanzo che meglio offre questa opportunità è il romanzo-mondo) e la costruzione di (quasi) ogni teoria sociologica. Come si vedrà, il contributo di Umberto Eco al riguardo è stato enorme an... continua a leggere
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«Ti vedo stanca, hai le borse sotto gli occhi
Come ti trovi a Berlino Est?»
Gli ultimi successi degli atleti Azzurri hanno risollevato il morale dei nostri connazionali stremati da una sconfitta ben più dura, quella imposta dal Covid-19.
Aver portato a casa la coppa degli Europei ha fatto sì che gli italiani scendessero per le strade e nelle piazze per far sentire i loro clacson e le loro urla di gioia fino all’alba, dando però l’impressione che tutto ciò fosse la metafora di una vittoria più nascosta o semplicemente la scelta arbitraria di mettere fine ad un incubo, illudendosi che i nostri calciatori avessero sconfitto non solo la squadra avversaria ma anche il virus.
Le vittorie sportive infatti non sono mai fini a se stesse, così come non lo è lo sport in generale, che da sempre è molto di più di quello che appare e non coinvolge solo chi lo pratica: è un ecosistema che vive all’interno del nostro pianeta.
Se si pensa alle donne di Sparta che al contrari... continua a leggere
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Quando a Eric Bishop appare Éric Cantona non è precisamente un evento mistico ma non è da escludere che per Eric lo sia, è un supporter del Manchester United e per i supporter dello United Cantona significa molto, è The King.
Eric ha il poster del suo idolo sul muro, come fanno i ragazzi in tutto il mondo, ma Eric non è un ragazzo, ha figli, una ex moglie, è vedovo e fa il postino.
Solo che Eric non ha il poster di Cantona perché è rimasto ragazzo, per Eric il suo eroe calcistico significa molto di più, per questo mentre parla dei suoi problemi con l’immagine del Re, e chissà quante volte lo fa, egli si materializza e gli parla.
L’apparizione di Cantona consente a Eric di sciogliere il suo conflitto interiore, individuare ciò di cui ha bisogno per dipanare il caos e trovare la forza di uscire dalla sua solitudine.
Vale la pena di trascrivere questa parte di dialogo tratto dalla versione italiana del film Il mio amico Éric
«Eric: Oh è incredibile come cosa, vero? Sessantamila persone che ti gu... continua a leggere
tag: Bill Shankly, calcio inglese, cinema, eric cantona, ken loach
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“Ora siamo tre fratelli uniti/ e così deve restare!”. Fratelli un po’ coltelli erano stati a lungo i tre Stati scandinavi: Danimarca, Svezia e Norvegia, legati da affinità linguistiche e religiose ma divisi da faide dinastiche, interessi economici e alleanze internazionali. Nel 1868, quando il futuro premio Nobel Bjørnstjerne Bjørnson incluse quel distico beneaugurante nell’inno nazionale norvegese Ja, vi elsker dette landet (Sì, noi amiamo questo paese), le note esistevano già da quattro anni; le aveva composte, in severo stile di corale luterano, suo cugino Rikard Nordraak.
Per il giovane Rikard, ardente patriota norvegese, la costruzione di un’identità nazionale passava anche dall’acculturazione del patrimonio musicale popolare in risposta alla soffocante egemonia di sinfonismo e camerismo tedesco, melodramma italiano e grand opéra francese: ideale romantico allora declinato in vari accenti dalla Spagna alla Mitteleuropa e dai Balcani alla Russia. Prima di morire ventiquattrenne in un sanatorio di quella Berlino dove aveva affinato la propria tecnica musicale, Nordraak riuscì a ... continua a leggere
tag: danimarca, musica, nation building, norvegia, svezia
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Nel considerare lo sport come un'attività motoria competitiva, strutturata e sottoposta a regole ci riferiamo a quell'insieme di gesti armonici e finalizzati in cui il corpo si plasma e si trasfigura, ed altresì al corpo come gesto, o meglio al corpo come autore del gesto. Per essere più precisi: non il corpo dispone di gesti, ma i gesti generano un corpo dalla greve immobilità della carne; i gesti, rivestendo il corpo della loro grazia, lo sottraggono all'osceno della 'massiccità' della carne che ha soggiogato l'alata motilità del gesto.
Trascendere l'immobilità della carne, il Körper, affrancarsi dalla sua cattività, librarsi dal fardello del suo peso mortale, dalle tenebre del suo isolamento per il tramite della levità e del piacere del gesto, significa accedere al Leib ed al suo tematizzarsi intenzionale, al suo temporalizzarsi nell'indissolubile rapporto originario Io-Mondo.
È in seno a tale intenzionarsi che la mera corporeità diviene Dasein, presenza; diviene altresì un Io coinvolto nel mondo, che – disoccultandosi dalla fossilizzazione e dal congelamento (Erstarr... continua a leggere
tag: Anorexia nervosa, corpo, fenomenologia, Gilbert Durand, psichiatria, sport
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Tanto dal breve romanzo Tous les matins du monde (Paris, Gallimard, 1991) di Pascal Quignard – un homme de lettres di cultura, intelligenza e raffinatezza davvero non comuni che, grazie ad alcune intelligenti operazioni editoriali, non ha oramai più bisogno di presentazioni per il pubblico italiano - quanto dal film che da tale testo è stato magistralmente tratto, si staglia netta e precisa la figura del Signore di Sainte Colombe, un musicista francese vissuto nella seconda metà del Seicento, di cui le fonti del tempo ci dicono peraltro assai poco (non conosciamo neppure il suo nome di battesimo…).
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Cercare di conoscere una persona attraverso ciò che è stato scritto di lei è un po’ come prepararsi a un viaggio studiando mappe e guide turistiche; solo così la conoscenza si trasforma nel piacere del riconoscimento, e in quel prefisso –ri si accumulano tante cose, non ultima anche una parte di noi stessi.
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Ricordo con precisione (avevo diciannove anni) il giorno in cui il professor Raimondi durante una sua lezione ci spiegò di come l’amore per un libro nasca molto spesso dalla curiosità risvegliata dalla discussione con un amico più che dalle incombenze universitarie. Di lì a poco avrei visto, guarda caso consigliato da un amico, quel meraviglioso film nel quale F. Truffaut, che ne è anche il protagonista, narra le vicissitudini di una troupe impegnata nelle riprese di un lungometraggio. Nel finale lo stesso Truffaut parla, con una certa invidia, dell’amico attore che è stato chiamato per girare una versione di Primo amore di Turgenev ambientata in Giappone, un’idea, a suo modo di vedere “splendida”.
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Che bisogno ha il Leopardi di dire, a un certo punto de L’infinito e precisamente al v. 4, che sta seduto (o che si siede)? Mi pare di averlo compreso la prima volta che sono stato sul famoso «ermo colle» di Recanati. Quell’occasione mi resta fissa nell’animo, mentre ravviso ogni luogo e ogni gesto; mi resta addosso come quell’inafferrabile gerundio, «sedendo». Un «sedendo» preceduto, per altro, dal «ma» avversativo: prima, forse, il poeta non era seduto? Io credo di sì.
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Spesso si è rinfacciato a Cicerone di non essere un filosofo ma soltanto un mero “fur” di idee altrui: invero, si tratta di un’accusa falsa già nelle sue premesse stesse, giacché il nostro autore non ha mai voluto essere un filosofo, almeno nel senso pieno di “fondatore di un pensiero filosofico”; lo fu invece nel senso etimologico primo del vocabolo greco, ovvero “appassionato di sofia” e grande estimatore del suo alto valore nella formazione dell’homo e dell’humanitas.
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Sono parole molto conosciute, eppure non posso che partire da qui, dalle fondamenta della Commedia di Dante: l’uomo e la libertà.
Dall’unione di queste due parole si genera l’esplosione di umanità che troviamo canto dopo canto; un’esplosione il cui contraccolpo e la cui eco sembrano non perdersi ed affievolirsi col tempo, ma crescere vigorosamente.
Siamo testimoni, nel nostro tempo, dell’espandersi della fama di Dante ben oltre i confini dell’Europa: quel suo grido è davvero diventato un «vento» ed è giunto sino in Giappone, Cina, Australia, Africa.
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“Diventare qualcuno in un quartiere dove tutti erano nessuno”. Sincera come una tegola in testa, questa affermazione del protagonista di Good fellas di Martin Scorsese contiene in sé la forza di un significato che va oltre alle parole stesse e la tenacia di una volontà la cui pervicacia non conosce rimpianti o perplessità. Di più. Essa contiene la violenza della prevaricazione nella consapevolezza tutta biologica di un istinto di sopravvivenza che per adattarsi è costretto ad una battaglia i cui colpi sono quasi sempre mortali. Che differenza c’è fra i film di Scorsese e Il richiamo della foresta di London?
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Se andiamo a ripercorrere le definizioni che scrittori e linguisti di ogni epoca hanno elaborato per la metonimia, molte sono le incongruenze, o meglio, poche sono le certezze. Né la retorica classica né le recenti tropologie, infatti, hanno dato una definizione esaustiva di questa figura. La prima ha piuttosto fornito delle classificazioni, degli elenchi di tropi; le seconde non sono arrivate a individuare dei criteri soddisfacenti per definire e distinguere i tropi.
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Con l’elezione a Sommo Pontefice dell’allora Cardinale Arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, il 21 giugno 1963, la Cattedra Episcopale ambrosiana si rendeva vacante. Con tempestiva decisione, Paolo VI nominava suo successore a Milano l’allora Rettore Maggiore dei Seminari Ambrosiani e Vescovo Ausiliare Mons. Giovanni Colombo.
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Sessant’anni fa, in Italia, fu emanata una serie di provvedimenti legislativi che vengono abitualmente definiti con il nome di “leggi razziali”.
Queste leggi, per un lungo periodo, sono state oggetto di un fenomeno di “rimozione collettiva”: la memoria storica è selettiva, a volte, così come la memoria umana, e accade che tenda a cancellare ricordi di fatti che è sgradevole ricordare.
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A multidisciplinary approach to the problem of consciousness and its development in the evolutionary process that shaped Homo Sapiens cannot leave apart the analysis of Julian Jaynes’ theory of the origin of consciousness in the breakdown of the preconscious “bicameral mind” (Jaynes 1976).
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Nonostante Harold Pinter (Hackney, London, 1930) non abbia ricevuto i favori della critica che meritava nel momento in cui le sue pièces apparvero sulla scena, è riuscito tuttavia a divenire via via uno dei drammaturghi più famosi e apprezzati del nostro tempo complesso ed irrequieto.
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Il Viaggio in Italia di Montaigne - per molte ragioni già chiarite da voci attendibili e per altre che tenterò qui di esporre - può considerarsi un classico tout court. Così, preliminarmente, mi chiedo con Roberto Roversi: «Sono ancora i classici il ponte di liane degli incas, tremolanti su tremendi strapiombi, che con filo di dura corda e pezzetti di legno uniscono ripe lontane e contrapposte altrimenti inaccessibili? Resistono ancora ad essere lo specifico miracoloso di lunga durata?».
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La Vita S. Malchi monachi captivi, breve ma preziosa biografia romanzata scritta da s. Girolamo a Betlemme, probabilmente poco dopo il 390, è stata piuttosto trascurata dagli studiosi, come dimostra la scarsa bibliografia esistente su di essa.
Generalmente la storia di Malco è stata guardata con una certa sufficienza da chi era interessato alla storia del monachesimo primitivo, forse ingannato dalla affascinante veste letteraria in cui si presenta, tanto armonicamente composta da poter apparire, ad una prima lettura, quasi un romanzo d’avventure, anche se non privo di una finalità edificante. Un’analisi non pregiudiziale di quest’opera rivela insospettati elementi di assoluto interesse.
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Se mille voci si fanno parole di un libro, è come ridurre sul tavolo di casa, sotto gli occhi o vicino al cuore, un bosco di mille alberi che ci copre intero; che fruscia con tutte le foglie per non lasciarci assopire; che inquieta con inesorabile temperanza la nostra immaginazione, il nostro cauto lento sapere, il nostro desiderio di sonno (il sonno della ragione) o la nostalgia di esso.
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In veste di semplice cittadino europeo, che desidera nondimeno essere bene informato circa i maggiori problemi che travagliano il suo tempo, leggo non senza ansia, anzi non senz’angoscia su diversi quotidiani notizie assai inquietanti in merito a vignette ove si satireggia Maometto.
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Medito e rimedito da giorni questo film, che esprime mirabilmente il grave, inesorabile travaglio di fondo proprio del nostro tempo inquieto: lo fa con algida chiarezza e caustica ironia, delineando (e denunciando?) una disperazione assoluta che, se non viene debitamente vigilata, rischia davvero di soffocarci, di annichilirci.
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La storia raccontata dai vinti è, di solito, più interessante di quella raccontata dai vincitori: i vinti non possono infatti ignorare le ragioni dei vincitori, mentre questi ultimi rischiano di rimanere preda della superficialità che, di norma, accompagna la retorica della vittoria.
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Scopo molto più modesto di un’analisi della «lingua della guerra e della resistenza», della cui necessità Bruno Migliorini, nell’immediato dopoguerra, si era fatto interprete e che ancora oggi, fatta eccezione per alcuni notevoli ma settoriali saggi difetta di studi esaustivi, le note che seguono si occupano dei modi di produzione dei nomi di battaglia partigiani.
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Com’è noto, oggi il fenomeno della prostituzione è disciplinato dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75 sull’Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui («Gazzetta Ufficiale» n. 55 del 4 marzo 1958). Questa legge – giunta all’approvazione dopo lunghi dibattiti in sede parlamentare (con un iter legislativo durato circa dieci anni, a partire dalla presentazione in Senato del relativo disegno il 6-8-1948)
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Per ognuna delle molteplici ed eterogenee tribù che compongono il popolo degli indiani d’America, la religione ebbe, e per molti versi continua ad avere, un’importanza tale nella vita individuale e sociale che noi europei fatichiamo a comprendere. Per rendere l’idea dell’integrazione socio-culturale della religione degli indiani nella loro vita quotidiana, possiamo paragonarla a quella esistente in gruppi religiosi ultraortodossi, quali gli Amish in Ohio, o a periodi storici di particolare ingerenza della Chiesa Romana sull’agire individuale.
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Annibal Caro nasce nel 1507 a Civitanova Marche, e riceve i primi rudimenti da un modesto maestro di grammatica, che tuttavia semina nell’allievo l’amore appassionato per le lettere: a testimoniare il suo precoce impegno ci restano i versi latini, ancora acerbi e scolastici, indirizzati al suo precettore. Sul versante della letteratura volgare, il gusto del giovane Caro è ancora immaturo e disordinato
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Inverni alle spalle, ma quante estati aspettano ancora?
Riserva ogni speranza a domani,
giuoca sul concreto,
butta la lattina vuota. Non sentite il tuono?
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Liano Petroni, professore emerito di Lingua e Letteratura francese presso l’Ateneo bolognese, si è spento sabato 7 gennaio nella sua dimora, dopo alcuni giorni di dura sofferenza. Studioso e docente di fama internazionale, nonché insigne decano dei francesisti italiani, Petroni è anche stato, per quasi mezzo secolo, una delle figure più vivaci ed affidabili nel panorama accademico e culturale bolognese.
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Almeno due sono le immagini, dolorose e cariche di verità, dolorose forse perché cariche di verità, di un film, un altro coraggioso gesto di Sabina Guzzanti, Viva Zapatero! Mi riferisco all’esplosione di pianto di un redattore del «Corriere della sera», Alfredo Pieroni, lacrime piante ricordando il destino di Enzo Biagi
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In occasione della traduzione delle sue poesie in italiano, da giovedì 27 a sabato 29 aprile è straordinariamente in Emilia Romagna Lorand Gaspar, importante protagonista della cultura francese: amico e collaboratore di Bonnefoy, chirurgo di professione, poeta, fotografo, traduttore.
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Porta la data del 25 dicembre 2005 - solennità del Santo Natale - ma è stata pubblicata solo il 25 gennaio del 2006, ossia nella festa della Conversione di San Paolo Apostolo, la prima enciclica di Benedetto XVI.
Il tema che il Papa pone al centro di questo superbo documento è, come si sa, l’Amore. L’enciclica è divisa in due parti: una più speculativa e l’altra d’impostazione più pratica. Invero, considerarne una senza riflettere sull’altra, sarebbe snaturare il vero, pieno, profondissimo significato dell’Amore cristiano.
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Pedro Juan Gutierrez è orgogliosamente cubano e, attraverso l’esaltazione del suo spirito caribeño, trascina lo smarrito lettore negli archetipi delle situazioni più insolite, ma le più quotidiane per l’autore.
Habanero di adozione, antillano per nascita e per costumi, carnalmente spirituale, un po’ buddista e un po’ alcolizzato, apparentemente cialtrone, senza dubbio sfacciato
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Che cosa si può dire, oggi, di Roberto Roversi riferendosi all’odierna poesia? Intanto del silenzio steso sulla sua opera da molti anni, oramai, da parte della critica e non solo, salvo alcuni - e qui vorrei citare due persone su tutte: Fabio Moliterni che con il suo Roberto Roversi. Un’idea di letteratura I (Edizioni dal Sud, 2003), ha tracciato un quadro ampio e informato; e Arnaldo Picchi, che ne sta curando il lavoro teatrale, facendolo rappresentare e ripubblicandolo.
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Dicevano i fratelli Schlegel che una recensione – intesa quasi come genere letterario, o almeno come forma essenziale del pensiero critico – dovrebbe essere «la perfetta risoluzione di un’equazione critica». Ma è ovvio che non è possibile dare una soluzione univoca a quell’intricatissimo sistema di equazioni, dalle variabili implose e tendenti all’infinito, dai valori quanto mai contraddittori, relativi, controvertibili, che può essere rappresentata dal panorama, vastissimo e assai frammentato, della poesia italiana del secondo Novecento.
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Ad un’analisi superficiale, i due testi annoverano non pochi elementi di convergenza; entrambi, ad esempio, furono pubblicati nel 1939. Da un punto di vista strutturale e metrico, poi, si potrebbe procedere da un livello macroscopico, rilevando un’uguale bipartizione strofica organizzata su unità costitutive contenute
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Dalla quarta di copertina dell’agile volumetto di Roberto Gilodi, di recente uscita, lo studioso di prosa contemporanea ricava senz’altro l’impressione di un coraggioso tentativo, ad alcuni anni di distanza dal celebre e fortunato Il romanzo di formazione di Franco Moretti[2], di ridiscutere il problema critico-teorico del romanzo di formazione, un genere (o sottogenere) narrativo che tematizza la vicenda evolutiva di un personaggio adolescente. Come è noto, questa particolare variante romanzesca, di non facile definizione, è fiorita in Europa tra Sette ed Ottocento ed ha avuto una significativa tradizione anche in Italia, dove però la relativa bibliografia critica risulta insoddisfacente e forse troppo legata all’ auctoritas morettiana.
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L’asino, dal latino asinus e dal greco ovos, sembra quasi aver un gran talento nell’ignorare le cose: è andato via da asino ed è tornato da somaro (sic).
L’asino, per secoli personificazione dell’ignoranza e della diabolica ostinazione, è al tempo stesso l’animale che sa di più, perché sa di non sapere. In effetti, il raglio è, fra le voci della natura, una fra le più drammatiche, espressione di un’urgenza irrimediabile e della volontà di non tacere più, dopo aver troppo taciuto.
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È con Lei, attento osservatore, che vogliamo trovare le parole per poter parlare di cultura. Cercare una definizione, vedere i luoghi dove oggi si realizza, i suoi protagonisti, quali rapporti ha con la realtà che ci circonda. Come ancora si può attraversarla. Vediamo perciò di capire cos’è e i vari livelli in cui si esprime
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Ho seguìto la vicenda tragicomica di Luciano Moggi e della sua ‘banda’: da una parte l’ho trovata divertente per la spudoratezza del personaggio che, con faccia beffarda, negava l’evidenza palese di partite truccate, di goal evidentemente validi annullati, di rigori inesistenti assegnati alla squadra da lui diretta. Per quanto riguarda il côté comico, credo che il personaggio discenda direttamente dagli schiavi della commedia palliata: nel mondo carnevalesco e rovesciato degli schiavi plautini, al posto del valore forte della fides quale fondamento della giustizia, troviamo quello della perfidia, la santa protettrice dei servi: “Perfidiae laudes gratiasque habemus merito magnas” (Asinaria, v. 545), “abbiamo ragione di elogiare e ringraziare assai la Malafede”, dice lo schiavo Libano allo schiavo Leonida.
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Abbiamo vinto!!! E non è stato il grido di un goal a segnare la vittoria dell’Italia sulla Francia, quel grido con cui su Italia-Germania era scesa l’inappellabile fine, il goal di Grosso più veloce di un sogno prima che il tempo finisse, per farci arrivare ad un grido liberatorio e catartico…
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Un noto adagio, non esente da certo malevolo snobismo, sostiene che la difficoltà di scrivere un bestseller consista nell’indovinare il cattivo gusto della gente comune. Né il tanto abusato rapporto inversamente proporzionale tra la quantità degli estimatori e la qualità del prodotto è privo di fondamento. Per quanto concerne l’esperienza estetica, poi, da quando l’arte ha perduto la propria ovvietà (per dirla con Adorno), parrebbe degno di credito solo ciò che è capace di épater les bourgeois, soddisfacendo per converso la schifiltosità di conventicole ristrette ed esclusive.
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In che modo un ragazzo viene a conoscenza dell’esistenza della cultura degli indiani d’America? A pensarci bene in un solo modo: attraverso i film western.
Fin da bambini siamo abituati a guardare questi film in compagnia dei genitori, senza che ci venga spiegato nulla (o quasi) di quel che è stata la civiltà di questo popolo, e solo per naturale sensibilità ci commuoviamo davanti alle stragi dei pellerossa che vengono sconfitti dall’uomo bianco armato di fucili.
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In chiusura alla prefazione della seconda edizione di Il gioco del rovescio di Antonio Tabucchi, leggiamo che la pubblicazione del libro presso Il Saggiatore avvenne “per desiderio dell’amico Vittorio Sereni, la cui memoria mi è cara.”
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Come leggere le note d’un labirintico spartito
d’impromptus?
Là dove accordi e dissonanze, il celestiale e il demonico si fondono in
una musica che sembra anticipare Glass e Nyman? Dove gli stacchi, le pause
sono già “silenzio” di Cage?
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Le parole a volte hanno maggior forza dei gesti. Anche non poche parole dell’Antigone di Sofocle: parole con le quali la ragazza afferma la sua identità: quando Ismene le fa notare : “tu hai il cuore caldo per dei cadaveri gelati” (v. 88), ella risponde : “ma so di esser gradita a quelli cui soprattutto bisogna che io piaccia”
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Non ci crediamo che ci abbia lasciati.
Diciamo che non è vero.
E non è vero
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Un’indagine approfondita delle situazioni sociali e strutturali, nel secondo dopoguerra, dei comuni della pianura orientale bolognese, viene svolta in due saggi, pregiato contributo all’individuazione dei fenomeni attuali attraverso la conoscenza degli elementi storici di partenza, comprovati da interessanti tavole statistiche e corredati da una consistente serie di fotografie d’archivio.
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Le sfumature della religiosità cubana non si possono certo condensare in un’unica definizione. Là dove mancano i confini dell’ortodossia, il sincretismo cubano si dispiega, labile e fantasioso, in un pantheon di divinità ove spiritualità e magia sono alcune delle caratteristiche fondamentali di una religione in cui crede e si riconosce il 70% dei cubani.
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Il realismo siciliano ha origini lontane nel tempo. Da sempre gli scrittori siciliani hanno sentito e vissuto drammaticamente il fatto di essere siciliani, rimanendo legati alla Sicilia indissolubilmente o allontanandosene. La cultura siciliana del ’700 è stata collegata continuamente e intensamente a quella francese da Tommaso Campailla, a Francesco Paolo Di Blasi, dal marchese di Villabianca a Tomasi di Lampedusa, a Lucio Piccolo, ed ha trovato l’apice, il momento più alto di questo legame nel verismo, nel suo rapporto col naturalismo francese
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Affrontando il problema del canone letterario italiano della seconda metà del ’900, Romano Luperini nel suo bel testo Insegnare letteratura oggi propone una quaterna di nomi, che diventa poi una cinquina (Gadda, Calvino, P. Levi, Fenoglio e Bilenchi), motivando la scelta, correttamente, con criteri di natura linguistica e stilistica, e diffidando i docenti che, in base a una classifica “fai da te”, dessero nelle mani degli studenti testi di Carlo Levi, Moravia o (peggio) Brizzi, Nove o Santacroce, dal proporre modelli di lingua opinabili o addirittura scorretti
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Il tasso di convenzionalità della letteratura greco-romana era molto più elevato del nostro, giacché mancava il concetto di opera d’arte come “opera di genio”. In fondo già Platone (Ione) aveva pronunciato una condanna definitiva contro l’enthousiasmós (i latini avrebbero detto raptus mentis, Bruno eroico furore)
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Caro Monda, qui di seguito alcune (tre o quattro) considerazioni sullo Chef d’oeuvre inconnu di Balzac, racconto commentato e ricommentato decine di volte e da signori davvero molto per bene (se una lettera dovesse portare un titolo io qui scriverei Tormentone senza fine. Ancora considerazioni sullo ‘Chef d’oeuvre’ eccetera).
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Il libro pone a confronto l’Europa delle ipotesi con l’Europa che concretamente vide sfilare il quarantennio che va dal 1945 al 1984. Attraverso un’analisi corredata da testimonianze e documenti firmati da nomi autorevoli (Giorgio Napolitano, autore anche della postfazione, Nilde Jotti, Palmiro Togliatti, Luigi Longo, etc), gli autori hanno ricostruito, con precisione ed acribia scientifica
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Anche al di là delle gravi difficoltà e dei fallimenti eclatanti che vengono proposti dalla cronaca quotidiana, il corto respiro dei correnti modelli di formazione si sta rivelando nella sempre più diffusa incapacità di proiettarsi oltre i bisogni immediati
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Si possono smontare diversi pezzi della pietas di Enea, il furfante bigotto. I sacrifici umani del figlio di Venere, poi quelli degli Etruschi, dei Tirii, dei loro coloni Cartaginesi, dei Romani, e dei Celti, Galli e Britanni. Durante la battaglia successiva alla morte di Pallante il duce troiano
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Ci sono libri di migliaia di pagine (una decina dei quali basterebbe a colmare un ripiano di una libreria) che si ha l’impressione siano famosi più per il loro peso che per il loro valore, ovvero per le loro potenzialità conoscitive. Ci sono invece libri come questo, di poche pagine, capaci però di farci dono delle verità di cui necessitiamo, in maniera semplice e diretta
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Ripresentare Angelo di bontà al lettore dell’oltre-Duemila significa, per prima cosa, riflettere sulle ragioni di questo recupero, non tanto per il fatto che la tradizione critica ha relegato questo testo tra le opere minori del Nievo, facendone niente di più che una delle tappe di avvicinamento, in un percorso che si compie in uno stretto giro di anni, alle Confessioni di un italiano, quanto perché
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Malgrado l’importanza da tutti riconosciuta all’azione e al pensiero di Aurelio Saffi e l’attualità ribadita persino nella delibera che ha consentito l’avvio della Facoltà di Scienze Politiche nell’Ateneo bolognese, ove si parlava di collegamento ideale con la Libera Scuola di Scienze Politiche di Aurelio Saffi, pare indubbio che - salvo rare e talora valide eccezioni - gli studiosi non abbiano ancora
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Missione ideale del traduttore, scriveva Ezra Pound in una lettera a Carlo Izzo, insigne anglista dell’Ateneo bolognese, riferendosi alla versione dell’ipnotica e tenebrosa Night litany che questi avrebbe incluso nella sua antologia della poesia nordamericana, è rendere l’essenza del testo facendola trasparire nella lingua d’arrivo come se il poeta si fosse originariamente e spontaneamente espresso
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A distanza di un anno dall’improvvisa e prematura scomparsa di Paolo Bagni, avvenuta il 16 Gennaio 2006, è stato pubblicato un volume dal titolo I linguaggi dell’estetica, in cui è stata raccolta una scelta significativa di una quindicina di saggi, articoli e conferenze, che testimoniano dei suoi interessi degli ultimi anni (1993-2005)
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Uno dei libri più belli che mi sia mai capitato di leggere, volle impressa questa frase sulla fascia di copertina del capolavoro di Márquez, Giangiacomo Feltrinelli, quando la sua casa editrice ne pubblicò la prima uscita in Italia
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Tangentopoli ci ha insegnato la cultura del sospetto. Non ci chiediamo più se la classe politica sia corrotta, ma quanto; non temiamo più la lottizzazione, cerchiamo di individuarla
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Due libri recenti, Lacchè, fighette e dottorandi di Maurizio Makovec e Candido o del porcile dell’Università italiana. Storia vera di un cervello senza padrino (Limina) di Ernesto Parlachiaro – eloquente pseudonimo, quest’ultimo, dietro cui si cela prudentemente un noto studioso di filosofia
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Non è una novità per me soffermarmi a riflettere sulla Liturgia ed in particolare sulla bellezza e solennità del Rito Ambrosiano, come non è qualcosa di nuovo presentare all’attenzione del lettore qualche piccola nota su Alessandro Manzoni
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Sono persuaso che l’unica vera ragione per cui io – uno fra i tanti studiosi della letteratura e delle idee che aspirano a spaziare, più o meno credibilmente, dal Rinascimento al Romanticismo – meriti d’essere ascoltato su questo argomento risieda nella mia (quasi) ventennale collaborazione ed amicizia con Roberto Roversi ed Ezio Raimondi
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Alta età” è una bella definizione. Bella e piena… anche vera certamente, però a me fa venire le vertigini… le vertigini del tempo, le vertigini dell’altezza eccetera… come essere già seduti sopra una nube. Per mio uso preferisco “età grande”, “l’età grande”, con la convinzione di riferirmi al sentimento più emiliano
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"Alta età" è una bella definizione. Bella e piena… anche vera certamente, però a me fa venire le vertigini… le vertigini del tempo, le vertigini dell’altezza eccetera… come essere già seduti sopra una nube. Per mio uso preferisco “età grande”, “l’età grande”, con la convinzione di riferirmi al sentimento più emiliano
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Dal 1943 al 1978 l’Italia ha subito la più profonda e radicale trasformazione della sua storia recente: da nazione largamente rurale è diventata un moderno paese industriale. Venticinque anni che videro l’esordio nell’immediato secondo dopoguerra e si conclusero con la stagione tetra del terrorismo
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In data 7 luglio è stato promulgato il Motu proprio “Summorum Pontificum” sulla liturgia latina anteriore alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II e, segnatamente, all’edizione del nuovo Messale Romano del 1970
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È possibile accostarsi alla letteratura italiana partendo da un approccio diverso da quello previsto dal canone? È possibile contestualizzare storicamente tale approccio servendosi di elementi considerati al margine rispetto a quelli tradizionalmente accettati ed utilizzati a questo scopo?
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Premettiamo che questa antologia è stata concepita in modo un po’ insolito: più che essere un semplice excursus di miti o immagini religiose dell’oltretomba elaborate dalle varie civiltà succedutesi nella storia, i due curatori hanno pensato
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Sulla televisione che informa in maniera esclusiva e forma (male, anzi quasi de-forma) la maggioranza numerica del popolo italiano, riporto alcune opinioni non mie, anche se in buona parte condivise; quindi dirò qualche cosa di mio, applicando la “teoria” a determinate notizie di questi giorni. Infine, farò delle citazioni contro la prepotenza
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Ce l’eravamo un po’ dimenticata, confessiamolo…è fuori dal mondo dal 23 febbraio 2002: sequestrata dalle Farc colombiane, da allora si muove nella foresta, lancia radi messaggi alla famiglia e al mondo, mangia riso e fagioli, si ammala forse, dorme, piange, ed essendo per noi invisibile sfuma e scompare
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Gianfranco Nerozzi è un artista a tuttotondo perché sulle arti ha impostato l’intera sua esistenza: pittore, con un passato da batterista in un gruppo rock dell'area bolognese, sportivo, cintura nera di karate e cultore di arti marziali, nonché scrittore di numerosissimi romanzi e insegnante di scrittura in diversi laboratori.
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Minimalista per scelta poetica e anticonformista nella resa formale, Berselli mescola, nel suo secondo romanzo, paura, senso di frustrazione e di inadeguatezza, ironia, introspezione psicologica, pazzia e abissi dell’animo umano in un cocktail vertiginoso che si consuma tutto d’un fiato
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È impossibile parlare della costruzione del mondo gaddiano senza riferirsi alle due componenti fondamentali della sua cultura: da una parte la sua professione di ingegnere cui dedicò, volente o nolente, l’attività professionale, e dall’altra parte la grande tradizione dell’illuminismo lombardo, della quale rimase per sempre un fervido ammiratore
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Come il ‘santo’ non possiamo certo che ‘astenerci’ dalla tentazione di puntare dritto al nocciolo del busillis che guida sotterraneamente, nella visionaria prospettiva drammaturgica di Picchi e forse nell’origine stessa della Iena, questa sceneggiatura, questa «traccia drammatica»
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..."Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia sogno o realtà!". Tale dubbio, messo in evidenza dall’uso per il resto assai ridotto della parola, ci riporta nuovamente all’incipit, facendo luce sul suo significato e mostrandone il valore simbolico. Kim Ki-duk riflette su cosa sia illusione, inganno, falsità...
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Sono tristemente attuali, se riferite all'odierno ambiente scientifico ed accademico, le considerazioni ironiche ed amare di José Ortega y Gasset nella Rebelión de las masas riguardo alla «barbarie del especialismo», alla rigida ed alienante parcellizzazione e frammentazione delle competenze tecniche
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Milo Manara è conosciuto come il più grande fumettista erotico dei nostri tempi. Le sue donnine hanno travalicato i canoni della perfezione policletea per assurgere a una dimensione senza spazio né tempo in cui la bellezza diviene misura di tutte le cose, dileggia le imposizioni futili e sfugge annoiata alla morale comune
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«Il signor Settembrini è letterato», disse Joachim al cugino Hans Castorp (questi aveva subito notato, nell’espressione del Satana, un invito alla «vigilanza e alla chiarità di pensiero»), «ha scritto per giornali tedeschi il necrologio di Carducci, sai?» («Che ne sai tu di Carducci? Tanto poco quanto me, suppongo», sembrò dire a Joachim, con l’eloquenza di uno sguardo stupito, Hans)
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Ragionare sul libro di un coetaneo m’infonde una sensazione singolare. Sono abituata infatti a confrontarmi con autori verso i quali provo, sovente mio malgrado, la soggezione dell’età, o dei titoli accademici o, peggio ancora, dell’aura di potenza che deriva dall’essere “faro dei popoli”, che si genera quando il pensiero contenuto in un testo diviene una sorta di bandiera per movimenti politici o sociali
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Non si può dire che gli interpreti italiani, ma non solo italiani, abbiano dedicato l’attenzione che merita al rapporto fra intellettuali e socialismo nella cultura britannica del secolo scorso
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In questi giorni ho sfogliato per la seconda volta un piccolo libro, circa 140 pagine, copertina azzurra, con una bella foto di cui più avanti parleremo, consigliato da un amico, professione psicologo
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Matteo Bortolotti è un giovanissimo della scrittura. Sia perché fin da piccolo sperava che la scrittura divenisse la sua strada e in quella direzione si è incamminato. Sia perché, nato nel 1980, ha pubblicato il suo primo romanzo a soli 25 anni
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Frutto di inesausto impegno filologico e di scientifica dedizione al Leopardi, Restauri leopardiani, l'ultima raccolta di saggi (otto per l’esattezza) di Pantaleo Palmieri costituisce quasi un distillato del metodo e delle competenze dell'autore
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In un suo volume apparso di recente, La violenza politica. Un’analisi criminologica, il sociologo Vincenzo Ruggiero prende in esame la forza autorizzata e la forza non autorizzata, ossia le due forme in cui si manifesta la violenza politica
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L’inclinazione poetica è in lui così profonda e radicata che alle mie domande ha risposto spontaneamente in versi, ragion per cui ho ritenuto che, mantenendoli, avrei trasmesso più autenticamente le sue risposte. Gli elementi fondanti di Tutto questo tutto sono ancora quelli del cielo di Giotto
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Epicentro del romanzo di Elisabetta Pasquali, Il gusto del picchio, è Elena De Pisis, giovane psicoterapeuta, in apparenza sicura e professionalmente irreprensibile, anche se nella vita privata Elena è una trentenne fragile, timida, con pochissimi amici, un padre gravemente malato e un maestro -il Guru- che è un po’ guida spirituale un po’ consigliere sciamanico, grande conoscitore di persone, problemi e rispettive soluzioni
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Ingrid è libera! Questa notizia illumina la mia mattina, aggiunge un bonus di positività alla mia giornata, alla città arroventata e sonnolenta, alla vita che arranca...Ingrid è libera, si laverà i capelli con qualcosa di profumato, dormirà con la guancia su un lenzuolo croccante e poi forse si alzerà, nel buio, per andare a sentire respirare i ragazzi
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Il Dizionario della critica militante recentemente uscito per i tipi di Bompiani fornisce una mappatura ampia ed esauriente della critica letteraria italiana dell’ultimo ventennio. Il libro si articola in due saggi distinti: il primo, dovuto a Giuseppe Leonelli, abbraccia gli anni Ottanta, il secondo, di Filippo La Porta, riguarda l’ultimo decennio del secolo scorso. Completa il Dizionario una ricca appendice di Caterina Mannucci
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Sono immigrato (da Pesaro) a Bologna nel 1963, poi, nel ’68, dopo l’Università, ho dovuto spostarmi a Padova per trovare lavoro, ma appena ho potuto, nel ’74, sono tornato nella città dell’Alma mater e ci sono rimasto
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Che il Paradiso si costituisca come cantica della luce è un tale truismo da non abbisognare ulteriori dimostrazioni; anzi si può senz’altro affermare che l’ultimo viaggio di Dante rappresenti un itinerarium come praeparatio ad contemplationem lucem Dei
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Vorrei dire, come prima cosa, che il giocatore di scacchi è un atleta della mente, e che nel corpo non possiede la muscolatura del centometrista o del saltatore. Ne racchiude, però, negli occhi ogni vigore e slancio. Il giocatore di scacchi può vestire bene, può esibire eleganza negli abiti e non è costretto dal pudore moderno ad indossare costumini indecenti al posto della fiera nudità che abbelliva gli antichi atleti delle prime gare
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...un’autentica, lunga passione per la Morante, una passione – consentitemi la parentesi autobiografica – che risale per lo meno alla fine degli anni Ottanta, quando un geniale canonista ch’era anche un umanista “di razza”, Giuseppe Caputo, mi disse ore rotundo che, per la mia crescita complessiva – culturale e anche creativa, diciamo così – era importantissima un’intensa, partecipata meditazione delle opere di Rebora, Pasolini, Luzi ma, in special maniera, di Elsa Morante
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Luigi Bernardi è giornalista, traduttore, scrittore saggista e giallista, sceneggiatore nonché regista teatrale, consulente editoriale e talent scout (ha lanciato in Italia alcuni scrittori del calibro di Carlo Lucarelli, Marcello Fois, Giuseppe Ferrandino, Nicoletta Vallorani). Ha diretto case editrici, riviste e collane di libri e di fumetti (è stato lui a spianare la strada al fenomeno manga in Italia)
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È Luna Lanzoni che esordisce come scrittrice col romanzo La ragazza dalle ali di serpente, pubblicato per Zoe nel 2007. Ma anche questa Luna, come il nostro satellite, nasconde una faccia segreta, che si sovrappone timidamente al suo pseudonimo: Barbara Baraldi, noirista prolifica, vincitrice del Premio Mario Casacci e del Premio Gran Giallo Città di Cattolica, fotografa e modella dell’ambiente alternativo
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Lo scheletro del Candide del Teatrino Clandestino si riempie di segni e simboli: reliquia di una bizzarra deflagrazione ricomposta con la tecnica del papier collé, idee, visioni, frammenti di materia vi galleggiano insieme con una zattera alla deriva di nome Europa. E di materia si tratta, un palcoscenico-ring, costruito e distrutto, fagocitato da un’azione scenica totale, in febbrile modellamento
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Menzogna e sortilegio non è semplicemente uno dei romanzi di Elsa Morante: è il romanzo di Elsa Morante, quello che più di ogni altro ha amato, e nel quale ha trasfuso e incarnato le energie fondamentali del proprio vissuto esistenziale e artistico. Ecco perché nel 1959, nonostante i consensi tributati da critica e lettori a L’isola di Arturo (1957), l’autore non esita a sottolineare la grandezza irripetibile del suo primo lavoro, definendolo «il libro più notevole»
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L’ultimo libro di Luisito Bianchi I miei amici, uscito nella primavera scorsa da Sironi editore, raccoglie i suoi diari del periodo 1968 – 1970, che custodiscono la memoria di un’avventura esistenziale particolarissima: l’esperienza di prete e di operaio vissuta in quel periodo presso la Montecatini di Spinetta Marengo, importante stabilimento industriale del polo chimico
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L'ultimo arco del XX secolo ha dato alla luce grandi trasformazioni: l'uso ormai esteso dell'informatica, l'affermazione mondiale di Internet e, più in generale, il ruolo centrale, propulsivo che il sistema dei media va assumendo nel gruppo delle società occidentali fanno pensare a un mutamento che mette le sue radici nella fisiologia stessa dell’uomo
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L’edizione del Principe (1513) di Niccolò Machiavelli uscita nel 2006 a Buenos Aires è di particolare interesse sia per l’accuratezza e l’aderenza al testo della versione in lingua casigliana, sia per le argomentazioni svolte nei due saggi introduttivi da Antonio Hermosa Andújar, studioso spagnolo di storia del pensiero filosofico-politico
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Credo che la capacità di saper aspettare sia una delle mie caratteristiche migliori. Lavoro, amore, amicizia. Direi che ho esempi in tutti i campi. Non ho mai avuto fretta per nessuna cosa. Ma non mi sono mai data per vinta. Con i libri, per esempio. Ma anche nelle amicizie
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Lo scrittore di origini vergatesi è notissimo ai lettori per il suo personaggio poliziesco, sergente Antonio Sarti. Le domande di quest’intervista sono partite proprio da Antonio Sarti e sono approdate, attraverso un ponte invisibile, all’ultima opera appena uscita da Perdisa: Via Crudes. Si tratta di un “Romanzo impossibile in tredici stazioni” cui fa sosta il protagonista
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Laureato in Lettere, master in “Cooperazione internazionale, diritti umani e politiche dell’Unione Europea”, Luigi Giorgi è membro della “Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea” e lavora presso la Camera dei deputati. Ha pubblicato nel 2003 Una vicenda politica. Giuseppe Dossetti. 1945-1956, e nel 2005 Giuseppe Dossetti e la politica estera italiana. 1945-1951, entrambi da Scriptorium (Cernusco sul Naviglio). Nel 2007 ha curato l’antologia Le «Cronache sociali» di Giuseppe Dossetti. 1947-1951. La giovane Sinistra cattolica e la rifondazione della democrazia italiana (Diabasis, Reggio Emilia), e mandato alle stampe da Scriptorium Giuseppe Dossetti. Una vicenda politica. 1943-1958 (profonda revisione, aumentata di parti inedite e di nuovi materiali, di Una vicenda politica. Giuseppe Dossetti. 1945-1956)
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Non esisteva ancora, del Fanciullino, un’edizione filologicamente sorvegliata sul piano testuale, e commentata in modo analitico sul versante sia linguistico e formale, sia delle fonti, degli antecedenti e dei referenti culturali. Invero, per esempio, la pur preziosa edizione Feltrinelli prefata da Agamben appariva orientata più alle implicazioni filosofiche di un’ontologia del linguaggio poetico che non agli aspetti propriamente storico-letterari
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In un tempo qual è l’attuale, infarcito di edizioni in vendita in ogni dove, perfino da edicole e supermercati, la maggior parte delle opere degli autori dei secoli passati non sono reperibili, se non salendo le auliche scale di biblioteche sovrane. «Perché non sono altro che cadaveri rugginosi», proclamano autorevolmente i dotti, concludendo che non meritano tempo né attenzione, anche solo di curiosità. Così si hanno milletrecento Leopardi, Alighieri, e il Signore d’Arquà non perde quota: tutti giustamente sollecitati al rispetto universale. Ma i vuoti sono tanti, direi
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Nel 1935, Pirandello si lamentava dei «tanti Pirandello che vanno in giro nel mondo della critica letteraria internazionale, zoppi, deformi, tutti testa e niente cuore, strampalati sgarbati lunatici e tenebrosi, nei quali io, per quanto mi sforzi, non riesco a riconoscermi neppure per un minimo tratto (il più imbecille di tutti credo che sia quello di Benedetto Croce) etc
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Un palco vuoto, arredato con una sedia-inginocchiatoio e una valigia. Apparentemente qualcuno che sta per partire, poi si capisce che l’attore ed autore dello spettacolo Alfonso Sessa, racconterà la storia di “un treno che doveva partire, che è pure partito, ma che non è mai arrivato”. Vita, Morte e Miracoli del 1799 per la regia di Duccio Camerini (al teatro dell’Orologio di Roma fino al 10 maggio 2009) è una pièce per quell’irripetibile atto unico che è stata la rivoluzione giacobina a Napoli, sfociata in una guerra civile di inaudita ferocia che ha visto fratelli mangiarsi il fegato a vicenda
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Giancarlo Narciso, alias Jack Morisco, milanese di nascita ma cosmopolita per scelta, vive fra due realtà: Milano e Riva del Garda da un lato, Lombok e Singapore dall’altro. Ha scritto numerosi romanzi - che rimandiamo alla bibliografia in fondo - oltre a molti racconti, e, con lo pseudonimo di Jack Morisco, è autore di una fortunata serie di romanzi di spionaggio pubblicati da Mondadori
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La vita intera è una ripetizione. La speranza è un vestito nuovo fiammante e inamidato ma non lo si è mai provato, per cui non si sa come starà. Il ricordo è un vestito smesso che, per quanto bello, non va perché non entra più. La ripetizione è un vestito indistruttibile che calza a pennello senza stringere né ballare addosso
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Nel Novecento il dibattito sull’etica è stato ricco di riflessioni e ha fatto emergere una serie di nuove questioni legate sia al progresso scientifico e alle sue ricadute tecnologiche sia alle trasformazioni storiche che hanno determinato la fine delle ideologie globali e con esse anche una perdita di punti di riferimento esistenziali e sociali. Scomparsi i grandi paradigmi che avevano nei secoli precedenti costruito il panorama di riferimento delle scienze e della società, anche la filosofia ha preso atto delle necessità di ripensarsi e di ripensare i suoi strumenti
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El viajero que llega a Tel Aviv sin saber nada de su historia, que este año cumple un siglo, es probable que advierta, tras su inicial sorpresa, cómo un rumor de desencanto se posa sobre sus expectativas, máxime porque sin duda algo conocerá de la historia sagrada de Israel, cuyo origen se remonta a varios milenios atrás. Quizá no quiera creer en una excepción juvenil a la regla de la antigüedad, y se decida a buscar algunas reliquias pretéritas con las que aliviar su comezón; el mejor regalo que pueda obtener entonces será descubrir que, por fortuna para Israel, éste no coincide con la bíblica Tierra Prometida, y que en ese país moderno, en el que la historia pesa tanto que llega a dividirlo, el futuro tiene o puede tener tanto pedigrí como el pasado. Y en el Tel Aviv actual una de las metáforas donde tal futuro se anticipa, esto es, uno de los yunques donde se forja. También le cabe el consuelo de ir a Yaffo, la bimilenaria ciudad que hoy forma parte de Tel Aviv, donde sí podrá bucear en la historia
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Due personalità completamente diverse eppure affini, partecipi di un più ampio discorso esistenziale e poetico, Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro rappresentano le due facce di una realtà complessa dal punto di vista storico e sociale, nella quale la sopravvivenza emotiva non può prescindere da un impegno sociale.Analizzare il legame che unì la Rosselli e il poeta-sindaco di Tricarico, a partire dal primo, inatteso incontro al Convegno di Venezia del 1950, significa approfondire gli aspetti prima di tutto personali che li portarono ad instaurare un rapporto di profonda amicizia, passando attraverso esperienze artistiche ma anche politiche, alla ricerca dei tanti nessi – a volte insospettabili – che li accomunano al punto da far pensare, alla luce di un’attenta considerazione, a volontà ben precise, razionali, per niente casuali
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Fra le lodi sincere, la maggior parte saranno indirizzate ai vestigi dei tempi andati, a tutti quei legami che l’opera non avrà rotto e che la traggono disperatamente indietro. Poiché, se le norme del passato servono a misurare il presente, servono anche a costruirlo. Lo scrittore stesso, malgrado la sua volontà di indipendenza, è in una situazione, in una civiltà mentale, in una letteratura – quella del passato. Gli è impossibile sottrarsi dall’oggi al domani a quella tradizione da cui proviene
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Il pensiero è per la vita la più formidabile delle zavorre. Si può farne un vanto, certo, ma è pur sempre l’orgoglio meschino dell’animale da soma. Sforzarsi di disciplinare l’intelligenza, dopo averne assecondato i sintomi fino a farla conclamare, è come schermare una fiamma viva con fogli di cartone. Né il pentimento serve a redimersi
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La caratteristica decisiva di Werner Herzog è la sua indipendenza, come cineasta e direi anche come uomo. Aggiungo “come uomo” per segnalare la necessità insieme di ampliare e di intensificare il concetto di indipendenza. In certe nicchie di fruizione cinematografica la parola “indipendenza” costituisce una specie di mantra da cui ci si aspetta la salvezza del cinema. Tuttavia, esiste innegabilmente una moda e in definitiva un conformismo dell’indipendenza, a cui concorrono iniziative peraltro meritorie come lo statunitense Sundance Film Festival
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«È che mi sento così triste in queste notti meravigliose. Mi par di sentire che non torneranno mai più e che non ne prendo tutto quello che potrei». Recita così in uno dei suoi rari momenti di riflessione Amory Blaine in Di qua dal paradiso di Francis Scott Fitzgerald. Così ce lo presenta Fernanda Pivano
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Circola nella geografia culturale europea un tipo di scrittore detto “moralista”, creatura di recente origine, soprattutto in relazione al senso da assegnare al suo nome. Torna infatti spontaneo riferirlo genericamente alla “morale”, cioè al complesso di principi che guidano nella condotta della vita. Lungo il Seicento, in quella Francia che è un po’ la terra nativa della figura del moralista, egli è riconosciuto come un autore che scrive e che tratta di morale, il cui compito è quello di guidare nel percorso dell’etica
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Corporea è un’antologia nata in un luogo ideale dove si sono incontrati la formazione umanistica delle traduttrici, la loro pratica di poesia, la comune esperienza femminile/femminista, il bisogno di comparazione fra lingue e culture, la necessità di evocare e risvegliare un nuovo immaginario. Il pericolo era che il solo parlare di “corpo” nella poesia dei “poeti-donna” potesse apparire datato, connotato a un femminismo di maniera, ormai “superato” nello stesso sentire delle giovani generazioni. Ci siamo invece rese conto
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L’uomo politico aristotelico è l’animale più remissivo, più docile, più accomodante, meno selettivo di tutta la rerum natura: nessuna specie animale avrebbe potuto sopportare quello che la storia ha fatto sopportare all’Adamo del Paradiso terrestre, non si sa per intelligenza o stupidità. Arduo è definire il discrimen fra adattamento e stultitia: l’homo sapiens sapiens sopporta rumore, inquinamento, “fetenzie” alimentari, bruttezza, squallore esistenziale, abbandono, ignoranza, ma non tollera l’uso della parola libera, l’ingiuria intelligente, il sarcasmo costruttivo, l’ironia che tutto coglie e punta il dito sull’insensatezza e il grigiore intellettuale
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Il volume che Matteo Veronesi ha di recente pubblicato, (Il critico come artista, dall’estetismo agli ermetici, Bologna, Azeta Fastpress) indaga la ricezione e diffusione nella cultura letteraria italiana del tardo Ottocento e della prima metà del Novecento dell’ideale del “critico come artista”. Tracce del tema erano già disseminate nella cultura francese e inglese della seconda metà dell’Ottocento, tra estetismo e simbolismo, portate a sintesi fra gli altri da Oscar Wilde nel celebre ed omonimo dialogo. Ma tracce si trovano anche nella cultura tedesca
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Che cos’è, nell’accezione più illustre e corretta del termine, un moralista? Come hanno eloquentemente mostrato diversi studiosi d’indubbio valore e come, d’altronde, ogni cittadino europeo di cultura difficilmente ignora, è lecito definire in estrema sintesi questo singolare, fascinoso homme de lettres un intellettuale che s’interroga – liberamente, lucidamente, sempre criticamente – sui vizi e le virtù delle persone, sulle loro azioni e, in special modo, sulle ragioni effettive che le muovono e le animano
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In tempi di pensieri deboli ben venga un’idea forte di letteratura che riesca a collocare la fruizione del testo letterario tra le esperienze esistenziali fondamentali. E’ a questo che tendono gli studi di Antonio Spadaro, che da oltre un decennio si vanno esplicitando in scritti sempre più sistematici ed in colloquio dinamico sia con la produzione contemporanea sia con opere che sono patrimonio ormai acquisito del canone letterario non solo italiano, ma anche europeo e nord americano. Alcuni dei concetti fondamentali erano già presenti in testi monografici dedicati ad autori dai caratteri eterogenei, da Carver a Tondelli, ma indagati secondo il metro comune della capacità di trasformare chi legge, di farsi per essi esperienza vitale. Il pensiero dell’autore si costituisce poi
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Non c’è vera distinzione fra poesia propria e traduzione. Anzi la traduzione è il massimo impegno per un poeta poiché permette, traducendo, di lavorare in profondità su se stessi: ciò che si chiama stile che cos’è, infatti, se non una perenne ricerca di possibilità espressive nascoste o addirittura inconcepibili? Per questo ogni traduzione ha influenza certa sul proprio stile e sul proprio sviluppo espressivo e probabilmente tematico
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Leggere attentamente Oscar Wilde è sempre un’esperienza rivelatrice; lo si legge tuttavia sovente – io credo – con un poco di prevenzione, specie perché ne si hanno in mente gli aforismi, i paradossi, oppure qualche battuta delle commedie più famose. E così, prima ancora che per Il ritratto di Dorian Gray, Wilde è conosciuto come un formidabile conversatore ed un eccentrico di genialità indubitabile. La figura del dandy, poi, è quella che a numerosi lettori di tutto il mondo rimane più impressa nella memoria. Qualche tempo fa, mi è capitato, fra l’altro, di vedere un pupazzo che avrebbe dovuto rappresentare Wilde: era vestito di tutto punto in un completo viola ed ornato di un magnifico fiore all’occhiello
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Sfidando arditamente l’ampiezza di un orizzonte d’indagine che abbraccia “Oriente e Occidente”, Ascari ne La sottile linea verde propone otto letture di altrettanti romanzi che possono fornire altrettante vie d’accesso per giungere al cuore di una questione la cui rilevanza non è solo strettamente critica, ma anche, e soprattutto, teorica – o, quanto meno, gli otto studi raccolti nel volume, integrati da vasti apparati bibliografici e inseriti in un aggiornato quadro critico, contribuiscono a circoscrivere un problema che tende a identificarsi con il problema stesso di ogni teoria della letteratura, e che potrebbe essere sintetizzato in una formula: in che modo, e con quali effetti, la storia, nella concreta attualità del suo continuo svilupparsi fatto di turbolenze passeggere e di tragedie irreparabili, investe la pratica – altrettanto concreta – del fare letterario
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Noi siamo ciò che ricordiamo di essere stati. La memoria storica è un diario, un salvadanaio dello spirito, e racconta i fatti più pregnanti della vicenda umana: ecco perché la storia diventa la memoria vivente del mondo intero. Non c’è futuro senza memoria. Distruggere la memoria equivale a distruggere la base della propria identità e della propria continuità nel tempo. La memoria storica è testimonianza del passato: consiste, in estrema sintesi, nell’organizzare il passato in funzione del presente, insegna la fecondità del sacrificio e celebra il trionfo della spiritualità. Indubbiamente, però, la conoscenza storica non filtrata dall’osservazione delle vite individuali, oscilla tra una improbabile razionalità e l’insignificanza dell’addizione degli avvenimenti
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Occhi verdi, sorriso rosso fuoco e sigaretta: ce la ricordiamo più o meno così, la “Dafne accecata dal fumo della follia”. Se ne è andata come un verso di una sua poesia, una di quelle in cui amore e morte si intrecciano in una danza leggera e appassionata. Lei, che nella vita ha sempre continuato a credere, fino all’ultimo respiro, nonostante la sua difficile e travagliata esistenza; “Io come voi sono stata sorpresa mentre rubavo la vita, buttata fuori dal mio desiderio d’amore” si legge in Ballate non pagate (Einaudi, 1995).Eppure lei quella vita rubata l’ha difesa fino in fondo e nel suo “desiderio d’amore” è rientrata a forza e ha ricostruito sé stessa, tra i cocci che la malattia e la sofferenza le avevano lasciato. Come “una fata che vuole che il suo Pinocchio diventi carne
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Hai scelto di ambientare “Non ti voglio vicino” in un lasso di tempo compreso fra il 1939 e i giorni nostri. Perché la decisione di partire da un momento così drammatico della storia contemporanea?
I motivi sono numerosi. Prima di tutto perché volevo raccontare di due tipi di guerre: quella nella sua accezione più classica e poi un’altra guerra, più subdola, che non utilizza fucili né cannoni, ma che miete numerosissime vittime in egual modo. É la guerra che si combatte tra le mura domestiche, nei rapporti famigliari. Un altro motivo è perché
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Antica e nuova la domanda sul tempo, perché la dimensione temporale è sempre stata decisiva per la riflessione estetica e la creazione letteraria, ma nel Novecento essa si pone al centro di una contraddizione: fra “l'ossessione moderna del tempo, l'incapacità di vivere senza il punto fermo degli orologi”, ovvero la “cronocrazia”, e la qualità non mensurale di essa che spesso solo i poeti riescono a cogliere: l'attimo ineffabile, il tempo sacro, la rivelazione epifanica, il “tempo opportuno” (il “kairós” dei greci), il suo scorrere precipitoso. La stessa polisemia della parola “tempo” sembra nascere dal suo carattere primitivo, polimorfo, intuitivo e analogico. Scriveva Henry Bergson
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La letteratura, qualsiasi letteratura, cioè qualsiasi testo di qualsiasi tradizione o di qualsivoglia modernità o contemporaneità, può essere studiata a scuola, naturalmente usando qualche precauzione di metodo, e isolandone l’oggetto della didattica, cioè l’oggetto della conoscenza condivisa in classe; ma la pratica scolastica è una pratica che non è aliena toto corde dalla letteratura; anzi la creazione letteraria stessa la prevede, prevede che si possa dibatterne il significato in una comunità scolastica e se ne possa fare in qualche modo conoscenza. Anche un autore molto critico verso la scolasticità della poesia come Zanzotto (un tempo docente anche lui) scrive che «della poesia, che oggi accompagna ben pochi aldilà dell’infanzia e comunque dell’età scolare, durerà forse un’eco più lunga negli animi, mentre continuerà l’aspro riesame che si sta facendo della sua posizione nella scuola-scuoletta»
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L’attuale politica culturale del nostro paese non marca, di norma, il raggiungimento di mete ideali: è amministrazione, burocrazia, prassismo quotidiano, e tutto sembra tendere a divenire negoziato fra le varie componenti. Troppo spesso, non è certo un mistero, mancano radicalmente idealità, aspirazioni virtuose e passioni autentiche. Oggi esistono sistemi sofisticati che appaiono e scompaiono, che parlano il linguaggio della democrazia paludata, utilizzando tuttavia la ricattabilità di taluni uomini politici per infiltrarsi nelle istituzioni, per sedurre gli intellettuali più fragili, in un Paese sì pieno di credi, ma vuoto di religione, in un Paese dove non manca la libertà, ma, parecchie volte, gli uomini liberi
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In un labirinto di specchi si aggira il fantasma dell’immaginazione e tra i molteplici suoi riflessi lo colpiscono anche quelli dai colori del reale. Ed è così che lo specchio non tradisce la verità, mostrandone ogni aspetto senza inganno. Non è, dunque, ciò che si riflette ad essere di natura ambivalente ma il suo stesso mezzo, portale di una dimensione sospesa. E davanti alla sua soglia si attende timorosi, proprio come se fosse acqua o avesse le stesse sembianze della morte
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Il percorso della filosofia politica nel Novecento ha visto varie vicissitudini; se dopo la prima metà del secolo essa pareva una disciplina in decadenza, avvitata in una sterile riflessione sulla politica e i suoi linguaggi e soppiantata, nelle sue istanze fondamentali, da saperi quali la sociologia, la scienza del diritto e la scienza dello stato, a partire dagli anni Settanta, specie per quanto riguarda temi come la libertà e la giustizia, il dibattito è ripreso, arricchendosi anche di considerazioni e riflessioni sorte dalle nuove necessità di comprensione e di azione, imposte dal mondo globalizzato
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L’attività estetica – diceva Schelling nel fondamentale e fondante suo Sistema dell’idealismo trascendentale – vede il convergere di produttività conscia e inconsapevole, e in essa, in quanto conoscenza assoluta, avviene l’unificazione tra la sfera della natura e quella dello spirito. L’arte estrinseca l’identità originaria di natura e spirito, di necessità e di libertà, di atto soggettivo e intenzionale e di attività inintenzionale. Nel prodotto estetico è dunque sottesa una unità originaria che lascia trasparire l’elemento della necessità: l’opera non può corrispondere alla volontà realizzatrice dell’artista perché l’azione umana
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Quello di “metaletterario” è un concetto critico abbastanza recente, dato che (come gli analoghi “metateatrale”, “metapoetico” e “metafilmico”) deriva dall’espressione “metalinguistico”, a sua volta introdotta a metà degli anni ’30 dai teorici che si muovevano tra la Scuola logica polacca (Alfred Tarski) e il Circolo di Vienna (Rudolf Carnap), e recepita poi dal movimento strutturalista (Roman Jakobson). Giusta la sua etimologia, la nozione evidentemente rimanda a un tipo di letteratura che assume se stessa come oggetto della propria riflessione, quindi a una letteratura autoreferenziale. Ovvero, in un testo letterario si ha una funzione metaletteraria ogniqualvolta l’autore, anziché raccontarci qualcosa attraverso la scrittura, trasforma quest’ultima da mezzo a fine e si preoccupa di interrogarne le dinamiche più o meno profonde
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Al teatro greco di Siracusa quest’anno, dall’8 maggio al 20 giugno, vengono rappresentati a sere alterne, tranne il lunedì, l’Aiace di Sofocle e l’Ippolito di Euripide con il titolo cambiato in Fedra, forse per omaggio a Elisabetta Pozzi che la interpreta in maniera superba. La manifestazione, ideata da Tommaso Gargallo eponimo del liceo classico cittadino, è vicina a compiere un secolo. Quest’anno l’Inda (Istituto Nazionale del Dramma Antico) ha presentato la quarantaseiesima edizione. Fino a non molto tempo fa le rappresentazioni erano solo biennali, poi il successo di pubblico e di critica ha consigliato il raddoppio. Si tratta di una festa della cultura classica che infonde felicità in chi ama la tragedia greca. Chi scrive ha assistito alle ultime dieci edizioni con gioia
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Spartaco il gladiatore, di Mauro Marcialis (Mondadori, 2010) è un romanzo storico dedicato alla rivolta servile del I secolo a. C., quando, esattamente nel 73 a.C., nella scuola gladiatoria di Capua, un gruppo di lottatori guidati dal trace Spartaco insorge e dà il via alla rivolta più importante della storia della Repubblica romana. Ne abbiamo parlato con lo scrittore Mauro Marcialis, romano, classe 1972, residente a Reggio Emilia, dove lavora come maresciallo capo della Guardia di Finanza. L’autore ha pubblicato con Mondadori La strada della violenza, nel 2007, e con Piemme, nel 2008 Io & Davide
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Si deve probabilmente ad un conciso giudizio di Benedetto Croce una sia pur limitatissima sopravvivenza nelle antologie letterarie dell'Ottocento della più nota delle poesie di Nievo, L’abisso. Ad essa viene concesso l’onore della citazione completa: "... La più bella delle poesie del Nievo (nonostante l'eccesso analitico e qualche stento o fiacchezza di frase) è, se non m'inganno, quella che ha per titolo: L'abisso, e che delinea un momento che ritorna poi, diviso in più momenti, nelle Confessioni
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La riscoperta dello sport inteso come pratica agonistica o amatoriale fine a se stessa, dovette attendere lungamente prima che esso venisse riconosciuto come tale. In Italia, solo in seguito al diffondersi delle idee illuministiche, a partire dagli ultimi anni del Settecento, cominciarono a prendere piede concezioni igienico-sanitarie più moderne che videro anche l’attività fisica come una tappa necessaria per lo sviluppo armonico e completo dell’essere umano, e bisognerà attendere la metà dell’Ottocento perché lo sport cominci a essere considerato un veicolo importante per l’educazione sanitaria della gioventù. Nell’Italia preunitaria, infatti, la pratica sportiva era rappresentata dalle esercitazioni militari che si ripromettevano l’unico scopo di addestrare e formare i soldati. Nonostante questo, l’esercizio sportivo vero e proprio resterà comunque a lungo appannaggio di ceti aristocratico-borghesi, tardando, ben più che in altre parti d’Europa, a diffondersi come fenomeno di ampia irradiazione sociale e popolare
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tag: storia dello sport
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Frequente imbattersi in autori che si compiacciono di non scrivere al computer. Si dà la circostanza di chi mestamente rievoca la bellezza delle penne stilografiche, e chi il gioioso ticchettio della Lettera 22, la macchina da scrivere portatile che Olivetti lanciò sul mercato nel secondo dopoguerra. Se per i primi lo scricchiolio del pennino e l’abituale incaglio calligrafico rappresentano motivi di stimolo inventivo, per gli altri è il timbro dei martelletti e la laboriosità di reperire nastri inchiostrati a costituire sprone di scrittura. In ambo i casi è palese il compiacimento di non appartenere alla belluina categoria di coloro che, adoperando un programma di videoscrittura, esprimono il proprio estro mediante la tastiera di un computer
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Sette vizi sono capitali, secondo Tommaso d’Aquino, perché essi ne originano altri. E dunque, di peccato capitale spesso si macchia la grande narrativa quando crea emblematici personaggi “viziosi”, dai quali discendono un numero infinito di emuli – o, come si direbbe oggi, di cloni letterari – e tutta un’ampia varietà di peccatori eccellenti. Molti studiosi di sociologia e di psicologia, molti teologi e antropologi ci hanno trasmesso la propria opinione sui peccati capitali e su come, in diverse epoche, ne è mutata l’accezione e la percezione di gravità sociale. Interessante è, a nostro avviso, tentare lo stesso esame percorrendo – pur celermente e arbitrariamente – una strada che attraversi i vizi immortalati dalla letteratura
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L’autore di Zorbas fu inizialmente indirizzato alla carriera giuridica e non a quella di romanziere o giornalista. Fu il padre a guidarlo verso tale scelta, dopo averlo educato all’amore e al rispetto per la libertà. In seguito della repressione avvenuta a Creta nel 1889, il padre, Capitan Michalis, prese per mano il figlio adolescente, lo portò davanti ai corpi dei patrioti cretesi, giustiziati dai Turchi e abbandonati appesi al grande platano della piazza centrale di Iraklion, e quindi lo sollevò, affinché potesse baciare i piedi degli eroi rappresi nel ghiaccio della morte
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Il film Agorá di Alejandro Amenábar racconta la vita e la morte di Ipazia, una studiosa di rara levatura culturale e morale uccisa nel 415 d.C. da monaci fanatici detti parabolani, un’orda sanguinaria istigata al massacro dal vescovo Cirillo di Alessandria d’Egitto. Erano calati come uccelli neri e sinistri dai monti della Nitria
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Al Pala De Andrè di Ravenna, dal 27 agosto al 13 settembre 2010, più che una mostra su Corrado Cagli, il visitatore coglie – in poco più di cento opere – l’eccezionale versatilità dell’artista anconetano. Il poeta di Vita d'un uomo, Ungaretti, amico e più di tutto stimatore di Cagli, richiama proprio l’immagine dell’«uomo» allo scopo di eleggere il principio e il fine, la ragione esemplare dell’opera cagliana
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Un neologismo s’impose nell’Italia del 1938: ‘razziale’, eufemismo che stava per ‘razzista’. Tra i due termini si distese la progressione di disprezzo – e forse anche di rancore – per un gruppo culturale rimasto difforme nella compagine di un regime totalitario: la minoranza ebraica. C’era una brace razzista che covava sotto il regime, che s’accese in fiamma quando, il 14 luglio, apparve sul «Giornale d’Italia» l’articolo Il fascismo e i problemi della razza. L’incendio divampò ad agosto, nelle edicole, col primo numero del quindicinale «La difesa della razza», e fece terra bruciata a novembre, sulla Gazzetta Ufficiale, con i Provvedimenti per la difesa della razza italiana: le cosiddette leggi razziali
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Oggi le due retoriche, della denigrazione di noi stessi e dell’autoesaltazione, non ci confondono più: siamo veramente maturi per capire i tempi e l’anima dei nostri garibaldini”. Così oltre sessant’anni fa scriveva Giani Stuparich, nell’introdurre una delle prime antologie di memorialisti garibaldini. Si tratta di una valutazione fortemente connessa alla contingenza storica. Le speranze dell’immediato dopoguerra, il ricordo recente e dolorosissimo della tragedia appena trascorsa, le memorie personali di volontario nella prima guerra mondiale: tutto ciò connota in maniera indelebile lo splendido saggio dello scrittore giuliano. È tuttavia per lo meno singolare che
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Tra Camus e Jean-Paul Sartre scoppiò una delle più aspre polemiche del dopoguerra, cui assistette l’intera Europa intellettuale, uno scontro in cui nessun colpo fu risparmiato, dall’argomentazione caustica ai perfidi colpi sotto la cintura. All’origine stava una dissonante visione del mondo, ma la causa scatenante fu la pubblicazione alla fine del 1951 de L’uomo in rivolta di Camus. La dissonanza non era semplicemente quella tra due uomini di sinistra che possono trovare un accordo: era una voragine, che in certo modo segna una delle spaccature storiche all’interno della sinistra europea
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La setta degli Apofasìmeni fu una società segreta fondata negli anni venti dell’Ottocento che partecipò anche ai moti del 1831. La setta fu guidata da Carlo Bianco di Saint-Jorioz che la organizzò in Francia e nelle colonie britanniche, e nel 1831 entrò a farvi parte anche Giuseppe Mazzini che successivamente, attraverso la Giovine Italia, l’assorbì (“una costola buonarrotiana inserita nella Giovine Italia”). Fra gli esponenti di rilievo Filippo Buonarroti, che contribuì peraltro, fra il 1831 e il 1834, a costituire una catena di società segrete. Gli Apofasimeni ebbero in Toscana, in Piemonte, a Bastia, a Napoli, a Parma e a Bologna le zone di più intensa diffusione, anche perché riuscirono a combinare elementi carbonari e patriottici dell’area romagnola e dell’area bolognese
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Alloggio al 27 di rue du Parlement St.-Catherine, davanti alla Rue Margaux, ove Montesquieu andò a vivere nel novembre del 1715, dopo le nozze con Jeanne de Lartigue. Ragazzini giocano con le trottole su Place de la Comédie, davanti al Grande Teatro.I portici sono tristi e luridi, con le loro petites colonnes corinthiennes, e ad Ilaria dico una fatuità: anche Stendhal dice che “ce triste portique n’est point lieu de rendez-vou comme le charmant portique de Brescia”. Lei sorride, perché lo scrittore ha nominato la sua città
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In poesia tutto è traducibile. Una riflessione sulla poesia di Pasolini può forse partire da questa considerazione, e porre il problema del passaggio da lingua a lingua quale tema fondante della riflessione sul linguaggio e sulla possibilità etica e storica che l’appropriarsi di una lingua poetica dischiude. Tale asserzione non è mero rovesciamento: appare invece necessità di approccio, se si pensa che l’autore di Poesie a Casarsa scrive «non siamo più a un cromatismo dialettale, ma siamo ancora in un ambito di fisicità, ossia di intraducibilità»
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tag: pasolini
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Chi volesse ripercorrere, pur sinteticamente, le vicende dell’architettura e dell’urbanistica italiane durante il ventennio fascista, trarrebbe di certo utili spunti dalle polemiche sull’“arte di Stato”, riconsiderando i significati attribuiti da architetti e critici ai termini “classico”, “moderno”, “razionale”, che divengono qui assai sfuocati nell’intenzionalità, sovente dettata da un quadro oltremodo articolato, nonché denso di forti, talora stridenti giustapposizioni
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Nel complesso e complicato divenire della lunga, travagliosa storia filosofica occidentale, campeggiano taluni pensatori che hanno segnato, in maniera decisiva quanto inobliabile, un certo contesto spazio-temporale: mi riferisco qui, rispettivamente, a Felice Battaglia e all’Italia. Invero, Felice Battaglia (1902-77) costituisce senza dubbio uno dei non troppi (a dirla giusta) personaggi-chiave che hanno dato stimoli e alimenti di rilievo alla riflessione italiana del Novecento. Sia lo sviluppo, graduale quanto fervido, sia la cospicua “storia degli effetti” della sua originale e profonda riflessione sono stati ripercorsi e commentati, dagli anni ’70 a oggi, da intellettuali d’intelligenza, fama e respiro internazionali: mi piace
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La pubblicazione de I sommersi e i salvati (1986) precedette di appena un anno il suicidio dell’autore. Dopo un quarantennio dalla scrittura di Se questo è un uomo, Primo Levi tornò alla sua esperienza della deportazione e dell’internamento nel Lager di Auschwitz III-Monowitz, per lasciare ai posteri un saggio che rappresentasse insieme il suo testamento spirituale e una delle più lucide e inquietanti analisi antropologiche dell’uomo contemporaneo
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Marinetti tradusse La Germania di Tacito per la “Romana” nel 1928 perché, a suo dire, «offriva un modo giovanile di iniziare una giornata caprese piena di lunghe arrostiture al sole, tuffi a capofitto nelle liquide turchesi delle grotte verso cieli inabissati, conversazioni immense colla futurista Benedetta mentre allatta la nostra pupa rumorista»
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Lo zero rappresenta un affascinante territorio di congiunzione fra matematica, storia e scienze umane, ogni ambito legato all’altro, in una realtà ideale, priva di frontiere, in una repubblica della scienza che si è costruita un suo spazio anche in settori molto complessi. Il caso dello zero è un caso emblematico perché la matematica, come la massoneria, ha la capacità di passare dall’osservazione delle cose visibili all’immaginazione delle cose invisibili, marcando così uno dei suoi segreti più profondi
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Ultimamente abbiamo assistito – e stiamo ancora assistendo – a vari revisionismi relativi a diversi fatti storici più o meno documentati: dal Comunismo sovietico all’Olocausto, al Risorgimento, al movimento studentesco del ’68. Chi non ha vissuto nell’epoca di questi eventi cruciali e ne ha sentito parlare in maniera contraddittoria può rimanerne disorientato.Quando ero scolaro, il Risorgimento, per esempio, veniva presentato dai maestri, dai professori, dai libri e dai monumenti cittadini come un’epopea di eroi vincitori e beatificati, da una parte, e di aguzzini e farabutti – oltretutto incapaci e perdenti – dall’altra. Ora il bel film di Mario Martone, Noi credevamo (2010), ci presenta un quadro ben più problematico, e in buona parte rovesciato, rispetto all’interpretazione studiata e propagandata a più riprese nelle istituzioni scolastiche
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Quando apparve Il codice di Perelà nel 1911, il sottotitolo romanzo futurista sembrava definire in qualche modo lo stralunato e singolare racconto di Aldo Palazzeschi. La storia di un uomo di fumo che per trentatré anni ha vissuto in una cappa di un camino era dedicata a “quel pubblico che ci ricopre di fischi, di frutti e di verdure”. In effetti i lettori, pur essendo stati abituati alla visione anarchica delle avanguardie letterarie e ai fermenti innovativi della poesia, rimasero attoniti di fronte alle vicende del fil di fumo bigio che scende dall’utero nero del camino dopo la morte delle tre vecchissime donne (Pena, Rete, Lama) che per lui tenevano alimentato il fuoco. Fin dall’inizio gli abitanti del regno di Torlindao, sentendogli pronunciare i nomi della triade materna, decidono di battezzarlo con le sillabe iniziali (Pe-Re-La), coinvolgendolo in una realtà piena di finzioni e di miserie. Ma di che essere si tratta?
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Ragionare intorno all’etimo del sostantivo “decenza” sembra apparire, almeno d’emblée, piuttosto agevole. Il termine viene, come i cultori di studia humanitatis percepiranno quasi ad orecchio, dal latino decentia(m), derivato di decens -entis, participio presente del verbo decere. Cicerone, Orazio, Ovidio, Tacito, Quintiliano e altri auctores della latinità aurea ed argentea impiegarono tanto il sostantivo quanto l’aggettivo. Circa poi l’attuale campo semantico di “decente”, i dizionari più diffusi sembrano convergere indicando le tre accezioni prevalenti dell’aggettivo: 1. conforme alla decenza, ovvero – a seconda delle diverse prospettive, che, beninteso, mutano da milieu a milieu, da epoca ad epoca, da luogo a luogo – al decoro, al pudore, alla convenienza, alla dignità; 2. adeguato alle giuste aspettative, alle esigenze legittime; 3. ben fatto, garbato, leggiadro, grazioso, bello. Quest’ultimo significato risulta, credo, più interessante a chiunque voglia studiare i sentieri delle idee morali
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Centocinquant’anni fa Henry Sumner Maine (1822-1888) – uno dei più eminenti antropologi, sociologi e storici del diritto dell’Inghilterra vittoriana – mandò alle stampe Ancient Law (London, Murray, 1861). L’opera, senza dubbio il suo capolavoro, riscosse immediatamente un notevole successo, suscitando una serie di discussioni in certi casi non ancora sopite. Anche se più di un interprete ebbe subito a stigmatizzare la presenza nel libro di generalizzazioni un po’ ardite, da parecchie menti di quel tempo, piene di entusiasmo per la scienza, la sua uscita venne addirittura salutata come il principio di una nuova epoca nella storia del diritto; non si mancò di lodarne l’autore per aver saputo organizzare in un’unica opera un materiale vastissimo in forma compatta e intelligibile, così da «forgia[re] con un solo colpo da maestro un nuovo e durevole legame tra il diritto, la storia e l’antropologia»
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Acitrezza, un pomeriggio di fine agosto, sedute al Caffè Solaire, io e Fiamma sorseggiamo una granita. Sì, proprio quella Acitrezza dove Verga ambientò I Malavoglia, da cui Visconti trasse lo splendido film La terra trema. Il piccolo paese di pescatori ci accoglie mezzo addormentato, come stordito dal caldo torrido che lo avvolge nel suo umido abbraccio. Sulle panchine della piccola piazza, proprio di fronte al porticciolo, un’ikebana di barche colorate, i vecchi, seduti a guardare chi passa e a scambiarsi impressioni. Mentre rifletto su quanto tempo passerà prima di tornare a gustare una granita così buona – sul continente usano le bustine al posto dei limoni – il proprietario del Caffè richiama la nostra attenzione sulla persona seduta al tavolino accanto. «U sapite chi è chisto?»
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Ho partecipato, da attore e da spettatore al secondo Festival della Filologia di Pesaro, un evento culturale che ha sorprendentemente vivacizzato la città. La manifestazione si è articolata in ottanta appuntamenti situati nei palazzi storici del centro urbano. I temi prevalenti erano legati all’amore del logos, di quel verbum che, come afferma l’evangelista Giovanni, è principio del mondo. Un festival logocentrico dunque
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Sono stato a Bobbio per la XV edizione del Film Festival diretto da Marco Bellocchio. Il borgo appenninico del piacentino, in questi giorni (23 luglio-5 agosto), assume i connotati di una cittadina universitaria, ricca di eventi e di offerte culturali. I film proiettati e le conferenze serali sono, per Bobbio, qualcosa di simile ai drammi greci per Siracusa, che durante le rappresentazioni nel teatro greco, fra maggio e giugno, si anima di energie culturali, vitali, professionali. La dimensione tragica, d’altronde, è ben presente in entrambe le manifestazioni; né manca, tuttavia, quella comica
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Claudio Imprudente, scrittore, giornalista e formatore, è nato a Bologna nel 1960. In occasione della laurea honoris causa in “Formazione e cooperazione” svoltasi il 18 maggio di quest’anno a Rimini, ad opera della facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna, e con il rettore Ivano Dionigi, venuto come “discente”, ha esordito “dicendo” – grazie ad una traduttrice che interpretava i suoi sguardi su una tavoletta dove vi erano le lettere dell’alfabeto – che era “molto emozionato e per l’emozione avrebbe… balbettato”. Ha raccontato nel suo testo che, da piccolo, il suo papà lo prendeva fra le braccia e lo portava dalla mamma con la quale faceva colazione, poi la mamma lo prendeva fra le braccia e lo portava al papà che gli lavava il viso e i denti, poi il papà lo prendeva fra le braccia e lo portava alla mamma che lo cambiava e lo rivestiva, e così di seguito. A due anni un dottore, dopo averlo visitato disse ai suoi genitori, scuotendo la testa: “Non c’è nulla da fare, sarà un vegetale”; da quel momento in avanti
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Franco Grillini è una figura storica dell’attivismo LGBT+ italiano. Nato nel 1955 in provincia di Bologna, nel 1972 si iscrive al Partito comunista italiano per poi passare nel 1974, insieme a una parte del gruppo del manifesto, al Partito di unità proletaria. Nel 1982, ventisettenne ma già con una decennale formazione politica, inizia la sua militanza nell’attivismo LGBT+, prendendo parte all’organizzazione delle attività che precedono l’apertura del Cassero, la prima sede concessa da una pubblica amministrazione, il Comune di Bologna, a un collettivo di attivisti omosessuali.
Il prossimo anno il Cassero di Bologna, una delle più importanti realtà militanti LGBT+ in Italia e in Europa, compirà 40 anni. Si tratta di un anniversario tondo che si somma ai decennali celebrati negli ultimi anni e aperti dai cinquant’anni di Stonewall nel 2019. Ci racconti il passaggio tra anni Settanta e Ottanta e come nacque il Cassero?
Negli anni Settanta il movimento omosessuale l’ho visto dall’esterno, perché militavo nella sinistra radicale: Partito comunista italiano prima e Partito di... continua a leggere
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Fra i tantissimi luoghi di memoria di Gerusalemme ve ne uno molto particolare e importante per lo Stato d’Israele. Questo luogo è l’Ammunition Hill Memorial Site, un classico esempio di luogo di memoria materiale a metà tra il grezzo, perché in parte lasciato come appariva durante la battaglia, e il costruito, perché modificato in alcuni suoi punti. Il memoriale sorge su una collina chiamata in ebraico Giv’at HaTahmoshet ma conosciuta ai più con il nome di Ammunition Hill o, in italiano, Collina delle Munizioni. Questo nome era dovuto alla presenza fin dai tempi del mandato inglese di un deposito di munizioni collegato alla vicina accademia per ufficiali. Durante la Prima Guerra Arabo-Israeliana del 1948, la Legione Araba giordana aveva conquistato quasi tutta la parte nord dei colli che circondano Gerusalemme compresa la Collina delle Munizioni. Nel giugno 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, questa collina si trovava in territorio giordano ed era stata pesantemente fortificata dalla Legione Araba giordana che vi aveva posizionato circa centocinquanta so... continua a leggere
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Capita di imbattersi in quei vasetti con su scritto aria di Napoli o di un’altra città che si voglia: un’impalpabile attrazione turistica, ma anche un’astuzia tattica attraverso cui l’invisibilità entra nella storia. L’aria di Genova è un insieme di voci, rumori, canzoni che continuano a raccontare ininterrottamente il G8 del luglio 2001: le contestazioni e i percorsi di creatività politica tramite cui sono stati immaginati altri mondi possibili, ma anche le violenze e i lutti del movimento dei movimenti.
Nel corso degli anni ’90 prende corpo il movimento altermondialista, indicato anche come movimento dei movimenti perché costituito da molte anime diverse unite dall’obiettivo comune di reclamare e proporre un “altro mondo possibile” in alternativa a quello lanciato verso il processo di globalizzazione neoliberista. Tra il 1999 e il 2001 i cosiddetti “no global” attraver... continua a leggere
tag: Carlo Giuliani, G8, Genova
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«Io sono stanco di essere così intoccabilmente eccezione, ex lege: va bene, la mia libertà l’ho trovata so qual è e dov’è; lo so, si può dire, dall’età di quindici anni, ma anche prima… Nello sviluppo del mio individuo, della diversità, sono stato precocissimo; e non mi è successo, come a Gide, di gridare d’un tratto “Sono diverso dagli altri” con angosce inaspettate; io l’ho sempre saputo».
Così si esprime il giovane Pier Paolo Pasolini nei primi anni del Secondo dopoguerra. Nonostante una dichiarazione così assoluta tante volte prima e dopo di essa Pasolini scopre quanto il suo cammino esistenziale sia complesso. In ogni caso al momento in cui scrive egli sa di essere fuori dalla legge e la cosa non sembra turbarlo, si vanta della propria precocità, scomoda persino Gide per dichiarare il suo stato di libertà. Pasolini già poeta affermato, consapevole del suo talento e avviato a un futuro brillante, non immagina che di lì a poco la sua omosessualità diviene di pubblico dominio.
Quando il 2 novembre 1975 è ucciso... continua a leggere
tag: cinema, omosessualità, pasolini
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La sua gloria fu l'Esprit del lois; le opere di Grozio e di Pufendorf erano mere compilazioni, mentre il capolavoro di Montesquieu sembrò l'opera di un uomo di Stato, di un filosofo, di un bel esprit, di un cittadino. Quasi tutti coloro che erano i giudici naturali di un libro del genere, i letterati e i giuristi d'ogni paese, lo considerarono e lo considerano ancora quasi un codice della ragione e della libertà.
Voltaire, Commentaire sur L'Espit des lois, 1777
La lezione morale di Montesquieu è uno spirito di generosa e cordiale simpatia verso tutti gli uomini; è un profondo rispetto per la libertà umana, una fiducia assoluta nell’Essere Infinito e Universale, la fede in Dio. Ed è pure uno spirito di commossa indulgenza per la piccolezza e la fragilità dell’uomo, per la caducità inevitabile delle nazioni e dei governi; è un odio feroce contro il dispotismo, la crudeltà, il fanatismo, il capriccio, contro tutto quel che fa soffrire gli uomini; è, in una parola, il culto della civiltà e, nel contempo, l’amore e la comprensione delle società ... continua a leggere
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Possono i segni archeologici costituire le categorie essenziali di una utopia? Altrimenti, come scavalcare o subordinare il passato, se all’orizzonte del tempo a venire non si riescono a scorgere che segnali di vertigine e caos? Labirinto, margini dell’umano-monade incomunicabile, infinito, poesia: condizioni distopiche e utopiche possono coesistere, immerse nel contestuale sfondo di interazione o di conflitto tra gli elementi primordiali e nella assimilazione delle loro pertinenze. Cosí Alessio Vailati sembra spiegarsi nascita, morte, trasformazione (assumendo «metá» anche nel senso di «atto del ricongiungere»). Nelle sue intenzioni c’è una quadrilogia poetica a partire da Orfeo ed Euridice (o Della poesia perduta), dove i quattro elementi naturali, la empedoclea «quadruplice radice di tutte le cose», fanno la loro comparsa nella sezione liminare e danno l’avvio al capolavoro delle voci. L’elemento acqua sarà sviluppato nel Moto perpetuo dell’acqua (Biblioteca dei Leoni 2020, Introduzione di Paolo Ruffilli), il poema, tra l’altro, della dissezione dei costituenti de... continua a leggere
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È scomparso Saverio Tutino. Non era uno storico, ma la ricerca storica gli deve molto.
Nel 1984 ha fondato a Pieve Santo Stefano, nell'aretino, l'Archivio diaristico nazionale. L'obiettivo era quello di raccogliere diari e memorie di persone sconosciute e recuperare gli scritti lasciati nei cassetti o finiti in soffitta dei nostri nonni vicini e lontani.
Grazie al premio letterario che ogni anno viene assegnato al miglior diario, a Pieve sono arrivati circa duecento lavori all'anno, alcuni anche pregevoli nello stile, ma a prescindere da questo, molte sono le testimonianze di grande interesse storico che senza Saverio non avrebbero trovato né ordine né luogo.
Tutino ha realizzato un grande serbatoio che ormai raccoglie qualcosa come 10.000 contributi tra diari e memorie dal quale lo storico può partire per scrivere davvero una storia dal basso.
Saverio ha vissuto una vita intensa, piena di scelte coraggiose: è stato commissario politico nelle brigate Garibaldi nel canavese e in Val d'Aosta, giornalista all'Unità, corrispondente da Cuba e poi nel primo gruppo di "Repubblica" quando era viva l'aspirazione di fare un giornale di giornalisti. Ha conosciuto Mao Dzedong e Fidel Castro, Allende e Che Guevara, ha lavorato con Luchino Visconti. Appassionato della causa cubana, ha ammesso il suo errore di valutazione rimproverandosi il credito che aveva assegnato al castrismo.
Persona di grande umanità, si prodigava affinché chi arrivas... continua a leggere
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L’esperienza di Arnaldo Momigliano all’Enciclopedia Italiana è un aspetto molto spinoso e controverso della sua biografia intellettuale su cui non sono mancate polemiche e critiche.Al pari di altri giovani storici, divenuti poi “grandi” (F. Chabod, D. Cantimori, W. Maturi), e intellettuali “non fascisti” se non palesemente antifascisti come il maestro Gaetano De Sanctis, o il filologo orientalista Giorgio Levi della Vida, Momigliano contribuì a costruire quel monumento cartaceo, quella gigantesca impresa culturale deputata a dar lustro e prestigio al Fascismo allora, e all’Italia anche in seguito: l’Enciclopedia Italiana. Momigliano cominciò a collaborarvi già dal 1930 e il suo apporto...
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In questo articolo presenteremo alcuni aspetti che hanno caratterizzato il mondo dell’educazione musicale degli anni Ottanta in Italia, raggruppandoli in cinque categorie: gli aspetti normativi scolastici, la formazione degli insegnanti e alla ricerca, l’associazionismo, le attività editoriali e le correnti di pensiero. Il quadro è di un decennio molto vivace e prolifero per l’educazione musicale, durante il quale sono avvenuti cambiamenti reali e di pensiero importanti che hanno visto la nascita e il rafforzamento di uno statuto scientifico e disciplinare dell’educazione musicale. Tale processo aveva avuto origine già negli anni Settanta, si rafforzerà e prenderà forma, anche istituzionale, negli anni Ottanta, ponendo le basi concettuali e pragmatiche dell’educazione musicale così come viene ancora oggi realizzata e discussa.
La situazione organizzativa e programmatica dell’educazione musicale nella scuola durante gli anni Ottanta è determinata da alcune importanti disposizioni legislative emanate in quegli anni e in ... continua a leggere
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«Continuo, infatti, è il passaggio delle delineazioni di una ‘figura’ tipica agli esempi viventi che la storia offre. D’altra parte, proprio nello sfumare dei tipi, nel loro incontrarsi e intrecciarsi, nel loro continuo suggerirne altri ancora, riemergono in tutta la loro vivente individualità appunto donne e uomini del Rinascimento»
E. Garin
La pubblicazione dell’ultimo volume di Nicola Gardini (Rinascere. Storie e maestri di un’idea italiana, Garzanti, Milano, 2019) può fungere da punto di partenza per una riflessione sui più recenti sviluppi del dibattito intorno al Rinascimento italiano; una discussione che ha interessato, a fasi alterne, le discipline letterarie, filosofiche e storiche per tutto il corso del secolo scorso (coinvolgendone alcune delle intelligenze più acute) e che ha stimolato, anche in tempi recenti, studiosi e ricerche di diverso retroterra e diverse impostazioni. Un discorso a proposito del Rinascimento italiano, infatti, implica (e ha implicato) senza dubbio uno sforzo storiografico preliminare vòlto alla definizione e alla perio... continua a leggere
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Si tratta, in queste pagine, soprattutto di constatare l'impossibilità dell'opera, e del resto di qualunque altra arte, di andare oltre certuni propri limiti strutturali. Per quanto riguarda la prosa teatrale, poi, d'indagarne la struttura antropologica originaria proprio per contrasto rispetto alla composizione operistica. Evidentemente, tale confronto fra tecniche artistiche abbraccia due specifiche difficoltà: in primo luogo, il fatto che si tratti di una questione di altissimo livello di astrattezza e, in secondo luogo, la circostanza per cui la considerazione dell'arte operistica non come interna all'arte musicale, ma come una sottocategoria del teatrale, potrebbe a buon diritto risultare in un non completo apprezzamento del suo valore estetico, o a uno spostamento di focus non del tutto giustificato dal punto di vista generale.
Tuttavia è proprio questo il primo caveat che qui si intende porre: non si tratta stricto sensu di enunciare proposizioni generali, ma di ricercare le condizioni concrete dell'azione che ciascuna tecnica rappresenta, come... continua a leggere
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La musica rappresenta un muro portante dell’edificio culturale eritreo. I motivi sono diversi, taluni strutturali, quali ad esempio l’utilizzo della musica nelle cerimonie religiose della Chiesa ortodossa Tewahedo. Vi sono anche ragioni contingenti: tra queste si può annoverare il ruolo strategico che la città di Asmara, capitale dell’Eritrea, ebbe per alcuni decenni nella storia radiotelegrafica africana e mondiale. Alla sconfitta delle truppe italiane in AOI (Africa Orientale italiana) nel 1941 fece seguito l’occupazione del Corno d’Africa da parte delle truppe inglesi e americane, che si impegnarono immediatamente nel potenziamento delle strutture radiotelegrafiche della ex colonia primigenia dell’Italia, ovvero l’Eritrea. Ad Asmara, la vecchia Radio Marina venne potenziata dalle truppe alleate, trasformandosi in una importantissima base per le intercettazioni radio.
In breve tempo, la stazione asmarina acquisì un ruolo strategico, che nel 1953 indusse gli Stati Uniti e l’Etiopia a firmare un patto militare che garantiva ai ... continua a leggere
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L’espressione strategia della tensione nacque in riferimento a alle bombe del 12 dicembre 1969 esplose a Milano e a Roma nel contesto giornalistico britannico, in particolare attraverso il gruppo editoriale del quotidiano «The Guardian» e del settimanale «The Observer» (che ancora oggi esce la domenica, quando «The Guardian» non esce). Entrambe le testate avevano seguito con attenzione le vicende della Grecia, denunciando la brutalità e l’attacco ai diritti umani del regime dei colonnelli. Ai primi di dicembre le due testate pubblicarono documentazione riservata che induceva a ritenere che il regime dei colonnelli stesse lavorando all’organizzazione di un colpo di stato in Italia, complice di settori militari italiani e di gruppi neofascisti. Il governo greco era peraltro all’attenzione del comitato del Consiglio d’Europa, che avrebbe dovuto deliberare sull’argomento proprio il 12 dicembre 1969, a Parigi (la riunione si concluse, in un clima polemico, con l’annuncio delle dimissioni della delegazione greca dall’organismo).
L’espressione strategy of tension apparve per... continua a leggere
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30 novembre 1979, è un venerdì e il decennio del terrorismo, della violenza politica ma anche delle riforme (Statuto dei Lavoratori, legge sul divorzio, riforma del diritto di famiglia, legge istituiva del Servizio Sanitario Nazionale) è prossimo alla sua conclusione. Il cadavere di Aldo Moro ucciso dalle Brigate Rosse è stato ritrovato da circa un anno e mezzo mentre alla Presidenza della Repubblica vi è Sandro Pertini socialista e partigiano. Niente sarà più come prima l’Italia sta cambiando e cambierà ulteriormente nel corso del decennio successivo, il decennio della “Milano da bere”, delle TV private, dell’Italia che trionfa ai mondiali di calcio del 1982, del “secondo miracolo economico”, delle vacanze “tra Cortina e le Maldive” come celebrano i film dei fratelli Vanzina.
Non soltanto il nostro Paese sta cambiando ma anche il mondo nel suo insieme Reagan da un lato e la Thatcher dall’altro rappresentano e rappresenteranno con le loro politiche liberiste e non solo, la storia delle relazioni internazionali degli anni Ottanta. Non a caso sulla prima pagina del quotidiano “La St... continua a leggere
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Alla fine degli anni ’80 una banda di persone semina il panico in Emilia Romagna tra rapine, estorsioni e omicidi. Un fatto in modo particolare colpisce l’opinione pubblica: una pattuglia dei carabinieri viene trovata crivellata di colpi a Bologna, nel quartiere periferico il Pilastro.
È il 1991. Sulla stampa dell’epoca si parla di omicidio commesso da una banda di killer professionisti. Solo anni più tardi si scoprirà che gli autori di quell’omicidio – e tutta una serie di crimini – saranno commessi da appartenenti alle forze dell’ordine.
Sono poliziotti che ammazzano altri poliziotti. E che ammazzano possibili testimoni dei propri crimini, rapinano caselli autostradali, banche e aprono il fuoco all’interno dei campi rom. In totale i morti saranno 24 e 102 i feriti. Quel gruppo di persone prenderà in seguito il nome di “banda della uno bianca”, dal momento che durante i crimini erano soliti usare questa utilitaria molto comune all’epoca.
Bologna precipita in una spirale di violenza e l’aria in città si fa tesa. La presenza delle forze dell’ordine in città si intensifica e a pa... continua a leggere
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Questo è l’ultimo contributo di Mauro Conti scritto il 22 febbraio 2020, tre giorni prima della sua improvvisa scomparsa. Lo aveva preparato con la consueta passione e la sua inconfondibile profondità per la biblioteca del Liceo Scientifico Copernico di Bologna dove insegnava.
Cosa penso dei libri? Per anni ho condiretto una rivista online dal titolo evocativo: Bibliomanie, figuriamoci. Il nome francese lo avevamo rubato al racconto omonimo di Flaubert ma andava bene anche per l’italiano perché di manie riguardo ai libri non ce n’è una sola, ma tante. L’amore maniaco o meno per i libri ho cominciato a praticarlo tardi, all’Università. Il mio maestro, Ezio Raimondi, era solito citarne almeno una decina a lezione, ragion per cui, oltre alla trentina di testi che avevamo da affrontare per l’esame finale, la maggior parte dei pomeriggi li passavamo in biblioteca ad esplorare quegli scrigni di meraviglie che si trovavano sugli scaffali polverosi della biblioteca di Lettere.
È un caso fortunato che i compagni di avventure di ... continua a leggere
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Non è stata la prima volta. E con tutta probabilità nella storia dell’uomo non sarà nemmeno l’ultima. Per certi aspetti era anche prevedibile. Numerosi scienziati in tutto il mondo, figure particolarmente lungimiranti come Bill Gates, o esperti fra cui il docente di ecologia Almo Farina, avevano già lanciato l’allarme da diversi anni sul fatto che cambiamenti globali quali «l’aumento della popolazione umana, la crescita di città sempre più grandi, le condizioni igienico-sanitarie deficitarie delle grandi megalopoli e dall’altro l’aumentata vulnerabilità degli agro-ecosistemi e degli ecosistemi acquatici», sarebbero stati fattori da cui attendersi inevitabilmente l’insorgenza di pericolose «nuove malattie». Batteri, virus, epidemie ed infezioni pandemiche caratterizzano la vita del genere umano sulla terra fin dai suoi primi passi evolutivi e continueranno ad accompagnarci per tutta la nostra storia, fino all’ultimo, perché, se non ce ne fossimo ancora accorti, non vi è nulla delle nostre caratteristiche specifiche che esuli o che trascenda il sistema biologico di cui facciamo parte. Certo, negli u... continua a leggere
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Spesso il legame tra filosofia e letteratura è giocato tra due abissi: la perdita e il ritrovamento. L'intera opera di Marcel Proust, soprattutto nel dedalo narrativo di Alla ricerca del tempo perduto, ha intrapreso una trama quasi trapezistica lungo la quale, in bilico ed in perenne rischio, il Marcel narrante ha dipanato la pluralità dei suoi mondi sempre al limite del precipitare per poi riprendere un equilibrio sovente precario. Tale nesso in costante movimento è stato individuato, tra i vari interpreti, in particolar modo dal filosofo francese Georges Bataille. Si può a rigore affermare che, in questa continua oscillazione, l'eros come vita e la vita come eros abbiano assunto il ruolo di agenti destabilizzanti nella vita-opera proustiana. Gelosia, tracce di corpi intravisti, volti restituiti alla loro ambiguità rappresentano altrettanti punti nevralgici per comprendere il portato della filosofia di Proust come sintesi che si disvela nel rapporto tra eros e posterità. Bataille ne ha condensato i tratti analizzando l'intreccio tra l'erotismo (agente di perdita e spa... continua a leggere
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‘Isolare’, leggo sul De Mauro, è ‘separare da tutto ciò che circonda’. Nel dizionario etimologico è ancora più duro, ‘staccare checchesìa attorno da qualunque corpo’. Eppure isolare viene da isola, e questa parola per me è sempre stata un sogno. Nato dopo la guerra non mi sfiorava l’idea di associarla al confino, come fu durante il fascismo. Pensavo piuttosto alla fuga in un posto meraviglioso, l’isola dei sogni, cantavo ‘l’Isola che non c’è’ di Bennato, ma soprattutto la parola mi accendeva l’idea di utopia, luogo estremo dove sperimentare il Nuovo. Un luogo da trovare, magari scrutando qualche mappa emersa dall’Archivio Generale delle Indie di Siviglia, in quel tempo in cui le mappe non erano solo una necessità ma anche una fonte di immaginazione.
Molti scrittori hanno disegnato mappe originali per costruirci intorno il proprio racconto. La prima opera narrativa contenente la mappa di un luogo non esistente fu “Utopia”, che significa il "non luogo", scritto nel 1516 da Tommaso Moro. L’incisione su legno di Holbein, realizzata per l’edizione del 1518, ci mostra nell’angolo si... continua a leggere
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R. Quando è adolescente, oltre a scrivere su “La Zanzara”, mio padre comincia a collaborare anche con “MilanInter”, settimanale sportivo dedicato alle due squadre milanesi. Quindi non manifesta solo un interesse precoce per l'attività giornalistica: mi sembra giusto ricordare che era anche un normale adolescente maschio italiano appassionato di calcio! Realizza, giovanissimo, una delle prime interviste a un altrettanto giovane Giovanni Trapattoni, entrambi agli albori della carriera, una circostanza che il “Trap” ha ricordato pubblicamente con grande affetto. Al liceo Parini manifesta subito un grande interesse per la storia e la politica, assumendo un atteggiamento talvolta severo verso i propri coetanei; con gli studenti-colleghi che come lui invece sono interessati sia alla storia che ai grandi temi di dibattito pubblico, in occasione dei vent'anni anni della Liberazione nel 1965 mette in piedi una inchiesta su cosa sanno i ragazzi... continua a leggere
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Il progetto Mneo ha avviato, nel giugno 2019, il recupero delle video testimonianze della strage del 2 agosto 1980 avvenuta nella stazione di Bologna, quando alle 10.25 lo scoppio di una bomba distrugge la sala d'aspetto di seconda classe, gremita di persone, e gli uffici dell’azienda di ristorazione Cigar che si trovano proprio sopra l’area, causando la morte di ottantacinque persone e il ferimento di duecento. Lo scopo del lavoro è quello di creare un archivio di testimonianze non solo dell’evento più tragico avvenuto durante gli anni tra il 1968 e il 1980 definiti come gli “anni di piombo”, la dura stagione delle stragi e degli attentati che hanno caratterizzato questo periodo del Ventesimo secolo, ma anche di quelli più significativi della recente storia d’Italia, scegliendo la registrazione video quale mezzo per recuperare e ricordare le preziose parole dei testimoni e dando, in questo modo, più forza alla cristallizzazione di quei racconti per realizzare idee e progetti che possano aiutare a tenere viva la memoria collettiva del Paese, per far conoscere al pubblico, soprattutto quello più giovane, le ... continua a leggere
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Alle 10.25 del 2 agosto 1980, una bomba con tritolo e T4, esplode alla stazione di Bologna causando 85 morti e 200 feriti. È la più grave strage del Dopoguerra. Colpisce al cuore la città medaglia d’oro alla Resistenza ed un Paese sottoposto, dal 1969, ad un continuo attacco eversivo.
Inizia da qui il lungo percorso dell'Associazione tra i familiari delle vittime per ottenere la giustizia dovuta, per arrivare a perseguire esecutori e mandanti. Nonostante i depistaggi, le omertà istituzionali, le pacche sulle spalle dei ministri di turno, per 40 anni ha continuato a mettere insieme, pazientemente, quei pezzi mancanti accuratamente sepolti. Non sono stati un mausoleo del dolore, ma un esempio di impegno e resistenza civile che ha dimostrato che i cittadini hanno il diritto di non rimanere nell’anticamera della verità.
Grazie al loro impegno, oggi conosciamo meglio la nostra Storia, attraverso la digitalizzazione degli atti processuali, la battaglia per l’apertura degli archivi del potere, i collegamenti tra mandanti ed esecutori e la condivisione della memoria. Un impegno, lungo una vita, che ripercorri... continua a leggere
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Il testo che conosciamo come A room of one’s own fu pubblicato per la prima volta il 24 ottobre 1929 dalla Hogarth Press di Londra, la casa editrice fondata e diretta da Virginia con il marito Leonard Woolf, e contemporaneamente da Harcourt Brace & Co. negli Stati Uniti. La ricezione e la vendita del libro furono entusiastiche: diecimila copie in quattro mesi.
Il testo incorpora, con sostanziali revisioni, un saggio che uscì nel marzo 1929 sulla rivista americana Forum intitolato “Donne e Romanzo”. Il manoscritto di questo saggio, diviso in due parti e comprendente cinque capitoli, fu ritrovato successivamente a Cambridge dal Prof. Rosembaum e pubblicato nel 1992, mentre la versione dattilografata è conservata a Monk’s House. Non è stato ritrovato invece il manoscritto delle conferenze vere e proprie da cui il testo prende origine: due lectures, a distanza una dall’altra, presso i college femminili di Newnham e Girton, a Cambridge, nell’ ottobre 1928.
«Grazie a Dio la mia lunga fatica per la conferenza alle donne è finita in questo momento. Torno or... continua a leggere
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Mio fratello Alberto è morto sul DC9 Itavia verso le nove di sera di quel 27 giugno 1980; stava raggiungendo la figlia e la moglie che erano a Palermo per qualche giorno di vacanza.
Nelle orecchie mi suona ancora la frase di un funzionario dell’Aeroporto Marconi di Bologna che verso le cinque del mattino ci disse che non si sapeva nulla, che quell’aereo era “disperso”.
Ho incontrato così una delle più tragiche vicende della storia del nostro Paese: la Strage di Ustica.
Oggi possiamo dire che si è trattato di una verità subito nota che in ogni modo si è voluta nascondere.
Il tracciato radar della rotta dell’aereo, unico documento sopravvissuto alla totale distruzione di ogni prova, era stato ben esaminato: indicava chiaramente un attacco al DC9 Itavia.
Le conversazioni della notte tra le torri di controllo (ascoltate soltanto molti anni dopo) erano piene di preoccupazioni per la presenza di aerei militari attorno al volo civile e partirono allarmi.
È dimostrata una riunione d’emergenza presso l’Ambasciata americana a Roma. Ancor oggi non sappiamo il nome di tutti i part... continua a leggere
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Una ricognizione previa. Per Paolo Ruffilli poesia non è rispecchiamento della realtà, semplice mimesi, magari schizomorfa immagine del mondo. È rifondazione e riorganizzazione del tempo in cui il vissuto si struttura e si dispiega. E ricostruzione dei processi semantici. In questi termini potrebbe apparire una riproposizione della poetica novissima, o forse di quella, oggettiva e oggettuale, della linea lombarda (il che, per altro, entrerebbe in conflitto con la settecentesca dolceamara cantabilità di Ruffilli). Siamo di fronte invece a un tertium datur, alla terza ipotesi esclusa dalla filosofia. Qualcosa può, insieme, essere e non essere, porsi al di là dello stesso principio di non contraddizione. Come nella ontologia quantistica o nella logique des ensembles flous, una logica sfumata, per cui tra vero e falso, reale e irreale, non c’è netta esclusione, bensí una gamma indefinita e potenzialmente illimitata di sfumature e gradazioni.
Ricreare per verba, quindi. Una delle difficoltà a riguardo è lo scontro con le leggi della logica, ma non a vantaggio di una radicalità ... continua a leggere
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«Non ci possono essere persone, né libere volontà, dove si può vivere senza imparare come si sta al mondo – come si deve stare al mondo»
Roberta De Monticelli
«Tu ne cede malis, sed contra audentior ito, quam tua te Fortuna sinet».
(Non cedere al male, ma affrontalo con più coraggio di quanto la Fortuna consenta)
Virgilio, Eneide, VI, 95-96
L’uomo contemporaneo, qualora davvero intenda affrontare il disagio che lo travaglia per liberarsene, deve anzitutto rimpossessarsi del concetto di ascesi, nel suo significato autentico, e quindi attuarlo nella propria esistenza. Il termine, al contrario di quanto sembrerebbe suggerire la sua degenerata accezione corrente, non pertiene alla dimensione del disinteresse, della rinuncia o di un apatico, quando non snobistico, distacco. Tutt’altro. Se interpretato nel suo senso originario, cioè greco, esso configura una forma di filosofia operativa, così come la concepivano gli antichi, ovvero un esercizio di perfezionamento graduale, «un metodo di progresso spirituale» (Pierre Hadot): un vero e proprio tirocinio, non meno fisico che contemplativo, per quanto i suoi risultati finiscano da ultimo per ripercuotersi sulla sfera dell’interiorità. L’obiettivo primario cui mira la pratica ascetica non è dunque un religioso abbandono del mondo (contemptus mundi), ma la capacità tutta immanente di abitarlo... continua a leggere
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In una delle sue Favole al telefono Gianni Rodari inventa il più compiuto dei giochi dis-educativi. Il palazzo da rompere, che dà il titolo al racconto, è un vero e proprio palazzo (sette piani per novantanove stanze), vuoto di abitanti ma pieno di arredi «stoviglie e soprammobili», fatto costruire dal comune di Busto Arsizio su progetto del ragionier Gamberoni, per risolvere il problema dei bambini «che rompevano tutto», nelle loro case e nei luoghi pubblici. Il palazzo è un giocattolo: i bambini devono distruggere tutto quello che ci trovano dentro, dalle fondamenta fino all’ultimo piano. Per giocare meglio sono anche stati dotati di martelli. Per due giorni, ininterrottamente, i bambini rompono e demoliscono; alla fine del terzo, stremati, «tornarono a casa barcollando e andarono a letto senza cena». Terminato il gioco...
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Ho conosciuto l’opera di Gaetano Arcangeli grazie a Giovanni Perich, suo allievo, che ha voluto donarmi le introvabili riedizioni Scheiwiller di metà anni novanta approntate dalla Fondazione guidata da Bianca Arcangeli. Con in mano gli Scheiwiller piccini e compatti dai colori pastello, il celeste, il beige, il verde chiaro, il giallo limone, la mia fantasia di avvicinamento a Gaetano Arcangeli è cominciata per attrazione inconscia non da una poesia, ma da un testo in prosa tratto dalla raccolta I passi notturni, scritta tra il 1941 e il 1945. (Arcangeli aveva già pubblicato nel ‘39 una miscellanea di prose e poesie, Dal vivere)
Il racconto eponimo con cui si apre il libro è dedicato al fratello Francesco, il futuro critico d’arte, e mette in campo una dichiarazione solenne, importante: «La mia vita è stata, dall’infanzia fino alla prima giovinezza, sospesa a riconoscere il timbro di passi attesi, nella notte».
Lo scrittore procede rievocando l’attesa notturna del ritorno del padre, mentre lui bambino era già nel letto, l’ansia e la tensione all’ascolto, quella che può definirsi una condizione leopardiana dell’udito come conduttore di vita, là fuori, uno strumento interiore raffinatissimo che dilata i suoni e li etichetta, dà loro un nome insieme a un timbro. Ecco dunque che i passi sulla strada si caricano di significato e letteralmente diventano, nel racconto in prosa, un ritmo di versi.
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Antonio Tabucchi nel suo libro più noto, Sostiene Pereira (Feltrinelli, 1994), ci insegna che l’intellettuale, lo scrittore, l’artista non possono sottrarsi all’impegno politico che è anche impegno morale. Roberto Faenza ne ha tratto un film con lo stesso titolo del romanzo: è davvero un bel film, che Rai Tre ha riproposto a ragione pochi giorni or sono, subito dopo la prematura scomparsa dell’apprezzato homme de lettres toscano.
Il romanzo e la sua trasposizione cinematografica dovrebbero rammentare a tutti noi – e, anzitutto, a quanti studiano, insegnano, scrivono – che la cultura non può essere neutrale e che l’uomo portatore di cultura e di paideia, che è educazione degli uomini, deve schierarsi, e non da una parte qualunque, ma da quella dei deboli oppressi dal potere. Leggo in una lettera di Tabucchi a Paolo di Paolo: «Essere scrittore non vuol dire solo maneggiare le parole. Significa soprattutto stare attenti alla realtà circostante, alle persone, agli altri».
Tanti scarabocchiatori libreschi, avidamente chini sul becchime delle loro gabbie, discettano intorno al proprio ombelico, quasi fosse il centro del mondo. Se esprimono un dissenso, questo è solo retorico, mai veramente scomodo verso chi riempie di cibo le loro gabbie, greppie, pance. Schopenhauer definiva “boschēmata” simili intellettuali e professori. Una parola greca, non tedesca, e significa bestiame, bestiame che si pasce.
Un breve excursus su altr... continua a leggere
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Che succede quando si parla di un argomento che riguarda tutti con parole e con frasi che possono capire solo pochi?
Succede che chi ne parla così, afferma indirettamente che quell’argomento “non è per tutti” e che “solo pochi possono capirlo”, e intanto fa anche passare il messaggio che lui, che ne parla, è fra questi pochi; succede che pochi si “appropriano” di quell’argomento, pur sostenendo che riguarda, o dovrebbe riguardare, tutti; succede che, nei fatti e al di là delle intenzioni dichiarate, tutti sono espropriati da ciò che li riguarda, a vantaggio di pochi.
Capisco che questo pensiero, così costruito, possa apparire contorto, e allora – per non cadere subito in contraddizione con quello che desidero comunicare – conviene che lo spieghi con un esempio.
Ci sono molti argomenti che riguardano molte persone, ma ci sono alcuni argomenti che riguardano tutti. In particolare, non c’è nulla come la condizione umana che riguardi tutti: è così per definizione. E, parlando di condizione umana, mi riferisco – esempio nell’esempio – anche a quel misto di incertezza e sofferenza che scaturisce dall’incontro con l’abbandono, la malattia, la vecchiaia e la morte: e nel corso della vita, tolta la scorciatoia della morte, da questo incontro non sfugge nessuno. Eppure non è facile trovare chi su questi argomenti scriva in modo approfondito in una forma che chiunque sia anche appena capace di leggere, ma proprio ... continua a leggere
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«I libri di questa biblioteca potrebbero essere definiti come delle promesse. Di felicità, di infelicità, di attesa, di amore o di paura, a seconda dei casi». È una frase che troviamo nelle prime pagine del suo ultimo lavoro, La biblioteca delle emozioni (Ponte alle Grazie, Milano 2012), nel quale lei mostra di muovere da una condizione di partenza, quella per cui i personaggi della finzione sono atti a promuovere in noi dei reali stati affettivi, come argomentava in Chi ha paura di Mr. Hyde? Oggetti fittizi, emozioni reali, del 2010. È la replica realistica al paradosso della finzione, che dubitava della veridicità delle nostre emozioni alla presenza di entità fittizie. Soluzione che implica che il credere nell’esistenza reale di ciò che ci emoziona non sia una condizione indispensabile per provare delle emozioni vere. Si avverte nei suoi libri tutto un lavoro di ricerca sugli oggetti finzionali addotti come campo applicativo, in particolare sulla verifica della verità dei nostri sentimenti di fronte, appunto, agli oggetti fittizi. In che misura la filosofia l’ha ispirata e guidata in questa direzione?
R. La filosofia mi ha guidata nella ricerca delle risposte. Nel caso del paradosso della finzione, per esempio, trovavo inaccettabile la soluzione di Colin Radford, secondo la quale tutte le emozioni che proviamo verso i personaggi della finzione sono irrazionali, e allora ho provato a proporre una teoria che mi consentisse d... continua a leggere
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In un recente intervento, un caro amico, suffragato dal Grande Dizionario della Lingua Italiana e da una solida conoscenza del latino, richiamava l’attenzione sul fatto che il sostantivo grazia (ma altrettanto bene garbo o eleganza) costituisse per i nostri antenati e in effetti costituisca ancora oggi un sinonimo di decenza e rinvii, pertanto, al campo semantico della bellezza non come mero concetto estetico, bensì estetico e morale contemporaneamente. Lo conferma, tra gli altri, il Lexicon del Forcellini, il quale, alla voce decens, sostiene che il termine certamente ha tra i suoi significati quello di grazia (saepe refertur ad pulchritudinem), e tuttavia non in quanto semplice bellezza esteriore (differt tamen a formoso), ma come quella forma di bellezza che, in un certo grado, partecipa anche della virtù e della dignità (Est enim decens pulcher cum honestate et dignitate quadam, decorus).
Nella storia della cultura italiana è forse Il Cortegiano (1528) che, per la prima volta in maniera sistematica, tratta il problema della grazia, secondo l’accezione indicata. Leggiamone allora uno dei passaggi più significativi:
«Avendo io già più volte pensato meco onde nasca questa grazia, lasciando quelli che dalle stelle l’hanno, trovo una regula universalissima, la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane che si facciano o dicano più che alcuna altra, e ciò è fuggir quanto più si po, e come ... continua a leggere
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Blumenberg si richiama a una concezione del mito ben diversa, legata all'antropologia filosofica del nostro secolo, ed esclude, in polemica con altre teorie interpretative, la possibilità di ricostruire il percorso della produzione mitica. In aperta polemica cone l'interpretazione cassireriana Blumenberg in Arbeit am Mythos sostiene che il limite più grande delle teorie interpretative, quello che le rende inaccettabili, è che ogni teoria, sia evemeristica, allegorica, analogica, vede il mito come un terminus ad quem e non come terminus a quo. Anche Cassirer, con il quale egli ha, per altro, molti presupposti in comune, commetterebbe questo errore; Blumenberg, avversando l'interpretazione del mito come precursore della ragione in un movimento di progressivo sviluppo, teorizza la sua autonomia e contestualmente l'autonomia della genesi della ragione. La contraddizione di Cassirer emerge proprio laddove si tratta di rendere ragione della ricomparsa del mito nel mondo moderno: come spiegare il balzo regressivo del mito politico moderno?
I miti, dice Blumenberg: “sono storie con un alto grado di stabilità nel loro nucleo narrativo” e
“le storie, vengono raccontate per scacciare qualcosa [...] la paura. [...] ogni fiducia nel mondo comincia con i nomi in relazione ai quali si possono raccontare delle storie. Questo stato di cose è implicito nella protostoria biblica dell'imposizione dei nomi in Paradiso. Ma è im... continua a leggere
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Dissipatio.
“Vediamo. C’è una mia vecchia lettura, un testo di Giamblico che ho avuto sott’occhio non ricordo per che ricerca. Parlava della fine della specie umana e s’intitolava Dissipatio Humani Generis. Dissipazione non in senso morale … nella tarda latinità pare che dissipatio valesse ‘evaporazione’, ‘ nebulizzazione’, o qualcosa di ugualmente fisico … solvens saeclum in favilla”.
Il mondo è un deserto di uomini nell’ultimo romanzo di Guido Morselli che sottrae il titolo a Giamblico, Dissipatio H.G. (humani generis). Il protagonista si accorge con sbigottimento e sorpresa e anche con un senso di liberazione di essere rimasto l’unico sulla terra, mentre il resto dell’umanità è improvvisamente e misteriosamente scomparso.
“Un lungo panico, in principio. E poi, ma tramontata subito, incredulità e poi di nuovo paura. Adesso l’adattamento. Rassegnazione? Direi proprio accettazione”.
Decide di uccidersi nella ‘notte favolosa’ fra l’uno e il due giugno perché il negativo prevale sul positivo. Un unico desiderio: andarsene senza lasciare traccia, per evitare di compiere i quarant’anni e avviarsi ... continua a leggere
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In questo articolo parlerò del rapporto tra lo sport - in maniera particolare il calcio - e l'universo videoludico dei vari giochi per computer, xbox, playstation e simili piattaforme digitali per l'intrattenimento, oggi diffuse in tutti i salotti quasi al pari delle televisioni. Sono bandiere della tendenza che sostituisce la realtà con un'altra realtà iperrealista dai contorni perfetti e dai colori scientificamente ideali.
Lo schermo è il grande protagonista del nostro secolo. Non più quello panciuto e opaco dei primi apparecchi tv, ma quello piatto, brillante e interattivo degli ultimi modelli. Non più una scelta limitata di canali come altrettante linee guida del pensiero, ma una totale interconnessione tra i più diversi argomenti, in cui il sé si crea ogni giorno improvvisando. Come nell'architettura moderna, il pensiero si sta evolvendo, passando dalla solida, ma immobile pesantezza di un muro di cemento, alla leggera versatilità del vetro, il carbonio, l'acciaio, le materie plastiche trasparenti. Si va, realmente e metaforicamente, verso una realtà senza muri, spessore e opposizioni visive, in cui la capacità di creare collegamenti e sostenere più fronti di pensiero contemporaneamente, ci costerà forse la profondità analitica, ma ci aprirà nuove prospettive, come vedersi la schiena grazie a un riflesso riflesso.
Internet ne è un esempio, una quantità infinita di informazioni su ogni cosa esistente, ma dalla vita breve e incer... continua a leggere
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Da lettore privato ma affamato, cerco sempre di arrivare – fra le pubblicazioni che escono nuove, o fra le tante del passato non ancora lette e da leggere – a quelle che si adeguano al mio gusto: ed eccomi al Bestiario di Federico Cinti.
Le pagine intelligenti del prefatore aiutano ad accingersi a un itinerario godibilissimo e, nel contempo, travaglioso, rischioso oltre ogni parola, fra le viscere opache di un uomo postmoderno – o forse di una humana condicio? – che si vuole incomprensibile: percorso raro, specie in tempi d’indigenza materiale e morale (temo) senza pari.
Per me è un viaggio quasi omerico, dentro le acque furenti e urenti delle miserie (infinite) e delle grandezze (minime, in fondo) degli umani. Con parecchie sorprese, irrequietudini e pene, con suggestioni ed emozioni perlopiù amare ma, a ogni modo, con un rinnovato avviamento della memoria.
Tutto ciò richiama – mi richiama sotto gli occhi, non per confronto ma per necessità di comparazione – i libri puntuti e artiglianti di maestri nell’arte della satira: Giovenale, (un certo) Marziale, Agrippa d’Aubigné, La Fontaine, Voltaire (le cose migliori), Parini, Belli, Pascarella, Trilussa…
Sono persuaso che l’impegno creativo di Cinti – già notato, a quanto so, per uno Speculum salutis formalmente esigentissimo e, dunque, deliberatamente fuori dal coro – si svolga in tale ambito di riferimento e di tensione poietica.
Va in questa direzione la... continua a leggere
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L’intitolazione di questo lungo racconto suggerisce (a libro ancora da aprire, da sfogliare) con una intrepida, trionfante baldanza, oppure con una sorta di rapida convinzione testuale, avendo assunto il titolo dal contesto; ripeto, cercherebbe di suggerire una chiave generale di lettura a mio parere distorta che, per geniale intuito o proposito, quasi subito (se non leggo male, dopo una quindicina di pagine) viene con rabbioso scavo nei dettagli (direi, delle anime) contraddetto con sempre maggiore convinzione, determinazione e dedizione all’assunto della narrazione, alle verità disarmanti o armate conferite come aculei dalla vita.
Così, l’itinerario di una vacanza in motocicletta programmata e disposta da un gruppo di amici potrei intenderla (come vorrei intenderla), senza sforare il quadro d’insieme, una sorta di passaggio circense attraverso il cerchio infuocato, nella gabbia dove sostano i leoni; o addirittura, come un rapido e intimamente straziato (straziante) passaggio in un assatanato pertugio infernale. Altro che le varie bevute dei tanti vini o liquori nelle soste non evitabili decise durante il percorso!
Sèguito, in una seconda considerazione, annotando che il protagonista nel racconto, all’inizio, non sembra essere, ma è, il casco; poi anche questo tutelatore e dispensatore di lampi della memoria torna ad essere il necessario supporto, non più sublimato, che riaffiora fra le onde della scrittura. Infatti riferimenti, per... continua a leggere
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Di recente, in «Poesia 2.0», lei ha pubblicamente abiurato alla sua opera in versi con una serrata e articolata dichiarazione che vale la pena riprodurre qui per intero.
Massimo Sannelli, Abiura in cinque punti
1.
Nell’anno 40° della vita decido di rinunciare alle mie opere di poesia. D’ora in poi, non riconoscerò nessuno dei miei libri di poesia, né le collane in cui sono usciti, né i rapporti – di volta in volta umani, accademici, professionali, critici – che li hanno garantiti e promossi. Abbandono tutti i miei libri di poesia, nessuno escluso: sono stati scritti in un altro tempo (disperatamente lungo, pieno di legami) e con un altro corpo (ferocemente autodistruttivo, assottigliato fino alla consumazione, cioè fino all’errore).
2.
I testi riappariranno in libri nuovi, più coerenti con l’intenzione che non ho seguito fino in fondo. Qualcuno conserverà la forma originale, altri saranno cancellati, altri modificati o accorpati, in una nuova casa abitabile. I libri da cui provengono rimarranno indietro, presenti ma abbandonati. Non posso impedire che vengano ristampati, ma l’idea di ristamparli non partirà da me.
3.
Non accetto più l’idea di pubblicare nelle collane di poesia, presso editori specializzati in poesia. Non ho mai voluto scrivere poesie, ma dare una forma musicale ad un’azione biologica, o anche biografica. In realtà, dico biografica e biologica per ... continua a leggere
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Per ogni genere letterario, qualunque esso sia, l’interrogativo “quando lo scrittore scrive, cosa gli viene in mente?” apre una ricca e complessa pluralità di scenari: l’auctor può volere istruire, dilettare, completare il lavoro altrui, così come contestarlo, emularlo etc. Molteplici, forse infinite sono le possibilità, specie perché “un’arte il cui mezzo è la lingua darà sempre creazioni ampiamente critiche, poiché la lingua stessa è una critica della vita: essa denomina, colpisce, indica e giudica, in quanto dona la vita”. Proviamo dunque ad analizzare alcune forme che il pensiero assume quando si decide di scrivere.
La prima, come è ovvio, non può venir disgiunta da una scelta squisitamente stilistica. E tuttavia, varie possono essere le successive declinazioni.
La convinzione secondo cui la letteratura rappresenta l’espressione del pensiero di una nazione è di antica data. In particolare, essa trova la sua base, in Italia, nell’ambito di quel sentimento patriottico che – come si sa – tanto ha contribuito all’unità politica del Paese.
Di questo offre ottima, ponderata testimonianza – nelle Lezioni di Letteratura italiana, pubblicate tra il 1866 e il 1872 – Luigi Settembrini (1813-1876), che, amante e cultore delle humanae litterae per inclinazione naturale, ricoprì la cattedra di Letteratura italiana prima a Bologna e quindi, nel 1862, a Napoli. Tutta la letteratura storico-critica a lui dedicata in... continua a leggere
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Alle origini di ogni studioso, di quel genere di scrittore che pensiamo rediga solo pagine inerti – o peggio, glaciali – stanno sogni e passioni giovanili. Ammiratore di Carducci, la prima passione del ravennate Corrado Ricci (classe 1858) fu la poesia, al punto che aveva anche pensato d’intraprendere la carriera poetica. Scrisse infatti versi, stampandone una raccolta a sedici anni, ma alla laurea in legge, nel 1882, decise di abbandonare quel sogno. Quando molti anni dopo l’Accademia dei Lincei chiese ai propri soci una personale bibliografia, Ricci escluse dalla propria quel libretto di versi e ne ricordò i fatti così: «Il primo mio “stampato” è del 1874, ossia di cinquantasette anni or sono e, come è facile indovinare, data la mia età di allora, contiene versi! I poeti debbono essere poeti, o nulla. E se proprio non possono fare a meno di stender in carta e in rima le proprie debolezze, abbiano almeno il pudore di rimpiattarle o, meglio, la saggezza di bruciarle».
Abbandonata la poesia volle dedicarsi alla storia dell'arte e allo studio dell'archeologia, campi nei quali aveva già curiosato in giovane età, e nel 1878 diede una prima prova di questo rinnovato talento con una Guida di Ravenna. Da li prese il via la solare carriera di Ricci, che diresse musei, fu Diretto Generale delle Antichità e Belle Arti (1906-1919) e storico dell'arte. e tuttavia, tra i primi suoi scritti si colloca un saggio che sembra provare come, accantona... continua a leggere
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Da un po’ di tempo, ormai, da un paio d’anni direi, se la memoria non m’inganna, ho cominciato a scrivere soltanto sonetti dallo schema originario, con le rime alternate nella fronte e nella sirma. Se sia un bene o un male, questo davvero non lo so capire, e francamente m’interessa il giusto. Vorrei solo sapere perché per molti, oggi, il sonetto sia avvertito come un gioco dilettantesco e obsoleto, come un assurdo retaggio del passato. Lo strappo forte delle avanguardie non ha fatto altro che ridurre i versi a briciole, più o meno corpose, di parole. Io, purtroppo, non mi ritrovo che nel verso misurato, nello schema tornito e cesellato, e questo perché è una scelta di assoluta libertà, perché nessuna tradizione me lo impone più, perché in fondo sono convinto che la regola sia la mia unica libertà, che mi oppone al mondo del caos e del disordine. Ecco, allora, che la regola, la norma, il canone sono il mio tratto distintivo, il mio stile, la mia riconoscibilità più profonda.
Nemmeno io amo la maniera: ci tengo a sottolinearlo e a rimarcarlo in modo deciso. E, del resto, tutto può divenire manierato e stucchevole, finto intendo dire e ozioso. Io cerco nel sonetto, come in altre forme chiuse, o apparentemente tali, un’ancora di salvezza e di ricostruzione sulle macerie crollateci addosso dopo la disgregazione del sistema. Non è, però, si badi bene, un ritorno al classicismo; è, piuttosto, la ricerca di ciò che ci ha resi quello che... continua a leggere
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La poesia di Marilia Bonincontro non è psicologica, né sentimentale. Esattamente agli antipodi delle istanze di una cultura masmediale e invasiva, ai margini della fenomenologia planetaria, la figura del poeta si sottrae a quella specie d’illimitata comunicazione, nel riserbo intimo e severo. E che altro potrebbe fare se non con-siderare, ossia parlare con gli astri, o meglio con La cenere degli astri? Tale è il titolo di una sua raccolta del 1988.
Più profonda della bellezza angelica è questa sua lotta per una parola alta cui il poeta stesso sembra trascinato e vinto. La sostanza della lingua, invocata di fronte alla fragilità e all’incertezza dell’esistenza, comporta l’abbandono di ciò che ha in sé di troppo soggettivo e di troppo sensibile. Si può sopportare con ammirato stupore una bellezza così tremenda, solo perché essa, sine cura, cioè indifferente, è imperturbabile nella forma perfetta del suo disegno. Da chi si potrebbe essere aiutati per resisterle? Gli angeli disdegnano di soccorrerci perché sono perfetti in se stessi. Gli uomini sono troppo deboli e implicati nella loro umanità. Ecco Deserta luce (1989-2002) in cui, evocati, come “ombre di lungo esilio”, sembrano raccogliersi a silente dialogo: “l’angelo obliquo” di Emily Dickinson, “l’angelo dal viso bizantino” di Cristina Campo, “la voce dal NonDove” di Caproni, l’angelo, o meglio la sua “distanza” di Morandi e il “Dèmone” di Rilke, che ... continua a leggere
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Monda: è con Lei, attento, esigente osservatore del mondo contemporaneo, che vorremmo trovare le parole meno inadeguate per parlare di cultura. Cercare (adagio) una definizione, vedere i luoghi in cui oggi si realizza meglio, e i suoi protagonisti, e quali rapporti realmente mantiene con la realtà che ci circonda. Come ancora si può attraversarla. Tentiamo perciò di capire cos’è e i vari livelli in cui si esprime.
Roversi: Direi semplicemente, ma con molta convinzione, che cultura è cercare ciò che non si sa in ogni direzione: nei libri, nella lettura dei giornali, nella ricerca dei rapporti con le persone, nei viaggi. è il bisogno dell’uomo, anche di quello apparentemente incolto, di riempire dei vuoti della conoscenza. Un bisogno non codificato nelle istituzioni, una sollecitazione comune a tutti.
M.: Mi viene da pensare che in epoca di consumismo anche la cultura abbia soggiaciuto agli stessi meccanismi e, mentre il livello medio si è alzato, il livello alto è precipitato o è alla macchia. Per livelli alti intendo lì dove il pensiero subisce una elaborazione, tenta un azzardo, sperimenta un rischio, organizza un progetto nuovo. Cosa è successo di tutto questo? Un eccesso di silenzi, di compromessi, di giochi “politici”, di parole snaturate ha seppellito sotto cumuli di cenere quasi ogni tensione progettuale della cultura.
R.: Certo esiste innegabilmente una omologazione al basso anche nel... continua a leggere
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«Esistere è resistere» è la paronimia che fa da titolo all’intervento di Maurizio Ferraris in Bentornata realtà, il recente volume che riunisce angolature diversificate ma tese a integrarsi e a ridefinire in ottica nuovorealista un campo di ricerca a lungo termine. La «discussione» coinvolge dieci autori e si articola a partire da alcune affermazioni preliminari: il nuovo realismo è dottrina critica al pari della decostruzione, con la differenza che le affianca una ricostruzione; esiste una ontologia sociale che, diversamente da quella naturale, va avvicinata con criterio ermeneutico; la filosofia non è in conflitto con la scienza, cui, al contrario, deve rimettersi quando si tratta di argomenti che le competono; il nuovo realismo è una «filosofia globalizzata», e dovendosi aprire a questioni multiverse inerenti all’uomo, è tenuta a temperare il suo specialismo in vista di una ricezione più ampia.
«Esistere è resistere» è l’assioma di Ferraris evòlto a marcare il nodo, ovvero la coimplicazione che si istituisce tra i due paronimi, tale da stabilire una equivalenza carica di conseguenze, chiamando in causa la necessità di tenere distinti àmbiti talora inassimilabili come essere e sapere, e con essa lo scarto da quel postmoderno filosofico che trent’anni prima è stato anche di Ferraris. Esistenza e resistenza fanno rima: in metrica si direbbe un caso di rima paronomastica, se si vuole derivata, quasi equivoca. E seguitando: es... continua a leggere
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Continua a gocciare sulle nostre coscienze lo stillicidio del sangue uscito fuori dal corpo di donne uccise da uomini che non sopportano di essere lasciati. Invece di limitarsi a lamenti come quelli di Arianna abbandonata da Teseo, o a querimonie simili al piagnucolare di Orfeo che, non senza colpa, ha perso Euridice, costoro infieriscono sul corpo delle ex compagne facendone scempio.
Tali orrendi misfatti, che si ripetono pressoché ogni giorno, vengono puntualmente, giustamente e quasi unanimemente esecrati dalla stampa. Ma sinora non sono stati fermati, né ridotti di numero, di frequenza, e, anzi, sono in aumento.
Provo allora ad indicare una modesta spiegazione delle cause e una men che modesta proposta di rimedio.
Tuttavia ne potrebbero ricavare, forse, qualche suggerimento le donne in pericolo e perfino gli uomini tentati di por termine al loro tormento amoroso, al loro avvilimento, addirittura al loro essere uomini, perpetrando un crimine brutale, da bestie feroci. Ho scritto “bestie” non come slogan, e “feroci” non quale epiteto ingiurioso suggerito dall’ira che pure mi detta queste parole, a loro volta non miti. Difficile est tragoediam non scribere.
Gli assassini delle donne rinunciano all’identità di uomini per non sentirsi dei reietti, dei falliti, dei valutati quali “nessuno”.
Il fatto è che l’amore per una persona, se viene contraccambiato, è una conquista di identità. Pensa, lettore, al protagonis... continua a leggere
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Oggi Italo Calvino avrebbe compiuto novant’anni. Assieme ad Eco e Moravia è lo scrittore italiano del Novecento più tradotto. In un’epoca nella quale si strapubblica e la letteratura è diventata un prodotto da banco a breve deperibilità, l’opera di Calvino non appartiene al polveroso starnazzare di libri mediocri.
Si arriva alla letteratura se si riflette sugli strumenti che la compongono. Calvino ne era perfettamente cosciente, per lui il percorso di costruzione parla quanto la trama.
Calvino ritiene la letteratura una ricerca di conoscenza, come scrive nelle Lezioni americane. E già con il suo primo romanzo di tema resistenziale, Il sentiero dei nidi di ragno, pubblicato nel 1947, i dilemmi della guerra civile, la fragilità umana dei combattenti, le loro indecisioni sono state raccontate con una capacità esplicativa tale da anticipare di decenni le acquisizioni storiografiche.
Con il suo lavoro Calvino punta a scoprire l’essere umano indagandone – attraverso la letteratura – i primordi. L’antropologia, l’etnografia, la mitologia sono elementi che lo affascinano e gli servono per far riflettere i suoi personaggi. Lui stesso non è che un moderno che dialoga con i classici.
Tutto avviene con apparente semplicità, come nelle sue opere fantastiche: Il visconte dimezzato, Il barone rampante, Il cavaliere inesistente. Sono romanzi storici fiabeschi (uno ambientato a fine Seicento, l’altro nell’epoca dei Lumi, il ter... continua a leggere
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Si potrebbe davvero dire, per citare Dante, assai caro all'autore, che In humanitatem spiritus di Maurizio Malaguti (I Martedì, Bologna 2005) è un libro «al quale ha posto mano e cielo e terra». Queste pagine sembrano fondere l'immediatezza esperienziale di chi vive nell'essere con le alte speculazioni intorno all'Essere supremo, alla superessentialis divinitas come dice l'Areopagita.
In humanitatem spiritus: c'è, in quell'accusativo, tutta la tensione di un andare-verso, di un farsi incontro all'Essere nella misura in cui esso stesso, pur se velato, larvato, absconditum, si fa incontro a noi; non tanto un esser-ci inteso come gettatezza, deiezione, alienazione, differenza ontologica, quanto come possibilità di incontro, di pienezza, di illuminazione, pur nell'abisso del totalmente Altro, del totaliter Aliud.
Chi legga il libro en poète può essere sedotto dall'immagine simbolista del «visible et serein souffle artficiel / De l'inspiration, qui regagne le ciel». Anche quel souffle, benché filtrato dall'ars, dall'artificium, è in humanitatem spiritus: se l'uomo è imago Dei, prole celeste (e lo diceva già Cleante nell’Inno a Zeus – Zeus già identificato con il Logos), allora egli trova davvero se stesso solo nel regno celeste, e la sua essenza è Parola, voce, canto, respiro interiore.
E l'uomo stesso, e insieme la parola poetica, sono “Trinità riflessa", come diceva Agostino, o, per usare la metafora cui ricorre Malaguti, ins... continua a leggere
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Che mai s’intende, oggi, per “cultura”? Massimo Angelini ne ha ricondotto correttamente l’etimologia al verbo latino colere, nelle sue accezioni di ‘coltivare’, ‘far accrescere’ e ‘venerare’, in un’interessante, affascinante miscellanea edita da CLUEB nel 2012 e curata da Domenico Felice, studioso di fama internazionale che non necessita di troppe presentazioni.
Il poderoso, inconsueto volume che qui s’andrà illustrando in breve raccoglie ventuno saggi, preceduti da una prefazione sui generis dal titolo Sulla dignità umana, o lo stoicismo di Montesquieu: ci si trova dinanzi a una pregnante antologia di citazioni, tratte da illustri pensatori e hommes de lettres antichi e moderni, da Platone ad Hannah Arendt, con una prevalente, prevedibile attenzione a brani memorabili di Montesquieu. A questo straordinario giurista, politologo, filosofo e scrittore di Francia vengono dedicati, in effetti, diversi saggi significativi, fra i quali si segnala il denso profilo del liberale (e moralista, «nell’accezione più illustre del termine») minuziosamente tratteggiato dallo stesso Felice e da Davide Monda; altri protagonisti dell’eclettica quanto rigorosa raccolta il Seneca politico, Machiavelli ed Erasmo, Voltaire e Rousseau.
Fra gli interventi che trattano, in particolare, di Montesquieu, ampio spazio viene, a giusto titolo, riservato alle fatiche esemplari di Salvatore Rotta (1926-2001) a lui dedicati, opportunamente suddivise i... continua a leggere
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«Se un uomo potesse mantenersi sempre sul culmine dell'attimo della scelta…»
Colpisce come il filosofo Kierkegaard senta il bisogno di accumulare parole, come se prima del vocabolo “scelta” non possano che esserci gradini, salite, baleni. “Sul culmine dell’ attimo”: un bordo altissimo, un parapetto da cui lanciarsi in volo; margini di spazio e di tempo, prima di planare su quell’oltre che implica un non ritorno. Perché mai il filosofo pensa sia desiderabile mantenersi su quel culmine, fissare lo sguardo a quell’attimo prima che la scelta inevitabile possa ancora essere evitata? Se un uomo potesse… Forse per fermare il momento preciso come in un fotogramma, per cogliere il passaggio del pendolo. La scelta è aria rapida e radente: il tuffo di una Esterina di vent’anni che ride nel buttarsi in acqua.
Euforia dell’aria tersa della scelta. Assaporarne la perfezione prima che si increspi: del resto l’etimologia di choose rimanda a un arcaico ceosan – keus - *geus che è familiare con la parola gusto-gout.
«"O frati," dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d'i nostri sensi ch'è del rimanente
non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.... continua a leggere
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Quando mille richiami “crudeli” e mille silenzi di pietra si fanno verbi entro un libro sodo, verrebbe da sistemare sul tavolo del proprio studio – sotto gli occhi della mente e, a ogni modo, non troppo lontano dal cuore – una foresta di mille alberi che ci copre intera; che fruscia con tutte le foglie per non lasciarci distrarre; che agita feroce – ma con rigore algebrico – la nostra immaginazione confusa, il nostro malandato sapere, il nostro (colpevole) desiderio di sonno.
Allora mi cattura un preoccupato timore, mescolato a una curiosità zoppicante, nel guardare prima il mucchio ordinatissimo dei fogli, poi nello scorrere con lentezza necessaria questo altro lavoro di Davide Monda, denso di sospirata, battagliera saggezza, nonché di fredde tensioni metafisiche ed escatologiche.
Di là dalle forme (sempre più rigide) e dai modi (sempre più fiocinanti), ogni poesia sembra agitarsi parallelamente a quanto già dipanato nella modesta sintesi (2008) del suo possente “canzoniere” – tuttora in fieri, credo.
Ed ecco allora – pure qua – saperi delicatamente sfiorati (mai raggiunti, né afferrati), con una insistenza torturante, con uno scandaglio speculativo minuzioso, unghiuto, volto anche a scioglierli, correggerli, sistemarli, integrarli. Tutto con umiltà sconcertante.
Un libro così può schiudere l’inizio duro di una cura prolungata (ma indispensabile) per i guasti che ciascuno di noi occulta nei risvolti più... continua a leggere
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Consapevole che nella storia dell’Occidente non si sono mai avute epoche contraddistinte da una vera e propria opposizione tra cultura scientifica e cultura umanistica, Marco Ciardi prende anche in questo suo libro le distanze dagli studi che si muovono esclusivamente nell’ambito di rigidi settori disciplinari accademici e assume come proprio obiettivo la riconsiderazione dell’effettiva importanza culturale del sapere scientifico nell’Italia ottocentesca, dalla storiografia troppo spesso misconosciuto a favore di quello letterario. Di grande rilievo fu, in particolare, il ruolo esercitato dalla scienza nell’età del Risorgimento, allorché fornì un apporto decisivo alla formazione dei singoli individui e dell’opinione pubblica più in generale. La diffusione della cultura scientifica, infatti, costituì senza dubbio uno degli elementi che, in quella travagliata fase storica, contribuirono di più alla maturazione di una coscienza nazionale, promuovendo le idee di libertà, unità e tolleranza, imprescindibili per la crescita di un popolo.
Come illustra Ciardi, nei primi decenni del XIX secolo scienza e politica rappresentavano due aspetti complementari di un più ampio progetto di rinnovamento della cultura nazionale, che iniziò concretamente a definirsi durante le celebri Riunioni degli Scienziati Italiani. Nell’ambito di tali congressi, il primo dei quali si tenne a Pisa nel 1839, l’attività politica era una conseguenza piuttosto che... continua a leggere
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Agli studiosi dannunziani è cosa abbastanza nota che Gabriele D’Annunzio e Giacomo Puccini cercarono più volte di collaborare per la creazione di un’opera che unisse, come afferma Aldo Simeone, “il melodramma al dramma moderno”.
Tale collaborazione peraltro non avvenne mai, o, per meglio dire, non produsse mai risultati. Ci si è chiesti spesso il perché. Critici e studiosi di vario orientamento hanno tentato di fornire risposte, ma – a mio parere – il problema reale va individuato nella diversità di carattere dei due artisti: D’Annunzio mirava sempre a essere eccezionale tout court, mentre Puccini era più modesto, accontentandosi di “essere qualcuno”.
Ma analizziamo per un attimo le due individualità. Pur avendo idee alquanto diverse sia sulla struttura di un’opera teatrale, sia in politica (D’Annunzio era filofrancese e interventista, Puccini filotedesco e neutralista), coltivavano interessi comuni: il dandismo, i motori, la concezione arte = merce e un’indubbia tendenza alle intense passioni amorose – un magnanimo eufemismo? Chissà.
Le motivazioni che li spingevano a una collaborazione erano comunque differenti: il ‘Vate’, sempre in cerca di popolarità (e anche di danaro, vista la sua incontenibile propensione a sprecarlo), ambiva al vasto pubblico pucciniano, mentre il compositore ammirava lo spirito innovatore di D’Annunzio.
A ogni modo, i due s’incontrarono grazie alle sollecitazi... continua a leggere
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L’undici aprile 1957, nella clinica “Villa latina” di Roma, la forte fibra di Lorenzo Giusso cede alfine il passo all’incalzare di una furiosa malattia. I suoi trigliceridi impazziti si impennano, fino ad una dimensione off limits per ogni essere umano.
Sono trascorsi 32 giorni allorquando la moglie Annamaria, accorsa a Madrid e informata circa le condizioni critiche del coniuge da un magro trafiletto (in prima pagina) sul “Mattino” di Napoli, riesce a convincerlo – non senza fatica – della necessità di rientrare in Italia (“…d’accordo Lorenzo, non a Napoli. Ti porto a Roma”).
Da molti anni, Lorenzo Giusso viveva un dramma intimo e umanissimo, che lo aveva portato a cancellare dalla sua agenda emozionale la pur amatissima Napoli: “Vi farò ritorno solo da morto”. E così avvenne.
Lorenzo Giusso nacque a Napoli il 25 giugno 1899 dal conte Antonio Giusso del Galdo e dalla marchesa Maria Imperiali di Francavilla D’Afflitto: due insigni casate genovesi, trapiantatesi a Napoli qualche secolo prima, che avevano concorso a formarne – con buona probabilità – l’ineffabile psicologia e il singolarissimo profilo complessivo.
Nipote di Girolamo Giusso (1843 - 1921), compagno di Umberto I nelle perigliose visite ai lazzaretti, sindaco di Napoli e poi senatore e ministro con Zanardelli, Lorenzo era altresì imparentato con Giustino Fortunato, uno degli uomini più intelligenti e ascoltati, com’è noto, della cultu... continua a leggere
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Autore di romanzi, racconti e saggi, drammaturgo e regista teatrale, impegnato intensamente anche nell’attività giornalistica, ad esempio con “L’Ora” e con “Repubblica”, Michele Perriera è stato un attento osservatore della realtà e un intellettuale militante; numerosi sono stati i suoi interventi su questioni civili e politiche, esaminate puntualmente nella carta stampata e nei saggi e accolte, al netto di opportune trasfigurazioni, anche nelle opere narrative.
Una possibile chiave di lettura della sua poetica è offerta dalla famosa espressione di Romain Rolland (mutuata poi da Gramsci e sotto quell’insegna soprattutto nota in Italia): “Il pessimismo della ragione, l’ottimismo della volontà”.
Nella sua opera, infatti, Perriera indaga in profondità il reale, senza sconti di sorta, rivelandone la negatività, con un particolare accento al sempre crescente ruolo del denaro e all’invasività del potere; e tuttavia, con insperata volontà, esprime al contempo una strenua lotta per il trionfo dei valori positivi, anche nelle situazioni più avvilenti. La carica agonistica che anima la scrittura dell’autore raccoglie la sfida, di calviniana memoria, alla complessità di quel labirinto che sembra imprigionare e scoraggiare gli slanci più vitali dell’uomo.
In primo piano è così una sorta di utopia, in cui lo scrittore trova il senso del suo agire e la speranza di un cambiamento. Il tema scaturisce da un ricchissimo ... continua a leggere
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Nikos Kazantzakis (1883-1957) riteneva Dante uno dei suoi maestri e gli riconosceva il merito di aver nutrito e plasmato il suo spirito. Nel 1934 rende omaggio al padre della lingua italiana pubblicando, ad Atene, la traduzione in versi della Commedia e la dedica alla memoria di un altro grande scrittore greco, Angelos Sikelianòs (1884-1951), che viene definito da Kazantzakis, riprendendo l’espressione di Dante nel XXVI canto del Purgatorio, “il miglior fabbro del parlar materno”. A indicare la difficoltà dell’impresa, lo scrittore greco, in fondo alla pagina precedente il Prologo, riportava parole di Dante stesso, tratte dal Convivio (I,VII): “E però sappia ciascuno, che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può della sua loquela in altra trasmutare senza rompere tutta sua dolcezza e armonia”.
Segue un’immagine di Dante presa da un’edizione tedesca della Commedia risalente al 1862. Internazionalità del grande autore greco, internazionalità del padre della nostra lingua, lo studio della cui opera è patrimonio ormai mondiale. Dopo alcune pagine in cui viene narrata la biografia del poeta ed altre in cui viene spiegata la costruzione esteriore dei tre regni – Inferno, Purgatorio, Paradiso, Κόλαση, Καθαρτήρι, Παράδεισο – Kazantzakis presenta l’essenza nascosta sia dell’anima di Dante sia dell’opera. Le pagine seguenti, qui offerte in traduzione, sono tolte da ΕΣΩΤΕΡΙΚΟ ΔΙΑΓΡΑΜΜ... continua a leggere
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Alexis de Tocqueville nacque a Parigi il 29 luglio 1805 da una famiglia di lunga tradizione aristocratica, sostenitrice del regime dei Borboni. Tale provenienza, unita alla frequentazione degli ambienti della nobiltà legittimista francese, ebbe un peso notevole sulla formazione del giovane Alexis; tuttavia, con il passare del tempo, egli si allontanò sempre più dalle posizioni familiari.
Sarà forse utile un breve excursus storico per comprendere meglio il delicato periodo della storia francese che Tocqueville si trovò a vivere. Un prima tappa significativa può essere individuata negli eventi che caratterizzarono il 1815, anno in cui, dopo la sconfitta di Napoleone, l’Europa fu attraversata da una restaurazione monarchica che vide i Borboni tornare sul trono di Francia. Tale restaurazione portava però con sé alcune novità importanti. La Rivoluzione francese aveva, infatti, cambiato il corso della storia, aveva promosso nuovi ideali e fatto emergere le contraddizioni dell’Ancien Régime: ora non si potevano più ignorare gli irreversibili cambiamenti politici e sociali realizzati attraverso la stessa. Essa, in qualche modo, rappresentava un taglio netto col passato e, dunque, un nuovo inizio; in tale contesto, il nuovo re, Luigi XVIII, non poteva chiudere gli occhi davanti ai mutamenti avvenuti durante il periodo rivoluzionario e rimanere ancorato all’antica visione del... continua a leggere
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Wolfgang Amadeus Mozart fu un personaggio pubblico fin dalla prima infanzia. Dunque appare evidente che si sia presentata molte volte l’occasione di immortalarlo in effigi che ne hanno accompagnato l’esistenza e che, oggi, ci aiutano anche a valutare i cambiamenti repentini avvenuti nella società dell’epoca. Se, infatti, mettiamo a confronto la prima, documentata immagine del musicista ancora fanciullo con l’ultima, realizzata a un anno dalla morte, ci rendiamo conto di quanta strada egli abbia percorso, trasformandosi da azzimato giovane cicisbeo in uomo tormentato e dalla sensibilità palesemente vibrante e come, alle sue spalle, sia cambiato un intero periodo storico che dal narcisismo tutto esteriore delle parrucche e di ogni sorta di orpelli, pervenne ad una nuova estetica, questa volta dell’anima, attenta ai tormenti e agli spasimi del sentimento e dello spirito.
Nel complesso, un breve excursus fra i ritratti di Mozart consente di analizzare alcune opere di discreta qualità, che mostrano un giovane dalle fattezze sensibili e gentili, con grandi occhi azzurri e una bella massa di capelli biondi, sempre in ordine e spesso incipriati con eleganza. Il primo ritratto che di lui si conosce è quello di Lorenzoni. In esso il giovanissimo Mozart è rappresentato in un raffinato abito di gala, di “tessuto fine color lilla”, secondo la descrizione che ne diede il padre Leopold, “con panciotto dello stess... continua a leggere
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Si può ormai riconoscere, quale vero scopritore del nuovo mondo, Amerigo Vespucci; un personaggio noto, sicuramente, ma non adeguatamente celebrato: in particolare, riguardo alla sua capacità di avere maturato - ben presto - una già precisa cognizione sulla esistenza del quarto continente oltre ad avere fornito prudenti però dettagliate nonché plurime motivazioni sulla scoperta e sulla ubicazione dello stesso. Al riguardo, prima di indicare gli elementi da cui aveva dedotto e dimostrato di avere raggiunto un Nuovo Mondo, occorre ricordare alcuni aspetti propulsivi o ostativi del contesto familiare, cittadino ed europeo in cui Vespucci era nato e avrebbe poi agito. Lui, sin da piccolo, era apparso di notevole intelligenza e di marcata curiosità, stimolata dalle relazioni commerciali, culturali e politiche intrattenute dalla famiglia; il carattere, invece, era alquanto riservato; conseguentemente, forse anche per questo motivo, la sua vita risulta solo parzialmente documentabile; disponiamo, invece, di varie informazioni sulla famiglia: la madre era Elisabetta Mini, figlia di un notaio appartenente alla piccola nobiltà di Montevarchi, cittadina del Valdarno fiorentino; l’omonimo nonno paterno era originario di Peretola, abile commerciante nonché proprietario di terreni e di immobili, si era stabilizzato a Firenze in Borgo Ognissanti: dove la famiglia aveva provveduto alla costruzione de... continua a leggere
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Tra le espressioni culturali e artistiche più frequentate, due di queste vengono interpretate da personaggi sconosciuti, la cui esistenza è comunemente trascurata dai dibattiti televisivi più populistici ai salotti letterari di appartata selettività. Il loro valore, la capacità professionale non viene mai discussa, elogiata, criticata, nel bene e nel male, un vuoto di attenzione anomalo in una società dove ormai ogni dettaglio dello spettacolo esige il proprio spazio di luce nella ribalta.
Chi sono? Sono i doppiatori e i traduttori, traghettatori della parola, evocatori delle nostre emozioni.
Personaggi invisibili, nascosti dai clamori dello schermo e da quella inspiegabile invisibilità della prima pagina di un libro, riportante il nome del traduttore, che viene d'abitudine trascurata dal lettore.
Ma proprio a loro, a questi oscuri interpreti, invisibili quanto determinanti, dobbiamo in gran parte l'attrattiva del grande schermo e l'intensità espressiva di un testo che ha saputo illuminare qualcosa di profondo che covava in noi ma non riuscivamo a percepire.
Insomma dobbiamo in gran parte a loro quel piacevole stato d'animo, all'uscita dal cinema, dopo aver visto un bel film, o giunti all'ultima pagina di un libro nell'accorgerci di provare la soddisfazione di aver dedicato parte del nostro tempo a una buona lettura.
Questa mia apologia dei traghettatori della parola sembrerà eccessiva, ma mi addosso tutta la responsabilit... continua a leggere
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Lorenzo Giusso fu anzitutto ispanista di primo rango. Ma non solo, perché egli, nella non lunga ma intensissima parabola creativa, si rivelò davvero di “multiforme ingegno”: homme de lettres eclettico quanto geniale, pensatore inquieto come pochi, viaggiatore instancabile nell’Europa e, più ancora, nello spirito, professore senza fissa dimora, scrittore, poeta, saggista, giornalista, dai diversi toni e dall’infaticabile rabdomanzia tra Francia, Germania e Spagna – la diletta Spagna.
Napoletano, nato il 25 giugno del 1900, aristocratico per stirpe, estrazione sociale e – forse più ancora – per stile di vita, pensiero e scrittura, Lorenzo Giusso viene tuttora considerato da un musicologo straordinario come Piero Buscaroli uno dei maestri decisivi, insieme con Leo Longanesi, Pietro Gerbore, Ettore Paratore, Giovanni De Vergottini, tutti intellettuali dediti a una profondità insieme asistematica e rigorosa, tutti autori capaci di scandagliare i vissuti dei grandi individui, delle personalità in grado d’intrecciare incontri decisivi per l’esistenza di qualsiasi lettore.
Leggere Giusso equivale a calarsi nella storia e nella memoria, in una bibliografia individuale raffinata e coesa, seppur vasta, dove l’intuizione critica si abbina all’estro tumultuoso per l’immagine a effetto, che trova puntuale corrispondenza nella citazione dotta ed esatta, calzante.
Laureato in Lettere e Filosofia a Napoli nel 1924 (ma anche, quasi par... continua a leggere
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Negli ultimi anni gli studiosi di Voltaire hanno concentrato l’attenzione sulle procedure di ri-uso o di riutilizzazione con cui Voltaire ha spesso ripreso per un testo che aveva in elaborazione pezzi già pubblicati in altra occasione. Non si tratta solamente dell’attenzione ai criteri di “copia/incolla” spesso applicati, ad esempio, dal Voltaire storico nella utilizzazione dei testi che costituiscono delle “fonti” o degli intertesti della sua opera. Voltaire in maniera disinvolta ri-usa spesso (soprattutto il Voltaire degli anni di Ferney) pezzi (o testi) già pubblicati in precedenza.
È soprattutto nel caso di opere alfabetiche che il fenomeno diventa particolarmente vistoso: come è stato stabilito da Christiane Mervaud, una cinquantina di “voci” del Dictionnaire philosophique portatif (1764, con ristampe negli anni successivi) finiscono per essere riprese nelle Questions sur l’Encyclopédie (9 volumi pubblicati fra il 1770 e il 1772). Se si pensa poi al fatto che nell’edizione cosiddetta “incorniciata” (“encadrée”) del 1775 delle opere di Voltaire (fatta sotto la sorveglianza stessa del philosophe) il Dictionnaire philosophique portatif è smembrato e non conserva più una fisionomia autonoma (nonostante se ne continuino a ristampare a parte delle edizioni!), si può capire la portata che ha nell’attività dell’ultimo Voltaire la procedura del ri-uso.
Il r... continua a leggere
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La neo-parlamentare europea Barbara Spinelli su La Repubblica metteva così in guardia, mesi fa, sulla propensione a un “ritorno al 1914”: " Gli anni versari sono un omaggio che si rende al passato per accantonarlo. Meglio sarebbe celebrarli con parsimonia. Ma sul significato di questa ricorrenza vale la pena di soffermarsi, e chiedersi come mai Berlino evochi il 1914 per di re che l'euro può sfracellarsi, che se non faremo qualcosa saremo di nuovo sorpresi dal colpo di fucile che distrusse il continente, come mai troni questo nome - i Sonnambuli - che Hermann Broch scelse come titolo per una trilogia che narra la pigrizia dei sentimenti, l'indolenza vegetativa, che pervasero il primo anteguerra".
Utile ritornare quindi a quel lontano 1914 e a come lo vissero gli intellettuali di confine, figure centrali del nostro "secolo breve". Klaus Amann, in un saggio dal significativo titolo Il tradimento degli intellettuali: il caso austriaco, ha messo in luce come, fatta eccezione per A. Schnitzler e K. Kraus, “in Austria tutti letteralmente soggiacquero all’isteria dominante”, compreso Robert Musil, il cui ripensamento giunse tardivo, dopo l’esperienza di guerra sul fronte meridionale. Di fatto, l’intero mondo intellettuale austriaco cadde vittima delle sirene belliciste. In particolare, Amann si sofferma sul tradimento degli ideali antimilitaristi da parte della dirigenza della socialdemocrazia austriaca – Victor Adler in testa – mettendo be... continua a leggere
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Fine ultimo (dichiarato) della Massoneria è il miglioramento dell'uomo e dell'umanità, attraverso un perfezionamento graduale. Essa promuove tra i suoi aderenti la ricerca incessante della verità per realizzare la fratellanza universale del genere umano, caratterizzandosi in molte fasi storiche per la sua segretezza. Tema fondamentale è quello della libertà, requisito indispensabile per essere ammessi al suo interno, e accanto a esso valori universali quali, fra gli altri, lealtà, amicizia, fedeltà, sincerità, bontà e altruismo, nello spirito di una tolleranza universale.
David Wark Griffith (1875-1948) e Cecil Blount DeMille (1881-1959) sono considerati, a ragione, fra i padri di quel cinema americano che hanno contribuito a rendere famoso in tutto il mondo. Notoria è la loro partecipazione alla Massoneria ma purtroppo non abbiamo scritti che ne testimonino l’attività latomistica.
Scopo dell’articolo è quindi indagare come la loro esperienza massonica ne abbia influenzato le opere cinematografiche, rintracciando, alla stregua di una vera indagine giallistica, tutti quei segni e quelle suggestioni riconducibili alla loro affiliazione.
I film scelti sono quelli che li hanno resi più famosi, proprio per evidenziare come questa consonanza sia stata rilevante nella loro opera di cineasti; ci riferiamo quindi a Nascita di una nazione e Intolerance per Griffith e a I dieci comandamenti per DeMille.
Il tema della fratellanza... continua a leggere
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Da parecchi decenni, diversi studiosi sanno bene che la psicologia ha contatti profondi con il turismo; molti di questi, tuttavia, non sono stati ancora indagati né, comunque, studiati a dovere.
Recentemente, specie in virtù dello sviluppo offerto agli studi turistici dalle scuole professionali o tecniche e, in particolare, dalle facoltà universitarie disseminate in varie parti dello ‘Stivale’, anche in Italia questa scienza giovane è alla ricerca della propria identità, di un proprio statuto epistemologico. Essendo davvero una ‘scienza nuova’, non pochi tendono però a confonderla con le varie e vaste scienze antropologiche e politiche, con l’etnografia, con la geostoria o con altri saperi lato sensu umanistici.
Certamente, molto – forse troppo – è stato detto, in special modo nel nostro lungo Novecento, sulla psiche e sugli stati d’animo degli individui. Per alcuni eminenti specialisti, d’altro canto, il riferimento alla maturazione scientifica del turismo induce non pochi intellettuali a dubitare che si tratti realmente di una scienza.
Ho letto di recente che un illustre professore italiano ha dichiarato: «La psicologia non è una scienza, ma ha la speranza di diventarlo!». Un ‘cornelliano’ poi ha sentenziato: «Le matematiche risalgono ai greci, la fisica esiste da tre o quattro secoli, la chimica è del XVII secolo, la biologia ci è quasi coetanea, ma la psicologia è nata nel 1900». Ed anche Sant’Agostino... continua a leggere
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I variegati rapporti, in una direzione e nell'altra, fra Manzoni e il mondo anglosassone (riassunti in modo utile ed efficace nelle pagine dotte ed agili che seguono) mostrano la molteplicità dei suoi messaggi e delle sue corde – simile, per riprendere un suo geniale paragone, alla luce che «rapida piove di cosa in cosa», e, una in sé eppure molteplice, fa scaturire dalla superficie del mondo la varietà dei colori e la vastità delle forme.
Manzoni, in sintesi, se da un lato ricevette o poté ricevere dal mondo anglosassone, da Shakespeare come da Byron (antecedente decisivo, con la sua Ode to Napoleon, per il Cinque maggio), l'intensità della rappresentazione, il risalto delle passioni, l'incisività dei contorni, dei caratteri e delle tinte drammatici, l'asprezza affocata dei conflitti interiori, dall'altro indicò a tutti i suoi lettori la via per trascendere i vincoli dell'immediato e dell'immanente, per oltrepassare la grigia barriera della materia.
Questo slancio trascendente, variamente recepito e messo a frutto, si tradusse ora nello spiritualismo cattolico di Newman, ora nelle torbide atmosfere esoteriche del gothic novel, ora nel singolare idealismo dei trascendentalisti americani, pronti a scorgere e ad inseguire il battito e il bagliore dell'Idea alienata nella Natura, ora, come in Poe – forse memore delle pagine sulla peste di Milano in racconti come La Maschera della Morte Rossa e Re Peste – il senso acuto, lacerante e inev... continua a leggere
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C’è un fenomeno che mi preoccupa: le intemperanti censure nei riguardi degli editori a pagamento. Da qualche tempo un biasimo bellicoso affiora dal mondo immateriale di Internet: l’autore – povero credulone – non sarebbe altro che la vittima di scaltri animali da preda, che avrebbero buon gioco su di lui. Mi preoccupa il crescente fronte critico perché sono convinto che la funzione che questi editori svolgono sia invece benefica. Ragion per cui mi dispongo a individuare le ragioni della loro utilità e a stenderne un convinto elogio.
Faccio innanzitutto notare come gli editori a pagamento abbiano considerevolmente ampliato la platea degli scrittori, rendendola più folta di quella dei lettori. Come non elogiarne la pedagogica funzione? Chiediamoci onestamente: è più difficile e istruttivo leggere o scrivere? Ovvio: è più difficile e istruttivo scrivere. Dunque gli editori a pagamento, stimolando la pratica della scrittura (che per sua intima natura mira allo sbocco pubblico), hanno concorso al programma educativo nazionale più e meglio della Scuola Privata (e anche di quella Pubblica, per quanto assai meno autorevole).
L’editore a pagamento è poi figura premurosa: risponde infatti sempre e subito. Basta spedirgli un dattiloscritto che tratti di qualunque argomento, che perfino ricada nell’esiziale categoria poetica ed egli, pochi giorni dopo la ricezione, reagisce con una letterina nella quale annuncia che il prodotto è pubblica... continua a leggere
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Un classico mito scientista che all’inizio del XX secolo va in frantumi è la visione della natura come un preciso e gigantesco orologio. Newton parlava di dio come un grande orologiaio. Per Keplero la macchina dell’universo era simile a un orologio. Cartesio considerava i corpi, – di uomini o di animali non faceva differenza – automi, per Hobbes il cuore era una molla e per Harvey una pompa. L’enorme meccanismo automatico (l’orologio-natura), che si muove secondo movimenti determinati e ripetitivi svanisce dissolto dagli schizzi imprevedibili e frenetici del tempo.
Il più bizzarro tra i surrealisti, perché stravagante ed estroverso anche nello stile di vita che si fa tutt’uno con l’arte, Salvador Dalì, lo ha raffigurato in modo mirabile in uno dei suoi capolavori più celebrati: La persistenza della memoria. Il dipinto mostra, in un’atmosfera crepuscolare, il naufragio degli orologi sopra una spiaggia desolata, dominata da una scogliera - è quella della baia di Port Ligat che spesso l’artista usava come sfondo delle sue opere. Gli orologi, da sempre simbolo di solidità e stabilità, sono invece nel quadro ridotti a miseri relitti deformi e molli, rappresentati in uno stato di graduale inesorabile disfacimento, di progressivo e irrimediabile scioglimento: il tempo incontrastabile fa il suo corso inarrestabile. In questo modo l’eccentrico artista introduce un radicale ribaltamento nella prospettiva e nella considerazion... continua a leggere
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La tardiva condanna all’Indice delle diverse dottrine presenti nelle opere di Zorzi contribuì alla loro rapida diffusione soprattutto negli ambienti veneti, tanto che Venezia diventerà il centro della loro diffusione europea.
Pochi anni dopo la morte del frate – avvenuta nel 1540, com’è noto – fra le attività di volgarizzazione editoriale dell’Accademia veneziana, o Accademia della Fama, fondata nel 1557, c’è già in programma, nel settore specifico dedicato alla musica nella “stanza” della matematica, il De Harmonia mundi e la Theologia Platonica di Ficino. L’istituzione ha però vita breve a causa dei debiti contratti nel tentativo di realizzare i suoi ambiziosi progetti, e nel 1561 il Senato della Serenissima decreta il suo scioglimento. Ciò peraltro non impedisce la diffusione dei suddetti capolavori, la cui fortuna nel milieu intellettuale e accademico continua ad essere – e lo sarà nei secoli… – notevole, dentro e fuori Venezia.
Sarà proprio la particolarissima “apologetica” del nostro francescano che, ab origine destinata a rispondere ad esigenze esoteriche e spirituali, ispirerà la cultura del Cinquecento: si rivelerà in effetti, in parecchi dei testi più pregevoli della cabala cristiana, nell’irenismo ereticale di Francesco Pucci, nonché nel platonismo “radicale” di Curione e Camillo Renato.
Saranno però il vagheggiato progetto utopistico di Giulio Camillo Delminio, l’escatologia immaginif... continua a leggere
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La storia del genocidio dei nativi d’America non è facile da indagare: ogni prospettiva critica, infatti, che desideri analizzare e approfondire questo tema storiografico (ma sarebbe meglio dire disastro dell’umanità), si trova di fronte ad un guazzabuglio di interpretazioni in cui non è sempre facile procedere col lume scientifico e pacato dell’inchiesta razionale, tanto, ancora oggi, essa appare avviluppata in rancori, in ostinati silenzi, disperazione e comportamenti frustrati.
Il cinema e la letteratura hanno cercato, in vari modi, di rimediare al senso di colpa sorto, se non nei confronti dei singoli individui, cui – forse e unicamente – andava chiesto perdono, almeno nei confronti della mentalità collettiva dopo la conclusione delle cosiddette guerre indiane. Delle stragi, che stiamo per rievocare, stupisce come, ancora oggi, non ci si riesca a liberare del passato, da una storia di orrore e morte sparsa a piene mani in nome di un’idea, l’idea della superiorità dell’uomo bianco, l’idea di un particolare rapporto con la natura, l’etica del capitale.
Certo, si dirà, ricordare non è mai un esercizio innocente e fare storia significa sempre introdurre qualcosa di nuovo in un passato che altrimenti si annulla nelle vacuità mute del tempo; per giunta, nel caso degli indiani d’America, ogni questione pare vibrare ancora nella polemica razziale, in una sopita ma pur vivente polemica razziale, senza poter accedere a quell’... continua a leggere
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Caro M.,
da un po’ di tempo ho sul mio tavolo i due volumi dell’ultima opera coordinata da Ezio Raimondi dedicati alla letteratura italiana del Novecento, sintesi autonoma di un’opera ben più ampia rivolta alle scuole. A me sembra un ottimo strumento di lavoro. Che te ne pare? Ho confrontato l’analisi di queste pagine con letture recenti. Senti questa citazione:
«Pensare che i testi parlino da soli, al di là e al di fuori di ogni possibile mediazione, è un’idea tanto vecchia quanto ingenua e intimamente balorda: disconosce la storia, disconosce la diversità dei codici e il modificarsi radicale, di secolo in secolo, degli orizzonti di attesa, delle domande che un testo produce e che al testo vengono poste. Dimentica soprattutto che le grandi opere letterarie sono, come ci è stato insegnato, abitate fin nell’intimo delle loro fibre da una critica immanente, che la cifra nel tappeto esiste e che su di essa , sul suo rinvenimento, si gioca la scommessa stessa della letteratura.»
L’ho tratta dal recente libello sulla critica di Mario Lavagetto, e mi pare che non possa esserci migliore exergo di questo brano per commentare il ruolo, l’importanza del testo in questione. Quel valore dell’interpretazione che Raimondi ci insegna da trent’anni a questa parte.
Ti dirò che, alla prima consultazione complessiva dei due volumi, mi sembrava di sentir emergere l’idea esteriore di un novecento compatto, in sé concluso, l... continua a leggere
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Tutte le cose vivono e rilucono nella conoscenza
del giorno e nella maestà della notte.
(Kahlil Gibran)
Ogni traduzione è una interrogazione sull’enigma della parola e della letteratura e tradurre è quasi il dialogare con un assenza, l’arte di ascoltare una mancanza sulla base di uno spartito, di un disegno che il tempo ha confuso irrevocabilmente.
Tradurre è un capitolo del libro della nostalgia. Che dire, infatti, della voce che compose quest’opera, ormai è un secolo? Che dire della sua particolare inflessione, che soleva significare con peculiare ieraticità il dettato e lo sostanziava di un’ aura mistica per un’accolita beatificata di adepti? Che significato avevano allora parole come: mist, freedom, love, life, silencies, quali riferimenti immaginali mettevano in onda, mentre l’Europa collassava su di sé e gli Stati Uniti si apprestavano a diventare potenza mondiale espandendo il loro raggio d’azione politica e diplomatica sia in direzione del Pacifico che dell’Atlantico? Qualcosa è andato perduto.
Tradurre, come leggere, è dunque un esercizio filologico, la ricostruzione di una vox originaria dietro il mistero di una grafia, l’ascolto di una melodia proveniente dagli abissi del tempo, dondolante in silenziose profondità bluastre, scandagliate da una debolissima luce, quella della nostra lontananza di ricercatori stranieri, di viaggiatori resi estranei dal trascors... continua a leggere
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Il cinema può, a buon diritto, essere considerato un’arte guida dell’espressività italiana, proprio come lo sono state la musica operistica nel Romanticismo e l’architettura durante il Rinascimento; è raro, non di meno, che esso figuri come strumento didattico tanto nella scuola media quanto nella superiore. Le ragioni di questa latitanza sono forse da attribuire alla difficoltà di organizzare delle visioni didattiche in aule poco attrezzate, ma anche alla scarsa conoscenza storica, oltre che geografica, del nostro patrimonio filmico. Il percorso didattico che qui viene presentato intende indagare i rapporti tra arte cinematografica e paesaggio dell’Emilia Romagna, in particolare il litorale, l’entroterra ravennate ed il Delta del Po, così come essi sono stati svolti da tre registi come Luchino Visconti, Roberto Rossellini e Michelangelo Antonioni; i film scelti sono, nell’ordine, Ossessione, Paisà e Deserto Rosso.
Quello proposto è un percorso all’interno di un laboratorio didattico integrato di storia e geografia e va, quindi, subito precisato che, anche in relazione agli obiettivi prefissati, il nostro lavoro, più che di un percorso estetico narrativo strutturalmente organizzato, avrà il suo fine precipuo nella definizione degli elementi fondamentali della griglia storico geografica di cui i film sono testimonianza . In sostanza, fatte le debite premesse, i film verranno utilizzati più per la loro forte valenza documentaria e me... continua a leggere
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Anche se la quaestio è sin troppo vexata, in una canzone di quelle che siamo abituati ormai ad ascoltare per radio (e taciamo, volutamente, tutti gli altri supporti tecnologici, la cui attualità non si riesce mai a definire) non possiamo che chiederci se nasca prima il testo o la musica. Se facessimo un minimo di etimologia, intuiremmo subito che musica è parola legata a Musa, cioè alla dea metonimia della poesia: può, allora, esistere un testo poetico svincolato dalla musica?
Della musica antica non ci resta nulla, e noi leggiamo i testi poetici della lirica e dell’epica come se fossero stati scritti senza il supporto musicale. Ma come lavoravano i poeti greci e latini? Non lo sappiamo pienamente. E nel Medioevo che succedeva? È innegabile: nella communis opinio il poeta, chiuso nel suo universo di nuvole, ricerca con gli occhi persi nel vuoto una parola che non trova. Ma succede così veramente?
C’è qualche musicista che abbia musicato la poesia italiana del Novecento? E c’è qualche poeta che abbia scritto parole per una canzone? Sì, un esempio è proprio Roberto Roversi, che ha scritto per Lucio Dalla. Ma pare più che altro un’eccezione. Musica e poesia non si danno più la mano: sono due universi paralleli. Eppure, ed è forse solo un’impressione, le canzoni sembrano avere ereditato dalle esperienze poetiche anteriori al Futurismo quegli stilemi tradizionali che la poesia ha rifiutato. La musica leggera, allora, vive e si nutre... continua a leggere
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Conosco Licia Giaquinto fin dai tempi, anni ’70, dei reading di poesia bolognesi organizzati da Niva Lorenzini. Vi partecipavano le avanguardie di allora, poeti o artisti come Giuseppe Conte, Cesare Viviani, Edoardo Sanguineti, Tomaso Kemey, Milo De Angelis o quella meteora anarchica della poesia italiana di cui si conosce ancora pochissimo, ma molto amata anche dal gruppo di persone, come Lucio Vetri e Anna Maria Andreoli, che stavano attorno a Luciano Anceschi e alla rivista Il Verri, di nome Adriano Spatola.
Bellissima ragazza, Licia, con due occhi grigio perlacei da lupa, quando faceva i suoi interventi, metteva un’anima, una passione particolare ogni volta, e, se capitava di ascoltare o leggere le sue poesie, c’era da restarne incantati. Io non avevo mai incontrato un’artista come lei capace di usare le parole simili alla brace, alla lava, alla materia incandescente scagliata dal vulcano, e c’era una completa identità di suono e senso nel suo declamare, c’erano dei vocaboli, una lingua così stupefacenti che sembravano provenire dalle viscere perigliose dell’inconscio, di un comune ricettacolo, che poi erano l’espressione più semplice e immediata, lo specchio di quel particolare sentimento del tempo di una Bologna che non c’è più, di una primavera della nostra vita e del sentire che oggi ormai risultano dimenticati.
Non sarei mai stato capace di farmi avanti per conoscerla se non me la avesse presentata Lino, il propr... continua a leggere
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Dopo l’estate tumultuante della nostra coscienza ambientale per via del martirio inflitto dagli ampi incendi del meridione d’Italia e della Grecia, forse non sarà tempo sprecato per il lettore impegnato il bel libro di Chiara Santini dal titolo Il Giardino di Versailles. Natura, artificio, modello, uscito da Olschki nell’aprile 2007. L’autrice, che svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Discipline storiche dell’Università di Bologna, e attualmente collabora con l'Ecole Nationale Supérieure du Paysage (ENSP) di Versailles, ci aiuta a considerare, tra l’altro, come le stagioni del nostro rapporto con la natura abbiano avuto ben diversi orizzonti rispetto alla follia devastante degli incendiari, e come il sapere e l’immaginazione umana alleati di madre Terra abbiano potuto produrre quella meraviglia della progettazione che appunto prende nome di Giardino di Versailles.
Il giardino come luogo della rappresentazione e della esperienza della natura ha, ovviamente, trovato diverse declinazioni nel corso del tempo. Ogni epoca, più o meno consapevolmente, ha proiettato le proprie forme ideali, o la propria idea di spazialità nella forma del giardino. Con Versailles la natura perigliosa, la vertigine ossessionante di ombre e fantasmagoriche parvenze tipiche della visione medievale, viene ripensata al punto di piegarsi a rappresentazione simbolica di un intero Stato, divenire ontologia speculare della Regalità francese, assumere i... continua a leggere
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D. da dove nasce l’esigenza di raccontare questa esperienza attraverso la forma narrativa del romanzo?
R. La decisione di scrivere sulle vicende della crisi del Darfur ha da subito preso la forma del romanzo. Una decisione nata nel corso dell’ultimo anno della mia permanenza in Sudan, il 2007, quando le vicende di quella regione avevano già preso una piega negativa e, temo, irreversibile. Avevo fino a quel momento dedicato larga parte delle mie energie alla trattazione di quella crisi, cercando di capirla innanzitutto, partecipando poi agli sforzi della Comunità internazionale per arginare l’emergenza e per trovare una soluzione politica. Avevo accumulato “materiale” di tutti i tipi in argomento: i rapporti inviati al Ministero degli Esteri e quelli stilati insieme ai colleghi dell’Unione europea; gli appunti presi durante i colloqui con i principali attori coinvolti nella crisi; le impressioni riportate durante le svariate missioni compiute in Darfur dalla fine del 2003 all’inizio del 2007; le testimonianze degli sfollati, ascoltate e riascoltate così tante volte da diventare parte integrante della mia vita, non solo professionale. Il libro si è presentato come un banco di prova per testare fino a che punto le cose mi erano chiare. E forse il vero perché di questa forma narrativa ( e non un saggio o un reportage) è proprio questo: la competenza accumulata non era sufficiente a “svelare” alcuni misteri di quella crisi. E ... continua a leggere
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Leonardo Da Vinci (1452-1519) nasce in pieno Umanesimo, un movimento di ricerca della sapienza perduta dell’età classica che presupponeva la rottura con i rigidi schemi del medioevo e un’apertura a una nuova visione del mondo: l’uomo non era più succube e svilito dalla vita e dal peso del peccato ma sentiva al contrario di poter prendere le redini e guidare il suo destino. L’umanesimo lo portò al centro dell’universo, rivalutando completamente la sua posizione e le sue potenzialità.
Questa indagine appassionata che cominciò soprattutto grazie agli studi di Francesco Petrarca (1304 – 1374) portò con sé anche il recupero del messaggio ermetico, con la scoperta di testi relativi alla figura di Ermete Trismegisto, il Thoth egiziano, Dio – ibis della sapienza, della magia, della misura del tempo, della matematica e della geometria e inventore della scrittura. La traduzione in latino di Marsilio Ficino (1433-1499) del Corpus Hermeticum, presentata alla corte dei Medici di Firenze nel 1463, diffuse l’ermetismo e i suoi insegnamenti religiosi e occul... continua a leggere
tag: leonardo da vinci, pierluigi tombetti
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Nell’ambito della XVI edizione della “Festa internazionale della storia” intitolata “Viva la Storia Viva”, il 6 e 7 novembre 2019 nella Sala dello Stabat Mater della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, si è svolto il Convegno internazionale “Orizzonti della Didattica della Storia”, promosso dal Centro Internazionale di Didattica della Storia e del Patrimonio – DiPaSt del Dipartimento di Scienze dell’Educazione “Giovanni Maria Bertin” dell’Ateneo bolognese.
Finalità principale delle giornate di studio era la verifica comparata dello status questionis della didattica della storia in Italia, con un confronto con diverse realtà europee (Spagna, Portogallo, Germania, Francia, Gran Bretagna) e d'oltreoceano (Brasile e Argentina). Tale verifica è stata indetta per trarre un bilancio e delineare nuove prospettive dopo undici anni di attività del Centro di ricerca DiPaSt e oltre trenta anni di iniziative intraprese dapprima all’interno del Dipartimento di Discipline Storiche dell’Ateneo bolognese con la costituzione del “Laboratorio Didattico” (LAD) e poi del Laborator... continua a leggere
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Marina Cvetaeva ha scritto: “Tutti i poeti sono ebrei”. Proficuo chiedersi subito, forse, in che senso una figura determinante nella civiltà letteraria russa del secolo passato abbia rivendicato un’identità culturale così precisa – e, conoscendo la Cvetaeva, non si trattava di una mera presa di posizione intellettuale, assunta per affinità o solidarietà da vittima. Ella puntava più in alto.
Analogamente, è oltremodo interessante domandarsi cosa si afferma quando si dice “siamo tutti ebrei”? – o “siamo Charlie Hebdo”. E che significhi – di là dallo slogan e dalla sua efficacissima portata emotiva – assumere un’identità e rivendicare, in virtù di essa, un prototipo esistenziale.
Un’eccellente risposta al primo quesito – e forse anche al secondo – la offre, a nostro sentire, un testo mirabile di Judith Riemer e Gustav Dreifuss, pubblicato anni fa pure in un’egregia traduzione italiana (Giuntina, Firenze, 1994).
Vi si parla di Abramo. Come nessuno ignora, Abramo è il progenitore dei tre grandi monoteismi: dalla stirpe di Sem, figlio di Noè, egli viene prescelto per portare la sua tribù fuori dal paganesimo, ed è colui che sente la voce divina intimargli: “Vattene via dalla tua terra natale”. Via verso una terra promessa dal Dio.
Ci dice psicanaliticamente il volumetto testé menzionato: “La voce del comando, che la Bibbia identifica con la voce di Dio, è in realtà la voce ... continua a leggere
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Quando uscì Opinioni di un clown (Ansichten eines Clowns), nel 1963, il mondo sembrava non essere pronto a recepirlo correttamente, e men che meno pareva esserlo la Repubblica Federale Tedesca, la quale fiduciosamente ancora si affidava al carisma del proprio cancelliere, Konrad Adenauer, e ai valori propagandati dal partito di cui egli era stato fondatore, l’Unione cristiano-democratica (CDU). Per le sue accuse dirette, il romanzo destò accese polemiche e dure reazioni soprattutto nell’ambiente cattolico di governo e, ben presto, da caso letterario divenne anche un caso politico. La sentenza di condanna di Böll non ammetteva attenuanti e colpiva al cuore una società che rischiava di sacrificare al demone del benessere la propria coscienza civile e, forse, il proprio senso dell’esistenza. La denuncia di fariseismo che egli riversò sul clericalismo politico del proprio paese presentì l’imminenza di una vera e propria rivoluzione sociale: l’avvento della socialdemocrazia di Willy Brandt (1964) – così come la nascita di numerosi movimenti di rottura (Femminismo, Ambientalismo, Anti-nazionalismo) – rappresentò un nuovo atteggiamento verso il recente passato, per il quale l’unica possibilità concessa al futuro della Germania era affrontare con onestà la pesante eredità del nazismo e non nasconderla dietro un facile moralismo di facciata.
Arbitrario ridurre un libro come questo al suo precipitato contenutistico; se t... continua a leggere
tag: Böll, Yourcenar
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Soltanto la poesia – l’ho imparato terribilmente, lo so – la poesia sola può recuperare l’uomo (Ragioni di una poesia)
Giuseppe Ungaretti, nato ad Alessandria... continua a leggere
tag: biblistica, poesia, trascendenza
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Alla seconda opera pubblicata a Parigi, nel 1582, Bruno diede il titolo di Cantus Circaeus. Anche questo testo, come il De Umbris Idearum, è composto «per una ordinata esposizione di quella prassi della memoria che egli stesso chiama prassi del giudicare». Si tratta, anche in questo caso, di un’argomentazione di carattere mnemotecnico, al cui interno, il suggestivo incantesimo operato da Circe è utilizzato come espediente per presentare i principali insegnamenti della nuova ars memoriae. Il primo dei due dialoghi di cui è composta l’opera è, indubbiamente, quello più interessante ai fini della nostra ricerca. Introdotto da Jean Regnault, segretario di Enrico d’Angoulême e fratello naturale del re di Francia Enrico III, il complesso dialogo tra Circe e la sua ancella Meri, ambientato nel castello della maga, si distingue nettamente dal secondo soprattutto per la problematica etica che svolge. Il lamento di Circe ha inizio con un’invocazione al sole, affinché ponga rimedio al caos in cui versa la natura:
Sole, che solo illumini tutto. (…)... continua a leggere
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Il 18 marzo 2014 è morto Ezio Raimondi, a lungo titolare della cattedra di letteratura italiana presso la facoltà di Lettere dell'Università di Bologna, filologo di fama mondiale, critico letterario originale e versatile. Di origini umilissime, non può che essere proposto come modello positivo ai giovani di fronte alle incertezze e alle inquietudini - lavorative ed esistenziali - di questo tempo di crisi: egli ha dimostrato che, con la volontà, lo studio e l'intelligenza, anche il figlio di un ciabattino - come nelle fiabe - può ottenere il successo professionale e il pieno riconoscimento dei suoi meriti.
Maestro per formazione (frequentò l'istituto magistrale "Laura Bassi" di Bologna), per molte generazioni diventò Maestro (con la maiuscola) di lettura, di conoscenza e di amore per lo... continua a leggere
tag: raimondi
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Da genere appartato, anche confidenziale, negli ultimi dieci anni l’aforisma ha trovato un consistente numero di voci che ne hanno arricchito il panorama editoriale e, come per ogni fenomeno che allarga i propri confini, anche quelli espressivi si sono ampliati, con un panorama sempre più vasto di interpretazione. Ogni autore, insomma, vede l’aforisma a modo suo – e a modo suo lo produce, consapevole che in fondo la schiera dei possibili maestri è assai ampia, in un ventaglio di forme brevi che spazia dal mondo antico al Novecento, da Ippocrate a Longanesi.
L’osservazione trova riscontro in una piccola collezione aforistica di recente pubblicazione. Assemblata da Annalisa Mancino, Al limite... Aforismi! (Urizen Edizioni, 2015) è un minuscolo album in sedicesimo orizzontale con pagine cartonate dello stesso peso della copertina. Già la forma pone il prodotto fuori dalla schiera, consegnandoci un oggetto cartaceo che è anche stampato e legato a spago nel modo assai gradevole di un’attenta arte tipografica, il che lo distanzia dal cumulo antiestetico dei libri auto-prodotti e ne fa qualcosa di curiosamente simile a un album classificatore di antica concezione. È già un punto di qualità, almeno per il bibliofilo: una plaquette materialmente assemblata in maniera originale diventa infatti un prodotto “ricercato”.
Il primo carattere che affiora è che – in linea col prodotto tipografico d’autore – ogni scelta è concessa... continua a leggere
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L’istituzione che oggi viene ordinariamente definita università si configura, a Bologna, verso la fine dell’XI secolo, allorquando maestri di grammatica, retorica e logica iniziano ad applicarsi al diritto.
Secondo la miglior scienza ed esperienza attuali, il 1088 può essere accolto solo come data convenzionale. In quel torno di tempo, comunque, a Bologna si organizza un insegnamento libero e indipendente, in primis, dalle scuole ecclesiastiche: di fatto, al tramonto dell’XI secolo insigni maestri di grammatica, retorica e logica vi studiano e professano il diritto. La prima figura di spicco su cui sono pervenute notizie sicure è Irnerio – padre nobile dei celeberrimi glossatori e, non per caso, soprannominato Lucerna iuris – la cui infaticabile attività di sistematizzazione e attualizzazione del Corpus giustinianeo superò ben presto i confini del Comune.
Ab origine gli studenti, per retribuire i professori, cominciarono a raccogliere danaro (collectio), che nei primi decenni venne dato a titolo di offerta, giacché il sapere, dono di Dio per eccellenza, non ... continua a leggere
tag: alma mater, bologna, università
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Come vecchio mozzicone di candela, spento e dimenticato da lustri su un candelabro annerito, la cui unica speranza è riposta in una mano curiosa, disposta a riaccenderlo, a riportarlo “all’onor del mondo” onde perpetuarne il senso – ormai desueto, forse, ma poetico, poetico tout court –, il trattato di Clemente Polacci (Reggio Emilia α 31 maggio 1868, ω 18 marzo 1945) intitolato Il colombo triganino modenese (Modena, 1978) permane oramai quasi inerte nella sua metastorica analiticità, propria di quei passatempi “in bianco e nero” tipici dell’alta borghesia e della nobiltà reggiane e modenesi d’antan.
Clemente Polacci, di professione “segretario della Regia Deputazione Provinciale di Reggio Emilia”, consacrò molta parte della vita allo studio e all’allevamento dell’uccello in discorso. Invero, alle giuste ragioni di questo volatile, singolare quanto rilevante, donò con fervida passione ticchettanti ore fra gabbie e carte. Né mai mancava, nelle tavole illustrative dei colombi, il suo occhio esigente e meticoloso, che supervisionava sistematicamente la pur egregia ... continua a leggere
tag: clemente polacci, modena
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Fra gli autori italiani forse non troppo considerati per l’eccentricità palese, bruciata platealmente attraverso il mezzo televisivo in luoghi diversi e molteplici, abita senza dubbio Giampiero Mughini (1941-).
Catanese d’origine ma romano di formazione, Mughini ha scritto alcuni libri importanti per la documentazione offerta, la capacità di sintesi, la chiarezza dei temi trattati. Egli è poi un collezionista, un uomo di libri, dannatamente preciso e pignolo, tignoso ma generoso.
Il futurismo, certi libri d'arte del novecento, un gusto certamente internazionale, in particolare francese, non ha penalizzato l'interesse deciso verso l'editoria nazionale della quale è uno dei conoscitori più attendibili. Nel recente testo pubblicato da Bompiani, La stanza dei libri, dà respiro con la passionalità esigente dell’amateur ad alcuni temi che si pongono a difesa di questo mondo di carta a fronte dell’immaterialità della comunicazione digitale.
Mughini lo fa raccontando, da par suo, di certi traslochi quasi leggendari, tirando in ballo altri illustri bibliomani da cinquantamila libri in su: ... continua a leggere
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Gli scrittori non devono essere professori di morale, ma devono esprimere la condizione umana. E non vi è nulla di così essenziale alla vita, per tutti gli uomini e in tutti i momenti, come il bene e il male. Quando la letteratura diventa, per partito preso, indifferente all’opposizione di bene e male, tradisce la propria funzione.
Vita brevis, ars longa: questa celeberrima traduzione latina dell’incipit del primo aforisma d’Ippocrate si medita (e si soffre) fino in fondo, salvo rare eccezioni, troppo tardi. Sia come sia, a prescindere da quel che mi resta da vivere, non mi occupo solitamente di romanzi contemporanei per scelta, per diffidenza, per igno... continua a leggere
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Non si può comprendere un pensatore senza tracciare, seppur concisamente, le origini, la formazione iniziale e le prime rilevanti esperienze della sua vita e in questo anche un irregolare come Giordano Bruno non fa eccezione.
Nel tentativo di delineare un quadro esauriente del filosofo e letterato campano e dello sfondo culturale nel quale s’inscrive il suo pensiero, ci si trova, inevitabilmente, a dover fronteggiare numerose difficoltà che dipendono sia dal temperamento e dalla genialità di un uomo che sfugge a qualsiasi tentativo di tipizzazione, sia dal contesto storico in cui visse ed operò. L’età tardorinascimentale, crocevia tra rinascimento maturo ed età barocca, è caratterizzata, come tutte le fasi di passaggio, da una poliedricità di componenti storico-culturali e sociali che ne rendono impossibile una lettura univoca.
Dal punto di vista storico, a livello europeo, la nascita degli Stati moderni, le scoperte geografiche, l’invenzione della stampa e la Riforma protestante sono solo alcuni degli eventi di rilievo dell'età rinascimentale. Occorre, peraltro, sottolineare che il Rinascimento, che as... continua a leggere
tag: giordano bruno
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Della moda giovanile degli ultimi dieci anni mi colpisce la proliferazione di teschi stampati, ricamati, cuciti in rilievo su maglie e t-shirt. Non mi riferisco soltanto al teschio della Jolly Roger, la bandiera dei pirati, che richiama memorie di film con Errol Flynn o Jonny Deep, ma anche ai simulacri di crani dandy, con cappello a cilindro, crani adornati di fiori, oppure truccati con tratti esotici, crani belle époque, crani a coppie, in corrispondenza di amorosi sensi, crani ritratti in finti dipinti o incorniciati da cuori, picche, jack e regine, ieratici, in ventagli di carte da Ramino. Non vedo teschi sul volto di soldati in guerra, le immagini pacifiste di un tempo, né all’interno di un décor dark, magari ironico come quelli della Famiglia Addams.
Constatata l’incongruità di questo immaginario rispetto a quanto il buon senso comune suggerisce in merito, sorge il sospetto che il teschio costituisca un tratto di ornatus dotato della gommosità e della duttilità di un topos retorico. Un teschio rende più efficace e quindi più gravis i... continua a leggere
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Chesterton era innamorato della sua cantina piena di depositi dimenticati, ricordi sepolti ma vivi e palpitanti, che chiedono di essere riportati alla luce o definitivamente gettati. Ognuno di noi ha la sua cantina. Dopo anni, ho riesumato la mia tesi di un’indimenticabile borsa di studio londinese con un titolo un tantino generico: Coleridge poeta e alcuni traduttori italiani.
Negli ultimi fogli sbiaditi, appoggiata distrattamente quasi come un regalo, trovo un’intervista a Mario Luzi (1914-2005) datata 4 novembre 1993.
Ricordavo di averlo incontrato a casa sua. Eravamo due universitarie con la passione della scrittura e l’assoluta ammirazione per i poeti. Guardavamo adoranti il suo viso simpatico di capra semita. Nella mia memoria è sempre viva la cordialità e la familiarità di quella splendida giornata fiorentina, ma l’intervista era proprio caduta nell’oblio.
Mario Luzi non è stato un traduttore di professione né un teorico della traduzione, ma è stato autore di significative versioni letterarie e ha espresso, in modo preciso, le sue convinzioni e idee sulla traduzione. Va detto in... continua a leggere
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Quando, per il 20 dicembre 2016, sono stato invitato a presentare alla Casa della conoscenza il volume 130 anni a Casalecchio. Caffè Margherita, di cui qui tenterò – in modo del tutto personale – di parlare, ho pensato a lungo al motivo vero per cui da circa un decennio ho preso a frequentare quel bar, così particolare com’è sotto il portico di Palazzo Quadri, all’angolo delle vie Porrettana e Marconi, a due passi dal Reno, dove spesso la vita sembra soffermarsi un po’a riflettere su se stessa per poi procedere inesorabile senza sosta. Ho pensato, dicevo, ho ripensato, e non ho trovato parole migliori per esprimere quel che provo nel recarmi là se non il famoso verso di Carducci: «un desiderio vano de la bellezza antica» (Nella piazza di san Petronio, 20). Tutto tra quelle quattro mura racconta qualche cosa, un aneddoto, un personaggio, una storia, e così lo vivo quale un luogo della memoria, anche della mia personale memoria, un luogo di costruzione dell’identità di un territorio o di un semplice modo di essere, il passaggio del testimone da una generazione all’altra, anche alla mia.
Le orme del tempo non svaniscono, come bugie vane, al Margherita, ma impregnano gli angoli, ingannano i vetri, restano aggrappate al muro in fotografie a pegno di futura memoria. In una di esse ci sono anch’io: in una bella giornata di fine maggio presentavo una mia raccolta di sonetti, Bestiario. Ritratti veri di persone false... continua a leggere
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Molti considerano Serantini autore romagnolo, ma ci sono due fatti che giocano a sfavore di questa collocazione.
Il suo stile di scrittura. In un’epoca – fine anni Quaranta e primi Cinquanta – in cui dettava legge il neorealismo letterario, Serantini si presentava con uno stile abbastanza inconfondibile, quello dell’epopea minima, della festa popolare. Fu un umanista che restò fedele alle storie vissute, cantore di un’Italia illustre sul piano popolare e garibaldino. Usò uno stile nuovo e antico al contempo, legato al passato ma bagnato nella modernità della sintesi, amante di una narrativa scorciata e dinamica, rapida e sobria, con un senso ironico e smaliziato della vita, fatto di malinconia e di nitidezza classica. Chi lesse Serantini si accorse che era autore colto, dotato di solide e ampie letture, affezionato ai classici ma ben stagionato con il “locale”: nei dialoghi dei suoi personaggi riesce a mantenere i modi colloquiali, dotandosi di formule dell’uso vivo – sprezzature, anacoluti, dialettalismi – ma sempre classicamente calibrate. Il suo era insomma uno stile inconfondibile, che trapianta... continua a leggere
tag: letteratura, romagna, serantini
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L’ipotesi di un ripensamento del sistema scolastico nasce dall’esigenza di rispondere alle richieste che vengono dalla società. Comel’imprenditore che debba riprogettare la sua azienda per meglio affrontare la concorrenza e la propria posizione societaria all’interno del sistema di mercato, così noi abbiamo pensato alla realizzazione di un modello, l’immagine di uno scenario possibile per la scuola. Martin Heidegger, nei Seminari di Zollikon, per spronare alla filosofia i suoi discenti–sovente di notevole caratura intellettuale –era solito dire: “Come sarebbe la realtà se tutto improvvisamente non fosse?”. L’esercizio che qui proponiamo è esattamente, sostanzialmente questo: ipotizzare, immaginare come potrebbe essere la Scuola italiana se il suo sistema, le sue strutture, la sua organizzazione, i suoi principi improvvisamente venissero meno.
Indubbiamente il nostro presente è intessuto in una materia che è costituita di saperi e di competenze. A spostarsi dalla Sicilia verso il Nord Europa sulle rampe dell’A1 non sono solo i TIR carichi di agrumi, ma sono soprattutto dati, sapere, conoscenza. Viviamo nella società dell’informazione, della comunicazione delle informazioni: non possiamo non avvertirne il senso. È proprio in questa direzione che si situa la possibilità di una nuova scuola, la sua ipotesi come la necessità di nuovi modelli opera... continua a leggere
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Abbiamo avuto il privilegiod’intervistare, su questo tema d’indubbia attualità, il professor Giorgio Bernini (1928-), giurista di fama mondiale (Diritto civile e commerciale, Diritto internazionale, Diritto comparato), insigne decano italiano dell’arbitrato, nonché ex Ministro della Repubblica italiana (Commercio conl’estero).
Ecco, in estremasintesi, la sostanza del dialogo. Vad’altronde precisato che, dopo avergligentilmente chiesto di evitare (o perlomeno limitare), se possibile, quei termini tecnici che sono peraltronecessari alle discipline coinvolte, questogiovanile “maestro di color che sanno” ci ha ascoltatocon disponibilità, flessibilitàe cortesia davvero straordinarie.
Quale è stato, secondo Lei, l’effetto psicologico principale del Wall Street Crash?
Beh, in tutta semplicità e ispirandomi ad un celebre dipinto di Caspar David Friedrich, il naufragio della speranza, vale a dire una perdita di fiducia pressoché irreversibile nei confronti di un sistema che si reputava solido, aggressivo e progressivo dal Canada al Giappone. E quando la speranza vienemeno, ebbene, tutto sembra sgretolarsi, tutto sembra perduto: il passato, il presente e il futuro –tanto del singolo quanto della nazione. Poi, com’è notorio, grazie alle geniali scelte politico-economiche meditate ed attuate da studiosi vicini al grandeJ. M. Key... continua a leggere
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Dalle pagine de Il Dio nascosto e la possibilità di Auschwitz. Prospettive filosofiche e teologiche sull’Olocausto (Accademia Romena/Centro di Studi Transilvani, Cluj-Napoca 2016, pp. 370), a chiamarci a raccolta è un Dio fragile, talmente fragile da non esigere nemmeno una teodicea; un Dio, piuttosto, da “comprendere nella domanda” (pp. 291-299) così come si fa con l’uomo più debole. Sembrerà paradossale che un’indagine sul Deus absconditus, attenta alla tradizione apofatica e a quella ebraica (biblica, talmudica e cabalistica), ci parli invece di un Dio esposto, addirittura troppo esposto. Non solo patiens ma perfino “stanco” (p. 238). La tesi stessa attorno a cui ruota il libro di Alberto Castaldini è assai esposta e non manca di una certa fragilità, che andrà interrogata.
Il libro sorprende per erudizione e vastità di implicazioni, tanto che in questa sede sarà possibile darne solo qualche cenno essenziale. Come ogni opera di ampio respiro è un libro che comprende molti altri libri, tra cui una sintesi efficace dei fondamenti della religiosità ebraica (pp. 133-154) ... continua a leggere
tag: alberto castaldini, auschwitz
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L’opera che sono chiamato a trattare si colloca nella letteratura del primo Trecento italiano. Ovviamente è il tempo che ci è stato imposto di vedere con il predominio di Dante e dalla sua più che celebre Comedìa. Non voglio essere innocuo, culturalmente.
I problemi sul campo sono grandissimi e sottili, come l’argomento di questo intervento.
Il primo: perché non ci sono stati sforzi istituzionali apprezzabili per ricostruire il panorama storico-culturale in cui la Comedìa appare? L’Italia si è data alle esegesi critiche, limitate e improduttive, nella totale assenza di altre opere del Trecento: come se Dante fosse solo, come se ci fosse solo Dante.
Un secondo quesito scende più in profondità: perché l’Italia ha trasformato un romanzo divulgativo – la Comedìa – nel campione unico di una cultura che si votava quasi del tutto alla ricerca, non alla fabula. Il falso ha sopraffatto il vero, la narrazione ha prevalso sulla filosofia o, per citare il titolo del convegno, l’affabulazione diabolica si è imposta sulla santa aff... continua a leggere
tag: dante, francesco da barberino, stilnovo, trecento
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Scrivo questa recensione con un word processor e la tastiera contiene simboli. Oggi sembra scontato. Da un istante all’altro, lo schermo compone le immagini delle parole: le memorizzo con la vista e la macchina con una sequenza di byte. Sembra scontata anche la composizione immediata delle parole. Ora nasce un documento salvato-con-nome – questo file – e lo invierò a una persona molto lontana da qui. Ecco una straordinaria applicazione cibernetica. Come ci siamo arrivati?
Nelle intenzioni dell’autore questo dovrebbe essere un lavoro divulgativo, ma non è proprio così: la trama dei tecnicismi ci mette alla prova, nello stesso tempo la trama mentale è accattivante. La cibernetica italiana della mente nella civiltà delle macchine (Prefazione di Luca Angelone, Universitas Studiorum, Mantova 2017) sottende una vasta competenza dovuta alla lunga esperienza di Francesco Forleo nei centri di sperimentazione e di ricerca. Quindi, senza residui di astrattezza, egli ripercorre l’evoluzione della cibernetica da un profilo storico, dallo stato nascente, interpretato dal greco kybernētikós, aggettivo di kybernétes, che indicava «pilota, nocchiero», alla accezione platonica di «arte del navigare» e a quella di «pneumatica» e di «costruzione di automi» di Erone di Alessandria: ed è significativo, Forleo scrive, «come l’idea di servomeccanismo fosse presente già agli albori della storia della natu... continua a leggere
tag: cibernetica, francesco forleo, robotica
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Incrociare nella vita un grande maestro vuol dire, di fatto, cambiare il Senso del proprio destino. Lo sanno tutti coloro che hanno ricevuto questa inestimabile fortuna, e lo percepiscono, di là dai necessari limiti temporali e spaziali, attraversandone l'aurea luminosa, riflettente il significato di una presenza (forse) senza fine.
Quando nel 1999 Ezio Raimondi (1924-2014) tornò in terra sudtirolese – in un cammino di conoscenza mai domo, iniziato nel magistero bolognese nascente nel lontano 1955 – a Bressanone si tracciava quella parabola di dodici anni che lo avrebbe portato a chiudere sulle parole di Dante e di Mandel' ŝtam, in un'aula di lusso straripante di emozione, perché il senso di quel luogo donava il significato di un'esistenza unica, un sentiero accademico mai così lontano dall'Accademia…
Esempio, magistero, discrezione, produttività, riservatezza sono frecce intatte che Ezio Raimondi ha lanciato negli “spazi interstellari” di una parola e di una scrittura che resteranno nel tempo, frantumato e precario ma intelligente, risoluto, volitivo, persino violento, nel suo lavoro quotidiano, nel s... continua a leggere
tag: critica letteraria, filologia, raimondi, storia del teatro
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Nelle Myricae di Pascoli la poesia, seppur per frammenti e illuminazioni, diviene programmaticamente indefinibile punto d’incontro tra realtà sensibile e realtà ultrasensibile, si fa dimensione d’interscambio tra ciò che non è più e ciò che mai più sarà, è invisibile linea che separa e insieme unisce l’inafferrabile unità del tutto. Il poeta, postosi sulla soglia dell’essere già dal titolo, tocca guarda ascolta quanto ad altri è precluso, rimodulando nel suo canto immagini di un mondo ormai trapassato, che parla una lingua arcana e immortale, lingua non tanto a un livello pregrammaticale, secondo la ben nota definizione di Contini, bensì prenatale e ancestrale, iscritta nel cuore delle cose, simile alla circolarità cantata nella quarta ecloga di Virgilio, da cui il termine myricae è preso, in un eterno ritorno. L’intero verso virgiliano (Ecl. IV 2), posto lapidariamente a epigrafe dell’opera, muta il suo senso originale, perché è volontariamente soppresso il non incipitario, e assume il significato di «a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici», così ... continua a leggere
tag: leopardi, letteratura, Pascoli, poesia
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Volgendo lo sguardo ai trascorsi della storia reggiana che, sino ad oggi, hanno reso questa città florida e prosperaterra tanto diletta alla più raffinatae gloriosa aristocrazia, non ci si può, senza meno, esimere dal rimembrare il nome di Lucrezia Borgia, nel quinto secolo dalla sua dipartita(1519 -2019).Specie a causa dei suoi natali,tanto illustri quanto a giusto titolo discutibili,la storia non leha certo risparmiato la più deteriore delle pratiche popolari: il più infondato e infamantepettegolezzo, ineluttabile patina destinata a velare sempre più la preziosissima, aurea medaglia di colei che fu figlia di Papa Alessandro VI, 214°pontefice di Santa Romana Chiesa, al secolo Rodrigo Borgia.
Se la paternità della Borgia non giovò certamente al suo buon nome, si può affermare quasi lo stesso circa la sua maternità, quantunque per motivi affatto diversi. Nacque,infatti, terzogenita di quattro figli(Juan, Cesare e Jofrè), il 18 Aprile 1480 da una relazione illegittima dell’ancor cardinale Borgia, con Giovanna Cattanei, detta Vanno... continua a leggere
tag: borgia
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La celebrazione dei 500 anni dalla Riforma protestante del XVI secolo poteva essere una grande occasione di riflessione. Perché un evento del genere contribuì in maniera così forte a forgiare una nuova civiltà?
Cosa ci fu di così strategico da incidere in maniera così profonda in coloro che si aprirono alla Riforma? Il 2017 poteva offrire l’occasione di una riflessione profonda non solo in chiave religiosa, ma anche in chiave culturale.
Le celebrazioni risentono sempre del clima culturale del tempo e quelle che si sono succedute al 1517 (1617, 1717,1817, 1917) sono state l’inevitabile riflesso del condizionamento dei vari periodi.
Cos’è accaduto nel 2017? Sembra evidente che,in campo religioso,si siano ingrossati alcuni filoni convogliati poi in un fiume unico. C’è stato l’affluente della neutralizzazione praticato dal cattolicesimo romano; quello della relativizzazione incarnato dal protestantesimo storico; quello della banalizzazione vissuto dal protestantesimo risvegliato.
Questi diversi affluenti sono sfociati... continua a leggere
tag: cristianesimo, protestantesimo, religione, riforma
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Questa strada è una delle più antiche e celebri d'Europa e,come poche altre,ha contribuito a mantenere un legame fisico,economico, culturale e spirituale fra i popoli del vecchio continente; infatti, tradizionalmente, essa ha rappresentato il percorso per chi intendeva recarsi dalle isole Britanniche, dai Paesi nord-europei e dalla Francia verso Gerusalemme, attraverso l’Italia, la Grecia, la Turchia il Libano e la Siria o tramite il Mediterraneo. Successivamente (VIII-XV secc.),dopo la occupazione della Terra Santa da parte degli eserciti islamici, la Via Francigena convergeva su Roma divenuta, ormai, la capitale del Cristianesimo.
Talepercorso risultava caratterizzato da varie diramazioni imputabili a molteplici variabili: alle esigenze meteo e stagionali, all’affidabilità del selciato e dei singoli ponti, alla sicurezza intesa come sanità e incolumità personali, alla ospitalitàdei luoghi di posta. Comunque –dal VII° secolo –il tragitto dal passo del Gran San Bernardo verso Pavia e da qui, tramite il passo della Cisa, verso Lucca (legate,poiché entramb... continua a leggere
tag: patrimonio, toscana, via francigena
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Ma è proprio necessaria, una “Giornata Nazionale della Letteratura”?
Non sono diventate esorbitanti, quindi invisibili, le “giornate” dedicate a qualcosa di importante? Non stanno trasformandosi in stanchi post-it scritti con pennarelli esauriti? “Ricordati di ricordare”: ma cosa dovevo poi ricordare?
Il catalogo, sappiamo bene, genera indifferenza se non è imbandito da un grande autore, ma di Omero o di Gadda ne incontriamo sempre meno.
Allora osiamo il calviniano antidoto dell’esattezza e proviamo ad analizzare la formula parola per parola.
Giornata – giorno pieno e lungo, “giorno chiaro e sereno” diceva Leopardi, tutto teso a uno scopo, dentro al lungo anno, una festa, segno rosso sul calendario. È di noi umani la consuetudine di segnare giorni speciali, di darci dei segnalibri, dei sigilli, perché nell’indistinto del tempo non riusciamo altrimenti a fermarci a riflettere e a valorizzare.
Nazionale è un aggettivo che ci fa bene ripetere. Nazionale, di tutti; tutti coloro che han messo piede – in quanti modi possibili! – sul suolo italiano. Ius soli, appunto: siamo qua, beatamente affacciati o faticosamente abbarbicati su queste rive: Dante già lo diceva (“così s’en vanno su per l’onda bruna…”) E Luzi, un po’ dopo di lui (“file d’anime lungo la cornice…”)
Siamo qua, e condividiamo una lingua, e la sua letteratura che è sempre in evoluzione e ci unisce.
Letteratur... continua a leggere
tag: letteratura
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Grazie al nitido, cristallino riflesso di uno spavaldo raggio di sole che, galante e inarrendevole corteggiatore, bacia la mano del Po, ove prende il nome di Zara, si rivela timidamente unpaesino che par quasi estraneo alla caducità connaturata all'humana condicio; beffandosi inconsapevole della falce del tempo, che corre e scorre come le acque del suo fiume, ègiunto ai giorni nostri col nome di Suzzara.
È questa un’isola di antichi natali, tanto da dar nome a una delle più antiche famiglie patrizie di "Reggio dell'Emilia": i Suzzari. Fra le centinaia di case nobili annoverate nello scorrere dei secoli che hanno seguito il Duecento, lo stemma dei Suzzari può dirsi l’unico superstite di quasi novecento anni di storia, insieme con quello della famiglia dei marchesi Tacoli che, contrariamente ai Suzzari, ètuttora vivente. Trattasi diuno scudo troncato, innestato e merlato di cinque pezzi; due d’oro e tre di rosso. Benché il panorama della Nobiltà Reggiana fosse vasto e articolato, prima dell'Ottocento non risultano esservi studi di carattere privato o pubblico che illustrino adeguatamente l’argomento.
Non vanno obliate, a ogni modo, le brevi note apparse su pubblicazioni varie e dettate anche da autori di qualche fama come Prospero Fantuzzi, Giuseppe Turri, Vittorio Spreti, Carlo Melloni, Prospero Ferrari, Emilio Nasalli Rocca di Corneliano, Antonio C... continua a leggere
tag: Reggio Emilia, storia, Suzzari
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Nel vario e ampio sviluppo del genere utopico dal Rinascimento al Positivismo, pare legittimo distinguere opere di carattere prevalentemente letterario da altre ove prevale un engagement di natura politico-sociale. Nell’età antica e medievale, la civiltà occidentale era andata elaborando, come si sa, diversi miti che stanno alle radici dell’utopia moderna (l’Età dell’oro, l’Eden, l’Apocalisse giovannea etc.), ed anche Platone, Aristotele e altri filosofi greci e romani de race avevano introdotto rilevanti modelli utopici: salvo eccezioni, tutto questo ricco ed eterogeneo patrimonio è presente nell’immaginario e nella “biblioteca mentale” dei moderni, i quali – come quasi sempre accade nella storia della cultura e delle idee – lo seguiranno, lo varieranno e (non di rado) lo tradiranno senza troppe remore.A differenza delle antiche, l’utopia moderna – come opportunamente rammentato da diversi autorevoli studiosi – manifesta un orientamento decisamente progressista, sebbene si tratti ancora, perlopiù, di un gen... continua a leggere
tag: filosofia, politologia, utopia
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