Bibliomanie

Necrobiopolitiche della catastrofe nell’epoca dell’Antropocene. A Partire da Monsters, Catastrophes and the Anthropocene: a postcolonial critique di Gaia Giuliani
di , numero 54, dicembre 2022, Note e Riflessioni, DOI

Necrobiopolitiche della catastrofe nell’epoca dell’Antropocene. A Partire da <em>Monsters, Catastrophes and the Anthropocene: a postcolonial critique</em> di Gaia Giuliani
Come citare questo articolo:
Gioacchino Orsenigo, Necrobiopolitiche della catastrofe nell’epoca dell’Antropocene. A Partire da Monsters, Catastrophes and the Anthropocene: a postcolonial critique di Gaia Giuliani, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 54, no. 13, dicembre 2022, doi:10.48276/issn.2280-8833.10371

In Monsters, Catastrophes and the Anthropocene: a postcolonial critique1, Gaia Giuliani, filosofa politica presso il Centro de Estudos Sociais (CES) dell’Università di Coimbra, conduce uno studio sui mostri e le catastrofi che abitano l’immaginario del Capitalismo nell’era dell’Antropocene, con l’intento di mettere in discussione il dispositivo che tende a opporre un “noi” (da intendersi come espressione dell’identità bianca e borghese occidentale) a un “loro” alterizzato (Other). Giuliani decide di attingere dalla cultura di massa e pop attraverso una disamina di film e serie televisive del genere horror e fantascientifico, per scoprire come sono raccontate, esorcizzate o combattute, le ansie e le paure della catastrofe nell’epoca del tardo capitalismo e della crisi ecologica, dando modo ai lettori di avere un aggancio molto concreto e familiare per riflettere non solo sulla condizione generale ma soprattutto sul proprio stesso posizionamento all’interno di tale crisi.
Molto ben esplicitato è il suo posizionamento in quanto donna e ricercatrice, da una parte, e in quanto bianca ed europea, dall’altra. Giuliani sceglie di focalizzarsi sull’Europa non solo perché lei stessa si trova a vivere e lavorare in Europa ma perché ritiene che la crisi migratoria del Mediterraneo sia al centro delle nuove politiche discorsive che codificano “noi” e “loro” e perché l’Europa è la culla di tutti quei presupposti, storici, geografici, culturali, che hanno definito l’identità del “noi”, bianco e occidentale. L’autrice si inserisce così in quella ormai lunga tradizione di black studies, critical race studies e postcolonial studies che hanno riflettuto sulla “natura” e sull’identità del soggetto apparentemente universale della cultura europea. Nella ricca Introduzione, infatti, il “noi” è riconosciuto subito come dispositivo epistemologico che codifica una gerarchizzazione molta netta fra un’identità occidentale, bianca maschile e borghese, e tutti gli altri, gli estranei, i mostri. In linea con i suoi studi di biopolitica, Giuliani identifica i mostri come ciò che è escluso dal panorama “umano della politica e che in un’epoca globalizzata di crisi e timore verso il futuro, sono sempre più visti come una inquietante minaccia:

«The finis mundi is getting closer and closer and gradually becoming the only lens through which Europe and the West give meaning to ‘our’ time. ‘We’ fear invasions, a permanent state of terror and the ultimate environmental catastrophe – ‘our world’ overflowing with chaos threatening the order that guarantees our safety, well-being, sustainability and progress» (p. 1).

Se questo “noi”, pur essendo espressione di una specifica identità, è poi presentato come universale e trasparente, tutto ciò che minaccia il mondo del “noi” è una minaccia radicale e assoluta. Ed essa oggi, ci spiega Giuliani, si manifesta sotto le sembianze delle masse di migranti, rifugiati e presunti terroristi che premono alle porte scricchiolanti dell’Occidente, travolto da una crisi ormai cronica.
Le narrative dominanti sulle catastrofi, non in ultimo quella ecologica, reinscrivono ancora una volta i corpi razzializzati all’interno di una logica coloniale di espropriazione che stabilisce chi e cosa è degno di beneficiare dei processi di estrazione del valore e chi e cosa è sacrificabile, sfruttabile ed esauribile. È quello che l’autrice definisce come «logiche dell’Antropocene», «a set of principles based on ontologies of exploitation, extermination and natural resource exhaustion processes» (p. 6) applicate ai diversi domini della realtà per stabilire delle gerarchizzazioni che servono le relazioni di potere coloniale della Modernità. Invasori alieni, disastri naturali apocalittici, zombi affamati sono l’espressione della white anxiety e del panico morale che leggono le soggettività razzializzate come alterità spaventose e tossiche. Al centro della ricerca di Giuliani vi sono dunque le «figure della razza»2 che hanno dato e continuano a dare forma alle produzioni culturali contemporanee:

«The key assumption behind Monsters, Catastrophes and the Anthropocene: A Postcolonial Critique is that the symbolic material composing the figures of monster and monstrous catastrophe has sedimented across colonial and post­colonial temporalities and spaces» (p. 11) Intendendo, con Stuart Hall, la razza come «floating signifier» e «textual thing», mai quindi fissa in un significato sempre identico ma anzi costantemente risignificata (p. 12), Giuliani mostra come le figure della razza siano costantemente riattivate per giustificare e riprodurre le forme del suprematismo bianco. Lo studio delle espressioni della cultura visuale permette, allora, di sviscerare le modalità attraverso cui la “minaccia” è rappresentata come oggettiva e universale e di decostruire il dispositivo semantico che oppone “noi” e “loro”.
Il libro è strutturato in tre sezioni:
La prima, dal titolo The Past devours the Present: Fear of invasion and the repressed memory of colonial violence, si concentra sulla costruzione dei dispositivi di mostruosità e catastrofe in relazione all’11 settembre e alle migrazioni verso l’Europa e l’Occidente successivo a quell’evento spartiacque. Di contro alla barbarie che arriva da altrove, l’Occidente è rinquadrato come l’ultimo bastione della ragione e della democrazia, giustificando l’impulso al confinamento e alla chiusura. Gli zombi sono la perfetta espressione di questa minaccia terrificante e infatti Giuliani attinge da una serie di produzioni che hanno al centro queste figure (28 Days later, 2002; I am Legend, 2007; The Horde, 2009; World War Z, 2013; The walking dead, 2010-22; giusto per citarne alcuni).
La seconda sezione ha come titolo Alien-ing the migrant: On anthropogenic geographies of monstruosity e si concentra sui processi di mostrificazione in relazione al concetto di confine. Qui sono gli alieni le figure prescelte: attraverso una lettura di film come Monsters (2010), War of Worlds (2005), The Mist (2007) e Arrival (2016), Giuliani cerca di indagare le paure di invasione e colonizzazione inverse. Il panico generato dall’invasore alieno produce l’immediata giustificazione della violenza e del desiderio di distruzione verso l’invasore stesso. In un contesto dove i confini sono sempre più mobili e incorporati3, l’autrice discute anche quali nuove forme di costruzione della razza sostengono pratiche di segregazione ed esclusione.
La terza sezione, Lifting the veil on the monstrous Anthropocene: A postcolonial analysis, si concentra più specificatamente sulla catastrofe in relazione all’Antropocene. Obiettivo di Giuliani è mostrare qui, attraverso film come Code 46 (2003) The day after tomorrow (2004) Blindness (2008), Snowpiercer (2013), come, nonostante la natura planetaria della crisi ecologica, l’immaginario mainstream sia ancora permeato di un antropocentrismo che fa del soggetto bianco e occidentale l’unico protagonista e l’unico eroe della storia, perpetrando logiche di esclusione e segregazione. Riprendendo in modo originale le riflessioni di Sadya Hartman, l’autrice sottolinea come il manto di umanitarismo di cui sono rivestiti i discorsi sulla crisi ecologica non fanno che rinforzare il soggetto egemonico in quanto unico legittimo rappresentate dell’umanità in generale e non solo.
La conclusione, infine, raccoglie una serie di brani tratti da articoli, mail, post di facebook e chat, in un periodo compreso tra il 2019 e il 2020. Attraverso di essi, l’autrice si focalizza sulla pandemia del Coronavirus e sul periodo del lockdown per riflettere sulle necro/biopolitiche imposte durante quel periodo proseguendo la linea argomentativa elaborata nei precedenti capitoli.
Ritengo importante situare Monsters, Catastrophes and the the Anthropocene in relazione al dibattito e alle critiche nate sia trasversalmente sia in seno alle stesse Environmental Humanities, quell’ambito interdisciplinare che pone al centro la riflessione sull’ambiente e sul rapporto umano/non-umano in una prospettiva critica. Infatti, le EH sono talvolta state accusate di essere ancora troppo “occidentali” poiché non sono sempre state in grado di tematizzare e porre in critica la natura coloniale di molte delle discipline che le attraversano e di porre al centro dei loro discorso la colonialità come fondamento e continua espressione della crisi ecologica4. In particolare, vorrei soffermarmi sulle critiche mosse dall’antropologa americana Elizabeth Povinelli5 circa la prospettiva da cui osserviamo l’avanzare della catastrofe ecologica. Se l’osserviamo dal punto di vista delle soggettività razzializzate, tale crisi, infatti, non è nulla di nuovo ma è ciò a cui tali minoranze sono sottoposte da sempre. Come notava Stacy Alaimo, negli Stati Uniti, ma anche altrove, la razza è sempre stato il fattore principale nella scelta dei luoghi di rilascio di rifiuti tossici6. Ma non solo: se processi come la desertificazione, lo sconvolgimento degli ecosistemi, la riduzione degli ambienti adatti alla vita, la maggior esposizione e vulnerabilità fisica sono aspetti tipici della crisi ambientale, questo è anche ciò che da sempre ha significato il capitalismo coloniale per molti altri7.
L’Antropocene non è dunque un evento, ma la realtà del capitalismo coloniale fin dai suoi albori. Ciò che siamo soliti pensare come evento (l’evento catastrofe climatica) è in realtà una quotidiana routine per altri, non una catastrofe a venire ma una catastrofe ancestrale:

«The ancestral catastrophe is not the same kind of thing-event as the coming catastrophe, nor does it operate with the same temporality. When we begin with the catastrophe of colonialism and enslavement, the location of contemporary climatic, environmental, and social collapse rotates and mutates into something else entirely. Ancestral catastrophes are past and present; they keep arriving out of the ground of colonialism and racism rather than emerging over the horizon of liberal progress»8.

Queste soggettività sono oggi sottoposte a una violenza ulteriore, nel momento in cui la violenza tossica del capitalismo coloniale è diventata così forte che sembra “rimbalzare” indietro verso chi l’ha generata, l’Occidente coloniale, sotto le sembianze di una crisi climatica ed ecologica. È interessante notare che i film e le serie televisive scelte da Giuliani sembrino quasi sempre parlare di una resa dei conti finale: o noi o loro. Con l’intensificarsi della crisi ecologica, la polarità vita/morte tipica della necrobiopolitica si radicalizza al punto da diventare uno scontro fra ciò che è degno di vivere, da una parte, e ciò che minaccia l’estinzione, dall’altra. I migranti, gli alieni e gli zombi di cui ci parla Giuliani, sono così sempre più percepiti come elementi tossici al pari di microplastiche o di metalli pesanti, che rischiano di mettere in pericolo la salute dell’“organismo” occidentale (molto spesso nei film citati si diventa zombie in modalità simili a quelle di un’epidemia). Come le molecole tossiche, si presentano alle nostre porte come lo scarto non più contenibile della devastazione capitalista e coloniale. La crisi ecologica, con la minaccia dell’estinzione e della fine acuisce e intensifica i processi di razzializzazione, estrazione e colonialismo e, così, mentre continuiamo a estrarre risorse e a rilasciare elementi tossici altrove, cerchiamo disperatamente di tenerne lontano gli effetti qui, che siano nella forma dell’inquinamento o delle migrazioni. Come ha scritto Achille Mbembe nel suo articolo Bodies as borders9, assistiamo oggi al moltiplicarsi di confini e di strategie di borderization, il cui obiettivo è controllare e gestire i movimenti globali, riclassificando le persone sulla base di chi è chi e di chi ha diritto a stare in quale luogo. Infatti, come si diceva, molti corpi razzializzati sono ritenuti sempre più superflui e anzi addirittura pericolosi e così milioni di corpi vengono espulsi dal diritto alla vita stessa perché, come scrive Mbembe:

«Only what can potentially generate value counts as life. In this context, borders are meant to concretize the principle of dissimilarity rather than that of affinity. They are not only obstacles to free movement. They are boundaries between species and varieties of the human. […] Human bodies are increasingly divided between those that matter and those that do not, those who can move and those who cannot or should not, or should only move under very strict conditions»10.

La ridefinizione dei confini, sempre più mobili e sempre più incorporati, il trinceramento violento e razzista dell’Europa e la riproposizione e intensificazione dei processi di gerarchizzazione e razzializzazione nel contesto dell’Antropocene sono questioni attualissime e molto presenti nel testo. Monsters, Catastrophes and the Anthropocene è un libro stratificato e raffinato, capace di toccare tematiche fondamentali per l’epoca contemporanea e, sebbene talvolta il testo possa sembrare ripetitivo nelle sue considerazioni, Giuliani ci permette però di riflettere su tutto ciò a partire dalle forme della rappresentazione culturale più tipiche e mainstream e che proprio per questo ci coinvolgono in prima persona. Giuliani riesce, infatti, ed è la forza del testo, a tenere insieme gli aspetti più filosofici con quelli più, per così dire, prosaici tratti dalla cultura di massa, in linea con un’impostazione che non teme l’ibridazione disciplinare tipica degli studi culturali. L’obiettivo di riposizionare il discorso sulla catastrofe all’interno di una cornice esplicitamente postcoloniale è un’operazione fondamentale in un momento in cui le paure e discorsi intorno alla crisi ecologica sono ormai sempre più condivisi anche dal discorso dominante. Diventa infatti essenziale considerare le strutture implicite di gerarchizzazione e razzializzazione che, dietro a discorsi apparentemente universali, continuano a perpetrare logiche di esclusione e sacrificabilità, sempre più feroci con l’avanzare della crisi. Parafrasando Elizabeth Povinelli11, comprendere queste strutture ci porta a porci in modo esplicito la domanda su dove decidiamo di posizionarci e con chi e cosa decidiamo di prendere parte. Giuliani riesce perfettamente a farci riflettere su tutto questo, non rinunciando a delineare, in ciascun capitolo, alcune vie di fuga che abbiano al centro la trans-corporalità12 e l’intra-attività13 come nuovi fondamenti del politico (p. 182) e forme alternative del prendersi-cura («a political epistemology of care, self-care and earth-care framed within eco-feminism, feminist ‘natureculture’ and social reproduction theory», p. 8) che suggeriscano modalità interspecifiche di coabitazione e alternative postumane alle logiche necropolitiche della catastrofe capitalistica e coloniale.

Note

  1. Gaia Giuliani, Monsters, Catastrophes and the Anthropocene: a postcolonial critique, New York, Routledge, 2021.
  2. Gaia Giuliani (a cura di), Il colore della nazione, Firenze – Milano, Le Monnier/Mondadori Education, 2015.
  3. Michal Bodemannand, Gökçe Yurdakul (a cura di), Migration, Citizenship, Ethnos: Incorporation Regimes in Western Europe and North America. New York, Palgrave Macmillan, 2006.
  4. Rimando a testi come: Juanita Sundberg, Decolonizing Posthumanist Geographies, in “Cultural Geographies” 21 (1), 2013, pp. 33 – 47; Zoe Todd An Indigenous Feminist’s Take on the Ontological Turn: ‘Ontology is just another Word for Colonialism, in “Journal of Historical Sociology” 29 (1), 2016, pp. 4 – 22; Mark Jackson (a cura di), Coloniality, Ontology, and the Question of Posthuman, Londra, Routledge, 2018.
  5. Si vedano: Elizabeth A. Povinelli, Geonotlogies. A requiem to late liberalism, Durham, Duke University Press, 2016 e Elizabeth A. Povinelli, Between Gaia and Ground, Durham, Duke University Press, 2021.
  6. Stacy Alaimo, Bodily Nature. Science, Environment, and the Material Self, Bloomington, Indiana University Press, 2010.
  7. E. A. Povinelli, Between Gaia and Ground, cit.
  8. Ivi, p. 3.
  9. Achille Mbembe, Bodies as borders, in “From The European South” 4, 2019, pp. 5-18.
  10. Ivi, p. 11.
  11. E. A. Povinelli, Between Gaia and Ground, cit.
  12. S. Alaimo, Bodily Nature. Science, Environment, and the Material Self, cit.
  13. Karen Barad, Meeting the Universe Halfway: Quantum Physics and the Entanglement of Matter and Meaning. Durham, Duke University Press, 2007.

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