Bibliomanie

Quindici anni dentro lo Stato, fra prima e seconda Repubblica. Intervista con Giovanni Pellegrino
di , numero 55, giugno 2023, Note e Riflessioni, DOI

Quindici anni dentro lo Stato, fra prima e seconda Repubblica. Intervista con Giovanni Pellegrino
Come citare questo articolo:
Alessandro Trabucco, Quindici anni dentro lo Stato, fra prima e seconda Repubblica. Intervista con Giovanni Pellegrino, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 55, no. 19, giugno 2023, doi:10.48276/issn.2280-8833.10489

L’intervista è stata ideata e condotta da Alessandro Trabucco in un’unica sessione di circa 150 minuti nella mattina di venerdì 7 aprile 2023 presso la residenza dell’intervistato sita in Lecce. Essa ripercorre nelle sue pagine gli anni più intensi della carriera politica di Giovanni Pellegrino, dagli esordi fino al termine dell’esperienza in Senato, concentrandosi maggiormente sulle esperienze del Pellegrino nella Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari e nella Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi. Per migliorare la scorrevolezza e la linearità dell’intervista l’autore ne ha ricomposto il testo seguendo un ordine cronologico e logico, eliminando le divagazioni, riordinando le risposte spezzate lungo il discorso e ricostruendo al discorso indiretto le parti dialogiche di più difficile intendimento. Parte essenziale dell’intervista è l’apparato di note, destinato a semplificare la comprensione degli eventi, oltre che permettere al lettore di orientarsi fra i numerosi personaggi storici citati dall’intervistato.

Giovanni Pellegrino, nato a Lecce il 4 gennaio 1939, avvocato ed ex senatore della Repubblica, ha ricoperto dal 1992 al 1994 la carica di presidente della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari e dal 1994 al 2001 la carica di presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi. Ex professore di legislazione e politiche sociali presso l’Università degli Studi di Lecce, ha ricoperto dal 2004 al 2009 la carica di presidente della Provincia di Lecce.
È autore di numerose pubblicazioni fra cui Segreto di Stato (Einaudi, 2000; Sperling & Kupfer, 2008), La guerra civile (BUR, 2005), Il morbo giustizialista (Marsilio, 2010) e Dieci anni di solitudine (Rubbettino, 2023).

Partiamo dall’inizio. Lei come e quando entra in politica?
Sono entrato in politica per una serie di casualità. Io facevo parte di un comitato di redazione di una rivista letteraria leccese chiamata “L’Immaginazione”. Di quel comitato faceva parte anche Marcello Strazzeri1, un intellettuale di notevole spessore, che era stato consigliere regionale per il Partito Comunista e che era un esponente di punta del Pci. Strazzeri spesso mi chiedeva come mai io non volessi fare politica e a questa domanda la mia risposta era sempre la stessa: «Per me la politica è come la musica: capisco che è bella e che è importante ma non è il mio mondo». Alla vigilia delle elezioni del 1987 io e il mio amico Piero Manni2 venimmo informati proprio da Strazzeri circa l’intenzione di Sandro Frisullo3 di volerci parlare. Io e Piero allora ci recammo insieme a tutto il gruppo che ruotava intorno alla rivista “L’Immaginazione”. In quell’occasione Frisullo fece un discorso bellissimo nel quale ammise le difficoltà del Pci dopo i risultati del sorpasso, quelli delle elezioni europee del 1984 avvenute dopo la morte di Berlinguer, nelle quali i risultati su base nazionale del Pci sorpassarono quelli della Dc e mi chiese un atto di generosità che a suo dire il partito non avrebbe dimenticato: candidarmi nelle liste del Pci. Io, probabilmente per il carattere che ho, a un atto disinteressato di generosità avrei detto di no. Quindi risposi a Frisullo che tale offerta non era diretta solo a me ma a tutto il gruppo di intellettuali riuniti intorno a “L’Immaginazione” e che di conseguenza avrei preferito che per me rispondesse Piero Manni con il quale mi ero messo d’accordo per una risposta negativa. Non ho mai capito se erano d’accordo tutti quanti ai miei danni, sta di fatto che Piero Manni con mia sorpresa rispose: «Caro Giovanni, ci fanno un’offerta politica, io sono un animale politico e quindi dico si!». E così mi trovai a sorpresa candidato da indipendente nelle liste del Pci per il Senato. Facemmo una campagna elettorale tutto sommato modesta, da dilettanti, perché non avevamo idea di come si facesse una campagna elettorale. Infatti ottenemmo un risultato modesto che non mi portò all’elezione in Senato. A questo punto me ne andai in vacanza e il partito sparì, non mi fecero nessuna telefonata, non li sentii più. Continuai a essere un corpo estraneo a questo partito, che era ancora il vecchio Partito Comunista. Nell’estate del 1990 il nuovo segretario del partito per la provincia di Lecce, Antonio Rotundo4, mi informò della presenza di Cesare Salvi5 nel capoluogo salentino e della sua volontà di incontrarmi. Cesare Salvi lo conoscevo da quando era stato studente universitario perché gli avevo dato una mano a scrivere la tesi. Recatomi alla federazione comunista leccese assistetti al suo discorso nel quale affermò: «Dopo la svolta della Bolognina il Pci sta per sciogliersi e nascerà un nuovo partito. In questo nuovo partito devono avere un ruolo gli esterni. Quindi avremmo pensato a te Giovanni come esterno per la città di Lecce». Io, che avevo incominciato a capire come andavano le cose, gli risposi: «Cesare, ho capito che nel nuovo partito gli esterni non conteranno nulla, saranno un fiore all’occhiello per far vedere che il nuovo partito è diverso dal vecchio Pci, però tutto sommato partecipare alla fondazione di un nuovo partito della sinistra deve essere un’esperienza interessante». Quindi la mia risposta alla richiesta di Salvi fu positiva. Egli allora organizzò a Lecce una riunione degli esterni pugliesi nella quale feci un intervento secondo me abbastanza modesto. I presenti però dovevano essere così poca cosa che il segretario regionale del Pci mi fece i complimenti per il discorso invitandomi a diventare il rappresentante degli esterni per la Puglia in una conferenza organizzativa presso la Fiera di Roma. Anche in questa occasione la mia risposta fu positiva e mi recai a questa conferenza dove vidi tutto il gotha del vecchio Partito Comunista: Bufalini6, Chiarante7, Violante8 e un giovanissimo D’Alema9 ancora bruno e con i baffetti neri. Di questa conferenza, che era un pre-congresso, non capii niente! Mi colpì però Antonio Bassolino10 che a sorpresa disse che al congresso avrebbe presentato una sua terza mozione oltre quella di Occhetto11, su cui era posizionato tutto il Pci leccese perché tutti “d’alemiani”, e quella di Ingrao12, che invece era più tiepida rispetto alla svolta. Bassolino, nel fare questo intervento di cui io non capii nulla, pronunciò una frase che mi ricordo ancora bene: «Io alla fine non riesco a morire in un mondo che sia sempre e soltanto capitalista». Tale affermazione mi piacque così tanto che successivamente, di ritorno dal congresso, stretti in più di cinque in una macchina secondo il costume pauperista del vecchio Pci, sottolineai ai miei colleghi quanto mi avesse colpito. Ricordo che in quell’esatto istante in macchina crollò il gelo, silenzio totale, perché erano tutti “occhiettiani”. Dopo un po’ di tempo il segretario provinciale Rotundo mi avvisò della volontà di D’Alema d’invitarmi a cena, invito che accettai. In questo contesto notai che fra tutti i commensali D’Alema interloquiva soprattutto con me, e infatti, dopo una lunga chiacchierata, si voltò verso gli altri esclamando: «Non avete capito niente! Questo Pellegrino è un liberale, un borghese, cosa centra con Ingrao e Bassolino? Questo sta con noi!». In quell’istante capii che, dopo i miei apprezzamenti sulle parole di Bassolino, era un esame di “occhiettismo” quello che mi veniva fatto quella sera. Alla fine di quella cena D’Alema con aria lugubre ci informò del pessimo stato di salute del senatore Giuseppe Cannata13, chiedendo successivamente ai colleghi di informare Cristina Conchiglia14, che aveva ottenuto più voti di me nel collegio di Lecce, della sua imminente nomina a senatrice. Tutto ciò avvenne un sabato sera. Il lunedì dopo mi telefonò Rotundo informandomi che nel conteggio dei miei voti c’era stato un errore, dato che non erano stati contati i voti di tre comuni brindisini facenti parte del collegio di Lecce, e che quindi sarei diventato senatore in sostituzione di Cannata nella X legislatura. Io però avevo accettato l’offerta che mi era stata fatta da Salvi nell’intesa che non sarei mai diventato senatore perché fin troppo preso dal lavoro nel mio studio legale. Di questo mio rifiuto ne fu informato D’Alema che volle subito incontrarmi a Roma. Così il martedì dopo mi recai a Botteghe Oscure, per la prima volta nella mia vita nel mitico “bottegone”. Ricevuto da D’Alema gli feci subito presente i miei problemi, dovuti soprattutto al carico di lavoro connesso alla mia professione. D’Alema allora, cercando di convincermi, mi disse: «Questa legislatura durerà poco. Ti chiediamo un sacrificio di pochi mesi. Parlerò io con i dirigenti del gruppo affinché ti impegnino il meno possibile. A questo punto è come se tu ti fossi iscritto a un club. Potrai sempre andare al ristorante del Senato dove si mangia abbastanza bene, non come quello della Camera dove si mangia malissimo, poi potrai andare sempre dai barbieri del Senato che sono bravissimi». Io, che ho sempre avuto difficoltà a dire di no, alla fine accettai. E così mi trovai con un doppio titolo di partecipazione, come senatore e come rappresentante degli esterni per la Puglia, al congresso di Rimini. Anche di questo congresso non capii niente! Allora il linguaggio della politica era diverso da quello di adesso, se non avevi due lauree non capivi di cosa stessero parlando. Mi colpì soltanto il dolore di Aldo Tortorella15, commosso fino alle lacrime, mentre salutava i compagni di una vita che andavano in Rifondazione. Incitato da mia moglie e da mio figlio tenni duro e incominciai a seguire i lavori del Senato facendo anche qualche discreto intervento, al punto che il partito mandò un report su di me il quale sosteneva che, come senatore esordiente, mi ero dimostrato una personalità di primo piano.
La X legislatura alla fine durò altri due anni e nel 1992 mi ricandidai volontariamente al Senato, convinto però di perdere. Invece non fu così. Ottenni un risultato di poco superiore a quello dell’1987 e, siccome nella Puglia del Nord, la terra di Di Vittorio, Rifondazione aveva quasi gli stessi voti del Pds, io finii quarto e fui rieletto senatore. A questo punto speravo di entrare nel direttivo del gruppo parlamentare del Pds, cosa che non avvenne dato che Giglia Tedesco16, una delle eminenze del partito, mi chiese di sacrificarmi e accettare il ruolo di rappresentante del gruppo nella Giunta delle immunità. Io non sapevo neanche cosa fosse questa Giunta delle immunità ma accettai, salvo scoprire nella riunione successiva che ero stato proposto dal gruppo dirigente del partito non come rappresentante del gruppo nella giunta ma come presidente della stessa. Io chiesi a Giglia Tedesco cosa fosse questa novità e lei, freddissima, mi rispose: «Devi ringraziare la Democrazia Cristiana». E infatti, quando fui eletto presidente della Giunta, andai a ringraziare Nicola Mancino17 che allora era il capogruppo della Democrazia Cristiana. E così mi trovai a gestire nel pieno di Tangentopoli uno dei luoghi politici più delicati d’Italia.

Quali sono stati i momenti più difficili di questa presidenza? Nella sua autobiografia lei parla molto di Saverino Citaristi e di Giulio Andreotti. Potremmo dire che l’esperienza nella Giunta delle immunità parlamentari ha funto da palestra per affinare le sue capacità?
Fu certamente una palestra politica perché il compito era difficilissimo. La maggioranza della Giunta corrispondeva alla maggioranza dell’aula. Quindi era una maggioranza contraria alle autorizzazioni. Io però mi resi conto che se avessi negato le autorizzazioni saremmo stati sommersi dal pubblico disonore. Allora mi barcamenavo per cercare di far passare le autorizzazioni e, per darne autorevolezza, decisi di non votare mai. Infatti io non ho mai votato nella Giunta, anche perché il presidente poteva scegliere che cosa mettere ai voti fra autorizzazione e diniego di autorizzazione. A voti pari passava la proposta contraria e quindi in qualche modo scegliendo una proposta il presidente la danneggiava perché sapeva che a voti pari sarebbe passata quella opposta. In questo modo cominciai a gestire la Giunta vedendo di far capire a questa maggioranza riottosa che dire no ai giudici in quel momento significava essere sommersi dalle critiche.
Passando al caso di Saverino Citaristi18, lui era una bravissima persona, forse il più onesto dei democristiani, e proprio per questo motivo era stato scelto come tesoriere. Era una persona così perbene che, mentre gli leggevo i vari addebiti, spesso rispondeva affermando di aver ricevuto addirittura più soldi, esponendo la cifra corretta che aveva ricevuto a seconda dei casi. Il suo compito era quello di raccogliere le tangenti per poi distribuirle alle correnti le quali ricevevano una quota corrispondente al loro peso congressuale. E però, nella logica di Mani Pulite, Citaristi rispondeva di corruzione propria e aggravata. Difficilissima fu la questione di Andreotti19. Riguardo questa vicenda mi chiamò Davide Visani20, uomo severo, che dandomi del tu e parlando alla prima persona plurale mi disse: «In questa questione di Andreotti noi siamo favorevoli all’autorizzazione però sappiamo che saremo sconfitti. Quindi tu non ti puoi permettere di non votare. Devi votare a favore dell’autorizzazione, sarai sconfitto e ti dimetterai da presidente della Giunta». Io gli risposi a bassissima voce chiedendogli almeno la possibilità di provare a farla passare senza votare. Visani a quel punto mi disse che avrei potuto pure provarci ma, in caso di insuccesso, mi sarei dovuto dimettere come mi era stato comunicato! A questo punto cominciai a fare una serie di acrobazie giocando con il regolamento e alla fine portai ai voti in Giunta il diniego di autorizzazione. Finì a voti pari, quindi a favore dell’autorizzazione a procedere, e mi presi io l’impegno di scrivere la relazione con la promessa che l’avrei fatta leggere al vicepresidente democristiano della Giunta Michele Pinto21, avvocato salernitano famoso per l’omonima legge. Sostanzialmente sarebbe stato come farla leggere ad Andreotti. Infatti quando diedi la relazione a Pinto lui me la riportò solo con due correzioni a penna, chiaramente con la grafia di Andreotti. Era la mia una relazione equilibrata la quale esponeva sia tutto ciò che era a favore della vicinanza di Andreotti alla mafia sia quello che tutto sommato rendeva debole l’accusa. Praticamente suggerivo a Caselli22 che, nel caso in cui le carte sarebbero rimaste quelle, avrebbe potuto pure richiedere l’archiviazione perché in dibattimento Andreotti sarebbe stato assolto. Quindi la Giunta, con questa maggioranza tecnica, propose all’aula l’autorizzazione. A questo punto Giovanni Spadolini23 mi tolse il saluto, perché per lui era una criminalità proporre che venisse processato per mafia un personaggio che era stato per sette volte Presidente del Consiglio. Mentre scrivevo la complicata relazione, in cui facevo equilibrismi fra accusa e difesa, scoppiò il caso di Bettino Craxi24. A carico del leader socialista vi erano diverse imputazioni ma l’aula dette l’autorizzazione a procedere “a metà” consentendola solo per il finanziamento illecito e non per la corruzione. A questo punto Craxi venne tempestato di monetine sotto l’Hotel Raphael25 e poi in piazza Navona Occhetto fece un comizio in cui annunciò il ritiro dal governo dei tre ministri indicati dal Pds nel governo Ciampi26, Barbera27, Visco28 e Rutelli29. In questo contesto Andreotti scrisse una lettera a me e Spadolini nella quale affermava che in aula avrebbe parlato a favore della proposta della Giunta e quindi a favore dell’autorizzazione. Allora Spadolini, che alla fine aveva cambiato idea e che temeva non passasse l’autorizzazione, iniziò a telefonarmi ogni sera al punto che pensai fosse meglio andarlo a trovare. Così feci. Una volta ricevuto mi disse in segreto che aveva saputo dai servizi che alla Camera la Lega aveva parlato a favore dell’autorizzazione, salvo poi “impallinarla” a voto segreto. Quindi la sua preoccupazione era che in Senato, mettendo a voto segreto i democristiani, i socialisti, e la Lega, l’autorizzazione non sarebbe passata. A quel punto mi venne un’intuizione: avremmo potuto adottare una votazione palese. Spadolini mi rispose che, trattandosi di un voto sulla persona, eravamo obbligati a votare in segreto. Io a mia volta ribattei sottolineando come noi non dovessimo giudicare Andreotti ma il lavoro di Caselli. Dovevamo domandarci se Caselli stesse perseguitando o meno Andreotti e quindi, non trattandosi di un voto sulla persona, il voto poteva essere palese. Alla fine seguimmo la mia intuizione e in aula non ci furono storie, riuscimmo a far passare l’autorizzazione a procedere contro Andreotti. A quel punto se io avessi chiesto a Spadolini di darmi a vita una stanza al Senato lui me l’avrebbe data. L’avevo fatto uscire così bene da quel guaio di Andreotti che lo avevo completamente conquistato. Altri casi che menzionerei furono quelli collegati alle richieste di autorizzazione nei confronti di membri del Pci-Pds. Infatti che Mani Pulite non abbia preso di mira anche il Pci è una falsità. Marcello Stefanini30, l’ultimo tesoriere del Pci, fu protagonista di una autorizzazione a procedere emanata dal magistrato Tiziana Parenti31. Il tesoriere del Pci precedente a Stefanini, Renato Pollini32, rimase per mesi in galera, arrestato sempre dalla Parenti. Gli uomini del Pci non prendevano tangenti, salvo quelli della corrente “migliorista” di Napolitano33, all’interno della quale qualcuno fu preso per tangenti. In tutte le cordate che vincevano gli appalti però c’era sempre una cooperativa rossa, cooperativa che finanziava il partito. Solo che nei fatti non vi era alterità fra cooperativa e partito perché esisteva uno stretto rapporto di appartenenza. Per esempio, nella federazione comunista di Lecce, che Ernesto Abbaterusso34 fosse un dipendente delle cooperative e non un dipendente della federazione a me lo dovevano specificare perché erano tutti seduti a tavoli vicini. Il Pci in sostanza, pur non prendendo tangenti, si assicurava un’importante fonte finanziaria dato che le imprese nel fare le cordate avevano l’accortezza d’inserire sempre una cooperativa. Alle feste dell’Unità, dove si mangiava benissimo, si vedevano dei cartelloni enormi con scritto “CCC”. Il prezzo di quel cartellone era il finanziamento del congresso. Lo schema di Mani Pulite, che era uno schema giuridico, prevedeva un’alterità fra il datore di tangenti e il percettore di tangenti. Nell’organizzazione del Pci questa alterità si perdeva perché erano imprese del partito che partecipando agli appalti si finanziavano e quindi finanziavano il partito. Questo sistema tornava con maggiore difficoltà perché lo schema di Mani Pulite era tarato sui partiti dell’aerea di governo, infatti fra le formazioni politiche che vennero coinvolte in maniera lieve dalle inchieste di Tangentopoli vi figura pure il Movimento Sociale Italiano.

Lei infatti fu critico nei confronti dell’operato dei magistrati di Mani Pulite, in particolare del messaggio che intendevano lanciare, al punto da esserne indicato come un nemico.
A riprova che io non ero un nemico dei pubblici ministeri, posso dire che fu Di Pietro35 stesso a chiedere di essere mio consulente alla Giunta immunità. Quelli di Mani Pulite mi apprezzavano perché capivano che io ero capace di vedere i punti deboli del loro castello accusatorio. Infatti, stando alla Giunta delle immunità, avevo avuto l’opportunità di studiare tutti i processi, anche perché la relazione alla Giunta la doveva fare sempre il presidente. Per cui io non facevo altro che studiare processi da anni. Oggi sta facendo molto chiasso la storia legata all’introduzione che Gherardo Colombo36 ha scritto per il libro L’ultima Repubblica, le memorie postume di Enzo Carra37. In questa introduzione Colombo ha detto in sostanza che, se avessero collaborato e detto la verità, i politici coinvolti nelle indagini del pool di Mani Pulite non avrebbero scontato un giorno in carcere. A questo punto la testata “Il Riformista” il 5 aprile ha titolato “Nel ’92 fu colpo di stato”. Secondo me è una sciocchezza. Però cosa c’è di vero? Noi in Giunta abbiamo avuto un caso esemplare, quello di Giorgio Moschetti38. Di Moschetti, che era uno sbardelliano, quindi andreottiano, se ne raccontavano di tutte ed era famoso per i suoi vestiti griffati, gemelli d’oro, catene d’oro e rolex d’oro. Questo Moschetti nel 1992 era entrato da poco in Senato, perché sostituiva Vitalone39 che si era dovuto dimettere da senatore in quanto nominato ministro, quando venne a piangermi sulla spalla affermando di essere innocente dalle accuse di corruzione che gli venivano mosse. Io a quel punto gli dissi: «Moschetti, noi le autorizzazioni a procedere le abbiamo date a Citaristi che era il tesoriere personale del partito nazionale, non possiamo non darla a te che sei il tesoriere della Dc nel Lazio. Però non ti preoccupare, l’autorizzazione alla custodia cautelare che è stata già chiesta non la daremo». Lui si tranquillizzò ma nell’andarsene gli dissi: «Ti do un consiglio, vai a Milano e rivolgiti a qualche avvocato esperto del rito ambrosiano, vicino a questi pubblici ministeri di Mani Pulite. Ti dico questo perché la legislatura durerà poco, tu non verrai rieletto e a quel punto i magistrati ti arresteranno e butteranno via la chiave della cella». Dopo poco tempo arrivarono in Giunta richieste di autorizzazione a procedere contro senatori di varie parti d’Italia, tutte fondate sulle dichiarazioni di Moschetti. Poi arrivarono altre autorizzazioni a procedere per Moschetti dove però non vi era più la richiesta all’autorizzazione all’arresto del senatore, questo grazie alla collaborazione che egli stava dando alle indagini. Unificarono tutte le corruzioni nel vincolo della continuazione e, data la collaborazione alle indagini, gli diedero una pena così leggera che fu sospesa. Alla fine a Moschetti non fecero fare una sola notte in galera! Mentre Citaristi, se non fosse morto, lo avrebbero seppellito di anni di galera. Questa è stata Mani Pulite!

Affrontata questa prima difficile esperienza com’è giunto alla presidenza della Commissione stragi?
In realtà nella legislatura successiva, iniziata nel 1994, feci intendere che sarei stato contento se fossi ritornato a presiedere la Giunta delle immunità, nonostante questa esperienza mi avesse causato una grande preoccupazione politica, avendo avuto in quel periodo tutti gli occhi d’Italia addosso e non potendomi permettere un solo passo falso. Salvi mi disse che erano tutti d’accordo e che sarei ritornato a presiedere la Giunta. Addirittura Giulio Maceratini40 per Alleanza Nazionale e Domenico Contestabile41 per Forza Italia mi vennero a fare gli auguri perché contenti del mio ritorno alla presidenza della Giunta. Andammo a votare e finimmo a voti pari e una scheda bianca. Se avessimo avuto un poco di intelligenza avremmo rinviato per vedere di capire chi era questa scheda bianca, ma non fu così. Persa la presidenza della Giunta delle immunità, non avendo ricevuto nessun incarico come sottosegretario, presidente di giunta o commissione, chiesi a Salvi di poter partecipare al dibattito sulla fiducia. E infatti in Senato parlai come secondo dopo Massimo Villone42 e stuzzicai Berlusconi43 raccontando di come lo avevo conosciuto nel mondo del calcio. Egli nel ringraziarmi fece un’attestazione di stima: «Io stimo il senatore Pellegrino, garantista che ha affrontato delle prove terribili nella Giunta delle immunità. Mi dispiace non averlo confermato alla presidenza della Giunta, però la legislatura è lunga e vedremo di rimediare». In questa situazione, stavano ormai per iniziare le ferie estive del 1994, incontrai Cesare Previti44, il Ministro della Difesa, il quale mi porse i suoi auguri informandomi che stavo per essere nominato presidente della Commissione stragi. Io rimasi sorpreso credendo che toccasse nuovamente a Gualtieri45. Dopo due giorni venni chiamato da Carlo Scognamiglio che mi disse: «Con Irene Pivetti46 abbiamo deciso di mandare te come presidente della Commissione stragi. Naturalmente ci devi assicurare che sarai equilibrato». E così diventai Presidente di quella Commissione, pur non capendoci niente di stragi, tant’è vero che il commento gentile di D’Alema come mi vide a Lecce fu: «Ma come diavolo è che ti hanno dato questo incarico? Tu non ti sei mai occupato di terrorismo, non ti sei mai occupato di stragi!». Ed effettivamente mi trovai a gestire una cosa per la quale non ero preparato. Nonostante questo mi resi subito conto che questa Commissione stragi era confusionaria, una cosa senza senso, un’invenzione di Gualtieri. Dico questo perché aveva una pluralità d’inchieste, quando le inchieste parlamentari devono essere monotematiche, devono durare poco; solo per questo si capisce perché hanno i poteri dell’autorità giudiziaria. Infatti io, abbastanza presto, dopo un paio di mesi, decisi di dare una svolta cercando di chiudere questa esperienza facendo oggetto dell’inchiesta gli anni di piombo. Noi dovevamo dare un giudizio storico-politico sulla “notte della Repubblica”. Fatto questo non avevamo più ragione di esistere. Infatti diedi quella torsione storiografica che poi oggi tutti mi riconoscono, iniziando a utilizzare come consulenti alcuni esperti tra cui lo storico Aldo Giannuli47. Anche se alla fine non mi hanno fatto mai concludere, ritengo che il lavoro della Commissione sia stato importante.

Quali sono le vicende che l’hanno più impressionata?
Ricordo una vicenda in particolare, un fatto interno alla Commissione. La storia della figlia di un nostro membro, Luigi Saraceni48. Questo era stato un grande magistrato, uno dei fondatori di “Magistratura Democratica”. Andava sempre in coppia con Salvatore Senese49 che era il migliore fra noi avvocati e magistrati del gruppo. Quando uccisero D’Antona50, Saraceni era fra quelli che si erano mostrati dubbiosi sulla paternità delle Brigate Rosse. Erano infatti passati quattordici anni dall’omicidio di Roberto Ruffilli51, l’intellettuale che stava studiando la possibile riforma dello Stato, il cervello della corrente di De Mita52. Siccome era scoppiata la guerra del Kosovo, credevamo tutti fosse stata opera dei servizi segreti serbi i quali, per destabilizzare l’Italia, avevano ucciso D’Antona. E invece capimmo abbastanza presto che non era così, perché negli omicidi Ruffilli, Lando Conti53 ed Ezio Tarantelli54, quest’ultimo laburista come D’Antona, gli estremisti imputati erano sempre stati condannati in concorso con ignoti. Quindi era certo che alcuni complici di quegli omicidi non erano stati presi. Sono loro che riorganizzarono le Brigate Rosse con al vertice Nadia Desdemona Lioce55.
La figlia di questo nostro collega di commissione, Federica Saraceni56, subì una perquisizione della polizia nella quale trovarono in un cassetto della sua stanza una fotografia che la ritraeva assieme a Mario Galesi57, l’esecutore materiale degli omicidi Biagi58 e D’Antona. Galesi che morì nel tentativo di difendere la leader, la Lioce, un po’ come Margherita Cagol59 che morì per coprire la fuga di Curcio60 dalla cascina Spiotta, seguendo la regola più importante dei gruppi clandestini: proteggere il leader.
Altra vicenda che mi colpì fu quella della stessa Cagol, una figura impressionante. Borghese, 110 e lode all’Università di Trento, suonatrice di chitarra classica, sposata in chiesa con Curcio e che successivamente sceglie Mara come nome di battaglia, fonda un gruppo clandestino e muore con le armi in mano alla cascina Spiotta. Questo è il drammatico sommerso nella nostra storia nazionale.
Altra vicenda, Carlo Donat-Cattin61 e il suo dramma. Il padre ministro e il figlio, Marco62, componente di uno dei gruppi terroristici che attentavano al cuore dello Stato, Prima Linea. Come non si fa a capire che c’è questo aspetto drammatico, sommerso, nella vita nazionale…

Un vero e proprio scontro generazionale.
Certo! Si sentiva l’esigenza di “uccidere il padre”. Questo da metafora diventa fatto reale. Ciò che mi è rimasto dentro dell’esperienza della Commissione stragi è questo, la difficoltà che noi abbiamo a fare i conti con la storia del nostro paese. Il Pds, il mio partito, non ha mai veramente fatto i conti con la storia del Pci perché ha coltivato l’illusione che la Bolognina e il congresso di Rimini avessero saldato il conto. Invece non era vero, tant’è che Berlusconi ha potuto sfruttare a lungo l’anticomunismo. I partiti di governo non hanno mai voluto riconoscere che nel seguire la logica atlantica lasciavano le redini allentate agli apparati, consentendo a questi di assoldare come mercenari i neofascisti e anche di farsi la guerra tra di loro. Su questo drammatico sommerso della vita del paese non abbiamo mai fatto i conti. Ecco perché oggi siamo impantanati, è questo il vero prezzo che abbiamo pagato con la morte di Aldo Moro63. Noi siamo impantanati in una transizione politica che tende a non finire perché nessuno fa mai veramente i conti con il passato. Sempre riguardo il Pci -Pds, posso capire che all’inizio avessero la necessità politica di dire che i brigatisti erano fascisti mascherati, perché capivano che la continuità dei mondi era tale che pezzi interi del Pci si spostavano dal partito al terrorismo, ma dopo? Adesso perché si fa fatica a riconoscere che uno come Alberto Franceschini64 viene dalla gioventù comunista? Perché non siamo mai riusciti a fare veramente i conti con il passato! Per quanto riguarda il neofascismo, noi possiamo davvero avere un presidente del Senato che afferma che in via Rasella uccisero musicanti tedeschi pensionati? Perché questo? Perché nemmeno lui ha mai fatto i conti con quel periodo. Infatti questa storia dei musicanti girava nel mondo del neofascismo, da dove lui proviene, ed è evidente che non ha mai fatto veramente i conti fino in fondo con la sua esperienza in quel contesto.

Quali sono i personaggi più interessanti che lei ha ascoltato in Commissione e quali a suo parere rilasciarono le deposizioni maggiormente rilevanti e utili per i lavori del suo gruppo di esperti?
Sicuramente Gabriele Chelazzi65 e la sua audizione. Secondo me Chelazzi era una persona straordinaria perché non aveva l’atteggiamento tipico di molti magistrati, anche di valore, i quali tendevano a considerare le inchieste parlamentari come una cosa da poco, inutili. Lui invece rispettava il lavoro della Commissione. Quello che lui ci conferma è che sulla fine di Moro c’era qualcosa che non tornava, che probabilmente si riagganciava al trafugamento di questo documento su Gladio. Egli infatti ci disse testuale: «Armando Spataro66 ha cercato di convincermi a dire cose che coincidano con quelle che ha riferito lui, ma quello che vi dirò non coincide pienamente con quello che lui ha detto». La mia impressione è che si sia voluto far saltare l’aspetto milanese del gruppo che aveva sequestrato Moro mentre è stata fatta una certa epurazione sul gruppo fiorentino. Lì, per esempio, per le sentenze della magistratura romana, Giovanni Senzani67 entra nelle Brigate Rosse dopo l’omicidio Moro. Invece quello che ci dice Chelazzi e quello che noi avevamo accertato è che lui era il vero cervello del sequestro Moro. Ecco perché in tante cose il sequestro Moro assomiglia al sequestro Cirillo68. È Senzani che guida politicamente le Brigate Rosse in quel periodo. Tutto sommato però Senzani ha pagato col carcere, ma non per il sequestro Moro. Ha pagato col carcere per il sequestro Cirillo e per l’omicidio di Roberto Peci69, fratello di Patrizio70, che è stato deciso proprio da lui. Il ruolo che ha avuto nel sequestro Moro non è stato mai nemmeno sfiorato. Quando noi portammo alla procura di Roma tutte le carte che incitavano ad accendere un faro sulla partecipazione di Senzani al sequestro Moro, questa procura decise l’immediata chiusura delle indagini. Umberto Bonaventura71 ci disse che le carte di Moro erano uscite dal covo di via Monte Nevoso, prima dell’arrivo di Pomarici72. Successivamente lui fu interrogato dalla procura di Roma e disse che ciò che ci aveva riferito in Commissione era un falso ricordo. Io, saputo questo, lo chiamai e gli dissi: «Lei sa che c’è un verbale della sua audizione? Si rende conto di cosa sta dicendo?». E lui rispose: «Beh forse sono ingenuo!». Quindi all’interno della magistratura italiana c’è un aspetto della vicenda Moro che non si è voluto far uscire fuori, cioè il ruolo di Senzani e tutto ciò che ruota attorno al ruolo di Senzani.

Forse perché Senzani stesso collaborava con alcuni apparati dello Stato?
Come ci disse Tindari Baglione73, Senzani in quel periodo era un doppio consulente perché era insieme consulente delle Brigate Rosse e della Polizia! Quindi un personaggio straordinariamente doppio. Qual è la verità? Chi era il proprietario della casa borghese vicino a Piazza Cavour dove Franco Piperno74 incontra Mario Moretti75 per sapere se i messaggi che incitavano alla liberazione di Moro gli erano stati recapitati? La verità è che c’è tutta un’area di contiguità che l’ha fatta franca!

Ritornando sull’attività generale della Commissione, negli anni è stato raccolto un gran numero di documenti e materiali di primaria importanza. Quali sono quelli che vi hanno colpito di più per quantità e importanza delle informazioni?
Le carte delle sentenze romane connesse al golpe Borghese. Di queste ci colpì la voglia di minimizzare il tentativo di colpo di stato, una cosa spaventosa! Volevano dimostrare che non era successo praticamente niente quando invece si trattò di una cosa seria. Definivano i golpisti quattro scapati che non contavano nulla…

Fra i documenti passati in Commissione forse il dossier Mitrokhin è uno di quelli che vi ha impegnato maggiormente, più per il clamore che vi si era creato attorno che per il contenuto.
Il dossier Mitrokhin è la riprova di quanto D’Alema non capisse l’importanza del lavoro che stavamo svolgendo in Commissione stragi. A un certo punto entrarono tutti in paranoia a causa delle liste che il dossier conteneva, anche grazie a Giorgio Forattini76 e alla sua famosa vignetta di D’Alema che “sbianchettava” le liste. Cos’è che preoccupava alla fin fine? I report dei finanziamenti in dollari americani ad Armando Cossutta77. A un certo punto l’URSS, non fidandosi più di Berlinguer78, iniziò a inviare i soldi a Cossutta perché desse fastidio al segretario del Pci. Per il mio partito questa era una vergogna. Io avevo mandato a Roma un russo bianco, il professor Viktor Zaslavskij79, profondamente anticomunista, con l’incarico di ricostruire tutti i finanziamenti arrivati in Italia dall’URSS. Lui li aveva ricostruiti fino all’ultimo dollaro, compresi questi finanziamenti a Cossutta. Successivamente Zaslavskij mi aveva chiesto l’autorizzazione a pubblicare quella sua relazione su una rivista di storia contemporanea e io gliela avevo data. Ovviamente nessuno aveva letto nulla di questo, sia nella Commissione sia nel partito. Quando alla fine uscì la storia di questi finanziamenti presenti nel dossier Mitrokhin, gli esponenti in Commissione del centrodestra sbottarono accusando i sostenitori del governo D’Alema di essere stati in passato al soldo del Kgb. Io chiesi ai colleghi il perché di tutto questo chiasso dato che, grazie ai lavori di Zaslavskij, la storia dei finanziamenti a Cossutta la conoscevamo già da due anni. Successivamente chiesi al segretario a quando risaliva l’autorizzazione data a Zaslavskij per la pubblicazione della relazione sui finanziamenti russi in Italia, dimostrando che i colleghi del centrodestra si stavano scandalizzando per una cosa nota già da tempo. A questo punto, nel caso in cui avessero continuato a fare baccano su queste carte, mi avrebbero messo davanti a due sole alternative: dichiarare che essi non leggevano le carte della Commissione, facendo fare loro una brutta figura, oppure dichiarare che, avendole lette, avevano custodito pure loro il segreto. A questo punto tutto si calmò. Contemporaneamente, quando vidi che il governo D’Alema su questo dossier era in difficoltà, andai a Palazzo Chigi e chiesi di parlare con D’Alema stesso. Mi dissero che era occupato e che potevo parlare con Marco Minniti80. Egli mi ricevette e mi disse che al governo non erano per niente preoccupati in quanto convinti che questo dossier altro non fosse che una raccolta di rapporti che l’ambasciatore sovietico redigeva dopo essere stato a cena con degli intellettuali italiani. In realtà ciò che spaventava il governo erano sempre questi finanziamenti a Cossutta, il quale poco prima aveva rotto con Rifondazione e aveva fondato il Partito dei Comunisti Italiani assieme a Oliviero Diliberto81, che proprio nel governo D’Alema deteneva l’incarico di Ministro di Grazia e Giustizia. In sostanza, D’Alema temeva proprio questo collegamento. Se me ne avesse parlato gli avrei detto che queste cose ormai si sapevano già da tempo proprio grazie alle ricerche di Zaslavskij e che non c’era motivo di spaventarsi. Anzi, erano la prova che tutto sommato i sovietici non si fidavano di Berlinguer tanto che smisero di finanziare il Partito Comunista e incominciarono a finanziare Cossutta.

Perché la Commissione non produsse nessun documento conclusivo se non il suo libro-intervista?
Per colpa di Valter Bielli82! Sull’intero periodo degli anni di piombo non riuscivamo a metterci tutti d’accordo e quindi fare un documento a maggioranza non avrebbe avuto senso. Ci eravamo invece messi tutti d’accordo sulla vicenda Moro dove effettivamente avevamo portato dei contributi notevoli e di conseguenza decidemmo di presentare in Commissione la relazione Moro. In ufficio di presidenza della Commissione Alfredo Mantica83 ci disse che secondo lui la relazione Moro poteva a questo punto essere approvata e consegnata dato che prima di quella avevamo consegnato solo una relazione sul caso D’Antona. In sede di approvazione però Bielli chiese la parola affermando che non era d’accordo sul testo della relazione e che avrebbe voluto apportare alcuni emendamenti sulla figura di Senzani. Dopo qualche giorno riportò la relazione con gli emendamenti che aveva chiesto di apporre, pretendendo che noi approvassimo il suo testo dove si affermava che Senzani era chiaramente un infiltrato della Cia. Bielli è una brava persona però evidentemente era rimasto ancorato all’impostazione del vecchio Pci per la quale ogni responsabilità degli anni di piombo era da ascriversi agli americani e per la quale le Brigate Rosse altro non erano che fascisti mascherati. A questo punto, non essendo riusciti a presentare una relazione conclusiva condivisa, decidemmo di pubblicare delle relazioni separate. Bielli, in pompa magna, fece presentare da Claudio Petruccioli84 la sua relazione nella quale, parlando degli anni di piombo, non parlò mai delle esperienze della sinistra estrema e dei suoi crimini, come nulla fu detto dei legami finanziari e organizzativi fra il Pci e Mosca. Una relazione del genere venne ovviamente sommersa dalle critiche perché di una faziosità senza fine, come se tutto il terrorismo di estrema sinistra non fosse mai esistito e il terrorismo fosse stato solo quello fascista. Petruccioli allora mi telefonò infastidito chiedendomi delle spiegazioni. Io risposi affermando che non avevo mai firmato quel documento proprio perché non ne condividevo il contenuto, facendogli notare che proprio lui lo aveva voluto presentare, e chiedendogli infine se lo avesse mai letto. A questa mia domanda Petruccioli rispose: «Ma chi aveva tempo di leggersi tutto quel librone con quella insopportabile copertina rossa!». Una cosa che, infine, mi fece rimanere male è che a quella relazione sul caso Moro avevano partecipato una serie di membri della Commissione i quali, quando erano stati nominati consulenti, mi avevano promesso che si sarebbero dati da fare per arrivare a una relazione condivisa, cosa che non avvenne… È andata così…

Lei poi è riuscito a capire il perché di questo comportamento di Bielli?
Perché riteneva fosse utile politicamente mentre politicamente era un suicidio

Federico Umberto D’Amato85 sosteneva che quello italiano fosse uno stato “sfessato”, cioè diviso dall’interno. Divisione che si rifletteva e si riflette tutt’oggi anche nei sentimenti della società italiana. Lei crede che proporre una narrazione condivisa di quel periodo, che unisca ciò che è “sfessato”, era ed è tutt’oggi possibile in Italia? In sostanza: una Commissione per la verità e la riconciliazione è possibile oggi in Italia?
In Commissione ci provò per primo Mantica e io lo seguii. Restammo totalmente isolati perché sembrava una cosa blasfema! Oggi si potrebbe tentare, però mi sembra che non ci sia nessuno che abbia l’intenzione di farlo. La tendenza oggi è quella di non parlare più di queste vicende. Il problema è che finché non facciamo fino in fondo i conti con quel passato non ne usciremo mai. L’unico che provava a dire parole di verità in quel mondo era Cossiga86 il quale spingeva a favore di quella che definiva “una grande confessione”. Una grande confessione che avrebbe permesso di rilegittimare la classe politica e consentirle di costruire una cosa nuova…

Ed è anche per questo che sia Cossiga sia Fulvio Martini, come tanti altri, hanno apprezzato il lavoro della Commissione e il suo libro Segreto di Stato?
Si si! Cossiga mi voleva bene anche se ogni tanto litigavamo. Quando però ho saputo che era morto mi è dispiaciuto moltissimo perché lo ritenevo un uomo di grande cultura e molto intelligente, anche se ciclotimico come riconosceva di essere. Segreto di Stato fu la fortuna di Giovanni Fasanella87 e in qualche modo fu un risarcimento per me, perché sennò la mia esperienza nella Commissione sarebbe entrata nel dimenticatoio. Però debbo dire che chi apprezzò Segreto di Stato più di tutti fu Fulvio Martini88. Quel libro in mano a Martini era diventato spesso il doppio perché era pieno di post-it! Quando gli chiesi se quanto meno il 60% di quel libro corrispondesse alla verità lui mi rispose: «No! Molto di più! almeno 80%, forse anche 90%!». Poi Martini mi disse una cosa importante su Moro di cui io non capii l’importanza sul momento ma che ho capito adesso scrivendo il mio ultimo libro Dieci anni di solitudine. Mi spiego meglio. È certo che inizialmente ci si attiva per salvare Moro fra attività informativa e di polizia. A un certo momento si blocca tutto e tutti sembrano restare nell’attesa rassegnata che uccidessero Moro. Cos’era successo? Era successo che qualche “anima bella e candida” aveva pensato di dare alle Brigate Rosse come prezzo del riscatto di Moro le carte segrete sulla fondazione di Gladio che erano state sottratte dal Ministero della Difesa e che poi vengono ritrovate in fotocopia in via Monte Nevoso e in originale sepolte nel giardinetto retrostante il covo di via Fracchia. A quel punto per l’Alleanza Atlantica Moro diventa un traditore, quando invece Moro non centrava niente perché sono i suoi che hanno questa idea malsana. Quando a Moro nell’interrogatorio gli contestano Gladio lui tende a minimizzare perché si rende conto che aver dato quelle carte alle Brigate Rosse era stato un errore. Ecco perché nel mio ultimo libro la definisco “la morte annunciata”, la madre che chiude in faccia a Santiago Nasar89 il portone di casa. Gli amici di Moro in questo modo credevano di salvarlo e invece così apposero la lastra sulla sua tomba.

Secondo lei le istituzioni democratiche, la coesione sociale del paese e il posizionamento dell’Italia in seno a quello che potremmo definire l’impero americano in Europa avrebbero retto se solo una minima parte della verità sugli anni di piombo, emersa a partire dalle inchieste di Guido Salvini90 e dai lavori della Commissione in poi, fosse diventata nota all’opinione pubblica fin da subito?
Probabilmente no. Faceva tutto parte di un patto di indicibilità. Si sapevano però non potevano essere dette perché il patto di indicibilità era funzionale all’incerto equilibrio della prima Repubblica che si trovava costantemente sul filo del rasoio fra il contrasto politico e la guerra civile. Fossero emerse subito probabilmente l’Italia avrebbe rischiato una guerra civile, cosa che non potremmo mai sapere perché la storia non si fa con i se, però indubbiamente certe cose non si dicevano perché era importante che non venissero dette al fine di mantenere un equilibrio. Andreotti, in un incontro preparatorio alla sua audizione in Commissione stragi, pronunciò una frase a bassa voce: «Troppa luce può anche accecare». Il significato di questo ammonimento? Nell’interesse dell’impero non si deve sapere tutto, è sempre necessario che una parte degli arcana imperii resti tale.

Note

  1. Marcello Strazzeri (1944-2021). Professore ordinario di sociologia del diritto, è dal 1985 consigliere regionale per il Pci e dal 1995 al 2000 vicepresidente dell’assemblea e vicepresidente della Commissione Ambiente. Dal 2006 al 2012 è preside della facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Lecce.
  2. Piero Manni (1944-2020). Insegnante negli istituti di pena, è cofondatore insieme alla moglie Anna Grazia D’Oria della casa editrice “Manni”. Nel 2005 è stato consigliere regionale per il Partito della Rifondazione Comunista e dal 2018 ha ricoperto la carica di presidente emerito dell’ANPI della provincia di Lecce.
  3. Sandro Frisullo (1955). Membro della sezione pugliese della Federazione della Gioventù Comunista (Fgci), ricopre dal 2005 al 2009, durante il primo mandato regionale di Nichi Vendola, la carica di vicepresidente e assessore allo Sviluppo economico della Regione.
  4. Antonio Rotundo (1951). Consigliere provinciale per il Pci dal 1980, diviene, dal 1990 al 1994, segretario provinciale del Pds. Deputato dal 1994, parteciperà ai lavori delle legislature XII, XIII, XIV.
  5. Cesare Salvi (1948). Avvocato, giurista e senatore per Pds-Ds-Pd dal 1992 al 2008, è stato Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale dal 1999 al 2001 nei governi D’Alema I, II e Amato II, Vicepresidente del Senato dal 2001 al 2006 e presidente della 2ª Commissione giustizia del Senato dal 2006 al 2008.
  6. Paolo Bufalini (1915-2001). Partigiano ed esperto latinista, è stato fin dal 1951 membro del comitato centrale del Partito Comunista. Segretario della federazione provinciale di Roma dal 1958 al 1965, ha ricoperto la carica di senatore dal 1962 al 1992. Esponente di punta della corrente “migliorista”, fu fra i fautori dell’alleanza tra il Pci ed il Psi di Bettino Craxi.
  7. Giuseppe Chiarante (1929-2012). Eletto fin da giovane nel consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, abbandonerà il partito nel 1955 in seguito ad alcuni duri contrasti con Amintore Fanfani. Nel 1958 passa al Partito Comunista per il quale ricoprirà la carica di deputato, dal 1972 al 1979, e senatore, dal 1979 al 1994. Direttore fra il 1983 e il 1986 della rivista “Rinascita”, si opporrà alla Svolta della Bolognina pur decidendo di aderire al nuovo partito erede del Pci.
  8. Luciano Violante (1941). Magistrato e professore ordinario di istituzioni di diritto e procedura penale, ha istruito nel 1974 il processo sul golpe bianco che portò all’arresto di Luigi Cavallo ed Edgardo Sogno. Iscrittosi al Pci nel 1979, ricopre la carica di deputato dal 1979 al 2008. Presidente della Commissione parlamentare antimafia 1992 al 1994, divenne, al termine di questa esperienza, Vicepresidente della Camera dei Deputati fino al 1996 e, in seguito, presidente della stessa fino al 2001.
  9. Massimo D’Alema (1949). Segretario nazionale della Fgci dal 1975 al 1980, divenne nel 1983 segretario regionale del Pci in Puglia. Eletto membro della segreteria nazionale nel 1983 e deputato a partire dal 1987, è stato direttore del quotidiano “L’Unità” tra il 1988 e il 1990. Sostenitore della Svolta della Bolognina, diventa segretario del Pds 1994 al 1998, Presidente del Consiglio dal 1998 al 2000 e presidente dei Democratici di Sinistra dal 1998 al 2007. Rieletto deputato dal 2006 al 2013 ed eletto membro del Parlamento Europeo dal 2004 al 2006, ha ricoperto le cariche di Ministro degli Affari Esteri e Vicepresidente del Consiglio nel governo Prodi II dal 2006 al 2008.
  10. Antonio Bassolino (1947). Iscritto fin da giovanissimo nella Fgci, diviene segretario della federazione provinciale di Avellino nel 1971. Deputato dal 1987 al 1994, al XX congresso del Pci a Rimini svolge un ruolo di mediazione fra i favorevoli alla Svolta della Bolognina e gli scettici. Eletto sindaco di Napoli dal 1993 al 2000, dal 1998 al 1999 ricopre la carica di Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale e dal 2000 al 2010 quella di Presidente della Regione Campania. Dal 2021 è assessore comunale presso il Comune di Napoli.
  11. Achille Occhetto (1936). Iscritto alla Fgci dal 1953, ne diviene segretario dal 1962 al 1966. Responsabile dal 1966 al 1969 della sezione centrale di stampa e propaganda del partito, in seguito viene nominato segretario regionale del Pci in Sicilia. Deputato dal 1976 al 2001, venne eletto segretario del Pci nel 1988. Artefice della Svolta della Bolognina, fu segretario del Pds dal 1991 al 1994, presidente dal 1996 al 2001 della 3ª Commissione affari esteri della Camera dei Deputati, senatore dal 2001 al 2006 ed europarlamentare dal 2006 al 2007.
  12. Pietro Ingrao (1915-2015). Iscritto al Pci fin dal 1940 e partigiano della prima ora, dirige “L’Unità” dal 1947 al 1957. Deputato alla Camera ininterrottamente dal 1950 al 1992, fu il primo comunista e ricoprire la carica di Presidente della Camera dei Deputati dal 1976 al 1979. Fortemente contrario alla Svolta della Bolognina, aderì al Pds per poi uscirne nel 1993. Avvicinatosi a Rifondazione Comunista, entrerà a farne parte nel 2005.
  13. Giuseppe Cannata (1930-1990). Iscrittosi al Pci a diciassette anni, fu dirigente della federazione tarantina e di quella pugliese del Pci e, successivamente, sindaco di Taranto dal 1976 al 1983. Dal 1983 al 1990, anno della sua morte, è senatore della Repubblica per il Pci.
  14. Cristina Conchiglia (1923-2013). Sindacalista e figura centrale nelle lotte a favore delle lavoratrici del tabacco salentine, ha ricoperto ruoli dirigenziali nella Cgil e nel Pci per il quale è stata eletta deputata dal 1976 al 1983. Dopo la Svolta della Bolognina aderisce al Pds e divenendo, in seguito, sindaco di Copertino.
  15. Aldo Tortorella (1926). Partigiano comunista durante l’occupazione nazista di Milano, diventa vicedirettore della sezione genovese de “L’Unità” e, successivamente, prima direttore della sezione milanese del giornale e, dal 1970 al 1975, direttore nazionale. Deputato dal 1972 al 1994 e ultimo presidente del Pci dal 1990 al 1991, si mostra critico verso il compromesso storico e contrario alla Svolta della Bolognina sostenendo la mozione 2 proposta da Pietro Ingrao. Nel 1998 insieme a Giuseppe Chiarante fonda l’Ars (Associazione per il Rinnovamento della Sinistra).
  16. Giglia Tedesco (1926-2007). Iscritta al Pci dal 1946, diventa membro del comitato centrale del partito e della direzione nazionale. Senatrice dal 1968 al 1994, è nominata nel 1989 presidente della Commissione di garanzia. Eletta presidente del Pds fra il 1993 e il 1998, ricopre la medesima carica nel partito erede del Pds, il partito Democratici di Sinistra, nel 1998.
  17. Nicola Mancino (1931). Esponente di punta della corrente democristiana di sinistra “La Base”, è Presidente della Regione Campania tra il 1971 e il 1972 e tra il 1975 e il 1976. Viene eletto in Senato dal 1976 al 1992 e dal 1994 al 2006, divenendone presidente dal 1996 al 2001. Ministro dell’Interno dal 1992 al 1994, è stato il sostenitore della legge 25 giugno 1993, n. 205, chiamata anche legge Mancino, contro i reati di discriminazione razziale, etnica, religiosa e politica. Dal 2006 al 2010 ricopre la carica di Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura.
  18. Saverino Citaristi (1921-2006). Partigiano, si iscrive alla Dc nel 1947. Sindaco di Villolongo dal 1956 al 1964, è deputato dal 1976 al 1987 e senatore dal 1987 al 1994. Tesoriere nazionale della Dc, viene coinvolto nelle indagini di Mani Pulite ricevendo settantadue avvisi di garanzia. Condannato in Cassazione a sedici anni di carcere e arrestato nel 1994, venne rilasciato poco tempo dopo a causa delle sue condizioni di salute. Nei suoi ultimi anni di vita aderisce al partito Unione di Centro.
  19. Giulio Andreotti (1919-2013), entrato nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana (Fuci) nel 1939, ne diviene presidente nel 1942. Deputato dell’Assemblea Costituente per la Dc, ricopre più volte la carica di ministro e in sette occasioni quella di Presidente del Consiglio. Deputato dal 1946 al 1991 e senatore a vita dal 1991 al 2013, è stato al centro di numerose vicende giudiziarie collegate agli eventi degli anni di piombo, ai rapporti con Cosa Nostra, all’omicidio del giornalista Carmine Pecorelli e all’omicidio del Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella.
  20. Davide Visani (1942-1995). Esponente del Pci, eletto consigliere regionale dell’Emilia Romagna nel 1985 e nel 1995. È stato deputato per il Pds nella XI e XII legislatura fino alla sua morte.
  21. Michele Pinto (1931). Iscritto alla Dc e, dopo il 1994, al Partito Popolare Italiano, senatore dal 1983 al 2001, è stato dal 1996 al 1998 Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Presidente della II Commissione giustizia del Senato dal 1998 al 2001, è stato il promotore della legge 24 marzo 2001, n. 89, chiamata anche Legge Pinto, che sancisce il diritto di richiedere una riparazione per un danno subito per l’irragionevole durata di un processo.
  22. Gian Carlo Caselli (1939). Magistrato conosciuto per le sue inchieste sul terrorismo rosso e sulla mafia, è stato nel 1991 consulente della Commissione stragi e, dallo stesso anno, magistrato di Cassazione. Ha coordinato indagini contro la ‘ndrangheta e il movimento No Tav.
  23. Giovanni Spadolini (1925-1994). Intrapresa la carriera giornalistica, Spadolini diviene direttore del “Resto del Carlino” a soli ventinove anni. Eletto senatore a partire dal 1972 nelle liste del Partito Repubblicano, mantiene l’incarico fino al 1991 quando diviene senatore a vita. Diverse volte ministro, è stato Presidente del Consiglio fra il 1981 e il 1982 e Presidente del Senato dal 1987 al 1994.
  24. Bettino Craxi (1934-2000). Entrato fin da giovane nelle file del Partito Socialista, ne divenne segretario nel 1976 mantenendo la carica fino al 1993. Deputato dal 1968 al 1994, è stato eurodeputato dal 1979 al 1983, Presidente del Consiglio Europeo nel 1985 e Presidente del Consiglio dl 1983 al 1987. Convolto nelle indagini di Mani Pulite e non essendo stato più ricandidato e avendo perso l’immunità parlamentare, fugge in Tunisia nel 1994 rimanendovi fino alla sua morte.
  25. Nella serata del 30 aprile del 1993 la folla che aveva assistito al comizio organizzato dal Pds in piazza Navona, nel quale alcuni esponenti del partito, fra cui il segretario Achille Occhetto, avevano incitato a protestare contro il voto parlamentare che non aveva concesso l’autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi, si diresse verso l’Hotel Raphael dove risiedeva il leader socialista il quale, non appena uscito dallo stabile, venne da questa duramente contestato con insulti e lancio di monetine.
  26. Carlo Azeglio Ciampi (1920-2016). Governatore della Banca d’Italia dal 1979 al 1993, diviene Presidente del Consiglio fra il 1993 e il 1994 e decimo Presidente della Repubblica dal 1999 al 2006. È il primo Presidente del Consiglio e primo Capo di Stato non parlamentare della storia repubblicana.
  27. Augusto Barbera (1938). Deputato per il Pci e per il Pds dal 1976 al 1994, Ministro per i Rapporti con il Parlamento per soli sette giorni nel 1993, è attualmente professore emerito di diritto costituzionale presso l’Università di Bologna e dal 2015 giudice della Corte Costituzionale della Repubblica.
  28. Vincenzo Alfonso Visco (1942). Deputato dal 1993 al 2008, si mostrò favorevole alla Svolta della Bolognina aderendo al Pds. È stato due volte Ministro delle Finanze, per soli sette giorni nel 1993 sotto il governo Ciampi e dal 1996 al 2000 sotto i governi Prodi e D’Alema. Dal 2000 al 2001 è Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica e dal 2006 al 2008 Viceministro dell’Economia e delle Finanze.
  29. Francesco Rutelli (1954). Iniziata la sua carriera politica nel Partito Radicale, ne diviene segretario nel 1980. Più volte eletto deputato e senatore, nel 1993 ricopre per soli sette giorni sotto il governo Ciampi la carica di Ministro dell’Ambiente e delle Aree Urbane. Sempre nel 1993 viene eletto sindaco di Roma, carica che manterrà fino al 2001. Dal 2006 al 2008 è Ministro per i Beni e le Attività Culturali e Vicepresidente del Consiglio dei Ministri insieme a Massimo D’Alema. Nel 2008 viene nominato presidente del Copasir detenendo questo incarico fino al 2010.
  30. Marcello Stefanini (1938-1994). Sindaco di Pesaro per il Pci dal 1970 al 1978, è deputato dal 1987 al 1992 e senatore dal 1992 al 1994. Ultimo tesoriere del Pci e primo del Pds, fu oggetto di indagini su finanziamenti illeciti da parte del pool di Mani Pulite.
  31. Tiziana Parenti (1950). Magistrato e avvocato, da giovane vicina al Pci, fu membro del pool di Mani Pulite e pubblico ministero nell’inchiesta sulle “tangenti rosse”. Deputata per Forza Italia dal 1994 al 2001, è stata presidente della Commissione parlamentare antimafia dal 1994 al 1996.
  32. Renato Pollini (1925-2010). Entrato da giovane nel Pci, è stato sindaco di Grosseto dal 1951 al 1970. Senatore nei ranghi del Pci-Pds dal 1983 al 1992, ha ricoperto il ruolo di tesoriere del Partito Comunista dal 1982 a 1989. Coinvolto nelle indagini di Tangentopoli, nel 1993 venne arrestato e dopo poco scarcerato. Indagato otto volte, venne assolto in tutte le vicende giudiziarie che lo videro protagonista.
  33. Giorgio Napolitano (1925). Membro del Pci fin dal 1945, massimo esponente della corrente “migliorista” ispirata a valori del socialismo democratico, ricopre svariati incarichi di partito divenendo vicesegretario sotto la segreteria di Luigi Longo. Deputato dal 1953 al 1996 ricopre vari incarichi ministeriali fra cui Ministro dell’Interno nel primo governo Prodi. Eletto undicesimo Presidente della Repubblica nel 2006, è stato il primo Capo di Stato italiano a essere rieletto per due mandati. Dal 2005 al 2006 e, successivamente, a partire dal 2015 viene nominato senatore a vita.
  34. Ernesto Abaterusso (1956-2022). Fin da giovane attivo nelle cooperative agricole impegnate nei settori ortofrutticolo, olivicolo e dei tabacchi, è sindaco di Patù dal 1988 al 1997 e deputato tra il 1992 e il 1994 e, in seguito, dal 1996 al 2001. Nel 2015 viene eletto nel consiglio della Regione Puglia.
  35. Antonio di Pietro (1950). Membro di spicco del pool di Mani Pulite e punto di riferimento popolare durante gli scandali legati a Tangentopoli, abbandona la magistratura nel 1994. Nominato Ministro dei Lavori Pubblici nel primo governo Prodi, è senatore dal 1997 al 2001. Nel 1998 fonda il partito l’Italia dei Valori, al vertice del quale rimarrà fino al 2013. Deputato dal 2006 al 2013, è nominato Ministro delle Infrastrutture dal 2006 al 2008 nel secondo governo Prodi.
  36. Gherardo Colombo (1946). Entrato in magistratura nel 1975, è fra il 1978 e il 1989 giudice istruttore dell’inchiesta sull’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli durante la quale dispone la nota perquisizione degli indirizzi intestati a Licio Gelli fra cui Villa Wanda. Anch’esso membro di spicco del pool di Mani Pulite, è stato consulente per la Commissione stragi e la Commissione d’inchiesta sulla mafia. Dimessosi dalla magistratura nel 2007, è membro del Consiglio d’Amministrazione della Rai dal 2012 al 2015.
  37. Enzo Carra (1943-2023). Giornalista, vicino in gioventù alla Dc per la quale ricopre la carica di capoufficio stampa dal 1989 al 1992. Coinvolto nelle inchieste di Mani Pulite, di cui fu uno dei simboli a causa della nota fotografia che lo ritraeva durante il trasferimento dal carcere al tribunale con gli schiavettoni ai polsi, venne completamente riabilitato nel 2004. Fra il 1994 e il 2001 è autore per la Rai di numerosi reportage e nel 2000 è fra i fondatori del partito La Margerita. Viene eletto deputato fra il 2001 e il 2013.
  38. Giorgio Moschetti (1946-2016). Esponente di spicco della corrente andreottiana della Dc a Roma, viene coinvolto nelle inchieste di Mani Pulite. Cassiere della Dc nel Lazio e senatore dal 1992 al 1994, gestisce i rapporti col patriarca di Mosca per conto di Andreotti durante il suo ultimo mandato da Presidente del Consiglio.
  39. Claudio Vitalone (1936-2008). Entrato nella Dc fin dal 1951, è senatore dal 1979 al 1994. Fra il 1989 e il 1993 ricopre le cariche di Sottosegretario di Stato del Ministero degli Affari Esteri e di Ministro per il Commercio con l’Estero.
  40. Giulio Maceratini (1938-2020). Allievo di Julius Evola e componente della delegazione di estremisti di destra inviati nella Grecia dei colonnelli nel 1968, venne eletto deputato dal 1983 al 1994 e, nuovamente, dal 2001 al 2006. Europarlamentare nel 1988, è stato eletto senatore dal 1994 al 2001.
  41. Domenico Contestabile (1937-2022). Avvocato, inizialmente iscritto al Partito Socialista Italiano, nel 1994 aderisce a Forza Italia. Eletto senatore dal 1994 al 2006, viene nominato Sottosegretario di Stato al Ministero di Grazia e Giustizia dal 1994 al 1995 e Vicepresidente del Senato dal 1996 al 2001.
  42. Massimo Villone (1944). Membro del Pci confluito dopo la Svolta della Bolognina nel Pds, è eletto senatore dal 1994 al 2008 prima nelle liste del Pds-Ds e successivamente, nella XV legislatura, nelle liste di Sinistra Democratica. Attualmente è professore emerito di diritto costituzionale presso l’Università Federico II.
  43. Silvio Berlusconi (1936). Noto imprenditore nel mondo delle telecomunicazioni vicino fin dal 1977 al Psi, nel 1993 scende formalmente in politica fondando nel 1994 il partito Forza Italia. Eletto deputato dal 1994 al 2013, ha ricoperto per quattro volte la carica di Presidente del Consiglio. Attualmente senatore in carica, è stato imputato in numerosi procedimenti giudiziari legati principalmente a corruzione, frode ed evasione fiscale.
  44. Cesare Previti (1934). Avvocato e presidente della Polisportiva Lazio dal 1990 al 1992, è stato uno dei primi esponenti di Forza Italia. Eletto senatore dal 1994 al 1996, ricopre la carica di Ministro della Difesa fra il 1994 e il 1995. Deputato dal 1996 al 2007, nel 2011 viene radiato dall’Ordine degli Avvocati e nel 2016 gli viene revocato il vitalizio parlamentare.
  45. Libero Gualtieri (1923-1999). Partigiano, iniziò la sua carriera nel Partito d’Azione per poi passare al Partito Repubblicano. Consigliere regionale in Emilia-Romagna dal 1970 al 1979, viene eletto senatore nello stesso anno mantenendo la carica fino al 1999. Dal 1988 fino al 1994 ricopre la carica di presidente della Commissione stragi.
  46. Irene Pivetti (1963). Deputata dal 1994 al 2001 per la Lega Nord, dal 1994 al 1996 è Presidente della Camera dei Deputati e dal 1999 al 2002 è nominata presidente dell’Udeur. Nel 2020 è protagonista di un procedimento giudiziario legato all’importazione dalla Cina di grandi quantitativi di mascherine di bassa qualità ad opera di un’azienda di proprietà della stessa Pivetti.
  47. Aldo Giannuli (1952). Storico, politologo e saggista, collabora in gioventù con numerosi quotidiani e riviste. Molto attivo nell’ambiente sindacale, dal 1994 al 2001 è consulente nelle Commissione stragi, periodo nel quale rinviene il noto archivio di via Appia collegato all’Ufficio Affari Riservati, e dal 2002 al 2006 è di nuovo consulente per la Commissione Mitrokhin. Ricercatore prima per l’Università di Bari e successivamente per quella di Milano, nel 2019 fonda il centro studi “Osservatorio Globalizzazione” divenendone il direttore.
  48. Luigi Saraceni (1937). Avvocato e magistrato, è stato fra i fondatori dell’associazione “Magistratura Democratica”. Eletto deputato per i Democratici di Sinistra dal 1994 al 2001, è stato difensore della figlia Federica coinvolta nell’inchiesta sulle nuove Br e arrestata per l’omicidio del giurista Massimo D’Antona.
  49. Salvatore Senese (1935-2019). Entrato in magistratura nel 1960, aderisce nel 1970 a “Magistratura Democratica”. Eletto prima deputato e poi senatore per il Pds tra il 1992 e il 2001, Senese diviene fino al 2010 presidente di sezione presso la Corte di Cassazione.
  50. Massimo D’Antona (1948-1999). Giurista, saggista e ordinario di diritto del lavoro presso l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e presso La Sapienza, fu dal 1995 al 1996 Sottosegretario ai Trasporti e, successivamente, consulente del Ministero del Lavoro. Venne assassinato dalle nuove Br il 20 maggio del 1999.
  51. Roberto Ruffilli (1937-1988). Politologo, è stato eletto senatore dal 1983 al 1988. Consigliere di Ciriaco De Mita sulle riforme istituzionali, viene assassinato dalle Br il 16 aprile del 1988.
  52. Ciriaco De Mita (1928-2022). Fin da giovane iscritto alla Dc, ne divenne segretario dal 1982 al 1989. Eletto deputato quasi ininterrottamente dal 1963 al 2008, è più volte europarlamentare fra il 1984 e il 2014. Nominato più volte ministro, ha ricoperto, fra il 1988 e il 1989, la carica di Presidente del Consiglio. Dal 2014 al 2022 è stato sindaco di Nusco.
  53. Lando Conti (1936-1986). Iscritto fin da giovane al Partito Repubblicano, è stato sindaco di Firenze fra il 1984 e il 1985. Il 10 febbraio del 1986 viene assassinato dalle Br.
  54. Ezio Tarantelli (1941-1985). Economista e ordinario di politica economica e finanziaria presso La Sapienza e l’Università di Firenze, è stato direttore della Banca d’Italia fra il 1970 e il 1973. Stretto collaboratore di Pierre Carniti, Segretario Generale della CISL dal 1979 al 1985, viene assassinato dalle Br il 27 marzo del 1985.
  55. Nadia Desdemona Lioce (1959). Trasferitasi da giovane a Pisa per studiare filosofia, nel 1995 entra in clandestinità, poco prima di una perquisizione della Digos nel suo appartamento. Arrestata il 2 marzo del 2003 in seguito a un conflitto a fuoco su un treno fermo nella stazione di Castiglion Fiorentino fra lei e il terrorista Mario Galesi da un lato e due agenti della Polfer dall’altro, Emanuele Petri morto nel conflitto a fuoco e Bruno Fortunato morto suicida nel 2010, viene condannata all’ergastolo in regime di 41-bis per gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi.
  56. Federica Saraceni (1969). Figlia del magistrato Luigi Saraceni, viene arrestata in seguito a una perquisizione nel suo appartamento durante la quale viene ritrovato un floppy disk contenente alcuni piani d’azione delle nuove Br e una fotografia della stessa Saraceni con il terrorista Mario Galesi. Condannata nel 2008 a ventuno anni di reclusione, dal 2009 è stata posta in detenzione domiciliare in considerazione della sua dissociazione dal terrorismo.
  57. Mario Galesi (1966-2003). Frequentatore degli ambienti dell’autonomia romana, nel 1997 viene arrestato per una rapina in un ufficio postale di Roma. Commutata la pena negli arresti domiciliari nel 1998, decide di rendersi irreperibile passando alla clandestinità. Esecutore materiale degli omicidi D’Antona e Biagi, nel 2003 muore a bordo di un treno fermo nella stazione di Castiglion Fiorentino in seguito a un conflitto a fuoco con i due agenti della Polfer Emanuele Petri, ferito a morte dallo stesso Galesi, e Bruno Fortunato.
  58. Marco Biagi (1950-2002). Giurista e ordinario di Diritto del lavoro vicino al Partito Socialista, negli anni Novanta è più volte consulente della Commissione Europea e di svariati ministeri italiani. Nominato nel 2001 consulente del Ministro del Welfare Roberto Maroni con lo scopo di redigere una riforma del mercato del lavoro, la legge 14 febbraio 2003, n. 30 emanata dal secondo governo Berlusconi, viene assassinato dalle nuove Br il 19 marzo 2002.
  59. Margherita Cagol (1945-1975). Fra i fondatori delle Brigate Rosse e moglie del terrorista Renato Curcio, nel 1970 entra in clandestinità insieme al marito assumendo il nome di battaglia “Mara”. Fra gli organizzatori e i partecipanti al sequestro del giudice Mario Sossi, nel 1975 la Cagol è a capo del commando brigatista che irrompe nel carcere di Casale Monferrato facendo fuggire il leader delle Br Renato Curcio. Il 5 giugno del 1975 presso la cascina Spiotta, nel territorio comunale di Melazzo in Piemonte, ingaggia uno scontro a fuoco con una pattuglia di carabinieri in perlustrazione uccidendo l’appuntato Giovanni D’Alfonso e, poco dopo, rimanendo uccisa essa stessa a causa dei numerosi colpi di arma da fuoco che l’avevano raggiunta.
  60. Renato Curcio (1941). Fra i principali fondatori delle Br e dal 1969 sposato con la terrorista Margherita Cagol, è stato il mandante dell’omicidio dei due militanti del Msi Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola. Avvicinato da Silvano Girotto, conosciuto con il nome di Frate Mitra e in quel momento collaboratore dei Carabinieri di Dalla Chiesa, Curcio viene arrestato nel 1974. Evaso dal carcere di Casale Monferrato nel 1975 grazie all’irruzione del commando brigatista guidato dalla moglie Margherita Cagol, Curcio è arrestato nuovamente nel 1976 assieme a Nadia Mantovani. Condannato a trent’anni, ne sconta ventiquattro uscendo dal carcere nel 1998 e dedicandosi in seguito alla scrittura.
  61. Carlo Donat-Cattin (1919-1991). Fin da giovane vicino alla Dc e fra i fondatori della Cisl, Donat-Cattin è leader della corrente di sinistra della Dc chiamata “Forze Nuove”. Eletto deputato dal 1958 al 1979 e senatore dal 1979 al 1991, ha presieduto svariati ministeri.
  62. Marco Donat-Cattin (1953-1988). Figlio del noto esponente della Dc Carlo Donat-Cattin, nel 1976 è fra i fondatori dell’organizzazione terroristica Prima Linea divenendone uno dei massimi dirigenti con il nome di “Comandante Alberto”. Arrestato a Parigi nel 1980 ed estradato in Italia nel 1981, Marco Donat-Cattin muore nel 1988 travolto da un’auto all’altezza del casello di Verona Sud lungo l’autostrada A4.
  63. Aldo Moro (1919-1978). Fra i fondatori della Democrazia Cristiana e membro dell’Assemblea Costituente, fu il fondatore della corrente di sinistra della Dc chiamata “Morotea”. Eletto deputato dal 1946 al 1978, è segretario della Dc fra il 1959 e il 1964 e presidente del partito dal 1976 al 1978. Più volte ministro e in due occasioni Presidente del Consiglio, Aldo Moro è rapito dalle Br il 16 marzo del 1978 e, dopo cinquantacinque giorni di prigionia, viene assassinato dai brigatisti il 9 maggio del 1978.
  64. Alberto Franceschini (1947). Entrato fin da giovane nella Fgci, se ne allontana nel 1969 per divenire uno fra i fondatori e membro di spicco delle Br. Entrato in clandestinità nel 1971, organizza e partecipa al rapimento del giudice Mario Sossi ed è fra i mandanti dell’omicidio dei due militanti del Msi Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola. Arrestato nel 1974 riceve pesanti condanne che vengono attenuate per via del suo pentimento ritenuto autentico. Rilasciato nel 1992, dieci anni dopo stringe un legame di amicizia con Silvano Girotto, conosciuto con il nome di “Frate Mitra”, artefice dell’arresto di Curcio e dello stesso Franceschini nel 1974.
  65. Gabriele Chelazzi (1944-2003). Entrato in magistratura nel 1975, coordina le indagini sul terrorismo rosso a Firenze e sulle autobombe del 1993-1994. Entrato a far parte del distaccamento fiorentino della Direzione Nazionale Antimafia, vi lavora fino al 2003.
  66. Armando Spataro (1948). Entrato in magistratura nel 1975, Spataro si occupa di terrorismo rosso e, fra il 1991 e il 1998, entra nella Direzione Distrettuale Antimafia conducendo indagini su Cosa Nostra e ‘ndrangheta. Entrato nel pool di Mani Pulite nel 1994, dal 1998 al 2002 diviene membro del Consiglio Superiore della Magistratura per poi, in seguito, dedicarsi alla saggistica.
  67. Giovanni Senzani (1942). Docente presso le università di Firenze e Siena, è stato consulente del Ministero di Grazia e Giustizia. Esponente di punta delle Br, ne assunse la direzione dopo l’arresto di Mario Moretti. Responsabile del sequestro e dell’omicidio di Roberto Peci, fratello del primo pentito delle Br Patrizio Peci, e del sequestro dell’assessore della Dc Ciro Cirillo, eseguito in collaborazione con la camorra con la quale venne spartito il riscatto, è arrestato nel 1982. In semilibertà dal 1999, nel 2010 ottiene la piena libertà.
  68. Ciro Cirillo (1921-2017). Esponente della corrente Dc “Azione popolare”, Cirillo è stato segretario della provincia di Napoli per la Dc e, fra il 1969 e il 1975, presidente della stessa. Presidente della Regione Campania dal 1979 al 1980. Il 27 aprile del 1981 venne rapito dalle Br e rilasciato il 24 luglio dello stesso anno in seguito al pagamento di un riscatto di un miliardo e quattrocento milioni di lire.
  69. Roberto Peci (1956-1981). Fratello minore di Patrizio, anch’egli è vicino agli ambienti dell’estrema sinistra di San Benedetto del Tronto senza mai passare alla lotta armata. Rapito dalle Br il 10 giugno 1981 in seguito al pentimento di suo fratello Patrizio, venne assassinato dai brigatisti, esattamente come Aldo Moro, dopo cinquantacinque giorni di prigionia e con undici colpi di pistola.
  70. Patrizio Peci (1953). Entrato nelle Br nel 1976, diviene uno dei massimi esponenti della colonna torinese. Arrestato nel 1980, collabora con la giustizia divenendo il primo pentito delle Br e rendendo possibile l’individuazione del covo di via Fracchia a Genova. Fratello di Roberto, assassinato dalle Br come ritorsione per le sue rivelazioni, Patrizio Peci riceve una condanna a otto anni di reclusione terminati i quali ha cambiato nome andando a vivere in una località segreta.
  71. Umberto Bonaventura (1939-2002). Carabiniere della divisione Pastrengo, ex braccio destro del generale Dalla Chiesa e dirigente del Sismi, è stato a capo della sezione milanese del nucleo speciale investigativo istituito dallo stesso Dalla Chiesa nel 1978 e ha partecipato alle indagini sui principali casi degli anni di piombo fra cui l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, la strage di Peteano, il delitto Moro e la lotta al terrorismo rosso.
  72. Ferdinando Pomarici (1942). Magistrato, ha diretto l’antiterrorismo e la Direzione Investigativa Antimafia di Milano. Ha partecipato alle indagini sul covo brigatista di via Montenevoso a Milano, sull’omicidio di Luigi Calabresi e sul sequestro dell’imam Abu Omar.
  73. Tindari Baglione (1943-2015). Entrato in magistratura nel 1970, è sostituto procuratore e procuratore dal 1976 al 2015 fra Firenze, Roma e Pistoia.
  74. Franco Piperno (1943). Iscritto e poi espulso dal Pci, è fra i fondatori del gruppo della sinistra extraparlamentare Potere Operaio attivo fra il 1967 e il 1973 e responsabile dell’attentato conosciuto come Rogo di Primavalle. Mediatore durante le trattative per il rilascio di Aldo Moro, Piperno viene coinvolto nel processo 7 aprile divenendo latitante in Francia per sfuggire alla condanna. Rientrato in Italia una volta prescritta la pena, diviene professore di fisica della materia presso l’Università della Calabria e assessore presso il comune di Cosenza.
  75. Mario Moretti (1946). Membro delle Br dal 1971, entra in clandestinità nel 1972 e, grazie alle sue spiccate capacità organizzative, diviene il massimo dirigente delle Brigate Rosse fra il 1976 e il 1981. Artefice della creazione delle colonne romana e genovese delle Br, capo del commando brigatista che uccise il magistrato Francesco Coco e ideatore del sequestro dell’industriale genovese Pietro Costa, è il principale responsabile della pianificazione ed esecuzione del sequestro e omicidio di Aldo Moro. Arrestato nel 1981, per le sue azioni è condannato a sei ergastoli.
  76. Giorgio Forattini (1931). Vignettista e giornalista, inizia la sua attività nel 1971. Collabora con numerosi quotidiani e riviste fra cui “Paese Sera”, “Panorama”, “La Stampa” e “La Repubblica” disegnando alcune fra le più discusse vignette di satira politica d’Italia.
  77. Armando Cossutta (1926-2015). Partigiano e storico membro del Pci fin dal 1943, è stato uno degli esponenti più importanti della corrente pro-Urss all’interno del Pci chiamata “cossuttiana”. Eletto più volte come deputato e senatore fra il 1972 e il 2008, è stato fortemente ostile all’eurocomunismo sostenuto dal segretario del Pci Enrico Berlinguer. Contrario alla Svolta della Bolognina, fu fra i fondatori del Partito della Rifondazione Comunista divenendone presidente fra il 1991 e il 1998. Confluito nel Partito dei Comunisti Italiani nel 1998, ne divenne segretario dal 1998 al 2000 e presidente dal 1998 al 2006.
  78. Enrico Berlinguer (1922-1984). Iscritto al Pci fin dal 1943, contribuisce nel secondo dopoguerra alla ricostituzione della Fgci di cui diviene segretario fra il 1949 e il 1956. Dal 1962 responsabile della sezione esteri della segreteria del Pci, nel 1972 diviene segretario nazionale del partito mantenendo tale carica fino alla morte nel 1984 e divenendo famoso nel panorama politico nazionale e internazionale per il processo di allontanamento dall’Urss e l’ideazione di un modello alternativo di comunismo chiamato “eurocomunismo”.
  79. Viktor Zaslavskij (1937-2009). Storico di origini russe, è stato ordinario di sociologia politica presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma. Esperto dei rapporti fra il Partito Comunista Italiano e Partito Comunista dell’Unione Sovietica, è stato consulente della Commissione stragi, autore di numerosi saggi e collaboratore per alcune note testate italiane fra cui “Il Messaggero”.
  80. Marco Minniti (1956). Iscrittosi alla Fgci nel 1973, aderisce alla Svolta della Bolognina e dal 1992 al 1994 è segretario regione del Pds in Calabria. Più volte eletto deputato fra il 2011 e il 2021, è in due occasioni nominato Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sottosegretario di Stato al Ministero della Difesa fra il 2000 e il 2001, è Viceministro dell’Interno durante il secondo governo Prodi e Ministro dell’Interno dal 2016 al 2018.
  81. Oliviero Diliberto (1956). Iscrittosi alla Fgci nel 1974, non aderì alla Svolta della Bolognina passando a Rifondazione Comunista. Eletto deputato dal 1994 al 2008, è nominato Ministro di Grazia e Giustizia dal 1998 al 2000 durante i governi D’Alema I e II. Dal 2000 al 2013 ricopre la carica di segretario nazionale del Partito dei Comunisti Italiani.
  82. Valter Bielli (1949). Esponente del Pci ostile alla Svolta della Bolognina, è fra i fondatori del Partito della Rifondazione Comunista. Eletto deputato dal 1994 al 2006, è stato membro della Commissione stragi e Segretario della Camera dei deputati fra il 1995 e il 1996.
  83. Alfredo Mantica (1943). Eletto al Senato nel 1987 nelle file del Msi e rimasto in carica nelle successive legislazioni fino al 2013. È stato membro della Commissione stragi e Sottosegretario del Ministero degli Affari Esteri nei governi Berlusconi II e III.
  84. Claudio Petruccioli (1941). Iscrittosi al Pci nel 1959, è giornalista professionista dal 1975 divenendo direttore de “L’Unità” fra il 1981 e il 1982. Dopo numerosi incarichi nelle federazioni abruzzesi e milanesi del Pci e dopo aver ricoperto la carica di segretario della Fgci dal 1966 al 1969, viene eletto deputato a più riprese fra il 1983 e il 1994. Favorevole alla Svolta della Bolognina, è eletto senatore per il Pds-Ds fra il 1994 e il 2005. Presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza Rai dal 2001 al 2005, è presidente della Rai fra il 2005 e il 2009.
  85. Federico Umberto D’Amato (1919-1996). Entrato in Polizia durante il secondo conflitto mondiale, collabora per anni prima con l’Oss e, successivamente, con la Cia. Entrato all’interno dell’ufficio politico della questura di Roma subito dopo il conflitto, nel 1959 entra nell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno divenendone in poco tempo il dirigente più importante e influente. Coinvolto in numerosi fatti degli anni di piombo come l’operazione manifesti cinesi e le stragi di piazza Fontana e Brescia, nel 1974 viene trasferito alla Polizia di Frontiera dal Ministro dell’Interno Taviani. Gastronomo e firma della guida di cucina dell’Espresso, comparve fra gli iscritti alla loggia P2. Andato in pensione nel 1984 e deceduto nel 1996, nel 2022 viene riconosciuto da tribunale di Bologna fra i mandanti e organizzatori della strage di Bologna.
  86. Francesco Cossiga (1928-2010). Iscrittosi alla Dc nel 1945 a soli 17 anni, diviene ordinario di diritto costituzionale all’Università di Sassari. Eletto deputato dal 1958 al 1983, ha ricoperto in più occasioni la carica di ministro, in particolare Ministro dell’Interno durante il rapimento Moro, ed è stato presidente del Senato dal 1983 al 1985. Nominato Presidente del Consiglio fra il 1979 e il 1980 e Presidente della Repubblica dal 1985 al 1992, è il referente politico dell’Organizzazione stay behind “Gladio”. Senatore a vita dal 1992 fino al 2010, nel 1998 fonda l’Unione Democratica per la Repubblica che si scioglie l’anno successivo.
  87. Giovanni Fasanella (1954). Giornalista per il quotidiano “L’Unità” dal 1975 al 1987 dove si occupa di terrorismo, nel 1988 passa a “Panorama” rimanendovi fino al 2013. È autore di numerosi documentari e saggi fra cui La guerra civile, Il Golpe Inglese e Il libro nero della Repubblica Italiana.
  88. Fulvio Martini (1923-2003). Arruolatosi in Marina durante il secondo conflitto mondiale, diviene ammiraglio della Marina Militare Italiana e, dal 1984 al 1991, direttore del Sismi. Collabora con il primo governo Craxi durante la crisi connessa al sequestro del transatlantico Achille Lauro.
  89. Santiago Nasar. Personaggio di fantasia del romanzo Cronaca di una morte annunciata di Gabriel García Márquez.
  90. Guido Salvini (1953). Magistrato impegnato fin dall’inizio nelle indagini contro le formazioni terroristiche rosse e nere, a partire dalla fine degli anni Ottanta inizia a occuparsi delle principali stragi del periodo 1969-1974 e del golpe Borghese fornendo un’interpretazione del periodo innovativa e basata sulle logiche della Guerra Fredda. Consulente per la Commissione stragi e per la Commissione antimafia, a partire dal nuovo millennio partecipa alle indagini sul rapimento dell’imam Abu Omar e ai processi contro le nuove Br.

Questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International. Copyright (c) 2023 Alessandro Trabucco