Bibliomanie

Psichiatria e sport. La prospettiva antropofenomenologica: il gesto del corpo nella costituzione del Leib
di , numero 52, dicembre 2021, Note e Riflessioni, DOI

Psichiatria e sport. La prospettiva antropofenomenologica: il gesto del corpo nella costituzione del <em>Leib</em>
Come citare questo articolo:
Eva Rizzuti, Psichiatria e sport. La prospettiva antropofenomenologica: il gesto del corpo nella costituzione del Leib, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 52, no. 17, dicembre 2021, doi:10.48276/issn.2280-8833.9650

Nel considerare lo sport come un’attività motoria competitiva, strutturata e sottoposta a regole ci riferiamo a quell’insieme di gesti armonici e finalizzati in cui il corpo si plasma e si trasfigura, ed altresì al corpo come gesto, o meglio al corpo come autore del gesto. Per essere più precisi: non il corpo dispone di gesti, ma i gesti generano un corpo dalla greve immobilità della carne1; i gesti, rivestendo il corpo della loro grazia, lo sottraggono all’osceno della ‘massiccità’ della carne che ha soggiogato l’alata motilità del gesto.
Trascendere l’immobilità della carne, il Körper, affrancarsi dalla sua cattività, librarsi dal fardello del suo peso mortale, dalle tenebre del suo isolamento per il tramite della levità e del piacere del gesto, significa accedere al Leib ed al suo tematizzarsi intenzionale, al suo temporalizzarsi nell’indissolubile rapporto originario Io-Mondo.
È in seno a tale intenzionarsi che la mera corporeità diviene Dasein, presenza; diviene altresì un Io coinvolto nel mondo, che – disoccultandosi dalla fossilizzazione e dal congelamento (Erstarrung) di ogni sua declinazione ontica – può articolarsi nelle sue potenzialità esistentive e nella sua espressività, può trasfigurare l’esperienza mondana (Erfahrung) nell’esperienza eidetica (Erlebnis) della presentificazione.
Così il Körper giace enigmaticamente condannato alla percezione di un Sé come massa smondanizzata, minacciosa, deforme, paralizzata, e come tale soggetta alla contingenza, alla dissoluzione e alla corruzione.
È per questa via che il corpo si fa simbolo sovradeterminato della passività dell’anima, la quale – così derubata alla soggettività, alla libertà, alla pienezza, alla trasparenza – diviene tomba che ci esilia dal mondo, ci depresentifica ad esso: così il Körper che ha assunto le qualità della materia inanimata, dura, pesante, opaca, rinvia al paradigma di un oggetto assoluto e persecutore che ricaccia la coscienza intenzionale nell’annientamento radicale e nel depresentificarsi alla mondanità.
Di qui si profila un’inquietante successione di piani, e parallelamente la graduale metamorfosi (Verwandlung) in seno ad una nota continuità simbolico-archetipologica2: il corpo contaminato, invaso, infestato, diviene il corpo posseduto; e il corpo posseduto diviene lo stesso δαίμων che lo possiede.
Una malata, che chiameremo Lucia, dapprima “aveva sentito sullo stomaco un peso”, poi “un verme che vi si muoveva”, poi “la presenza del Diavolo”; infine ella stessa era il Diavolo3. Il peso si trasforma in verme, il verme in Diavolo; tale catàbasi dell’essere verso l’archetipo demoniaco della caduta avviene lungo le tre epifanie dell’angoscia umana nei tre volti immaginari del Tempo, che da parte loro rinviano alle tre costellazioni simboliche del regime diurno dell’immaginario: a) nictomorfa, b) teriomorfa, c) catamorfa.

a) Simboli nictomorfi quali l’acqua nera e le tenebre non sono più il ricettacolo del Male, bensì la sua medesima sostanza: il Male acquista corpo e peso, diviene la sostanza impura e malefica che calamita tutti gli avvaloramenti negativi del volto nictomorfo del tempo.

b) L’immagine dinamica della teriomorfia è il brulichio: gli animali impuri che strisciano, si trascinano o brulicano, sono i vermi del regno dei sepolcri compagni della morte e del Chaos.

c) La quintessenza vissuta di tutta la dinamica delle tenebre è la caduta, e con essa i simboli della costellazione catamorfa: Lucifero, il principe degli spiriti impuri precipitati dal Cielo, simboleggia la caduta morale; la sostanza cade, e nel cadere si fa più massiccia, più pesante, più colpevole.

In seno a tale continuum simbolico-archetipologico si evidenzia la metamorfosi graduale che dal peso conduce al Diavolo passando per il verme; o dal corpo vivente (Leib) al corpo reificato (Körper) al cadavere (Leich), con tutte le valenze malefiche connesse.
Ma alle tre epifanie dell’angoscia umana dinanzi al divenire il regime manicheo dell’immaginario oppone un simbolismo simmetrico che funge da contrappunto e da exorcisma: il simbolismo simmetrico della fuga davanti al tempo, della vittoria sul destino e sulla morte attraverso gli omologhi antitetici delle raffigurazioni ascensionali, luminose, diairetiche4. Così pure l’isomorfismo del nero, del tenebroso, dell’impuro corrisponde a quello del celeste, del luminoso, del puro e alla loro convergenza in uno.
Circa il nostro tema, così come l’ascensione si contrappone punto per punto alla caduta ed ai simboli luminosi quelli tenebrosi, così lo Spirito si contrappone puntualmente alla Carne5.
Lo Spirito – altissimo, sfolgorante e diafano; innocente e puro; celestiale, semplice ed incorporeo; indissolubile e incorruttibile; luminoso, regale, infinito, eterno – è la forza rapida, verticale e ascendente che istruisce l’uomo contro il destino, la caduta, la morte.
Ma la Carne è la ὕλη cattiva con cui l’anima è conglomerata, il contingente, il molteplice, il cusato, il non-eterno, il corruttibile; che come corpo nasce, invecchia e muore. Ineluttabilmente posto nel qui-e-ora, ci deruba della soggettività, della purezza; è la prigione-tomba che ci segrega dal mondo, ci cattura e seduce all’empia e fatale rivolta contro lo Spirito6.

Questi i termini di un linguaggio atto a cartografare l’itinerario attraverso il quale il Körper si affranca dalla cattività del suo peso mortale per accedere al Leib ed al suo gesto; per descrivere come il corpo che si intenziona nel gesto e nella sua grazia divenga leggero, alato, diafano, e come la mobilità del gesto ci presentifichi ad una apertura (o riapertura) sull’insediamento mondano, al riaffermarsi dell’Io smondanizzato come Dasein, ed infine alla salvazione esistenziale.
In questi stessi termini la psichiatria antropofenomenologica ha espresso il tradizionale rapporto Mente-Corpo come rapporto Mondo-Corpo, volendo in tal modo sottolineare la consustanzialità Io-Mondo, nonché – su un piano parallelo – l’originaria apertura del Corpo al Mondo ed il suo intenzionarsi in esso. Ciò che suggerisce come il corpo possa configurare l’oggetto psichico per eccellenza.
Esprimere la relazione corpo-anima come relazione corpo-mondo equivale anche ad interpretare la dinamica gestuale come risposta del corpo ad un mondo che lo impegna, che dispiega in egual misura lo spazio occupato dal corpo e quello occupato dagli oggetti.
Diremo di più con Jaspers7: il corpo non è solo relazionato al mondo ma è “parte del mondo”, ed altresì l’unica parte del mondo che venga simultaneamente sentita dall’interno e percepita alla superficie; talché i gesti del corpo, i suoi movimenti, trovano il loro luogo e la loro posizione in ordine a precedenti impressioni del corpo in quanto presenti, inosservate, nello schema corporeo.
Così il gesto non è solo un fenomeno motorio nel quale sbocca ogni evento psichico, ma rappresenta altresì un momento creativo del corpo nel mondo, l’ideogramma del “corpo senza carne”8: nel movimento il corpo crea la propria immagine, il proprio schema, e per il tramite di questi si mondanizza.
Che ad ogni stato psichico corrisponda un assetto gestuale è un fatto banale solo in apparenza: l’odio e l’amore, la tristezza e la gioia si esprimono con gesti singolari; nelle psicosi si osservano caratteristiche alterazioni della gestica: talora scomposte e disorganizzate, talaltra scolpite in pittoresche raffigurazioni.
In virtù di tali elementi, si può iniziare a comprendere per quale via un gesto strutturato, potente, armonioso come quello che può vedersi in un’attività agonistica non è un accadimento rivelatore di un mero ordine prestazionale, bensì il manifestarsi di un piano somatico che da un lato attinge a uno stato psichico sotteso, dall’altro si dischiude al mondo di cui fa parte. E ciò precisamente come Leib o corpo vivente che, sublimandosi e trasfigurandosi9 nel gesto, vi si azzera e diviene il gesto; come Leib che facendosi gesto incarna l’atto volontario che lo ha generato, la libertà e la pienezza dell’anima, la grazia alata che appartiene allo Spirito inteso come il creatore di forme, ordine e distinzioni. Inteso come il principio attivo di elevazione, catarsi, ascesa al livello sovrumano della trascendenza e della purezza, ma anche sacrificio ascetico di incarnazione10, nel reale progettarsi della presenza nella miseria dell’umana finitudine.

Note

  1. GRIECO F. – PASTORE C. – VIVARD E., La carne trasfigurata: note per una cura fenomenologica delle dipendenze, in “Comprendre” (2018), pp. 27-30.
  2. DURAND G., 1963. Le strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale; trad. it. Dedalo, Bari, 1972.
  3. CALVI L., Il consumo del corpo. Esercizi fenomenologici di uno psichiatra sulla carne, il sesso, la morte, Mimesis, Milano, 2007.
  4. Tale paradigma si trova perfettamente esemplato nell’oratorio Il trionfo del tempo e del disinganno , libretto del cardinale Benedetto Pamphilj, musica di Georg Friedrich Händel; prima versione: HWV 46a (Roma 1707).
  5. RIZZUTI E., 1999. Uomo colpevole e Uomo tragico: figure della malattia mortale, postfazione a: La carne e lo spirito. Poesia morale e spirituale francese del Cinquecento, a cura di D. Monda, Società Editrice Il Ponte Vecchio, Cesena, 1999, pp. 281-285.
  6. RIZZUTI E., L’ideale della purezza nell’immaginario anoressico: antropoanalisi e fenomenologia del sacro, in La maledizione del cibo: le ragazze anoressiche e la coesistenza impossibile col corpo, a cura di M. Bellini, CLUEB, Bologna, 2010.
  7. JASPERS K., 1946. Allgemeine Psychopathologie; trad. it. Psicopatologia generale, Il Pensiero Scientifico, Roma, 2000.
  8. CALLIERI B., Dimensioni antropologiche della psicopatologia della corporeità, in Id., Percorsi di uno psichiatra, EUR, Roma, 1993.
  9. GALIMBERTI U., 1983. Il corpo. Antropologia, psicoanalisi, fenomenologia, Feltrinelli, Milano, 2013.
  10. RICOEUR P., 1960. Finitudine e colpa; trad. it. il Mulino, Bologna, 1970.

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