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Appunti storico-critici sulla Via Francigena
di , numero doppio 46/47, luglio 2018/giugno 2019, Note e Riflessioni,

Appunti storico-critici sulla Via Francigena
Come citare questo articolo:
Luca Petroni, Appunti storico-critici sulla Via Francigena, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 47, no. 11, luglio 2018/giugno 2019

Questa strada è una delle più antiche e celebri d’Europa e,come poche altre,ha contribuito a mantenere un legame fisico,economico, culturale e spirituale fra i popoli del vecchio continente; infatti, tradizionalmente, essa ha rappresentato il percorso per chi intendeva recarsi dalle isole Britanniche, dai Paesi nord-europei e dalla Francia verso Gerusalemme, attraverso l’Italia, la Grecia, la Turchia il Libano e la Siria o tramite il Mediterraneo. Successivamente (VIII-XV secc.),dopo la occupazione della Terra Santa da parte degli eserciti islamici, la Via Francigena convergeva su Roma divenuta, ormai, la capitale del Cristianesimo.
Talepercorso risultava caratterizzato da varie diramazioni imputabili a molteplici variabili: alle esigenze meteo e stagionali, all’affidabilità del selciato e dei singoli ponti, alla sicurezza intesa come sanità e incolumità personali, alla ospitalitàdei luoghi di posta. Comunque –dal VII° secolo –il tragitto dal passo del Gran San Bernardo verso Pavia e da qui, tramite il passo della Cisa, verso Lucca (legate,poiché entrambe capitali di ducati longobardi) era divenuto quello tradizionale per commercianti, pellegrini, militari, sovrani, funzionari, monaci e prelati. Pertanto possiamo già annotare chi percorreva le strade consolari romane, recuperandole progressivamente, a partire dall’alto medioevo; nonché individuare quelle ramificatesi daquesta viabilità più antica o quelle di raccordo fra tratti di questa. Le nuove direttrici longobarde, ovvero franche, si erano poi aggiunte e consolidate a quelle etrusche e romane divenendo il principale tracciato dal IX° secolo.
Da questo periodo, anche altri soggetti le utilizzavano e si muovevano per motivi strettamente personali: religiosi o penitenziali, cioè i pellegrini.
Riguardo a uno specifico sviluppo turistico –sospinto da interessi ambientali, culturali e spirituali –poniamoci alcuni quesiti.
Questi ultimi esistono ancora? Costituiscono un consistente spicchio di turisti? Configurano un turismo potenziale ma diverso da quello di mero svago, piacere o divertimento?
Si può rispondere che i pellegrini esistono ancora e, da qualche decennio,risultano in aumento anche in Italia, malgrado alcune carenze organizzative rilevabili anche lungo il percorso della Via Francigena;inoltre presentano sicuramente caratteristiche proprie.
Primo: il pellegrino è un turista spesso inquieto e distaccato; infatti, è propenso a disinteressarsi verso quei fattori di abituale consumo che comportano lucro con il turista normale, mentre tende a esaltare aspetti immateriali che sembrano a molti non avere un mercato e un correlato prezzo.
Conseguentemente, dunque,tali aspetti appaiono –agli occhi di enti pubblici come a quelli d’imprenditori privati –privi di un potenziale valore giustificativo di investimenti. Inoltre, esso tende aspostarsi solitario o in microgruppi,nonché a curiosare autonomamente; tuttavia, anche ogni turista di questo tipo tende a condividere il ricordo e quindi a pubblicizzare il percorso effettuato presso chi reputa di certo interessato a un viaggio analogo.
Secondo: il pellegrino (spesso solitario) o la pellegrina (sovente in compagnia) tendono ad avere una propensione al consumo posticipata; cioè a gestire le risorse con parecchia parsimonia nel viaggio di andata, ma a ripetere il medesimo percorso -al ritorno o in futuro -con l’intenzione di goderselo maggiormente: selezionando i luoghi meritevoli di una seconda visita dove trattenersi per motivi immateriali o materiali; quindi, talvolta, a spendere assai di più.
Cioè il pellegrino contemporaneo mostra una condotta inversa rispetto a quella del pellegrino medioevale: questo spendevae non disdegnava di cadere in tentazione prima di arrivare a Roma dove doveva provvedere alle penitenze e a ripulire l’anima; poi, da serbare il più possibile candida. Quelloattuale, invece,tende a risparmiare inizialmente per poi godersi al meglio i luoghi o i servizi offerti sulla strada di ritorno oppure durante la ripetizione anche parziale del primo viaggio.
Terzo: qual è il turista contemporaneo più simile alcosiddetto pellegrino rivolto e mosso, in primis, per soddisfare esigenze spirituali, culturali o ambientali? Si può ritenere assai simile ogni personaparticolarmente interessata ai beni considerati immateriali; forse può essere considerato simile al pellegrino almeno dal punto di vista economico e all’entusiasmo. e, naturalmente, non si puòtrascurare altri tipi di esigenze come incontrare guide preparate e plurilingue; beneficiando così di visite guidate a palazzi o a musei; ovvero assistere durante le soste a rievocazioni storiche meglio se accompagnate dalle tradizioni enogastronomiche del luogo, magari in locali tipici; oppure, acquisire cognizione su dove reperire prodotti artigianali, eventualmente anche di lusso, poiché il mercato è vario e l’offerta stimola la domanda e la correlata circolazione di denaro.
Infine, non va trascurato ilcosiddetto benessere psicofisico che non disdegna, anzi auspica o esige di trovare servizi aggiuntivi: dalla fontanella antica all’osteria di qualità, dalla sicurezza del percorso alla ospitalità e gentilezza diffuse; dai servizi tecnologico-informatici aquelli di assistenza fisica (per esempio, una Spa) o di trasporto (dal meccanico per bici o auto, alla prossimità della stazione ferroviaria).
Tenuti presenti questi accenni, consideriamo adesso la via Francigena –quale museo diffuso –nel tratto storicamente identificato tra Fucecchio, Lucca e la Versilia.
Rivolgiamo lo sguardo, dunque, a questo tracciato storico che possiamo considerare in fase di recupero e di valorizzazione; soprattutto se lo si abbina ai beni immateriali (architettonici, culinari, geologici, paesaggistici, religiosi, storici e ambientali) che lo fiancheggiano e caratterizzano da secoli; ciò in prospettiva di trarre dalle note documentarie, medioevali o più recenti, anche qualche spunto per concretizzare la via Francigena (o Romea o Francesca-romana) in una sicura e rilevante risorsa turistica a nostra riguardosa e conveniente disposizione.
Come testé accennato, la via Francigena è una delle strade costruite e più spesso riadattate per giungere a Roma già durante l’alto Medio-evo.
In particolare, qui si richiama un tratto del percorso descritto –tappa dopo tappa e per ordine papale –da Sigerico, durante il viaggio di rientro a Canterbury da Roma, dove si era recato per ricevere la investitura di arcivescovo di Canterbury dal Papa Giovanni XV (900-904).
Sigerico aveva effettuato circa 1800 chilometri suddividendoli in 180 tappe, frazionate in tratti di circa 30-40 km, percorso accuratamente diurno: infatti, occorreva essere protetti prioritariamente rispetto ai briganti e inoltre trovare soste dove alimentarsi, riposarsi e in condizioni protette: cioè all’interno di chiese, conventi, spedali o abbazie. Tali aree di comunità erano sparse ogni 5\10 km sui circa 340 km toscani della Via Francigena e il percorso risultava descritto ancheda successivi e attendibili viaggiatori,nonché più volte confermato da resoconti di chi si recava o proveniva dalla Francia, sin dai tempi dei Burgundi, dei Franchi di Carlo Magno e dei Longobardi.
Ma conviene ora offrire qualche cenno anche turistico per meglio comprendere il percorso dall’Arno a Lucca,e daqui alla Versilia.
Il percorso offriva due soluzioni: una in linea quasi retta di circa 21\22 km e un’altravia Altopascio di circa 30\32 km. Spesso, questa–benché più lungae semi-collinare –era quella preferita,poiché così ogni viandante evitava la zona nebbiosa e palustre: infatti, essa comportava il rischio di sperdersi nella palude nonchédi contrarre la malaria o infezioni provocateda insetti o altri animali; inoltre, essa era genericamente definita “acque scure”, poiché finiva sotto le acque fangose durante i mesi più piovosi.
Adesso, i lembi più umidi dei due Paduli di Bientina e di Fucecchio, progressivamente prosciugati dal Granducato di Toscana e dal Ducato di Lucca, ospitano una dozzina di interessanti e differenti oasi naturali; per cui si può invitare a lasciare la strada collinare e percorrere le vie o viottoli attrezzati per visitare le medesime. In effetti, ormai, non è più necessario optare per il percorso rialzato se non per approfittare delle osterie conosciuteda secoli: infatti, in una nota a cavallo del XII secolo, il vescovo Anselmo di Lucca consigliava di percorrerequesto tratto poiché sviluppatosi fra l’ospitale in località San Ginesio (presso un ponte sull’Arno, da secoli scomparso) e quello di Altopascio; questi, all’epoca, erano già stimati i migliori per sicurezza (erano in mano ai Cavalieri del Tau), pulizia, assistenza sanitaria sia pur medioevale, buon cibo (pane bianco o pane nero, sciocco o salato: per poveri oricchi).
Ovviamente, tali notizie circolavano già allora comportando soste più o meno numerose; quindi, valevano più o meno introiti per quella struttura ricettizia. Sicuramente, poiché documentato, un sistema di ospitalità diffusa e organizzata era presente dentro Lucca: qui fra il 720 e il 767 oltre dieci xenodochi(foresterie) erano stati costruiti e dove molti pellegrini potevano beneficiare di alloggi anche gratuitamente; oppureriposare in stanze a pagamento dove ricevevano anche un servizio e un alloggio separato da quelli collettivi (la suitedell’epoca…).
Inoltre, presso i siti più importanti odobbligatori per i viaggiatori (valichi, dogane, incroci prioritari, ponti su fiumi o navi a cordaper varcarli, porti interni etc.), alcune torri erano state edificate e mantenute efficienti: per essere vedute come segnaletica dai viandanti, per controllare il territorio, per suonare un richiamo in caso di nebbia, per alloggiare soldati e bocche da fuoco, per offrire il servizio di piccioni viaggiatori o per lanciare segnali di fuoco o di fumo –il “servizio Inernet”sino al XIX° secolo, come risaputo).
Lucca aveva beneficiato anche di un’altra attrattiva religiosa e quindi “turistica” durante il medioevo,periodo in cui il sentimento religioso e la riflessione metafisica erano particolarmente sentite e diffuse. Quella era riconosciuta nella celebre statua del Volto Santo, presunta opera di Nicodemo e giuntasu una nave misteriosa la quale aveva attraccato soltanto dopo l’arrivo del vescovo lucchese al porto di Luni e da qui trasferito, intorno al 1000, nel Duomo di Lucca.
Sigerico e i successivi pellegrini e viandanti, dopo aver lasciato Lucca, erano costretti ad attraversare il fiume Serchio, probabilmente allora in un alveo non ancora regimentato e assai diverso dall’attuale. Superata la riva destra, chiunque doveva scegliere,quale variante della Via Francigena,didirigersi verso Camaiore e la Versilia. Come già segnalato, infatti, è corretto fare riferimento alle Vie Francigene, cioènon a un unico percorso prioritario fra le città principali, ma a un fascio di strade che, ondeevitare briganti o gabelledoganali (sino al XVIII° secolo, almeno sette fra l’Arno e Pontremoli, via Luni), oppure al fine d’indirizzarsi verso ospitali meno onerosi,risultavano riutilizzate o prescelte per i motivi sopra indicati o per esigenze contingenti.
Occorre evidenziare come il percorso per quel tratto della via Francigena si suddividesse,e si suddivide tuttora,in più alternative: di certo almeno tre.
5La prima percorreva probabilmente la via più diretta, quella del torrente Freddana, la cui valle in inverno risultava quasi gelida. Un’altra variante, parallela a essa verso sud-ovest, lungo la valle del torrente Contessora, si era sviluppata percorrendo il tracciato quasi sul crinale: probabilmente questa era la più frequentatapoiché distante dalle paludi, dai canali, dai laghi, dagli stagni della Versilia e sufficientemente protettadalla malaria, dai briganti e dai pirati.
Infine, la terza più assolata e pianeggiante –adesso preferita dal cicloturismo –costeggiava le colline fra Lucca e la Versilia, ma non risultava abbastanza protetta neppure dalle torri costiere Matilde, Motrone, Strettoia e Montignoso, benché distanti tra loro meno di 10 chilometri; le quali,tuttora quasi integre, potrebbero costituite un polo di attrazione storico turistica.
Giovanotarecome Pisa e Firenze risultasseroescluse: la prima decaduta e attraversata dalla quasi abbandonata via Aurelia, causa pirati e malaria; la seconda fuori dal circuito sino al ‘200, però capace di imporre, già nel ‘300,la direttrice Poggibonsi-Firenze-Verona-Brennero-Baviera): gli ultimi assalti delle navi “moresche” sono stati documentati sino al XVIII secolo inoltrato ed erano stati debellati soltanto dopola collocazione di armi da fuoco potenti sulle torri costiere granducali o lucchesi. Infatti, le strade più sicure erano rimaste quelle interne, consolidate dal regno longobardo e franco.
Sino al XIII secolo, il percorso da Siena deviava a Poggibonsi verso San Miniato,attraversava l’Arno –in un punto ormai non più individuato esattamente –risaliva verso Lucca e attraversando la Versilia e la Lunigiana si congiungeva alla Val Padana e al percorso per Compostella, via Luni e Genova (adesso, bivio fra l’autostrada Livorno-Ventimiglia e l’autostrada Parma-La Spezia) e, in particolare, a Pavia la quale era con Lucca sede allora dei ducati longobardi del centro-nord.
A causa di ciò, comunque, il percorso apuo-versiliese era rimasto vivace,ma sotto il controllo di libere città o ducati che consentivano un cammino pedemontano tanto protetto quantocostoso (dogane e dazi a Pisa, Lucca, Camaiore, Pietrasanta, Montignoso, Massa, Sarzana; addirittura 6 in meno di 70 km sino al 1800) e oggi inconcepibile per qualsiasi turismo scorrevole e idoneo a consentire uno sviluppo remunerativo.
Ma passiamo oraa valutare la situazione turistica tradizionale e quella tendenziale.
Il turismo costiero è tuttora prevalentemente balneare e di mero svago. Se però si interpellanole guide turistiche e i servizi alberghieri, balneari e di ristorazione le risposte evidenziano una evoluzione sempre più netta.
In effetti, la cucina dei ristoranti deve risultare prevalentemente tradizionale, ma anche di qualità per gusto e prodotti (tipicità delle ricette, prodotti agricoli “a km zero”, preferibilmente provenienti da aziende agricole biologiche). Di fatto,e sempre più spesso, il cliente abituale richiede un locale accogliente e curato anche a tavola; molta attenzione è rivolta all’igiene, alla insonorizzazione, all’arredo interno, alla struttura e alla architettura dell’edificio con una manifesta propensione per gli edifici che creano una atmosfera, corrispondendo a un periodo storico ben individuato.
Durante gli ultimi 10 o15 anni, la clientela turistica ha manifestato una motivazione particolare verso tutto quanto attiene alla cultura storica, estetico-paesaggistica, architettonica, spirituale, religiosa nonché ai modi e ai tempi per usufruirne. Riguardo a queste affermazioni si intendono tutte quelle persone che desiderano trattenersi il tempo necessario per avere cognizione di ciò che le circonda; pertanto, chiedono molte più informazioni ai gestori, talvolta esigono guide turistiche o ambientali, desiderano sapere dove possono acquistare prodotti artigianali locali oppure dove trovare percorsi alternativi, come aree archeologiche da percorrere a piedi o in bicicletta ovvero oasi naturalistiche che permettano di effettuare visite in canoa o su barche a remi. Inoltre, la catena B&B ol’analoga C&C oppure gli ostelli ricevono dai turisti la sempre più frequente richiesta di essere presi e riportati alla stazione ferroviaria più prossima: proprio per trascorrere 2 o 3 giorni senza utilizzare un automezzo da lavoro o da zone urbane.
Tutto questo ci induce a riflettere sulle nuove esigenze del turista che torna ad essere, ci pare, un pellegrino con esigenzenon soltanto o prettamente religiose,ma anche culturali e ambientali;le quali, però, risultano sempre più chiaramente motivate non solo dal desiderio di vedere o visitare un determinato oggetto o territorio, ma soprattutto(forse)dall’intenzione di essere coinvolto da ciò che vede e aspira aconoscere.
In altri termini, sembra puntare a soddisfare la esigenza personale rivolta a uncoinvolgimento emotivo attraverso una più completa e approfondita cognizione della storia, dell’ambiente, delle tradizioni locali. Il nuovo pellegrino sembra quasi desideroso di essere condotto o di auto-condursi a una compartecipazione nel contesto in cui si è collocato e a un conseguente e connesso risultato di benessere psicofisico.
Passiamo, allora, a chiederci se ogni operatore turistico può trasformare il proprio territorio in un museo aperto e integrato,nonché a quali condizioni.
Certamente, deveconoscerlo profondamente, ma soprattutto chiedersi come poter comunicare tutte le occasioni e proporle a ogni ospite. Si pensi alla esperienza francese: per esempio, come ha valorizzato l’Abbazia di Cluny, ove il turista percepisce di essere preso per mano e di essere immedesimato nella vita agreste dei contadini di un tempo; oppure, tramite attraenti illustrazionitridimensionali,effetto della recente indagine informatica, di essere riportato alla cultura e alla vita di quei monaci benedettini; oppure alla illustrazione della Parigi archeologica, nei sotterranei dell’Ile de la Cité, ove i testi dei pannelli e l’illuminazione diffusa mostrano un lavoro di sapiente comunicazione e di valorizzazione culturale e turistica.
Forse, al percorso francigeno, sipotrebbe abbinare la visitain canoa aduna limitrofa oasi naturale, o a un fortilizio gestito dai Cavalieri del Tau, nonché al modo in cuiloro ospitavano i pellegrini dell’epoca; oppure spiegare la tecnica con cui era stata costruita al Via Francigena là dove risulta recuperata in condizioni quasi originali; ovvero predisporre una segnaletica chiara e diffusa per indicare un’abbazia dei seguaci di San Benedetto, più antica di quella di Cluny, edificata su un tempio forse dedicato a Diana, a sua volta eretto su un sito etrusco?
Oppure portare i turisti a percorrere un tratto della Via Francigena che, finalmente dotata di una specifica segnaletica, giunge fra il verde al cancello della villa versiliese dei Principi Borbone-Parma dove era nata Zita, l’ultima imperatrice d’Austria? Proporre a dei viennesi un percorso del generenon comporterebbeforseun incremento turistico?
In sostanza, si devono aggregare alcuni tratti del percorso della via Francigena per verificare se è possibile farla percepire come un museo continuo, diffuso e interdisciplinare; nonché al contempo verificare cosa occorre per renderla più attraente e accogliente agli occhi di ogni potenziale turista o pellegrino. Ossia verso chi è collocabile, anche soltanto ipoteticamente, nella categoria del turismo più curioso e sensibile rispetto al patrimonio dei beni ambientali,ovvero diquelli culturali ospirituali; categoria di persone spesso attente anche alla tutela, alla integrazione e alla fruibilità dei medesimi.
Ormai, obbligatoriamente, ogni dirigente –o mero attore… –del turismo deve prendere in considerazione tali aspetti e le correlate condotte di questo turismo mosso anche (o soprattutto)da nuovi interessi immateriali.

Cenni bibliografici
R. Stoppani, Guida della Via Francigena in Toscana, Le Lettere, Firenze, 1995.
F. Vanni, Le Aree francigene della Toscana, Polistampa, Firenze, 2006.
Regione Toscana, Progetto “Toscana Turistica, Sostenibile &Competitiva”, Firenze, 2014.
M. Vavassori, Il turismo sulla via Francigena, Touring Club Italiano, Milano, 2015.
M.Valeri, H. Pechlaner, M. Gon, Innovazione, sostenibilità e competitività, Giappicchelli, Torino, 2016.

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