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Trasmettere la memoria. L’Ammunition Hill Memorial Site di Gerusalemme
di , numero 51, giugno 2021, Note e Riflessioni, DOI

Trasmettere la memoria. L’Ammunition Hill Memorial Site di Gerusalemme
Come citare questo articolo:
Alessandro Trabucco, Trasmettere la memoria. L’Ammunition Hill Memorial Site di Gerusalemme, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 51, no. 15, giugno 2021, doi:10.48276/issn.2280-8833.5974

1. La battaglia e la nascita del Memoriale

Fra i tantissimi luoghi di memoria di Gerusalemme ve ne uno molto particolare e importante per lo Stato d’Israele. Questo luogo è l’Ammunition Hill Memorial Site, un classico esempio di luogo di memoria materiale a metà tra il grezzo, perché in parte lasciato come appariva durante la battaglia, e il costruito, perché modificato in alcuni suoi punti. Il memoriale sorge su una collina chiamata in ebraico Giv’at HaTahmoshet ma conosciuta ai più con il nome di Ammunition Hill o, in italiano, Collina delle Munizioni. Questo nome era dovuto alla presenza fin dai tempi del mandato inglese di un deposito di munizioni collegato alla vicina accademia per ufficiali. Durante la Prima Guerra Arabo-Israeliana del 1948, la Legione Araba giordana aveva conquistato quasi tutta la parte nord dei colli che circondano Gerusalemme compresa la Collina delle Munizioni. Nel giugno 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni1, questa collina si trovava in territorio giordano ed era stata pesantemente fortificata dalla Legione Araba giordana che vi aveva posizionato circa centocinquanta soldati di professione. Con lo scoppio delle ostilità tra Israele e Giordania, l’esercito israeliano tentò di conquistare la collina per poter prima trarre in salvo la guarnizione di 120 soldati2 presente nella vicina enclave israeliana del Monte Scopus e poi circondare la città vecchia di Gerusalemme. La battaglia che si svolse su questa collina fu una delle più dure e sanguinose di tutta la guerra. L’esercito israeliano una volta giunto a contatto con le fortificazioni trovò davanti ai suoi occhi una accanitissima e tenace resistenza da parte degli avversari giordani, ben trincerati e pronti a difendersi. Tale tenacia venne meno solo dopo ore di tanti piccoli combattimenti sparsi sulla collina, quando ormai entrambi gli schieramenti erano a corto di munizioni e di forze. Per tutta la durata degli scontri, a causa dell’oscurità e della confusione, i soldati di ambo le parti non riuscirono sempre a capire a cosa stessero sparando. Frequenti furono i corpo a corpo avvolti nel buio delle anguste trincee. Le forze giordane, nonostante la superiorità del loro addestramento, furono infine costrette a ritirarsi a causa dell’inferiorità del loro armamento e per evitare di essere circondate visto il cattivo andamento delle operazioni sugli altri fronti distanti solo qualche centinaio di metri. Inoltre gli israeliani, grazie alla loro superiorità aerea, erano riusciti a tagliare le linee di rifornimento e di comunicazione con i centri di comando giordani costringendo le truppe avversarie in uno sconfortante stato d’isolamento. Al termine dello scontro rimasero sul campo trentasei soldati israeliani e settantuno soldati giordani. Essi combatterono con coraggio e tenacia dimostrando il loro valore e per questo entrambi ricevettero numerose decorazioni militari e riconoscimenti. La battaglia, proprio per la sua intensità e per il valore dimostrato di soldati, è rimasta nella memoria di entrambi i popoli, ma in particolare per gli israeliani che, con grande emozione, la ricordano come uno dei momenti più alti della loro storia nazionale, all’insegna del coraggio e del sacrificio per la presa di Gerusalemme: «Sentivo che Re Davide e i combattenti del ’67, insieme, stavano riportando Gerusalemme al popolo ebraico dopo un periodo di 3000 anni»3 ebbe a dichiarare a proposito un veterano della Guerra dei Sei Giorni nel ricordo dei cinquanta anni intercorsi dalla battaglia. I soldati che hanno combattuto sulla Collina delle Munizioni sono diventati nel corso degli anni, nella memoria del paese, il simbolo di tutte le qualità che un buon israeliano dovrebbe possedere. Questo processo ha portato all’evoluzione della memoria della battaglia, prima ristretta ai parenti delle vittime e molto differenziata, poi standardizzata e abbracciata dalla nazione e dallo stato. Il primo passo verso il processo di nazionalizzazione della memoria dei caduti sulla Collina delle Munizioni fu compiuto pochissimi giorni dopo il termine delle ostilità. Il destino della Collina delle Munizioni e delle colline vicine era quello di essere trasformate in enormi nuovi quartieri per la città appena conquistata. Appena Yossi Yaffe, il comandante della brigata paracadutisti che lì aveva combattuto, venne a sapere che il sito, il quale presentava i segni ancora freschi della battaglia, stava per essere sbancato e urbanizzato, intervenne subito mobilitando tutte le famiglie dei soldati caduti affinché il luogo fosse salvato dai bulldozer. Il Primo Ministro Levi Eshkol, colpito dalla determinazione delle famiglie dei caduti, decise d’interrompere i lavori sulla cima del colle ma non sugli altri versanti e sulle altre colline dove essi continuarono dando origine a un nuovo quartiere che oggi porta il nome del Primo Ministro. Quindi grazie a questo pronto intervento il sito fu salvato e preservato. Subito dopo venne creato un comitato presieduto dal Maggior Generale Uzi Narkiss, responsabile delle operazioni contro i giordani, e composto da tutti coloro che avevano preso parte ai e dai parenti dei caduti. Questo comitato lavorò molto intensamente per quasi sette anni al fine di identificare il sito specifico degli scontri, circoscriverlo, proteggerlo dai lavori di sbancamento nei dintorni e dotarlo di una struttura capace di accogliere un museo sulla battaglia e un memoriale. Il primo passo verso la conservazione e musealizzazione del sito venne compiuto poco dopo la creazione del comitato con l’apposizione di una lapide recante i nomi dei caduti. Nel Giorno del Ricordo, Yom HaZikaron4, del 1972, grazie all’iniziativa delle famiglie dei caduti, al comitato presieduto da Narkiss e al governo, venne ufficialmente riconosciuta la straordinaria rilevanza del sito per la memoria nazionale e, in conseguenza di ciò, «[…] 182 alberi di olivo furono piantati sul sito della battaglia in memoria dei soldati caduti»5. Il numero di questi alberi aveva lo scopo di porre in risalto in tutta la sua grandezza ed estensione il peso della perdita che una nazione così piccola, sia territorialmente che demograficamente, aveva subito durante gli scontri per la Città Santa. Negli anni a venire il comitato continuò a lavorare intensamente per la conservazione del sito e venne fissato ciò che il memoriale doveva rammentare:

«1) Il grande evento nella vita della nazione e la liberazione di Gerusalemme da parte delle brigate dell’esercito israeliano che hanno combattuto nelle battaglie per Gerusalemme. 2) La memoria dei 182 eroici soldati che caddero per la liberazione di Gerusalemme durante la Guerra dei Sei Giorni. 3) L’eredità culturale, artistica e letteraria di coloro che ci hanno lasciato i loro patrimoni e non hanno avuto il tempo di finirli»6.

Nell’ottava Giornata di Gerusalemme, Yom Yerushalaim, l’otto maggio del 1975, si giunse a un punto di svolta con l’inaugurazione ufficiale del Memorial Site. Nel 1990 la Knesset, il parlamento israeliano, riconobbe il grande valore del sito e decise di riconoscerlo ufficialmente come un Memoriale Nazionale. Da quel momento ogni celebrazione del Giorno di Gerusalemme presso il museo/memoriale della Collina delle Munizioni vide la costante partecipazione di alte cariche dello stato e delle forze armate.

2. La struttura del Memoriale

Il Memorial Site ha ricevuto nel corso del tempo numerosi rimaneggiamenti. Inizialmente molto semplice e scarno, oggi l’Ammunition Hill Memorial Site si presenta come un museo moderno. Gli ambienti dedicati alla mostra museale sono situati al centro del complesso, all’interno della fortificazione centrale destinata al comando giordano che funge da base per un edifico composto da archi di cemento7. L’intera struttura centrale è circondata dalle tortuose trincee costruite dai giordani le quali si intrecciano creando un fitto labirinto. Le trincee sono circondate da rottami, evidenti resti della battaglia, e le varie casematte presentano i segni del violentissimo scontro come muri crivellati di colpi e pareti squarciate dalle esplosioni. Entrando nella sezione centrale del museo si ripercorre l’intera vicenda della Guerra dei Sei Giorni con un particolare focus sulla battaglia per la presa di Gerusalemme. Fin da subito, oltre all’oscurità e al perenne frastuono di sottofondo delle mitragliatrici e delle bombe, non si può far a meno di notare la notevole interattività del museo. Le guide, disponibili in varie lingue, si attivano al passaggio dinnanzi gli schermi, dove sono proiettati filmati originali dell’epoca, e anche dinnanzi agli espositori interattivi. Quest’ultimi espongono attraverso lo schermo di cui sono dotati la storia di un protagonista della battaglia direttamente ricollegata all’oggetto presente nella teca sottostante. La storia è presentata mediante l’utilizzo di un’animazione molto moderna nello stile. Proseguendo si possono notare numerose mappe che con la loro luce risaltano nella penombra del museo. Esse risultano molto utili per la geolocalizzazione degli eventi. Altro aspetto di rilievo è la presenza lungo il percorso di armi inerti utilizzate all’epoca degli scontri. Verso la fine del percorso si può notare anche una piccola sezione dedicata agli avversari giordani e in particolare a re Hussein di Giordania. Giunti ormai alla fine del museo, subito prima dell’uscita, compare un’enorme parete dorata, evidente riferimento alla canzone Gerusalemme d’Oro8 di Naomi Shemer, sotto un arco di cemento della struttura ove trovano posto le incisioni dei nomi dei soldati che hanno perso la loro vita durante la battaglia per Gerusalemme. Prima di uscire dall’intero complesso si presentano altri tre luoghi. Il primo è un piccolo anfiteatro adibito alle celebrazioni come quelle per il Giorno di Gerusalemme. Il secondo è una piccola sala cinema dove si può assistere a un breve filmato correlato da una mappa tridimensionale di Gerusalemme che, grazie a un particolare sistema d’illuminazione, riesce a seguire la narrazione del breve audiovisivo. Il terzo è la cosiddetta Sala della Memoria. Citando il titolo di un articolo dedicato a questa sala, lo scopo della sua creazione è quello di «Incidere la memoria del loro (dei soldati) sacrificio»9 affinché tutti passando da lì possano ricordarlo. Essa infatti presenta una griglia circolare dove sono affisse tutte le immagini dei caduti per la presa di Gerusalemme. Tra le grate e lo spazio circolare al centro ove troneggia uno schermo di grandi dimensioni sono state poste delle teche le quali custodiscono i ricordi, gli oggetti personali e le medaglie che le famiglie di alcuni soldati caduti hanno donato al sito. Infine, posto vicino a una delle due porte d’accesso, vi è un piccolo computer. Digitando un numero corrispondente a un soldato viene avviata la proiezione di un breve video sullo schermo centrale. Questi video, uno per ogni soldato caduto, raccolgono in pochi minuti le parole dei parenti o dei commilitoni che hanno trascorso con lui i suoi ultimi momenti, i quali raccontano la vita del caduto, le sue qualità personali, i suoi interessi, i sui sacrifici e la sua morte.

3. I fruitori e gli scopi del Memoriale

Il sito occupa una posizione molto particolare nel panorama nazionale israeliano. Nonostante sia circondato e quasi coperto da quartieri assomiglianti a delle “selve” di condomini, è ben conosciuto da tutta la popolazione, sia dai più piccoli che dai più grandi, sia dagli israeliani più credenti che dagli israeliani meno religiosi. Molti di essi decidono di spendere giornate intere all’interno del complesso per visitarlo in ogni suo dettaglio. In particolare durante la visita del sito non si possono fare a meno di notare le numerose famiglie, fra cui anche alcune ortodosse, i turisti americani filo-sionisti e le grandi masse di studenti che svolgono il loro tour scolastico d’educazione, galvanizzati ed eccitati dalla bellezza del luogo. Si possono notare anche molti soldati intenti a effettuare visite guidate organizzate o semplicemente per rendere omaggio ai loro colleghi caduti durante la battaglia per Gerusalemme. Secondo il quotidiano Jerusalem Post sono circa ottantamila10 i soldati che annualmente si recano a visitare L’Ammunition Hill Memorial Site. Esso quindi svolge un ruolo importantissimo nell’educazione dei ragazzi delle scuole, futuri soldati di leva, e di coloro che stanno per svolgere o già svolgono i loro anni di servizio nelle forze armate.
Il sito rappresenta il ben noto culto nazionale sionista per la fissazione della memoria dei caduti. Spesso, negli ambienti più intrisi di ethos nazionale, ci si riferisce al sito della Collina delle Munizioni come «[…] “il mitologico sito della battaglia per Gerusalemme”»11 rappresentante «“la scena della battaglia probabilmente più collegata di tutte le altre alla guerra per la liberazione di Gerusalemme e la sua unificazione”»12. Il sito, in sostanza, è considerato un must see per chiunque voglia visitare Gerusalemme. La grande importanza del luogo è riconosciuta anche dal fatto che, in virtù del grande ruolo che esso svolge nel preservare la memoria dei valori e delle gesta di chi ci ha combattuto, è stato scelto come luogo dove svolgere altre cerimonie come quelle per la conclusione della scuola per ufficiali o per la “marcia dei paracadutisti” dove gli aspiranti ricevono il berretto delle brigate paracadutiste. In alcune occasioni il sito è anche stato il punto di partenza per il Jerusalem Trail che partendo dal museo e continuando per tutta la parte est della città mira a celebrare «L’Eterna Riunificazione di Gerusalemme»13 e intende rimarcare «[…] l’urgente necessità nazionale di educare gli israeliani alla loro storia, al loro patrimonio»14 mediante le passeggiate nella città finalmente unita. Il sito della battaglia sulla collina è anche al centro di una famosissima canzone dove il cantante, come se fosse un soldato in prima persona, narra in maniera originale e diversa dal solito i momenti cruciali della battaglia per la collina. La canzone, il cui nome Giv’at HaTahmoshet è lo stesso della collina in questione, è stata composta nel 1968 da Yoram Tehar-Lev e funge da potente segnale del sito, elevandolo a luogo autentico di eventi eroici e storici, di azione e di combattimento. Quindi l’ideologia di base su cui si fonda il museo non si concentra solo sulla “semplice” commemorazione ma anche sull’educazione, sulla valorizzazione del patrimonio culturale, sulla memoria e sull’autenticità della narrazione proposta. Questo sito può essere collegato ad altri due luoghi di fondamentale importanza per l’identità nazionale israeliana: Il Muro del Pianto e Il memoriale per le vittime dell’olocausto, lo Yad Vashem15. Questi tre luoghi, «La Santa Trinità»16 come vengono chiamati, secondo la narrativa ufficiale rappresentano tre passi decisivi della storia nazionale d’Israele: il Muro del Pianto simboleggia la distruzione da parte delle truppe romane del luogo più sacro agli ebrei e l’inizio della secolare diaspora per il mondo; lo Yad Vashem il punto più basso toccato dal popolo ebraico dopo secoli di dispersione cioè la persecuzione e il tentativo di eliminazione da parte dei nazisti; l’Ammunition Hill invece rappresenta il compimento del percorso di rinascita degli ebrei grazie al quale essi, ormai rinati e di nuovo uniti nella loro terra ancestrale, lasciano alle spalle tutte le sofferenze e i soprusi subiti nei secoli decidendo di essere per la prima volta dopo secoli artefici del proprio destino, pronti a combattere per la loro città santa, pronti a mostrare al mondo la loro nuova forza, la loro rinnovata determinazione e il loro eroismo. Questa “trinità” è importante perché ci mostra come, in una città dove il rapporto con i caduti è molto vivo, «[…] l’incontro tra i vivi e i morti è socialmente organizzato e culturalmente regolato all’interno della cornice della tradizione nazionale. Il Muro del Pianto, lo Yad Vashem e l’Ammuniton Hill sono punti nodali in questa stratificata e interconnessa topografia culturale»17.

4. La trasmissione dei contenuti attraverso la prossimità fisica e le nuove tecnologie

Il memoriale dell’Ammunition Hill, grazie alla sua ubicazione presso il luogo stesso in cui sono avvenuti i fatti, può vantare nei confronti dello spettatore un grado di autenticità indubbiamente elevato. Come riferito da uno dei suoi direttori il sito dell’Ammunition Hill è un luogo dove il visitatore «[…] può sentire il patrimonio con i suoi stessi piedi: muoversi nelle trincee, toccare i bunker, sentire le storie […]. Sentire che questo ragazzo è caduto qui e quello è successo lì»18. Queste parole sottolineano uno degli aspetti più importanti della autenticità di un luogo il quale influenza in maniera decisiva la percezione di esso presso i visitatori: la prossimità fisica. La prossimità fisica, grande regina del museo, porta il visitatore a immedesimarsi nei soldati, a immaginare le loro azioni, i loro pensieri e sentimenti. È proprio questo uno dei momenti in cui il museo fa breccia nella mente e nel cuore del visitatore raggiungendo il suo scopo cioè di perpetrare attraverso la sua esperienza la memoria di questi eventi. Una particolarità del museo già accennata in precedenza è la massiccia presenza di oggetti appartenuti ai soldati caduti e dei loro scritti, tutto questo rientra nella ricerca dell’autenticità al fine di testimoniare agli occhi del visitatore la veridicità della narrazione proposta. La stessa cosa vale per i bunker e le trincee. I visitatori appaiono elettrizzati dalla possibilità di visitare e toccare l’autenticità trasmessa da questi oggetti i quali attraverso la loro immediatezza infondono un’efficace e affettiva narrazione basata sul ricordo e sull’identificazione nei soldati e nei valori di cui la loro memoria è stata caricata. Non a caso le mostre nei musei appaiono fondamentalmente teatrali, poiché rappresentano il modo in cui essi perpetuano le conoscenze e le commemorazioni che creano. Tutte le società, fin dai tempi più antichi, fissano determinati valori e determinate azioni il cui adempimento è più prezioso della vita stessa. Tuttavia vi sono delle variazioni: se all’interno di una società il sistema di credenze e valori tende a mutare molto lentamente nel corso degli anni, per i mezzi di comunicazione non è così. Guardando l’Ammunition Hill Memorial Site non possiamo fare a meno di notare le sue mutazioni le quali testimoniano una presa di coscienza della forza e dell’impatto che le nuove tecnologie possono avere nella preservazione e diffusione di memorie e valori. Dotati della tecnologia RFID, tutti gli schermi interattivi del museo si basano sulla «proximity based interaction»19, definizione che indica «[…] l’interazione basata sulla prossimità fisica di un individuo rispetto ad un oggetto»20. Il visitatore infatti attraverso un dispositivo reader, l’audioguida, riesce a interagire con un dispositivo interrogator, gli schermi interattivi, a seconda della sua posizione all’interno del museo, ricevendo da esso dei flussi informativi sia in forma video che audio. La presenza di tali sistemi interattivi riportanti le storie dei protagonisti aumenta la vicinanza dello spettatore e la percezione di autenticità del luogo. Probabilmente essi e i filmati d’epoca commentati, efficacemente affiancati da carte geografiche, raggiungono tali obiettivi in maniera molto efficace. Questa coppia infatti ricopre un ruolo centrale perché capace con la sua amalgama di movimento e luci di sollecitare maggiormente l’attenzione dello spettatore che, anche grazie alla qualità degli effetti sonori, viene attratto dallo schermo porgendo quindi più attenzione rispetto a quella che dedicherebbe al materiale statico come la documentazione scritta. Quest’ultima per esempio necessiterebbe di un più lungo e accurato lavoro d’interpretazione da parte del visitatore. Nei filmati proposti questo lavoro è completamente bypassato perché svolto dagli audiovisivi stessi i quali, grazie alla rifinita combinazione dei materiali inseriti al loro interno, riescono a comunicare con efficacia il sistema di memorie e valori invitando il visitatore a una partecipazione “ritualistica” durante la visita del sito. Questi elementi finalizzati alla trasmissione di un certo sistema di valori, approfonditi da Mosse nei suoi studi sull’estetica della politica21, furono già adottati decenni prima dalle giovani nazioni europee ansiose di avvicinare le masse a dei valori da tramandare servendosi della narrazione di un evento fondante come piattaforma di partenza. Come ci riuscivano? Con strumenti diversi rispetto a quelli adottati nell’Ammunition Hill, i cui principi e scopi di base però apparivano sostanzialmente i medesimi: alla base vi figuravano il movimento, i giochi di luce, i suoni, le prospettive, l’originalità del mezzo mediante il quale si intendeva trasmettere quel determinato nucleo di informazioni. Tutto questo doveva coinvolgere e mettere in dialogo il pubblico con il sistema promosso. Guardando ai mezzi utilizzati nell’Ammunition Hill osserviamo che tale modo di agire rimane, nei sui principi cardine, invariato nella anch’essa giovane nazione israeliana la quale ne amplifica l’efficacia mediante lo sfruttamento dei moderni mezzi di comunicazione presenti nel sito, capaci di velocizzare la comprensione e l’assimilazione di tutti principi contenuti nella narrazione offerta.

5. La trasmissione dei contenuti attraverso le testimonianze scritte

Se molti tendono a visitare in maniera passiva e poco consapevole i musei dedicati alle battaglie, nel caso dell’Ammunition Hill è diverso. Qui si viene immersi nell’atmosfera dell’epoca. Grazie all’efficacia dei mezzi di comunicazione usati dal museo si viene condotti attraverso un viaggio temporale che coinvolge non solo la mente ma anche il fisico. Tra questi mezzi, oltre a quelli interattivi di cui abbiamo già discusso, svettano le testimonianze scritte. In passato il museo conteneva quasi esclusivamente testimonianze cartacee al fine di rispettare il desiderio delle famiglie dei caduti cioè «[…] preservare e commemorare le testimonianze culturali, artistiche e letterarie dei soldati»22. Oggi sono state per la maggior parte sostituite dalle loro versioni digitalizzate e animate ma nonostante ciò le testimonianze scritte dei soldati occupano ancora un ruolo di grandissima importanza nel museo. Attraverso l’espositore, dotato di animazioni che permettono di materializzare ciò che si sente nelle audio guide, lo spettatore crea un’immagine del racconto. In seguito, coniugando le animazioni dell’espositore alle testimonianze scritte e agli oggetti reali, prende coscienza della veridicità di ciò che sta osservando. Arrivato a questo punto il visitatore diviene “vulnerabile” a tutto quel sistema di valori e principi di cui la narrativa del museo è portatrice. Tra i documenti scritti a mano due in particolare caratterizzano il museo. I primi sono i disegni del soldato Dan Livni. La loro presenza dà forza alla narrazione del museo: un cittadino, soldato e artista che, impressionato da quel che vide, e che nessun israeliano dovrebbe mai vedere, per la prima volta inizia a disegnare per documentare e fissare per iscritto quelle immagini che altrimenti sarebbero andate perse. Lui e i suoi colleghi sono dei semplici cittadini il quali però hanno scelto la via del coraggio perché compiono quel che nessun israeliano vorrebbe compire, vedono quello che nessuno israeliano vorrebbe vedere. Non perché lo desiderino bensì perché sono obbligati dall’odio e dal desiderio di distruzione che i popoli avversari provano nei confronti d’Israele. E malgrado tutto questo odio e tutta questa violenza trovano spazio per la cultura, l’arte, i propri cari. Trovano spazio per le loro passioni, per la loro umanità, per le loro passioni artistiche, simbolo di un popolo che brama esclusivamente la pace. Viene così composta l’immagine di un esercito fatto da semplici cittadini non affini alla guerra ma anzi talentuosi artisti e meritevoli intellettuali che con i loro occhi di persone acculturate, pacifiche e imparziali descrivono la guerra. Uomini impegnati in una guerra non voluta ma di grande importanza per la sopravvivenza del paese e soprattutto per la liberazione di Gerusalemme, da tanto tempo sognata, ora pronta a ritornare nelle mani del suo popolo. In sostanza, uomini normali con tutte le loro passioni, virtù e vizi che compiono azioni straordinarie. La questione è che tale immagine così coesa e pulita della guerra e di chi l’ha combattuta non è naturale, ma creata ad hoc da chi se ne serve per presentare degli avvenimenti attraverso certi punti di vista. Altra testimonianza scritta di grande importanza è il cartello scritto e affisso sul campo di battaglia dai soldati israeliani in onore degli avversari giordani. Essa dimostra il rispetto per il coraggio dell’avversario, per il comune destino di morte che ha condiviso, un elogio per il grande impegno che essi hanno profuso nei combattimenti. Il testo è il seguente: «ARMY OF ISRAEL / Ts H L / BURIED HERE ARE / 17 BRAVE JORDANIAN / SOLDIERS. JUNE 7 1967»23. Nel testo originale presente sul cartello la scritta BRAVE, coraggiosi, è cancellata. Questo indica «[…] come differenti punti di vista contestano l’interpretazione di eventi di conflitto […]. Il testo iniziale suggerisce un’ideologia di fratellanza in armi, dove i soldati dei fronti opposti, mentre si ammazzano fra di loro, mostrano anche rispetto verso l’altro. La cancellatura suggerisce un’altra ideologia; gli altri (gli arabi) non sono uguali e non meritano nessuna forma di rispetto collegiale»24. Questi «[…] monumenti discorsivi […]»25 sono importanti perché vi è un forte collegamento fra testo scritto, memoria e attaccamento alla nazione. Essi sono, insieme a tutti gli strumenti moderni del museo, degli straordinari veicoli di trasmissione e inoltre possiedono il vantaggio della materialità, sono fisicamente presenti dinnanzi lo spettatore il quale potrebbe anche entrare in contatto fisico con essi. Quest’ultimo aspetto ci dimostra come «[…] nessun testo è un testo, né ha significati, influenza, posizione politica o leggibilità in assenza di una forma materiale»26. L’altro vantaggio è che essi sono documenti autentici dell’epoca e quindi, grazie al loro aspetto datato e alla loro materialità, portano le prove della loro autenticità autenticandosi da soli. In sostanza sono in grado di comunicare il senso di autenticità allo spettatore perché apparentemente non appaiono filtrate. Non vi è nulla che le separi dagli utenti del museo e spesso non vi è un supporto che tenti di interporsi fra le testimonianze e il visitatore al fine di interpretarle più facilmente. È lo spettatore che, apparentemente, le interpreta in autonomia. Ciò non vale per gli espositori interattivi. Essi si, presentano delle testimonianze dell’epoca scritte e non, ma le filtrano attraverso l’animazione. Danno più pathos alla scena. Pathos che ritorna sempre nella narrazione del museo. Quindi, si potrebbe dire che uno tra i caratteri più importanti dell’Ammunition Hill è «[…] la mobilitazione dell’autenticità -materializzata nella forma di documenti originali- al servizio del rafforzamento dell’impegno nazionale e della rielaborazione della memoria nazionale»27. Difatti questi testi scritti e oggetti, queste fotografie e storie personali umanizzano e moralizzano i soldati che hanno dovuto uccidere. Moralizzano un evento sanguinoso caratterizzato da sofferenze atroci e violenza collettiva. I materiali e i ricordi esposti oltre a esplicitare l’umanità dei protagonisti della battaglia mostrano anche come essi fossero degli uomini acculturati ed educati, uomini di penna e non solo di spada, i quali scrivono testi ricolmi di passione. Da millenni infatti il saper scrivere e il sapersi esprimere sono simboli di cultura, progresso, umanità. Il fatto che siano delle persone acculturate capaci di provare emozioni, sensazioni e sentimenti contribuisce a mitigare agli occhi degli spettatori la violenza della guerra, a darne un’immagine più umana, più pulita, più romantica, più presentabile agli spettatori. Inoltre questi testi creano una sorta d’intimità con il protagonista, con ciò che ha dovuto vedere e, di conseguenza, con i valori di cui la sua figura è stata caricata.

6. L’oralizzazione dei contenuti e i suoi propositi

Le testimonianze dell’epoca raccolte nel museo raccontano una storia realmente vissuta ed entrano in dialogo diretto con il visitatore, apparentemente senza celare nulla. Inoltre però, grazie alle loro proprietà, possono essere oralizzate. L’oralizzazione, traduzione letterale del termine anglosassone oralization, derivante dal verbo to oralize, indica quel processo di trasformazione di qualcosa di scritto in qualcosa di orale attraverso la sua pronunciazione a voce alta. Mediante questo processo il visitatore dell’Ammunition Hill Memorial Site può leggere, assorbire i sistemi di memorie, valori e ideali di cui le testimonianze sono state caricate e perpetuarli presso le proprie conoscenze e non solo.
Grazie all’ammodernamento del sito avvenuto negli ultimi anni l’oralizzazione gioca un ruolo ancor più grande e può avvenire fin dentro il museo attraverso gli espositori interattivi ma in particolare attraverso il cortometraggio proiettato nella saletta cinema e i video nella Sala della Memoria. Il cortometraggio è l’esempio concreto di come questo meccanismo funzioni. Il narratore, un veterano della Guerra dei Sei Giorni, insieme ai suoi nipoti ripercorre le tappe della battaglia per Gerusalemme e contemporaneamente porta sempre con sé dei testi contenenti alcune testimonianze dell’epoca le quali vengono lette, interpretate e quindi trasmesse ai nipoti. Essi rappresentano le nuove generazioni pronte per essere educate ai valori che il “Nuovo Ebreo”28 israeliano dovrebbe possedere e mai abbandonare, al fine di distaccarsi da un passato fatto di ingiustizie, persecuzioni e arrendevolezza.
Altro luogo di oralizzazione è la Sala della Memoria dove i parenti e gli amici dei soldati caduti parlano dei protagonisti attraverso dei brevi audiovisivi. Qui essi leggono e interpretano materiali prodotti dai caduti trasmettendo una immagine umana la quale identifica il visitatore nei soldati, nelle loro azioni e nei loro valori. Alcuni dei testi presenti nel museo possono essere letti ad alta voce o cantati e tali performance possono essere svolte da una singola persona o da più persone, come spesso accade durante le viste delle scuole o delle forze armate. Non a caso il memoriale della Collina delle Munizioni è assiduamente frequentato sia dai ragazzi del servizio civile, i quali hanno scelto l’Ammunition Hill per i loro meeting annuali, che dalle scolaresche e dai gruppi di soldati i quali si recano al sito in quanto facente parte dei percorsi di educazione previsti durante il servizio militare. Nonostante gli sforzi per attirare i giovani militari e per spingerli a una visita il più possibile partecipativa il veterano e membro del consiglio di direzione Yaki Hetz sostiene che «[…] non sia abbastanza»29 e che il numero dei giovani visitatori, soprattutto dei militari, dovrebbe essere maggiore visto l’enorme carico educativo che la battaglia e il sito detengono per l’orizzonte nazionale israeliano. Di questo ne sono prova le stesse parole di Yaki Hetz: «[…] Questa è stata una battaglia molto difficile e abbiamo educato i soldati a riflettere sui suoi i valori. La missione della mia generazione è trasferire i suoi valori alla generazione successiva […]»30, infatti «questa […] battaglia […] comprende tutti i valori del IDF: lo spirito di gruppo, il perseguimento dell’obiettivo, l’amicizia e la fratellanza. Qui ci sono tutte le principali battaglie israeliane e perciò l’IDF porta sempre le nuove reclute a vedere il sito»31. Spesso questi soldati sono accompagnati da ragazze e ragazzi dei Corpi di Educazione dell’esercito. I componenti di questi corpi svolgono il ruolo di guide dell’esercito per i militari in numerosi musei sparsi per Israele, se ne vedono tanti anche nel Museo Nazionale d’Israele, e attraverso le loro spiegazioni fornisco ai soldati la narrativa ufficiale riguardo la storia del popolo ebraico e dello Stato d’Israele. Nell’Ammunition Hill aiutano nella comprensione dei vari passaggi del museo e si occupano di leggere e spiegare tutte le testimonianze scritte all’interno e spesso di incitare i loro commilitoni all’oralizzazione dei testi attraverso la lettura ad alta voce e alla recitazione. Il ruolo di questi corpi di educazione è molto importante. Essi incitano i soldati a intraprendere azioni, come appunto l’oralizzazione, che probabilmente non eseguirebbero spontaneamente e permettono a questi giovani ragazzi di assimilare più velocemente il sistema di valori e memorie che quel luogo detiene. Emblematica è la recitazione dei nomi di tutti i 182 soldati «[…] morti per la santità di Gerusalemme»32 nella battaglia sulla collina incitata dalle guide dell’esercito ma anche il canto della canzone Gerusalemme d’Oro. Questa canzone ha una grande valenza per la memoria della guerra. Composta nel 1967 dalla «cantautrice nazionale»33 Naomi Shemer e spesso considerata alla pari dell’inno nazionale israeliano, Gerusalemme d’Oro racconta di una città circondata da mura dorate ma allo stesso tempo vuota, rimasta ferma e intatta per millenni. Essa attende solamente che il suo popolo, il quale non l’ha mai dimenticata, venga a riprendersela per ridarle vita. Questo “rito”, la recitazione della canzone, deve riportare alla memoria la gioia per l’unificazione della città, deve evidenziare la necessità di un ebreo forte in grado di difendere il suo popolo e la sua patria. Questa necessità viene spiegata attingendo a eventi passati indicati come emblemi della decadenza e usati per tracciare un unico filo logico che colleghi tutta la storia ebraica allo scontro per Gerusalemme: il popolo ebraico, toccato il fondo con l’olocausto, è ora rinato ed è pervaso da una rinnovata forza, la battaglia per la Collina delle Munizioni ne è il simbolo. La battaglia per Gerusalemme, gli scontri contro la Giordania e la Guerra dei Sei Giorni in generale sono il punto più alto toccato dal popolo ebraico dopo l’olocausto. La guerra di giugno è un simbolo, è la memoria di un popolo che ha intrapreso un processo di rinascita e che ha raggiunto la sua piena maturità con la Battaglia di Giv’at HaTachmoshet lasciandosi alle spalle la debolezza e la divisone dei tempi della diaspora.

7. Conclusioni

Giunti a questo punto possiamo affermare che l’Ammunition Hill Memorial Site riesce, con una certa dose di successo, a veicolare la narrazione di cui è promotore sfruttando efficacemente la combinazione di vari strumenti tecnologici con le testimonianze dell’epoca e con il luogo in cui sorge. Come però in molti altri memoriali di questo genere sparsi per il mondo, la possibilità d’inserire fattori che possano incoraggiare una riflessione più ampia e quindi compromettere la compattezza della narrazione esposta è, anche nel caso dell’Ammunition Hill, ampiamente scartata. Non a caso i punti di vista più stridenti non solo godono di una considerazione minore ma vengo anche smussati e modellati in base alle esigenze. Il fucile giordano sul quale i militari israeliani apposero un cartello di commemorazione in onore dei caduti avversari dimostra la fratellanza e il rispetto che gli uomini dei due schieramenti provarono, e provano tutt’oggi. Nonostante ciò la carenza d’informazioni che affligge la sua trasposizione all’interno del museo tradisce in ultima analisi l’assoluta prevalenza del punto di vista israeliano e la totale assenza di sforzi nell’indagare le motivazioni che spinsero i soldati della Legione Araba a battersi con così tanto coraggio. L’espositore interattivo dedicato a re Hussein di Giordania presenta una situazione non dissimile. Esso propone una minuscola parte del testo Hussein of Jordan: My “War” With Israel nella quale il re descrive in preda alla confusione la drammatica situazione delle sue truppe e l’inarrestabile forza degli avversari israeliani:

«Non scorderò mai la spaventosa visione della sconfitta. Le strade intasate di autocarri, jeep e veicoli di ogni tipo contorti, sventrati, ammaccati, ancora fumanti, con quel caratteristico puzzo di metallo e vernice bruciati dopo l’esplosione di una bomba; un fetore che solo la polvere da sparo può creare. In mezzo a quel macello ecco apparire uomini. In gruppi di trenta o in due, feriti, sfiniti, che cercavano di aprirsi una via verso la salvezza sfuggendo al tremendo colpo di grazia che stava scagliando su di loro un’orda di Mirage israeliani che ruggivano nel cielo azzurro terso bruciato dal sole.
Identificai le unità a cui appartenevano gli uomini colpiti. Chiesi: “Da dove vieni? Che cosa è successo lì?”
Ogni volta ho sentito la stessa richiesta:
“Per favore, Sire, ci dia qualche aereo e noi torneremo a combattere!”
Aerei!
Quando ieri sono scoppiate le ostilità, era ciò di cui avevamo più bisogno. Oggi nessuno dei nostri aerei è in condizione di combattere. Quando ci siamo avvicinati alla linea del fronte e ho visto il mio esercito malconcio, sono stato colto da uno straziante senso di sconfitta»34.

Il libro originale è qui finemente selezionato allo scopo di esporre unicamente quelle parole che più si adattano all’omogeneità della narrazione proposta dal museo, tralasciando quindi la quasi totalità del testo e di conseguenza eliminando tutte quelle sezioni scomode dove il monarca giordano esprime il suo punto di vista e le sue ragioni. La situazione peggiora se si va in cerca del punto di vista palestinese. Attraversando il museo si può constatare la sua totale assenza. Non vi è nessun espositore dedicato ai palestinesi di Gerusalemme che per diverse ragioni furono costretti a fuggire e ad accalcarsi sui ponti sul fiume Giordano per accedere in Transgiordania. Non vi è spazio per il punto di vista di quei palestinesi che decisero di non scappare, né tantomeno per coloro i quali sia a Gerusalemme che nei villaggi limitrofi persero i loro averi a causa degli sgomberi effettuati durante la guerra o nei giorni immediatamente successivi agli scontri.
In conclusione si può evincere come la memoria della guerra esposta sia uniforme e non contempli voci dissonanti. Il passato è selezionato, in alcuni casi omesso, relegando nell’oblio i punti di vista dissonanti. Tutti gli elementi del museo/memoriale, anche quelli dedicati agli avversari, si adattano alla narrazione ufficiale affinché trasmettano quei valori che combaciano alla perfezione con quelli propri del sionismo.

Note

  1. Per approfondire la Guerra dei Sei Giorni sul fronte israelo-giordano si veda Michael B. Oren, Six days of war. June 1967 and the making of the modern middle east, Oxford University press, New York City, 2002; Benny Morris, Vittime, Mondadori, Milano, 2001; Samir A. Mutawi, Jordan in the 1967 war, Cambridge University Press, Cambridge, 1987; Vick Vance e Pierre Lauer, Re Hussein: la mia guerra con Israele, Mondadori, Milano, 1968.
  2. Ammunition Hill Memorial Site, ultima consultazione 19 gennaio 2021.
  3. Paul Alster, Back to Ammunition Hill, in “The Jerusalem Report”, 12 Giugno 2017/ 18 Sivan 5777, pp. 22-27.
  4. È una ricorrenza nazionale celebrata ogni anno nel quarto giorno del mese ebraico di Iyar ed è dedicata a tutti i membri delle forze armate e delle forze di sicurezza caduti in azione e a tutte le vittime, civili e non, del terrorismo.
  5. Yitzhak Feniger, Ammunition Hill: a guide to the visitor of Givat HaTachmoshet memorial site and museum, Hamakor Press, Gerusalemme, 2000, p. 5.
  6. Ammunition Hill Memorial Site, ultima consultazione 19 gennaio 2021.
  7. La struttura in cemento è stata ideata dagli architetti Gershon Zippor e Benjamin Idelson. I rinnovati interni degli ambienti del sito sono stati curati dall’azienda privata MABATIM LTD di Tel Aviv.
  8. Su Gerusalemme d’Oro, Yeroushalayim shel zahav in ebraico, si veda https://youtu.be/mjmMllp8hJg, ultima consultazione 31 gennaio 2021.
  9. David Brummer, Inscribing the memory of their sacrifice, ultima consultazione 31 gennaio 2021.
  10. Melanie Lidmani, Ammunition Hill closed, Six Day War vets protest, ultima consultazione 31 gennaio 2021.
  11. Chaim Noy, Thank you for Dying for Our Country. Commemorative text and performances in Jerusalem, Oxford University Press, New York City, 2015, p. 25.
  12. Ivi, p. 25.
  13. Ibidem.
  14. Ivi, p. 26.
  15. Lo Yad Vashem è l’Ente Nazionale per la Memoria della Shoah di Israele edificato alle pendici del Monte Herzl a Gerusalemme. Istituito per documentare e tramandare la storia del popolo ebraico durante la Shoah, l’ente preserva la memoria delle vittime dell’olocausto e ricorda i non ebrei di diverse nazionalità che rischiarono le loro vite per aiutare gli ebrei durante la Shoah.
  16. C. Noy, Thank you for Dying for Our Country. Commemorative text and performances in Jerusalem, cit., p. 27.
  17. Ivi, p. 27.
  18. Ivi, p. 28.
  19. Luca Meolone, Nuove tecnologie per la fruizione museale. Il museo storico dell’età veneta di Bergamo, S.N.T., 2015, p. 52.
  20. Ludovico Solima, Nuove tecnologie per nuovi musei. Dai social network alle soluzioni RFID, visitato il 27 dicembre 2020.
  21. George Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933), Il Mulino, Bologna, 2009, pp. 49-80.
  22. Ivi, p. 29.
  23. Traduzione: Esercito d’Israele / Tshal / Sono qui seppelliti / 17 coraggiosi soldati / giordani. 7 giugno 1967. Immagine contenente il testo per gentile concessione di Yaki Hetz.
  24. C. Noy, Thank you for Dying for Our Country. Commemorative text and performances in Jerusalem, cit., p. 38.
  25. Ivi, p. 39.
  26. Ibidem.
  27. Ivi, pp. 38-39.
  28. Nell’ottica del Sionismo l’idea di “Nuovo Ebreo” indica un personaggio forte, determinato, in grado di difendersi da solo e radicalmente diverso dall’ebreo in esilio del passato.
  29. Intervista con Yaki Hetz, 30 aprile 2019, Gerusalemme.
  30. Ibidem.
  31. Ibidem.
  32. Y. Feniger, Ammunition Hill: a guide to the visitor of Givat HaTachmoshet memorial site and museum, cit., p. 28.
  33. C. Noy, Thank you for Dying for Our Country. Commemorative text and performances in Jerusalem, cit., p. 41.
  34. Vick Vance e Pierre Lauer, Hussein of Jordan: My “War” With Israel, Morrow, New York, 1969, pp. 89,90.

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