«La filosofia animale contro l’istituzione della morte», leggiamo in un punto del Maiale non fa la rivoluzione di Leonardo Caffo (Sonda 2013). La filosofia dell’animalità aggredisce l’istituzionalizzazione del genocidio animale nelle pareti della morgue. Per suo tramite Homo sapiens si ridesterà dalla propria assuefazione allo sconfinato cadavere reso dall’esecuzione industriale, dall’abitudine alla cosificazione della differenza, all’inosservanza della diversità di specie, alla perdita di biodiversità. E una filosofia che non discrimina le specie, e che fuori dei dogmi pratica un pacifico smantellamento dei presupposti dell’antropocentrismo, ha i requisiti per contrastare la deriva di Homo sapiens in quanto filosofia altamente implica... continua a leggere
tag: filosofia animale, Leonardo Caffo, postumano contemporaneo, veganesimo
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Se Ruffilli non avesse scritto, a conclusione del Prologo di Maschere e figure. Repertorio dei tipi letterari (Il ramo e la foglia, Roma 2023), che le opere narrative da lui messe in campo giungono fino alla metà del Novecento e non oltre, si sarebbe tentati di includere nel repertorio dei tipi il protagonista del suo romanzo del 2011, L’isola e il sogno. Ma sotto quale voce classificarlo? L’insoddisfazione di Ippolito, la sua erranza mentale alla ricerca d’altro, di un nesso tra esperienza e sogno, suggerirebbero un modello di irresoluto, di terrassenüberdachung
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tag: critica letteraria, Paolo Ruffilli, personaggi, romanzo
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Di Marino Moretti (1885-1979) qui si delinea la sua anima crepuscolare – la sua vicenda crepuscolare, visto che la sua opera non si esaurisce con il crepuscolarismo storico – flessa nella trilogia che annovera Poesie scritte col lapis (1910), Poesie di tutti i giorni (1911) e Il giardino dei frutti (1915), cui seguì, dopo una vasta produzione narrativa ben apprezzata dalla critica, un lunghissimo, emblematico, silenzio lirico protrattosi fino a L’ultima estate (1969), e successivamente Le poverazze nel 1973 e Diario senza le date nel 1974. Al lungo silenzio di poeta forse contribuì la scomparsa di alcuni autori suoi compagni di strada, che fissava anche la fine del crepuscolarismo storico.
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tag: Guido Gozzano, Marino Moretti, Sergio Corazzini, simbolisti franco-belgi
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«Leggendo più volte a voce alta l’edizione di Atelier d’inverno […], mi sono reso conto che, a parte il fastidio procurato al lettore da una eccessiva e farraginosa messa a punto (?) tipografica, il precipitato del testo era oltremodo ingolfato da una prosodia eccessivamente disforica, che, se rendeva mimeticamente il messaggio semantico, lo intorbidiva in qualche modo… così questa rilettura dovrebbe servire a rendere più agevole la lettura sia a voce alta che con gli occhi solamente. Credo che la natura del testo non sia spostata, se non in direzione di una maggiore chiarezza del disordine che lo compone. Vi ho aggiunto alcune poesie tratte dalla plaquette Musica da viaggio [...], per completare quello che mi sembra tuttora un ciclo e dare l... continua a leggere
tag: AnimaMundi, Atelier d'inverno, poesia, Remo Pagnanelli
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Lunga, ed estremamente dibattuta, è la storia dell’istituzione del canone delle Rime di Dante, che, com’è noto, non acquisirono dalla mano dell’autore sigillo e perimetro definiti e ultimi, ma furono affidate alle spesso discordanti testimonianze dei codici e al giudizio talora azzardato dei posteri – basti pensare al famigerato Credo di Dante, palesemente una goffa falsificazione, avallato tuttavia come autentico da vari editori fino agli inizi del Novecento. Queste incertezze attributive investono tanto più le rime mariane, delle quali vi fu ampia produzione nel Trecento, e che potrebbero in qualche caso essere state attribuite falsamente a Dante, e in altri invece nascondere elementi di autenticità ma essere state respinte come false per ec... continua a leggere
tag: allegorismo medievale, attribuzionismo letterario, dante, Matteo Veronesi, rime dubbie
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Queste pagine – nella forma di uno stream of consciousness di questioni proustiane in un movimento di scrittura che procede a stratti, e che torna sui propri passi con altre impressioni fuggevoli – sorgono dalla fusione di note parziali e lontane o lontanissime nel tempo e dall’esigenza di non estinguere l’eco delle letture lungo gli anni, di qui il citazionismo diffuso: pour ne pas oublier. Perché «L’oubli comme une brume efface les visages / Les gestes adorés au divin autrefois»… Non era Proust a dire che spesso ciò che le letture «lasciano in noi è soprattutto l’immagine dei luoghi e dei giorni in cui le abbiamo fatte»? Dei giorni andati, sprecati, ma talora, per caso e per istantaneo lumen, irresistibili richiami nel pre... continua a leggere
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Queste pagine – nella forma di uno stream of consciousness di questioni proustiane in un movimento di scrittura che procede a stratti, e che torna sui propri passi con altre impressioni fuggevoli – sorgono dalla fusione di note parziali e lontane o lontanissime nel tempo e dall’esigenza di non estinguere l’eco delle letture lungo gli anni, di qui il citazionismo diffuso: pour ne pas oublier. Perché «L’oubli comme une brume efface les visages / Les gestes adorés au divin autrefois»… Non era Proust a dire che spesso ciò che le letture «lasciano in noi è soprattutto l’immagine dei luoghi e dei giorni in cui le abbiamo fatte»? Dei giorni andati, sprecati, ma talora, per caso e per istantaneo lumen, irresistibili richiami nel pre... continua a leggere
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All’interno della vasta opera di Luca Canali (uno dei massimi latinisti contemporanei, autore, fra l’altro, di una acclamata traduzione di Lucrezio), la figura del poeta può apparire quella meno rilevante. Una lettura come quella di Elisabetta Brizio ne evidenzia, invece, l’assoluto valore, e l’organico, necessario rapporto con l’insieme dell’attività dell’autore.
Era, del resto, un lettore d’eccezione – anch’egli, come Canali, sapiente navigatore degli abissi verbali e musicali, pullulanti di gorghi, allucinazioni, giochi d’eco, inganni rivelatori, abbacinanti morgane – quale Andrea Zanzotto a sottolineare, recensendo La deriva, che «non si passa impunemente attraverso quell’oceanico incastro di contraddi... continua a leggere
tag: Luca Canali, malattia, Ottiero Ottieri
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Possono i segni archeologici costituire le categorie essenziali di una utopia? Altrimenti, come scavalcare o subordinare il passato, se all’orizzonte del tempo a venire non si riescono a scorgere che segnali di vertigine e caos? Labirinto, margini dell’umano-monade incomunicabile, infinito, poesia: condizioni distopiche e utopiche possono coesistere, immerse nel contestuale sfondo di interazione o di conflitto tra gli elementi primordiali e nella assimilazione delle loro pertinenze. Cosí Alessio Vailati sembra spiegarsi nascita, morte, trasformazione (assumendo «metá» anche nel senso di «atto del ricongiungere»). Nelle sue intenzioni c’è una quadrilogia poetica a partire da Orfeo ed Euridice (o Della poesia perduta), dove i quattro elementi n... continua a leggere
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L’ombra lunga della Torre di Siena segna l’ora amena dell’aperitivo, la meridiana in Piazza del Campo «dettava i ritmi lenti / al buon governo». Le età si incorporano, la geografia mostra talora un difetto di corrispondenza con il livello emozionale: dal noto e claustrale si evade e ad esso si fa ritorno, perché è lì depositato il senso di una continuità temporale, all’ombra, appunto, delle nostre origini e della percezione tutt’altro che simbolica del nostro essere stati. Se l’ombra (in noi, fuori di noi) è una luce digradata per l’interposizione di qualcosa di intrasparente con una sorgente luminosa, in quest’opera in versi di Pietro Montorfani il termine «ombra» va assunto per metonimia: ciò che la promuove, ciò che la esibisce. E per quello ... continua a leggere
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Una ricognizione previa. Per Paolo Ruffilli poesia non è rispecchiamento della realtà, semplice mimesi, magari schizomorfa immagine del mondo. È rifondazione e riorganizzazione del tempo in cui il vissuto si struttura e si dispiega. E ricostruzione dei processi semantici. In questi termini potrebbe apparire una riproposizione della poetica novissima, o forse di quella, oggettiva e oggettuale, della linea lombarda (il che, per altro, entrerebbe in conflitto con la settecentesca dolceamara cantabilità di Ruffilli). Siamo di fronte invece a un tertium datur, alla terza ipotesi esclusa dalla filosofia. Qualcosa può, insieme, essere e non essere, porsi al di là dello stesso principio di non contraddizione. Come nella ontologia quantistica o nella log... continua a leggere
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Sui nomi divini è un libro desueto e potenzialmente prezioso: un’edizione commentata (i criteri ermeneutici sono dettagliati nella Nota al testo), una antologia, si dice in quarta, essenziale, volta a diradare un silenzio postumo troppo a lungo protrattosi, quasi una conseguenza inestinguibile, come una pena indelebile da scontare in séguito alla condanna che la censura ecclesiastica pronunciò sulla persona e sull’opera dell’autore, Arduino Suzzi. Appartato, fuori del dominio alienante del tempo e dell’opinione mondana, misconosciuto erudito vissuto tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo, emblematico rappresentante, quindi, di quella early modernity, protomodernità ancora al crocevia – ancora per molti tratti sorpr... continua a leggere
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I castelli di carta sono il mondo, come già espresso da Alberto Teodori in Per non apparire, e forse anche in altri luoghi, vista la sua tendenza a ritestualizzare e rilanciare certo suo déjà écrit. Perché ripubblicare il pubblicato? Intanto, trapiantare il passato nel futuro riattualizza uno ieri non esaurito, e che non si vuole esaurire. Ma il vero motivo è che in un autore tout se tient. Dimentichiamo troppo spesso l’accesa sensibilità al tempo di un autore: se è un autore. I castelli di carta sono il mondo, d’accordo. Tuttavia, Sergio Quinzio scrive in prefazione, «castelli di carta sono anzitutto le nostre parole», anche quelle, Quinzio continua, attraverso cui Teodori tende a definire e insieme a dare spessore alla separatezza, a quel «cercare l’ombra di sé stessi» che sembra essere l’esclusivo principio ispiratore delle sue opere. Quinzio racconta che il giovane Teodori aveva tradotto Mallarmé usando lipo... continua a leggere
tag: alberto teodori, castelli di carta, poesia
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Si può inneggiare alla morte? Personificandola come nel Settimo sigillo di Bergman? Vedendola come un’allegoria? Mi rivolgo a Matteo Veronesi, autore di Dieci Inni alla Morte (Nuova Provincia 2009, ora ripubblicato in Lotta di Classico con un progetto grafico di Massimo Sannelli). E perché decuplicare e non limitarsi alla singolarità di un solo Inno alla morte, come Ungaretti in Sentimento del tempo? E ancora: Novalis, quello degli Hymnen an die Nacht in morte dell’amata Sophie, nei quali la morte predisponeva a una rinascita spirituale. E dove l’autore esordiva definendo l’uomo «lo splendido intruso» nel mondo terreno del quale non è parte, straniero alla luce che è regno inespressivo delle apparenze e che mai ravviserà l’infinito. Ipotizzo che Novalis sia una figura magistrale per Veronesi. Dei Dieci Inni parliamo dieci anni dopo: come sempre, tout se tient…
Una volta scrisse: «C... continua a leggere
tag: poesia, veronesi
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Scrivo questa recensione con un word processor e la tastiera contiene simboli. Oggi sembra scontato. Da un istante all’altro, lo schermo compone le immagini delle parole: le memorizzo con la vista e la macchina con una sequenza di byte. Sembra scontata anche la composizione immediata delle parole. Ora nasce un documento salvato-con-nome – questo file – e lo invierò a una persona molto lontana da qui. Ecco una straordinaria applicazione cibernetica. Come ci siamo arrivati?
Nelle intenzioni dell’autore questo dovrebbe essere un lavoro divulgativo, ma non è proprio così: la trama dei tecnicismi ci mette alla prova, nello stesso tempo la trama mentale è accattivante. La cibernetica italiana della mente nella civiltà delle macchine (Prefazione di Luca Angelone, Universitas Studiorum, Mantova 2017) sottende una vasta competenza dovuta alla lunga esperienza di Francesco Forleo nei centri di sperimentazione e di ricerca. Quindi, senza residui... continua a leggere
tag: cibernetica, francesco forleo, robotica
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Dott. Forleo, il suo La cibernetica italiana della mente nella civiltà delle macchine (Prefazione di Luca Angelone, Universitas Studiorum, Mantova 2017) non può prescindere dalla sua esperienza diretta in importanti centri di ricerca e di sperimentazione. Quanto di questa esperienza è passato nel suo libro?
Sarebbe semplice, e un po’ scontato, rispondere che, dopo averle abbastanza assimilate, ho provato a rinvenire la cesura e i punti di convergenza fra le teorie sulla modellazione della mente di Silvio Ceccato e le logiche della progettazione dei software che hanno guidato una buona parte degli esperimenti svolti sulla dinamica degli autoveicoli nella mia carriera in questo campo. Ciò è sicuramente vero, ed è suffragato da diverse evidenze, se pensiamo che ormai molti costruttori mettono sul mercato autoveicoli dotati dei più evoluti dispositivi cibernetici, come i sistemi di parcheggio automatico, il controllo della stabilità e gl... continua a leggere
tag: cibernetica, francesco forleo
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La parola post-verità, o post-truth, è entrata nell’uso in qualche vocabolario. Ma il lemma è riduzione del concetto, mentre l’analisi di Maurizio Ferraris in Postverità e altri enigmi (il Mulino, Bologna 2017) ci porta molto oltre il lemma da vocabolario. È ovvio: questo è un libro, non una definizione; è meno ovvio se si considerano le questioni implicate dal lemma affrontate in Postverità e altri enigmi. Il libro è una integrazione di L’imbecillità è una cosa seria, lo dice l’autore in una nota al Prologo. La postverità (con elisione del tratto d’unione, ad indicare la filiazione della postverità dal postmoderno filosofico) si radica in un fondo intemporale, come l’imbecillità, nella sua ambivalenza di incuranza verso i valori cognitivi (da questo lato, la postverità è l’esteriorizzazione dell’imbecillità) e carattere dell’umano, congenito, essere in-baculum, necessitan... continua a leggere
tag: maurizio ferraris, post-verità, tecnologia
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La parola post-verità, o post-truth, è entrata nell’uso in qualche vocabolario. Ma il lemma è riduzione del concetto, mentre l’analisi di Maurizio Ferraris in Postverità e altri enigmi (il Mulino, Bologna 2017) ci porta molto oltre il lemma da vocabolario. È ovvio: questo è un libro, non una definizione; è meno ovvio se si considerano le questioni implicate dal lemma affrontate in Postverità e altri enigmi. Il libro è una integrazione di L’imbecillità è una cosa seria, lo dice l’autore in una nota al Prologo. La postverità (con elisione del tratto d’unione, ad indicare la filiazione della postverità dal postmoderno filosofico) si radica in un fondo intemporale, come l’imbecillità, nella sua ambivalenza di incuranza verso i valori cognitivi (da questo lato, la postverità è l’esteriorizzazione dell’imbecillità) e carattere dell’umano, congenito, essere in-baculum, necessitante di bas... continua a leggere
tag: maurizio ferraris, post-verità
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Luogo del poetico è spesso il suo stesso giustificarsi e porsi come problema: qual è il suo senso quando la poesia non vuole tradurre l’emozione di un’ora? Non sappiamo quanto ultimativa possa essere la conclusione cui perviene Matteo Veronesi in Tempus tacendi, nel cui esordio disegna una situazione quasi di scoramento che accomuna i poeti, per poi polarizzare l’attenzione su di sé. L’uso anaforico lievemente ridondante, nel Prologo, di un «noi» non maiestatico concorre a rendere la dispersione della stirpe dei «poeti perduti». I poeti saranno presenti al mondo soltanto quando saranno deceduti al mondo. Postulato il differimento della ricezione poetica, cosa sono l’esperienza e l’opera nel presente? Nella dimensione versificante il tempo-adesso vede il fare versi nel nome del silenzio, per se stessi, «per noi soli», per un circolo esclusivo, al limite per nessuno. Per ciò che piú non è, per ciò che ... continua a leggere
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L’imbecillità «è il richiamo dell’abisso e del negativo e, insieme, del solo vero», lei scrive in L’imbecillità è una cosa seria (il Mulino 2016), che ha suscitato e continua a suscitare grande interesse nel pubblico. L’interesse è indubbiamente dovuto ai pregi del suo libro, ispirato alla brevitas ma oltre modo serrato, brillante ma essenzialmente amaro: ritratto implacabile e fedele della condizione umana. Senza ovviamente sminuire il suo lavoro, sorge il sospetto che dietro questa grande accoglienza ci sia anche qualcos’altro, che parecchi lettori si sentissero come chiamati in causa per una autoverifica. È possibile secondo lei?
R. Certo, i libri sull’imbecillità vanno tantissimo, e sono tantissimi, perché attivano due me... continua a leggere
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Passa la forma,
muore si dissolve
per sempre ci scompare.
È la materia, dicono,
che scorrendo resta:
si trasforma cambia
si deforma,
senza cessare d’essere.
Bernières, Calvados: 18 agosto
(Diario di Normandia)
Il soggettivismo non schiaccia mai Ruffilli, in poesia, anche se fino a un certo punto egli vi ha trasfuso molto di sé. Ecco, qual è questo punto? Il momento dell’abbandono della misura soggettiva per una riflessione versificata sull’altro da sé? Forse, La gioia e il lutto e Le stanze del cielo. Ma nel successivo Affari di cuore si incaricava di affrontare direttamente – e inevitabilmente con il coinvolgimento dell’esperienza personal... continua a leggere
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Io ti offro un esilio luminoso
oggi: una litania di undici colpi,
precisa, non la morte, e una sequenza
delicata, nessuna distruzione.
Questo è un esilio dolce, come il seno:
nella rete sei tu; sei prete e re,
e veramente hai lo scudo, hai lo stile,
hai Dio, non il suicidio, veramente.
È il penultimo dei componimenti raccolti sotto il titolo di Poesie nello stile del 1940, e-book di cui riporto la nota di chiusura: «Queste poesie sono state scritte dal 6 luglio al 7 agosto 2016. I testi sono in endecasillabi, decasillabi, novenari, settenari». Quello qui riprodotto è ovvia... continua a leggere
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«Quel sépulcral naufrage (tu / Le sais, écume, mais y baves) / Suprême une entre les épaves / Abolit le mât dévêtu», scrive Mallarmé in A la nue accablante tu. «Quale sepolcrale naufragio (tu / Lo sai, schiuma, ma la tua bava ci spargi) / Supremo, unico tra i relitti / Abolì l’albero spogliato». È la nave della poesia, e dell’esistenza, sorpresa nell’istante esatto in cui cessa di svanire sotto la superficie dell’essere e del dire, sotto il velo del significato. Perché Mallarmé? Perché in diverse occasioni Matteo Veronesi ha dichiarato che se c’è un poeta di cui non potrebbe davvero fare a meno, questi è Mallarmé. E il sonetto mallarmeano c’entra con la sua visione del mondo e della poesia, forse c’entra qualcosa con Lettera dalla Dacia. Inviata da Veronesi nell’agosto 2009 come lettera a una ristretta cerchia di amici, Lettera dalla Dacia venne poi diffusa in rete. Anche sotto questo profilo è un testo singolare: ... continua a leggere
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“Crisi”: tale il concetto-chiave di questo libro, e insieme la temibile insidia a cui esso cerca di offrire una soluzione. «La crisi porta progresso», diceva Einstein, una delle autorità qui richiamate. La parola deriva infatti da kríno, “separare”, “distinguere”, “discernere”, designa allora un momento risolutivo che determina la dismissione di una maniera di essere per un passaggio radicale ad un’altra. Si ha la sensazione di vivere alla fine della storia, viviamo una crisi profonda che ci rende inclini all’astensione, all’adattamento, all’accettazione acritica del luogo comune. Insieme all’impressione di una esperienza incompleta, anonima, “qualunque”. È il mondo-Moloch, quello dell’urlo di Ginsberg: «Moloch che mi è entrato presto nell’anima!», «Moloch in cui io sono una coscienza senza un corpo!», «Moloch che col terrore mi ha tolto alla mia estasi naturale!» (Howl, tr. it. di L. Fontana). Ma abdicare a Moloch, sottosc... continua a leggere
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C’è un racconto di Walter Benjamin, Telefono. Fa parte di Infanzia berlinese, il libro di ricordi postumi, e dice del suo stupore all’apparire del primo telefono fisso, quello che solitamente era collocato nei corridoi degli appartamenti, di come in qualche modo rappresentò «la consolazione alla solitudine», ma anche di come ogni squillo equivalesse a «un segnale d’allarme», a una pallida – rispetto a ciò che avviene oggi – minaccia di mobilitazione. Cosí concludeva Benjamin il suo ricordo: «e come il medium obbedisce alla voce che lo domina dal di fuori, cosí io mi arrendevo a quella qualsiasi prima intimazione, che il telefono mi recapitava» (trad. it. Einaudi 1982, pp. 19-21). Viene da chiedersi come avrebbe reagito al minimo richiamo di uno smartphone. Ad esempio alla domanda «dove sei?», quella che rivolgiamo e che ci sentiamo rivolgere a ogni segnale del nostro telefonino, che si avvicina – Ferraris scrive – a una «infrazione dell’ha... continua a leggere
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«Un giorno ho cambiato tutti i segni del mio codice, perché era vano», Massimo Sannelli a un certo punto dice in Digesto. L’anno della svolta, dell’uscita dalla scena poetica, è all’incirca il 2010, quando Sannelli rompe con il suo stile di poeta ateo. Autore tutt’altro che disadorno, non ateo, non fingitore, prende atto della distanza dei suoi versi dalla sua autentica predisposizione: l’apparire in scena. «E il corpo è l’uomo», come dice il Tristano di Leopardi. Adesso un «corpo» appare pubblicamente – e apparire è agire, per Sannelli –, e questo significa essere anche «uomo», un uomo dello stile, con stile. Però, quando l’apparire sembrerà più liturgico (alla stregua di un sacerdote all’altare, di mago operante, di performer grotowskiano), Sannelli trasformerà l’esposizione sempre in una parodia, anche clownesca (qui a tratti il linguaggio è duro e materiale, in qualche caso francamente volgare); e quando la deriva comico-reali... continua a leggere
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È stato più volte fatto notare come le istanze del Nuovo Realismo si caratterizzino per un eccesso di complessità tale da non renderle circoscrivibili in una definizione sintetica. Anche a voler prescindere dalle varie posizioni che vanno sotto il comune denominatore del Nuovo Realismo, nella specifica prospettiva di Maurizio Ferraris ci troviamo di fronte ad assunti sempre più capillari ed esigenti che aprono a nuove coimplicazioni insieme a nuovi gradi di estensione dei predicati nuovorealisti. È il caso di Realismo positivo (ovvero l’antefatto di un’opera più vasta e sistematica, come viene anticipato nella nota editoriale), dove le intenzioni che muovono Ferraris riguardano il decorso dialettico e il conseguente accrescimento delle competenze proprie del carattere resistenziale della realtà, vale a dire dell’autonomia strutturale di quel vasto strato di esistenza che permane indocile e non sempre inte... continua a leggere
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«Dentro e fuori le intenzioni di…», ricordo di aver letto proprio a proposito di un regista cinematografico. Ed è la medesima impressione che si trae dalla babele dei giudizi desunti dalle note o recensioni all’ultimo film di Paolo Sorrentino, che oscillano tra perplessità non sempre adeguatamente motivate e adesioni quasi viscerali. Il che potrebbe far pensare alla circostanza di riconoscerci, o di rifiutare di farlo, in qualcuna delle situazioni illustrate, o allusivamente date, nel corso del film. Difficile rinvenire i principi unificatori dell’opera che ne organizzano e ne strutturano i molteplici temi. E riportare ordine in una materia ricchissima e quasi debordante, che tende a nebulizzarsi in segni promiscui e in continue interruzioni, e nella cui selva vi è il rischio di smarrire. Ma quale vantaggio recherebbe il rinvenimento del filo di una trama lineare, quando spesso l’arte si dà intenzionalmente per frammenti, altrettanto spesso quale figurazi... continua a leggere
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Finalmente è la fine del mondo, una riflessione per superare quella «tautologia abissale che vede l’uomo degno perché uomo»… Per non sparire nel dominio delle morti, per compiere uno scatto in avanti: un nuovo profilo umano dovrà allora delinearsi trasvalutando pensiero, azioni e omissioni praticati con una irriflessività più o meno giustificata. L’uomo e la sua opera, nei termini espressi fino ad ora, entrano definitivamente in crisi, anzi stanno cooperando alla distruzione del mondo. «Finalmente» nel suo romanzo è anfibologico. Per il momento è come dire: infine, per ultimo, in relazione al tempo che qui ha termine. Romanzo filosofico di dissoluzione – benché nell’epilogo venga indicata una chance all’autodistruzione –, opera breve, serrata, volta alla ricerca delle ragioni che hanno determinato, «finalmente» – si vedrà il perché –, l’esaurirsi dell’esistente. Lei scrive, nella nota editoriale, che quest’opera è l’esito di l... continua a leggere
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Di recente, in «Poesia 2.0», lei ha pubblicamente abiurato alla sua opera in versi con una serrata e articolata dichiarazione che vale la pena riprodurre qui per intero.
Massimo Sannelli, Abiura in cinque punti
1.
Nell’anno 40° della vita decido di rinunciare alle mie opere di poesia. D’ora in poi, non riconoscerò nessuno dei miei libri di poesia, né le collane in cui sono usciti, né i rapporti – di volta in volta umani, accademici, professionali, critici – che li hanno garantiti e promossi. Abbandono tutti i miei libri di poesia, nessuno escluso: sono stati scritti in un altro tempo (disperatamente lungo, pieno di legami) e con un altro corpo (ferocemente autodistruttivo, assottigliato fino alla consumazione, cioè fino all’errore).
2.
I testi riappariranno in libri nuovi, più coerenti con l’intenzione che non ho seguito fino in fondo. Qualcuno conserverà la forma originale, altri saranno cancell... continua a leggere
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«Esistere è resistere» è la paronimia che fa da titolo all’intervento di Maurizio Ferraris in Bentornata realtà, il recente volume che riunisce angolature diversificate ma tese a integrarsi e a ridefinire in ottica nuovorealista un campo di ricerca a lungo termine. La «discussione» coinvolge dieci autori e si articola a partire da alcune affermazioni preliminari: il nuovo realismo è dottrina critica al pari della decostruzione, con la differenza che le affianca una ricostruzione; esiste una ontologia sociale che, diversamente da quella naturale, va avvicinata con criterio ermeneutico; la filosofia non è in conflitto con la scienza, cui, al contrario, deve rimettersi quando si tratta di argomenti che le competono; il nuovo realismo è una «filosofia globalizzata», e dovendosi aprire a questioni multiverse inerenti all’uomo, è tenuta a temperare il suo specialismo in vista di una ricezione più ampia.
«Esistere è resistere» è l’assioma di Ferra... continua a leggere
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È un romanzo che ha per protagonista la bellissima moglie di Antonio Gramsci, figura ineffabile di per sé e della quale alquanto inesplicabilmente nelle biografie gramsciane si sono perse le tracce. «Se non si fosse provveduto ad una repentina estinzione di Giulia ci sarebbero stati tutti gli elementi per scrivere un romanzo su di lei. Perché nessuno l’ha ancora fatto?». Lo fa Lucia Tancredi – forse riflettendo su questo suo interrogativo – nella sua ultima opera narrativa, La vita privata di Giulia Schucht (ev editrice 2012). Indipendentemente dal prologo, «oggi» (dove l’autrice annovera le ragioni, le sensazioni, gli imperativi anche di ordine morale sottesi al suo invaghimento nei confronti della Schucht) e dalla suggestiva conversazione con Antonio Gramsci jr che emblematicamente (si vedrà il perché) chiude il libro, i titoli dei capitoli vengono fin troppo sinteticamente designati con delle date, decise e tassative, che nel loro succedersi inappel... continua a leggere
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«I libri di questa biblioteca potrebbero essere definiti come delle promesse. Di felicità, di infelicità, di attesa, di amore o di paura, a seconda dei casi». È una frase che troviamo nelle prime pagine del suo ultimo lavoro, La biblioteca delle emozioni (Ponte alle Grazie, Milano 2012), nel quale lei mostra di muovere da una condizione di partenza, quella per cui i personaggi della finzione sono atti a promuovere in noi dei reali stati affettivi, come argomentava in Chi ha paura di Mr. Hyde? Oggetti fittizi, emozioni reali, del 2010. È la replica realistica al paradosso della finzione, che dubitava della veridicità delle nostre emozioni alla presenza di entità fittizie. Soluzione che implica che il credere nell’esistenza reale di ciò che ci emoziona non sia una condizione indispensabile per provare delle emozioni vere. Si avverte nei suoi libri tutto un lavoro di ricerca sugli oggetti finzionali addotti come campo applicativo, in particolare sulla ver... continua a leggere
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Il suo ultimo libro svolge una energica verifica del rapporto necessario tra realtà e pensiero rigoroso. Tuttavia, rispetto ad altri suoi lavori, Manifesto del nuovo realismo (Laterza, Roma-Bari 2012) mostra un certo margine di eccentricità, e ciò in virtù di un ragionare essenzialmente riflesso sulla evoluzione di una prospettiva filosofica che viene ripercorsa attraverso le varie declinazioni del metodo di ricerca che la sorveglia da vicino: quel realismo che ne costituisce il motivo ispiratore, unificatore e fondante. Una ricerca sterminata e dagli esiti fecondissimi, la sua, che con sistematicità si dilata dall’ontologia dell’opera d’arte al riconoscimento del primato della registrazione sulla comunicazione, dalla focalizzazione degli oggetti sociali alla formulazione per la quale lo spirito è materiale, cioè consiste nella risultanza della lettera e del suo valore documentale, dall’identificazione della verità delle nostre emozioni anche di fr... continua a leggere
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Se dovessimo elaborare schematicamente una metafora del tipo “è diventato un vampiro” dopo aver letto Twilight. Filosofia della vulnerabilità di Monia Andreani ci troveremmo a dover incrementare l’intersezione del “veder come”, lo spazio delle caratteristiche comuni ai due termini (quello sotteso di uomo, perlomeno di un uomo, e quello di vampiro al maschile) del transfert con tutta una serie di attribuzioni analogiche che ineriscono a entrambi gli stati. Attributi, di ordine morale in questo caso, nessi significativi o intuitivi che autorizzano l’identificazione dei due termini differenziati: disposizione parassitaria, vocazione al dominio, istinto divoratore, vitalismo, femminilità perversa, una vulnerabilità differentemente esperita, immortalismo, incompiutezza, aprogettualità, pulsione di morte, ricerca di vincoli dispersi, icona eu-sociale. Per poi dover ridistribuire tali proprietà in sottoinsiemi che si riferiscano a un peculiare status di uomo... continua a leggere
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La vicenda sulla quale si affabula in Côté Bach (ev 2009) è la storia di una rigenerazione, del tentativo di trasformare in altro uno stato stagnante dell’essere. Critico musicale, personaggio-protagonista che vive un momento di transito dall’irretimento nella sua logica inerziale dell’appagamento a una ingiunzione a disconoscersi, non è affatto casuale che resti senza nome fin quasi alla fine del racconto. Come segno che si ricompone nella propria recherche, Lucien è indotto a riconsiderare la propria esperienza e a tentare di affrancarla dallo scadimento nell’automatismo e da ciò che finora aveva creduto essere o interpretare: uno «specialista della rimozione», come egli stesso si definisce nella sua autopresentazione, in un esordio, dunque, per caratterizzazione diretta.
Inaspettatamente, per caso, in una spaesante flânerie – e un prologo siffatto dà la misura del peculiare proustismo del libro (là dove Proust è palesemente presente nel ro... continua a leggere
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Gozzano e l’humanitas, Gozzano e il mistero, Gozzano mistico senza Dio, Gozzano e l’assenza, Gozzano e il tempo. Questi i motivi principali e coestensivi sondati in Gozzano dopo cent’anni (Nuova Provincia, Imola 2011), un’ ampia antologia – il cui titolo ricalca quello del noto e illuminante saggio montaliano del ’51, Gozzano dopo trent’anni – delle opere di Guido Gozzano che gli autori hanno curato in occasione del centenario dell’uscita dei Colloqui
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Il titolo e il sottotitolo, in apparenza arcani, di questo libro alludono, da un lato, all'idea rinascimentale della coscienza culturale come settimo giorno della creazione, dell'autocoscienza o coscienza riflessa come compimento ideale dell'universo, come vasto silenzio in cui la realtà e il pensiero vedono ed inverano se stessi nello specchio della riflessione; dall'altro, all'antica (ma anche moderna: D'Annunzio «estremo de' bibliomanti») arte della bibliomanzia, della conoscenza profonda, in certo modo profetica, che si ricava, o che ci si illude (ma quanto vitale e salutifera illusione) di ricavare, dallo scrutare e dall'auscultare, senza schemi preconcetti (e anzi concedendo al mistero, all'engima, all'imponderabile, ciò che a sé rivendicano nel percorso della vita, della conoscenza e della creazione), la selva di segni della scrittura e del testo
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I colloqui uscirono con Treves un secolo fa, verso la fine del febbraio del 1911. Il titolo del secondo libro di rime di Guido Gozzano ha carattere programmatico, esplicativo insieme di una intenzionalità artistica e di una intonazione verbale. “Cum loquere”, “parlare con”. O, detto altrimenti, “colloqui”, “parlare insieme”: codificare un messaggio che supponga un interlocutore, e nel canone crepuscolare tale presupposto finisce per dar luogo a una conversazione deliberatamente informale, in abbassamento tonale rispetto al carduccianesimo e al dannunzianesimo - si è detto e ripetuto fin quasi all’esaustione. Ma, al di fuori del luogo comune immediatamente ci immettiamo in un’altra considerazione non meno convenzionale, tuttavia non altrettanto marginabile: è in questione, con il diffuso versificare in dimessità di ritmo dei crepuscolari, una reazione alla contemporaneità attraverso lo smascheramento del sublime ipocrita della fatiscent... continua a leggere
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Nel rileggere Gozzano a quasi un secolo dall’uscita quello che fu il più rappresentativo dei suoi libri di rime, I colloqui, e dopo vaste e multivoche investigazioni sui versi gozzaniani e ardue ricognizioni intorno alla loro posizione nel nostro Novecento, e definizioni di formule riassuntive (Gozzano come l’ultimo dei classici, colui che inaugura la linea crepuscolare della poesia in negativo, un prosatore in versi, ovvero un ironista essenzialmente estraneo al crepuscolarismo, un occasionale autore di plagi, un poeta che lambisce la soglia del divino, per nominarne solo alcune tra le più note ed emblematiche) almeno un aspetto, in particolare, ancora suscita una certa perplessità, un
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L’attività estetica – diceva Schelling nel fondamentale e fondante suo Sistema dell’idealismo trascendentale – vede il convergere di produttività conscia e inconsapevole, e in essa, in quanto conoscenza assoluta, avviene l’unificazione tra la sfera della natura e quella dello spirito. L’arte estrinseca l’identità originaria di natura e spirito, di necessità e di libertà, di atto soggettivo e intenzionale e di attività inintenzionale. Nel prodotto estetico è dunque sottesa una unità originaria che lascia trasparire l’elemento della necessità: l’opera non può corrispondere alla volontà realizzatrice dell’artista perché l’azione umana
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La letteratura, per Guido Gozzano, è un esercizio labile: “un libro di rima dilegua, passa, non dura”. Consapevole di essere predestinato alla transitorietà tanto vale, come ebbe a dire Edoardo Sanguineti – interprete sommo di Gozzano – fare letteratura obsolescendo, mediante la codificazione non di versi nuovi destinati all’invecchiamento, ma già fin dall’inizio sorpassati e desueti, inadeguati al presente
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