Caro Bardo,
mi è stato chiesto di stendere un tuo elogio funebre, poiché sono quella che conosceva di te l’intimità dell’anima: ero tua amica. Fra le cose per le quali può lodarti il tuo grillo parlante, così mi definivi, la più grande è quella di essere stato un uomo che non ha commesso peccati d’omissione. Il professor Benozzo non era mai indifferente a una creatura – chiunque fosse – che percepiva come indifesa o vittima di ingiustizia e questo era un atto di cuore coerente con la sua poetica, una dimensione esistenziale nella quale etica, estetica e politica erano un solo gesto.
Io ero in disaccordo con le tue scelte degli ultimi anni, che giudicavo autolesioniste. Saresti stato un grande eroe risorgimentale, ma il nostro tempo era cup... continua a leggere
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I
Tra le tavole della legge e la scrittura del perdono
Col dito in terra scavi l’amore rappreso,
scrivi del malinteso quanto non si può intendere,
allontani la morte dall’arreso, l’arreso dalla morte.
Lì non funziona più l’alfabeto, ma quanto della parola
sottostà al segno che indica, ma non più gli orizzonti,
le cose o le persone che sono o che non sono.
Rimandi la leggenda all’illeggibile:
è che è lì che nasce
la chiarezza suprema dell’equivoco,
il chiarore che limita le ambasce
trattenute, quasi orlo illuminato
del bicchiere posato poco fa
terminato il festino, allontanato
il brillio della stella, il morso alato
del bacio che sembrava alfine schiudere... continua a leggere
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Fosca di Igino Ugo Tarchetti (1839-1869) rappresenta con ogni probabilità, nel vario ed eterogeneo panorama della Scapigliatura di un'Italia ancora da farsi, un romanzo d'importanza tutt'altro che secondaria: se, da una parte, appare accogliere parecchi motivi dominanti in questo movimento culturale affatto sui generis, dall'altra si rivela – a ben vedere – tendenzialmente sovversivo persino nell'anarchico "canone" scapigliato, nonché proiettato, talvolta quasi visionariamente, verso tematiche, fermenti e temperie assai... continua a leggere
tag: letteratura, romanzo, scapigliatura
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Marina Cvetaeva ha scritto: “Tutti i poeti sono ebrei”. Proficuo chiedersi subito, forse, in che senso una figura determinante nella civiltà letteraria russa del secolo passato abbia rivendicato un’identità culturale così precisa – e, conoscendo la Cvetaeva, non si trattava di una mera presa di posizione intellettuale, assunta per affinità o solidarietà da vittima. Ella puntava più in alto.
Analogamente, è oltremodo interessante domandarsi cosa si afferma quando si dice “siamo tutti ebrei”? – o “siamo Charlie Hebdo”. E che significhi – di là dallo slogan e dalla sua efficacissima portata emotiva – assumere un’identità e rivendicare, in virtù di essa, un prototipo esistenziale.
Un’eccellente risposta al primo quesito – e forse anche al secondo – la offre, a nostro sentire, un testo mirabile di Judith Riemer e Gustav Dreifuss, pubblicato anni fa pure in un’egregia traduzione italiana (Giuntina, Firenze, 1994).
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Con rara misura e carsica presenza Cristina Campo – nome connotato di Vittoria Guerrini (Bologna, 1923 - Roma, 1977) – attraversa la letteratura italiana dal dopoguerra agli anni settanta. E la sua forma di “critica poetica” costituisce, ad avviso oramai di molte voci de race, un unicum nel panorama della seconda metà del secolo
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In poesia tutto è traducibile. Una riflessione sulla poesia di Pasolini può forse partire da questa considerazione, e porre il problema del passaggio da lingua a lingua quale tema fondante della riflessione sul linguaggio e sulla possibilità etica e storica che l’appropriarsi di una lingua poetica dischiude. Tale asserzione non è mero rovesciamento: appare invece necessità di approccio, se si pensa che l’autore di Poesie a Casarsa scrive «non siamo più a un cromatismo dialettale, ma siamo ancora in un ambito di fisicità, ossia di intraducibilità»
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tag: pasolini
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Lo scheletro del Candide del Teatrino Clandestino si riempie di segni e simboli: reliquia di una bizzarra deflagrazione ricomposta con la tecnica del papier collé, idee, visioni, frammenti di materia vi galleggiano insieme con una zattera alla deriva di nome Europa. E di materia si tratta, un palcoscenico-ring, costruito e distrutto, fagocitato da un’azione scenica totale, in febbrile modellamento
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