Bibliomanie

La nuova redazione di Bibliomanie
di , numero 48, dicembre 2019, Editoriale,

La nuova redazione di Bibliomanie
Come citare questo articolo:
Mirco Dondi, La nuova redazione di Bibliomanie, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 48, dicembre 2019

Con questo numero 48 la redazione di “Bibliomanie” si presenta profondamente rinnovata grazie agli ingressi di Beatrice Borghi, Carlo Costa, Elena Lamberti, Annamaria Lorusso, Christophe Mileschi, Ugo Russo, Daniele Salerno, Daniele Serapiglia, Pierre Sorlin, Marco Veglia, Angelo Ventrone.
La storia di questa rivista (all’interno della quale restano i fondatori Mauro Conti, Magda Indiveri e Davide Monda) si caratterizza per l’apertura verso i contributi di discipline diverse, con un taglio che concilia la scientificità con la fruibilità dei contenuti. Saremo attenti alle differenti forme della testualità, aprendoci anche agli studi sulla medialità.
Un altro fondatore di “Bibliomanie”, il poliedrico scrittore Roberto Roversi (noto per essere stato autore di Lucio Dalla, Mina, Gianni Morandi, Stadio, Paola Turci e altri ancora), si è battuto per una cultura che fosse a disposizione di tutti e non veicolata dalle esigenze dell’industria culturale. Benché autore conteso dalle più grandi case editrici, decise di pubblicare i suoi contenuti in proprio. Le sue relazioni erano con i lettori e gli altri autori, ma si è sempre rifiutato di presentare i suoi lavori in pubblico. Un animo libero e aperto (Roversi è autore anche di poesie, racconti, testi teatrali, sceneggiature di documentari) che ha dato linfa al progetto di “Bibliomanie” con Ezio Raimondi e alcuni suoi allievi con i quali aveva molto in comune sul piano della apertura alle discipline (in fondo il sapere è uno), e sulla fruibilità dei contenuti, intesi sia nel loro libero accesso (e tale è la risorsa on line) che nella chiarezza espositiva.
Questa disposizione va intesa anche come possibilità di ingresso, con un occhio di riguardo verso chi costruisce contributi meritevoli. “Bibliomanie” si propone di essere anche una rivista di primo accesso per giovani studiosi e brillanti neolaureati i cui spazi per mettersi in mostra, con la ridefinizione delle riviste e dei criteri di valutazione della ricerca, si sono ristretti.

Una pillola di metodo

In un agile ma denso intervento, Ezio Raimondi (Novecento e dopo. Considerazioni su un secolo di letteratura) ritorna sugli squarci di confini fra le discipline fondendo il fatto letterario con il fatto storico. Si tratta di due linee sovrapposte di un mutuo operare che restituiscono un senso ulteriore a ciascuna disciplina in termini di definizioni, categorie, strumenti di analisi. Vi si legge tra l’altro (p.68): «ogni costruzione di senso […] non può appartenere a una sola voce univoca anche se ogni voce ha valori da proporre». Non è stato il primo studioso a tenere uniti i due ambiti, tanto è evidente quanto il romanzo sia in grado di delineare – anche in forma non esplicita – un sistema storico e sociale.
Piuttosto, Ezio Raimondi, più di altri, ha guardato alla storiografia per definire le sue chiavi interpretative. In Novecento e dopo la letteratura finisce associata con i lavori degli storici Eric Hobsbwam e Pierre Milza mentre gli scavi di Raimondi sul significato, «sul complesso mondo delle parole», partono dalla filologia e spaziano lungo i fronti delle discipline.
Su questo orizzonte, Ezio Raimondi aveva presente la lezione di Michail Bachtin (notevoli le intuizioni di quest’ultimo su segno e senso) e di Walter Benjamin le cui aperture da critico letterario sulla contemporaneità restano punti di riferimento.

Nel concreto è questo uno dei testimoni che il grande critico letterario ha passato al primo gruppo di “Bibliomanie”: la letteratura intesa come laboratorio di scavo sulla storia e sul presente. Un orientamento condiviso anche dal nuovo gruppo, per quanto siamo coscienti che si tratti più della fascinazione di un percorso che non di un vero progetto.
In un tempo che assume uno scorrimento sempre più celere spesso, specie nell’ultima fase della contemporaneità, si assiste alla rapida usura di categorie e alle riformulazioni (si pensi nel giro di soli dieci anni a come è cambiato il concetto di globalizzazione cfr. Joseph Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, Torino, Einaudi, 2018).
La modernità è stata superata da nuovi paradigmi – come sostiene Manuel Castells – e la tecnologia dell’informazione è rivoluzionaria quanto lo sono state le nuove fonti di energia per la rivoluzione industriale.
Quello che sta attorno a noi è soprattutto un mondo di segni e interpretarli ci aiuta a capire chi siamo e da dove veniamo, consci che l’attribuzione di un senso simbolico agli atti umani è il tratto di ogni civiltà. Nella contemporaneità i segni si sono moltiplicati e il loro valore è più transitorio rispetto al passato.
Ogni esperienza culturale è il prodotto di una relazione tra saperi e tra persone. Interrogare con metodi diversi la successione dei piani temporali è un esercizio utile a fornirci strumenti per capire il mondo che cambia.
Vorremmo rifuggire da semplici intenti descrittivi e seguire i processi di senso nelle loro diverse declinazioni disciplinari, da qui anche il nuovo sottotitolo: letterature, storiografie, semiotiche.

Questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International. Copyright (c) 2019 Mirco Dondi