Bibliomanie

Il presente di Anceschi
di , numero 40, settembre/dicembre 2015, Letture e Recensioni,

Il presente di Anceschi
Come citare questo articolo:
Margherita Carlotti, Il presente di Anceschi, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 40, no. 10, settembre/dicembre 2015

Nell’ambito dei dibattiti curati dalla Casa dei Pensieri, per ricordare i vent’anni dalla morte del critico Luciano Anceschi, il 10 settembre si è tenuto a Bologna l’incontro “Il presente di Anceschi. La poesia e l’estetica nel pensiero di Luciano Anceschi, venti anni dopo”. Sono intervenuti Fausto Curi, Carlo Gentili, Niva Lorenzini, Marco Macciantelli. Presiedeva Margherita Carlotti, della quale pubblichiamo il discorso introduttivo.

Introdurre la complessa figura di Luciano Anceschi in pochi minuti sarebbe davvero complicato e soprattutto molto riduttivo, quindi prima di presentare gli ospiti che interverranno questa sera, dò il via a questo incontro raccontandovi la mia esperienza di giovane studiosa di filosofia e di come sono entrata in contatto con la figura di Luciano Anceschi vent’anni dopo la sua morte. Ciò è avvenuto appena iscrittami al corso di laurea in filosofia attraverso le lezioni di estetica del professor Lucio Vetri, ma soprattutto, due anni dopo, durante la redazione della mia tesi triennale in letteratura italiana contemporanea. Certamente il fatto di essere una studentessa di filosofia che si avvicina allo studio della letteratura, mi ha portato a prendere coscienza della grande importanza degli studi compiuti da Anceschi, che, durante tutta la sua carriera, si è occupato della relazione fra questi due campi. Ma il fatto di compiere ricerche per una tesi riguardante le influenze della fenomenologia su Antonio Porta, poeta del Gruppo ’63, ha fatto sì che scoprissi anche il ruolo fondamentale di Anceschi nella nascita della neoavanguardia, in quanto fondatore e caporedattore della rivista letteraria Il Verri. La sua attività di critico faceva sì che la sua riflessione filosofica e teorica non fosse puramente speculativa, ma prendesse le mosse dalla poetica – nel senso letterale del termine, ovvero dall’attività creatrice dei poeti a lui contemporanei. La riflessione anceschiana non si pone mai come la risposta unica ad una domanda data, un esempio su tutti, la domanda “che cosa è la poesia?”, ma è sempre costruita attraverso un processo fenomenologico (e qui si vede l’influenza di Husserl attraverso l’insegnamento di Banfi) costituito dalla analisi della domanda stessa e delle relazioni in essa celate. Questo tipo di approccio apre la ricerca a una pluralità di risposte, a una sistematicità non univoca, ma plurilineare e permette alla “cosa” di non irrigidirsi, ma al contrario di aprirsi a stimoli sempre nuovi. Inoltre, vorrei ricordare da giovane laureata quale sono, il costante impegno di Anceschi e la fiducia che poneva nei giovani studenti e poeti dando loro voce. Sul Verri trovavano spazio scrittori esordienti che sono poi diventati grandi della letteratura contemporanea, da Giuseppe Pontiggia a Edoardo Sanguineti, Antonio Porta, Nanni Balestrini. Vorrei concludere, o meglio, cominciare, con una citazione da una lettera di Vittorio Sereni ad Anceschi che, a mio parere, dimostra i principi di collaborazione e multidisciplinarietà che sono alla base dell’insegnamento anceschiano:

“mi pare che tu creda molto ancora, mentre io credo solo alle amicizie a due, magari a tre, a me pare che tu creda ancora a un lavoro comune a una collaborazione, a un fatto, se pure limitatamente, collettivo o ambientale”.

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