Bibliomanie

Tre interviste di António Ferro a Benito Mussolini (1923, 1926, 1934)
di , numero 49, giugno 2020, Traduzioni, inediti e rari, DOI

Tre interviste di António Ferro a Benito Mussolini (1923, 1926, 1934)
Come citare questo articolo:
Federica Tosi, Tre interviste di António Ferro a Benito Mussolini (1923, 1926, 1934), «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 49, no. 23, giugno 2020, doi:10.48276/issn.2280-8833.4103

L’instaurazione dell’Estado Novo portoghese nel 1933 rappresentò solo l’apice di un lungo processo di crisi e decadimento delle istituzioni liberali. Il periodo della Prima Repubblica (1910-1926) fu fin da subito caratterizzato da forti tensioni sociali e instabilità politica: la mancata realizzazione dell’allargamento del suffragio, l’incapacità del governo nel porre un freno alla crisi economica e la politica fortemente laica portata avanti nei confronti della Chiesa cattolica crearono un forte senso di sfiducia verso della classe dirigente da parte della popolazione. L’entrata in guerra del paese a fianco dell’Intesa nel 1916 non fece altro che acutizzare la crisi politica ed economica nel paese. La delegittimazione politica e culturale del Partito Democratico al potere non riguardava solamente il partito, ma più in generale i principi stessi della democrazia liberale e del sistema liberista-capitalistico. L’opinione pubblica, veicolata dalla stampa, iniziò a simpatizzare sempre più per soluzioni di tipo autoritario che ponessero fine alla crisi del paese. Nel 1917 il golpe di Sidónio Pais rappresentò un primo tentativo di svolta in senso presidenzialista e corporativo nella politica di governo, ma si concluse dopo appena un anno con l’assassinamento di Pais. La breve esperienza sidonista e il suo modello presidenzialistico e corporativo furono alla base di numerose organizzazioni e movimenti filofascisti e nazionalisti del primo dopoguerra. A partire dai primi anni Venti tuttavia, un nuovo modello autoritario si fece strada nell’opinione pubblica europea e portoghese, destinato ad acquistare sempre maggiore notorietà: il modello fascista italiano. A partire dal 1922 infatti, il Partito Nazionale Fascista (PNF) era salito al governo guidato dal suo leader Benito Mussolini in qualità di Presidente del Consiglio. Il fascismo nasceva in opposizione al modello di Stato liberale, al quale contrapponeva l’idea di uno Stato Nuovo, fondato su alcuni principi cardine quali l’esasperazione dell’identità nazionale, il ristabilimento dei valori tradizionali della Nazione minacciati dalla modernità, l’educazione e la politicizzazione delle masse, il nazionalismo e l’italianismo, il senso della solidarietà sociale e della comunità. L’immagine della nuova Italia, risollevata dalla crisi postbellica e che aveva superato la minaccia socialista, attirò subito l’attenzione dei portoghesi, che videro nel fascismo italiano un modello esportabile anche nel loro paese e che avrebbe posto fine alla crisi repubblicana. Anche l’interesse della stampa venne attirato dalla figura di Mussolini, l’immagine di un capo adorato dalle folle, che era riuscito ristabilire l’ordine e l’armonia in un paese sull’orlo del baratro quale era stata l’Italia del primo dopoguerra. In particolare fu António Ferro che diede uno dei contributi maggiori alla diffusione della propaganda filofascista in Portogallo, dipingendo con tinte estatiche la nuova Italia rigenerata sotto la guida di Mussolini. Era affascinato dalla personalità del Duce e dal suo modo di fare politica e coinvolgere le folle con i suoi discorsi infuocati e il suo entusiasmo traspariva dagli articoli che pubblicava sul Diário de Notícias.
António Ferro fu una figura determinante del panorama culturale portoghese, sia negli anni di transizione verso il salazarismo che durante i primi anni del regime. La sua formazione culturale affondava le radici nel futurismo e fu fortemente influenzata dalle suggestioni fasciste degli anni Venti. Divenuto popolare sia in patria che all’estero per la sua carriera nel giornalismo come reporter internazionale, con l’avvento dell’Estado Novo divenne una delle figure caratterizzanti dell’Estado Novo assumendo la direzione del Secretariado da Propaganda Nacional (SPN), l’organo ufficiale a capo della propaganda e censura del regime.
Avvicinatosi al futurismo e al panorama culturale italiano fin dalla giovinezza, Ferro accolse da subito con grande entusiasmo l’ascesa di Mussolini in Italia e del suo progetto totalitario, del quale apprezzava in modo particolare l’aspetto estetico e liturgico, più che le risoluzioni politiche.
Nel 1922 il giovane Ferro decise di partire per l’Europa e intraprendere la professione di giornalista. Fin da questo momento Ferro manifestò il suo peculiare orientamento per una cultura cosmopolita, l’interesse per argomenti internazionali più che portoghesi, dando l’avvio a una breve ma sfolgorante carriera da reporter. Attraverso il Diário de Notícias e O Século, due dei giornali con i quali collaborava scrivendo articoli, Ferro contribuì a diffondere l’idea che un epilogo autoritario fosse non solo auspicabile, ma inevitabile per porre fine alla decadenza della Repubblica. Mussolini rappresentava per Ferro il modello perfetto di “Chefe” (Capo): nel corso della sua carriera ebbe occasione di venire tre volte a contatto con la dittatura italiana e di intervistare il Duce, che diventò un riferimento culturale e ideologico fondamentale all’interno del suo pensiero.
Le tre interviste si svolsero in tre momenti diversi e significativi della storia politica portoghese. La prima, per il quotidiano A Capital, nel 1923 e dunque in piena crisi repubblicana, manifesta l’intenzione dell’autore di trasmettere una sintesi generale e positiva del fascismo italiano ai suoi connazionali, in opposizione al liberalismo portoghese. La seconda intervista nel 1926 per il Diário de Notícias (DdN), è la più lunga e significativa: il 28 maggio di quello stesso anno infatti, un colpo di Stato aveva posto fine alla Prima Repubblica e dato vita a una Dittatura militare. Il momento rappresentava un’occasione unica per chi, come Ferro, auspicava la salita di un regime autoritario, pertanto fare propaganda alla dittatura italiana, in un momento tanto delicato per il suo paese, acquisiva un significato e un’urgenza ancora maggiore. L’ultima intervista, sempre per il DdN, nel 1934, quando l’Estado Novo era ormai in fase di consolidamento e Ferro aveva già assunto la direzione dell’SPN, costituisce il capitolo conclusivo della storia del contatto fra Ferro e Mussolini. L’incontro si svolge sotto la forma in una visita di omaggio più che di un’intervista e il tono fra i due uomini è disteso: anche in Portogallo si era compiuta l’opera tanto sognata da Ferro della creazione di uno Stato Nuovo, autoritario, di stampo corporativo e filofascista, guidato dall’esempio di quello mussoliniano.

A. Ferro, Entrevista com Benito Mussolini, “A Capital”, 5 dezembro 1923

Parlerò con Mussolini, ma non so ancora se lui parlerà con me… Ho ottenuto un colloquio. Ora, tuttavia, dopo averlo ottenuto, mi sento a disagio, senza sapere cosa farmene. Mussolini ha fama di essere severo, sicuro di sé, un uomo di poche parole. Di fronte al laconismo di Mussolini sono spaventato, come il Parlamento… Salgo le scale di Palazzo Chigi, anche, se dentro di me, me ne vorrei andare… Di tanto in tanto, ogni tot di gradini, un signore con un largo cappello, di quelli della polizia segreta, mi si avvicina mentre cammino e indaga le mie intenzioni.
Si percepisce la paura di un attentato. In questo caso tuttavia, la vittima sono io… Non so perché, ma ho l’impressione di stare per affrontare sul ring un giocatore di box avendo come difesa solo dei guanti di pelle…
Entro nella sala d’attesa. Una sala decadente, tutta tappezzata. Il mio ricevimento è fissato per mezzogiorno. Entra con me un altro individuo, che ha fissato il suo ricevimento per mezzogiorno e dieci. Mezzogiorno e venti deve essere destinato a un’altra vittima…
Dieci minuti! Questa è il massimo di attenzione che Mussolini mi concede, questa è l’elemosina che Mussolini concede a tutti…
Ragiono: in dieci minuti posso comunque fare tante domande, ma possono esserci anche tanti silenzi…
Preparo la scaletta. Gli farò questa e quest’altra domanda…Alcune tuttavia, nascono dalla mia curiosità… Nella mia testa già si fanno strada una gran quantità di quesiti… Disorientato, perso, afflitto, non so quello che potrebbe rispondere. Tutte le domande vogliono un posto, tutte vogliono giungere al cospetto di Mussolini…
Proprio ora viene a salvarmi il Barone Rosso, capo del gabinetto, viene a prendermi nella sala d’attesa e mi porta nella sala degli Ambasciatori, una stanza meno trasandata, dove sfoggia un Tiziano…
A questo punto, chiaramente, ho già dimenticato tutta la scaletta. Le domande sfacciate e rivoluzionarie mi hanno abbandonato nel momento del bisogno: sono rimaste nella sala d’attesa, loro che erano la mia unica speranza di salvezza… Quando il Barone Rosso mi conduce alla porta del gabinetto di Mussolini, io non so più bene perché mi trovo là… Ho la tentazione di scappare, di dire a Mussolini: “Mi perdoni… mi sono sbagliato. Non è qui che devo andare…”.
Una sala enorme, infinita, da far venir meno il coraggio, una sala che mi fa pensare: “Sono senza speranza! Dieci minuti non mi basteranno neanche per attraversare la stanza…”.
In fondo, di fronte a una scrivania, un grande giornale spiegato, come fosse un telo. Il giornale si chiama Il Piccolo… E come in un gioco di prestigio, il giornale cade e appare Mussolini, il grande!
Avanzo impaurito. Mussolini ha smesso di leggere il giornale ma non accenna a muoversi. Sono quasi sul punto di tornare indietro, quando finalmente, a tre passi dalla scrivania, il Dittatore si alza e mi viene incontro, con violenza, come se stesse marciando su Roma:
– È il giornalista Antonio Ferro? Lo sa che ha un nome italiano?
La domanda cade nel vuoto. Non lo sapevo, ma è una notizia che mi interessa poco in questo momento…
– Chiedo soccorso alle domande che mi avevano assalito all’entrata, nella sala d’attesa. Sono rimaste là. Non posso contare su di loro…
– Io sono un ammiratore sincero del fascismo e del suo capo. Desidero fare chiarezza nel mio paese circa l’attuale situazione politica italiana…Ho già ascoltato alcuni dei ministri del Governo Nazionale e mi piacerebbe sentire il Presidente del Ministero…
Mussolini interrompe la mia eloquenza:
– Spero che le sue domande…
– Mi può dare, in poche sentenze, una sintesi del fascismo?
Il Dittatore mi fulmina:
– Non mi piace ripetermi. Qualche giorno fa, ho indetto un’ intervista collettiva per tutti i giornalisti stranieri che sono a Roma. Perché non è venuto?
– Mi perdoni. Non ero a conoscenza di questa udienza…
Mussolini si alza, fa un secondo giro intorno alla scrivania e ritorna verso la sua sedia monumentale.
– Bene. Il signore qui ha già sprecato i suoi dieci minuti… Non voglio, tuttavia, che abbia di me l’impressione di un uomo che è costretto a parlare poco perché deve lavorare molto. Le concedo altri dieci minuti qui. Non perda tempo. Mi faccia tre o quattro domande specifiche, e io risponderò, se potrò…
Cade un silenzio lugubre. Ho la dolorosa impressione di stare affrontando un esame, nel quale verrò presto bocciato… Il Dittatore, sopra il piano della scrivania, giocherella con una biro…
Infine posa la penna, mi fissa e mi chiede:
– Qual è dunque la prima domanda?
Quasi sul punto di desistere, alla fine faccio una domanda, con la stessa simulata indifferenza con la quale il giocatore lancia l’ultima moneta sopra il tavolo da gioco:
– Il partito fascista è un partito conservatore?
Mussolini mi lancia un lungo sguardo, sonda le mie intenzioni e, con un vago sorriso, capisco di aver fatto centro:
– È partito col piede giusto. È una domanda interessante e opportuna. Il fascismo è un movimento spirituale e politico assolutamente inconfondibile con le vecchie categorie e assolutamente estraneo alle vecchie classificazioni di conservatorismo e liberalismo. Il fascismo è un’espressione originale del popolo italiano. Chi desidera capirlo deve abbandonare tutte quelle formule obsolete e osservarlo, direttamente, all’interno del quadro della storia italiana. Il fascismo desidera restituire all’Italia le sue tradizioni perdute. Pertanto il fascismo non vuole, in alcun modo, un’Italia contemplativa, di rovine. L’Italia viveva ieri, vive oggi, vivrà domani e vivrà per sempre…
Comincio a perdere la timidezza da collegiale che ho avuto fino a quel momento. Incoraggiato dal primo successo, mi lancio con la seconda domanda, una domanda più sfrontata:
– Il fascismo è una dittatura?
Mussolini si alza e mi risponde energicamente, col corpo intero:
– Il governo fascista è a tutti gli effetti un governo di dittatura, un governo che ha assunto la colossale responsabilità di comandare e di farsi obbedire! Peraltro, il governo ha i pieni poteri del Parlamento.
Mussolini è come se avesse una fionda nel suo sguardo… Scaglia le sue risposte soprattutto attraverso gli occhi e queste arrivano dirette alla nostra intelligenza. Ormai non esito più nelle domande. Ho solo bisogno di scegliere… Come avevano visto che non c’era pericolo, mi erano ritornate alla mente tutte insieme.
Vado di audacia in audacia:
– La dittatura è una dottrina o una necessità, una coercizione?
Mussolini si anima, si eccita e ribatte:
– La dittatura non è un principio né un fine: è un sistema che corrisponde a certe necessità. Non esiste che un modo per giudicare se una dittatura sia un bene o un male: è guardare ai suoi risultati. Il popolo italiano, nelle sue manifestazioni di ottobre, ha applaudito in modo sincero e veemente per i risultati ottenuti dal governo fascista in un anno di lavoro. Non esiste una dottrina della dittatura. Quando la dittatura è necessaria, è la nazione stessa che deve esigerla. Le democrazie hanno commesso il grave errore di supporre che il popolo ama… chi si veste male. È un’illusione. È tutto il contrario. Il popolo ama la gerarchia. Quando ognuno occupa il proprio posto nella scala gerarchica, tutti lavorano e collaborano tra loro. Il Parlamento esiste e lavora ma crede, tuttavia, che il Parlamento abbia lo stesso ruolo di cinquant’anni fa? A un certo punto, la stampa lo ha sostituito. I giornali precedono sempre le ingiunzioni della Camera. Leggo tutti i giornali, conosco, pertanto, tutte le interpretazioni. Il deputato che si limita a ripetere quello che mi hanno già detto i giornali, mi fa solo perdere tempo. Quando il Parlamento è stato creato, non aveva camere di commercio, camere del lavoro, sindacati. Tutto il secolo ha la sua storia e le sue istituzioni. Una dittatura intelligente può durare molto tempo…

Ancora non ho la certezza che il Dittatore mi abbia concesso altri dieci minuti. La parte più difficile con Mussolini, tuttavia, è superare la frontiera dei primi dieci minuti, mostrare il passaporto, acquisire fiducia… Passata la frontiera, il viaggio si rivela facile e gradevole.
Nel frattempo, l’ultima domanda che faccio al Dittatore interrompe, per alcuni secondi, il mio viaggio trionfale.
– Il fascismo è portatore di una politica latina?
Mussolini tace e io ricevo un panne. Prende la biro, ricomincia a giocherellarci e finalmente mi risponde, come fosse una concessione, pesando ogni parola:
– La politica estera del fascismo è orientata sopra questo principio: l’Italia deve rendere conto dei suoi interessi mondiali. Non trascura, nel frattempo, gli interessi dei paesi latini e lavorerà, nel limite delle sue possibilità, affinché le relazioni tra questi paesi si stringano sempre di più…
L’intervista va verso la conclusione. Si alza e io capisco da questo gesto che…Ha ragione, è arrivato il momento di andare. Non posso pretendere nient’altro: il Presidente del Consiglio Nazionale si è presentato a me fornendomi una notevole sintesi del fascismo. Ma dopo la battaglia ambisco al trofeo… Sulla scrivania dormono due ritratti di Mussolini…
Bisogna essere coraggiosi fino alla fine… Coraggio!… Uno, due, tre:
– Mi permette di fare un’ultima domanda?
– Una domanda a cui sia possibile rispondere brevemente…
– Quei due ritratti hanno già un destinatario?
Mussolini sorride e mi da una risposta gentile:
– Uno è già stato destinato. È per lei, se lo è meritato. L’altro…
– l’altro potrebbe essere per il mio giornale…
-Così sia…
E il dittatore, con la sua penna impulsiva, violenta, scrive sul ritratto che mi ha destinato: “Al giornalista Antonio Ferro- con amicizia romana- Anno II – Mussolini”.
Anno II!… Il mondo, per Mussolini, era ricominciato con il fascismo. Dopo l’era di Cristo, l’era di Mussolini. Il Dittatore sceglie bene i suoi compagni.
Mentre lui scrive io mi soffermo a osservarlo.
L’espressione di Mussolini è incredibile. Le labbra grosse sono delle forti sbarre alle sue parole. Mussolini ha un volto da moneta. Gesti da sans-culotte. Basso, forte, quasi grezzo. Venuto dal Popolo, porta in sé il ritratto del Popolo. È un uomo di forza. Ha trasportato mattoni in Svizzera. Ora porta l’Italia nel mondo!
La sicurezza di Mussolini non mi ha scioccato, non mi ha offeso. Al contrario, al termine dell’intervista, nel congedarmi dal Presidente del Consiglio, sento la mia ammirazione crescere per quest’uomo nuovo, un uomo senza retorica, avaro di parole ma generoso di gesti e azioni. Benito Mussolini è il grande maestro della politica moderna. Stiamo attraversando un secolo dinamico, un secolo di corse, un secolo da Grand-Prix…
Il mondo ha smesso di essere una biblioteca ed è diventato un’officina. Le parole sono passate di moda. Il futuro appartiene ai muti, ai sordomuti… Non ascoltare e non parlare. Questo è il grande programma. Siamo nell’epoca in cui gli uomini tacciono, per sentir cantare le fabbriche, le automobili, i treni, la vita.
Esco da Palazzo Chigi. Lungo la strada, Mussolini, in migliaia di ritratti, mi guarda da tutte le vetrine…
Ricambio lo sguardo e mi stupisco di questo miracolo. Benito Mussolini governa il suo paese solamente con gli occhi, articoli unici della nuova costituzione italiana. Poi mi ricordo del Portogallo e divento triste. Nella nostra patria non è possibile costruire questo tipo di ordine… E non è possibile perché tutti tengono gli occhi chiusi, perché tutti dormono…

A. Ferro, Mussolini concede ao Diário de Notícias Uma Notavel e Importantissima Entrevista. “Diário de Notícias”, 6 de dezembro de 1926.

Oh giorno vittorioso, giorno felice, giorno di buoni auspici, illuminato da un tiepido Sole, giorno in cui Roma, la triste e severa Roma, è la Cenerentola di un grande ballo… Sono le quattro e mezza del pomeriggio. La sala d’attesa di Palazzo Chigi, contrariamente al suo solito, è deserta. Non c’è il frastuono abituale, i bracci sollevati, i saluti fascisti che si incrociano. Mussolini mi riceverà. Mi da la buona notizia il capitano Mamelli, lo stesso che mi aveva presentato al Duce tre anni fa, in un pomeriggio cupo, minaccioso, un pomeriggio in cui indossare il cappello per la pioggia…
L’atmosfera oggi è un’altra. C’è bel tempo. La luce fuori è dorata. La natura, la natura italiana e fascista, sostiene e approva con il suo sfolgorante sole il Prestito del Littorio.
Eppure… Nonostante tutto, nonostante il cielo senza nuvole, ho, come tre anni fa, l’impressione che non sarò io a esaminare, ma verrò esaminato… Quando trovo la porta dello studio di Mussolini, la porta della grande sala della Vittoria, mi sento perso, smarrito…
Nell’enorme sala, nella sala dove il coraggio mi viene meno a ogni passo, dove si cammina spauriti, nella sala dove ci si sente storditi come in alto mare, Mussolini è lì in lontananza, come un faro, come un faro che però non mi evita certamente il naufragio…
Mussolini, che è corpulento, ma senza essere grasso, si presenta come nei suoi ritratti più famosi: un frac ben tagliato, un bel bavero, una cravatta sobria. All’occhiello, l’emblema dei fascisti.
La correttezza di Mussolini nel vestirsi, si vede che è stata creata, studiata pezzo per pezzo, come fosse un decreto. Mussolini non ha, come molti pensano e alcuni telegrammi fanno credere, un’apparenza debole e malata. Mussolini è un uomo forte, con spalle larghe, con un profilo autoritario e fermo. La carnagione non ha un colorito molto sano, ma è il colorito che hanno tutti gli uomini destinati all’immortalità, il colorito delle notti passate in bianco e in cui si dorme poco, di una vita che non ha orari… Di fianco a Mussolini, una macchina da scrivere, la fabbrica delle sue azioni. Per tutta la stanza ci sono tappezzerie di scene di guerra, statue alate, eroismo e vittoria…
– Il giornalista Antonio Ferro?
– Lo stesso che è venuto tre anni fa, lo stesso che ha riportato nel suo paese l’immagine di un grande capo, l’immagine del salvatore della sua patria!
Mussolini mi chiede con indifferenza, certo di farmi una domanda superflua:
– Che cosa ha trovato di nuovo in Italia?
– Ho visto e sentito che …
Il Dittatore mi fissa con l’espressione più severa che ha, mi lancia un’occhiata e mi risponde a fatica , con una punta di noia:
– Un’intervista? No… per nessuna ragione. Non si può fare… Sono stanco, stufo… Sono due settimane che parlo a giornalisti americani, inglesi, tedeschi. Abbia pazienza. Le interviste cominciano a darmi sui nervi. Mi parli di qualunque cosa, ma non mi faccia domande sull’Italia, sull’Europa, sul mondo, sulla luna…
Pessimo inizio. Guardo Mussolini come guardo certe volte la pagina bianca dove devo scrivere, forzatamente, un’intervista che fatica a prendere forma…
Dico timidamente, come qualcuno che stia chiedendo l’elemosina:
– Desideravo farle qualche domanda sul Portogallo…
Un raggio di sole entra, come un uccello dorato, attraverso la finestra mezza aperta e da il buongiorno a Mussolini…
– Per quanto riguarda il Portogallo, le do carta bianca… Mi chieda quello che vuole.
– Per maggiore precisione ho preparato un questionario.
– Mi faccia vedere…
Porgo un foglio a Mussolini. Mussolini lo afferra e lo legge, in un lampo… In questa carta avevo scritto le seguenti domande e osservazioni:
– Dopo la sua chiara smentita, in Portogallo si continua ad affermare che l’Italia avrebbe delle pretese nascoste sull’Angola. Mi piacerebbe riportare alcune sue dichiarazioni, a questo proposito, al popolo portoghese.
– Il colonnello Gray ha finito di istituire il fascio a Lisbona. Ci sono alcuni che temono l’azione di questo fascio. Vuole dirmi qualche parola sul significato delle “Camicie nere” all’estero?
– Ci sono nuances dottrinarie nel fascismo?
– Il fascismo può andare avanti anche senza il suo capo?
– Il fascismo è un movimento popolare o intellettuale?
– La Rivoluzione non è stata sufficientemente violenta per neutralizzare i suoi nemici?
– Il fascismo ha raggiunto la sua forma definitiva?
Mussolini, dopo aver letto questa scaletta, questa scaletta che poteva essere alterata in base alle esigenze del momento, lo piega all’altezza della prima domanda e me lo restituisce con queste parole poco incoraggianti, con un rifiuto al quale non si possono fare obiezioni:
– Posso risponderle solo alla prima domanda. Dica al Portogallo che tutto quanto è stato detto circa le infondate pretese dell’Italia sull’Angola è assurdo e ridicolo!!! lo faccia ben presente: assurdo e ridicolo! I nemici del fascismo si impegnano costantemente nel provocare fraintendimenti tra l’Italia e i paesi che stima di più. Certe volte è con la Francia, altre con l’Inghilterra, altre volte con la Turchia, ecc., ecc… Adesso con il Portogallo. Qualcuno mi ha mai sentito pronunciare una sola parola circa le colonie portoghesi? Ho forse detto o scritto qualche cosa dalla quale si possa dedurre o immaginare un’opinione poco chiara o sincera sul Portogallo e i suoi possedimenti?… Dunque perché insistere, perché farmi perdere tempo? Respiro… L’intervista è salva. Queste parole schiette, sincere, dette con sentimento, con indignazione, già potrebbero bastare per la mia intervista… Ma il Sole sembra essermi complice, come fosse un camerata, riempendo con un sorriso il volto di Mussolini e infondendomi l’audacia per continuare…
Faccia a faccia col Dittatore, in piedi come se fossi sul punto di andarmene, fingo di lamentarmi:
– Peccato che non abbia voluto dirmi nulla riguardo al fascio di Lisbona… Mi piacerebbe smentire questa diceria che si sta affermando…
Mussolini, che non abbandona la posizione di combattimento, che, proprio come me resta in piedi, comincia a parlare, prima con indifferenza, poi con interesse e infine con entusiasmo:
– L’istituzione dei fasci nelle grandi città di tutto il mondo è stata decisa durante una grande conferenza che si è tenuta a Roma e dove erano presenti fascisti da ogni parte. Sono venuti perfino dalla Cina… I criteri secondo i quali si sono organizzati questi gruppi sono stati decisi di mio pugno. Il primo di questi, giustamente, è il massimo rispetto per le usanze e per le leggi di ogni paese. I fasci, stabilitisi da ogni parte, non hanno nulla a che fare con la politica della nazione dove risiedono. È il loro primo dovere e prima condizione di esistenza. Il loro fine principale è far conoscere l’Italia agli stranieri… Tutti sanno a memoria il nostro passato, ma tutti, o quasi tutti, ignorano il nostro presente. Crede forse – e Mussolini mi indica imperiosamente col dito una tappezzeria che non riesco a vedere- che io perda tempo fissando la tappezzeria, a guardare al passato? In Italia, a cominciare da me, si lavora, si lavora seriamente, per la famiglia e per la patria. E poi si ignora ancora che noi possediamo la più grande fabbrica di automobili del mondo, con una produzione giornaliera di trecento macchine, fabbriche di seta come non ce ne sono altre, una rete idraulica che il mondo se la vedesse, ci invidierebbe?
– Se lo sforzo dell’Italia fosse conosciuto, in ogni sua iniziativa, forse non ci sarebbero tanti preconcetti, tanti pregiudizi, tanta malafede verso di noi, forse ci si convincerebbe che l’Italia andrebbe guardata con serietà, che l’Italia è una patria viva, una patria in movimento. Un’altra intenzione delle Camicie nere di Lisbona, delle Camicie nere di tutto il mondo, è creare uno spirito fascista fra tutti gli italiani che vivono lontano dalla loro terra. É necessario opporre una forza nazionale, veramente nazionale, calma e serena, alla forza che usano i traditori che ci insultano costantemente. I fuoriusciti certe volte ci causano un certo imbarazzo, non tanto al regime, che non risente mai delle loro miserabili campagne, ma alle buone relazioni dell’Italia con l’Europa, con il mondo…. La terza intenzione dei fasci che si stanno affermando all’estero, è di beneficenza, di carità. Dobbiamo aiutare gli italiani bisognosi…. Soltanto questo. Dunque non abbiano timore. Gli americani inizialmente, quando erano apparse le prime Camicie Nere, non avevano nascosto la loro inquietudine al riguardo. Questi timori erano legittimi in un paese dove è presente sangue di tutte le razze e dove un movimento di carattere nazionalista può costituire una minaccia… Ma tutte le apprensioni sono sparite di fronte alla disciplina, all’ordine, allo spirito pacifico dei fascisti. Oggi le bandiere americane sventolano sempre di lato alla nostra… Da poco la municipalità di Philadelphia ha passato in rassegna la sua grande parata fascista. Che il Portogallo, che tutti i paesi si tranquillizzino. Le Camicie Nere non possono né vogliono ambire al potere nelle terre ospitali dove vivono…
Istintivamente accartoccio il foglio che sto sgualcendo all’altezza della seconda domanda, alla quale Mussolini ha già ampiamente risposto… E proseguo, con il miglior sorriso, con l’espressione più fascista che riesco a fare:
– In sua difesa, in difesa dell’Italia nuova, mi piacerebbe solo che mi dicesse se ci sono nuances dottrinarie nel fascismo…
– No! non ci sono nuances! Non ci sono mai state! Vuole una prova? Ci siamo formati già otto anni fa, e non abbiamo mai avuto bisogno di riunirci in un congresso per discutere le nostre opinioni…
– Non ci sono nuances, ma ci sono individualità…
– Dica piuttosto: non ci sono nuances, ma ci sono temperamenti diversi… Alcuni sono moderati, altri contemplativi, altri più calorosi… Ma nessuno potrebbe essere diverso da così. I fascisti, che sono un’infinità, provengono da formazioni politiche differenti: dal comunismo, dai partiti politici, dall’indifferenza… Ci sono poi i veterani di guerra che non sanno nulla… Sono, certe volte, i migliori… Bisogna tenere in considerazione anche delle formazioni e delle educazioni diverse. Ma tutti noi ci troviamo d’accordo su queste sei o otto parole: Stato, Nazione, Autorità, Chiesa, Re, Disciplina, Lavoro, Famiglia… No, non facciano affidamento, per sconfiggerci, sulle nostre false discordanze. Federzoni, per esempio..
. (Valuto ciò che sento. Ho la fantastica impressione di aver vinto alla lotteria di Natale con un biglietto, un biglietto da visita…)
– … che, là fuori, pretende di passare per un moderato, come un uomo che sta ai margini del fascismo, è e continuerà ad essere, uno dei miei collaboratori più validi. Ho avuto, ho, e sempre avrò in lui la massima fiducia. Le migliori leggi del fascismo vengono da lui. Il giorno in cui mi ha consegnato il fascicolo dell’Interno, mi ha consegnato anche alcuni atti che resteranno legati per sempre alla storia del fascismo. No, che non sperino in questo… Non c’è alcun dissapore all’interno del nostro partito. E quando io dico: – è così!- nessuno lo mette in discussione…
Mussolini carica di forza, di violenza, le ultime parole. È il Dittatore, è il condottiero quello che io ho di fronte a me in questo momento. Riesco a scorgere tutta la storia del fascismo negli occhi acuti e penetranti di Mussolini. È tutta la sua autorità che io respiro, che io sento su di me, nelle dita leggermente aperte, nella mano appiattita che si abbassa sulla scrivania come un coltello, come un ordine secco. Non si può sfuggire al fascino, al prestigio di quest’uomo raro, di questa forza dell’Italia, di questa forza della natura, scolpita da se stessa. La testa di Mussolini, risoluta e fiera, una testa adatta a essere rappresentata su un francobollo o una moneta, una testa da Cesare, da capo, nata dalla terra e dal popolo, che è stata forgiata con questo scopo, a martellate, dalle mani erculee di Mussolini, dittatore d’Italia, dittatore di se stesso, del suo corpo e della sua anima!
La terza domanda del questionario, del questionario che Mussolini ha disprezzato, che mi ha restituito tutto accartocciato, ha avuto la sua risposta… Passo, abilmente, alla quarta:
– Ormai si comincia a dire che il fascismo sia un regime artificiale, che dipende dalla vita del suo capo e che scomparirà con la sua morte… Mussolini si indigna. I suoi occhi enormi, violenti, che salgono e scendono, che si fissano, a volte, un po’ strabici, mi cercano, mi attaccano e si scagliano sopra di me come fossero pietre…
– Chi è che lo può affermare con sincerità? Bisogna non conoscere la formidabile organizzazione del fascismo, bisogna ignorare il fatto che contiamo un milione di iscritti, che il nostro esercito conta seimila ufficiali, per poter sostenere questa assurdità… Tutto questo d’un tratto non conta niente? E l’ideale che noi abbiamo creato? Il merito è forse solo mio? Dunque io dico, il fascismo sopravviverà alla mia morte!… Tutto è stato previsto. I miei successori sono stati scelti! E quando si saprà che sono stato io ad averli designati, loro saranno obbediti come lo sono stato io… Non abbiate dubbi al riguardo, nessuno oserà contraddire la mia ultima volontà…
Mussolini proclama la sua dittatura al di là della sua morte con un gesto largo e fermo, come fosse il gesto di una statua, con un eterno gesto di comando… Che bello spettacolo, emozionante, pieno di forza e bellezza, quello di Benito Mussolini che si prepara a tramandare la sua dittatura ai posteri…
Mussolini ormai non è più sulla difensiva nei miei confronti. Continua stando in piedi, perché questo è un momento di elevazione, perché le sue frasi volano, perché le sue frasi altezzose, se fosse stato seduto, lo avrebbero obbligato ad alzarsi.
– Alcuni fascisti pensano che la rivoluzione non sia stata sufficientemente dura per distruggere i suoi nemici. Cosa ne pensa?
– Una grande rivoluzione, una rivoluzione nazionale, non deve essere fatta contro gli individui, che non contano nulla da soli, ma contro certi preconcetti, contro una determinata atmosfera politica, contro le istituzioni, contro il sistema. In questo senso, la rivoluzione fascista è stata violenta, sufficientemente violenta. E anche nel combattimento, nel corpo a corpo, il sangue non ha smesso di scorrere, più, alle volte, di quanto fosse necessario. Ormai sono tranquillo. Praticamente non ci sono quasi più antifascisti in Italia. I pochi rimasti qua lo danno a vedere, ogni tanto, con delle manifestazioni ridicole come quella dei soldi, che consisteva nel portare nel bavero una moneta da cinque centesimi. Ma tutto questo si smonta facilmente con qualche provvedimento della polizia…
– Gli stranieri che vengono qui, effettivamente hanno l’impressione che in Italia ci siano solo fascisti. Ma l’esilio degli antifascisti ha tuttavia i suoi inconvenienti. Sono gli antifascisti a diffamare il fascismo in Europa. Sono loro a creare confusione, loro che formano e mantengono un’atmosfera di sfiducia di ritorno dall’Italia…
Mussolini mi risponde con tristezza:
– Ha ragione. Ma cosa si può fare?
Cala un momento di silenzio e per un attimo sembra che Mussolini si dimentichi di me, facendomi sparire, mentre lui resta da solo, come sulla prua di una nave, di fronte all’Europa intera, di fronte al mondo. Senza guardare verso di me, a pugni stretti, con un chiaro atteggiamento di sfida, Mussolini esclama:
– Esiste solo una soluzione e una risposta: Durare! Durare! Durare eternamente! – E già è passato tanto tempo – è questo che faremo – dureremo! – Sopravviveremo a Mac Donald, a Lenin, ai socialisti tedeschi, al parlamentarismo spagnolo, al Cartel! E continueremo, ne possono stare certi!
Ah! Mi si perdoni l’entusiasmo – entusiasmo indispensabile a un giornalista che desideri appassionare i suoi lettori – ma io non riesco a smettere di ripetere ciò che è la pura verità, la verità che scorre dalla mia penna come acqua da una fonte… Mussolini è grande, sarà per la sua magnificenza, sarà per il suo orgoglio!
Ridano ai tavoli del bar, sopra questo racconto carico di emozione, gli scettici, gli sprezzanti, coloro che non sanno provare ammirazione perché non hanno fede! Ma che facciano le valigie, vengano a Roma e parlino con Mussolini e dopo si ricordino delle mie parole. Qualunque sia l’opinione che si ha su Mussolini, qualunque lode o infamia si sia sentita sul suo conto, non si può fare a meno di provare un brivido vicino alla sua figura di animatore, di fronte a quest’uomo del popolo che un giorno ha trovato alla sua porta un’Italia in ginocchio, un’Italia priva di sensi, e l’ha risollevata in alto tra le braccia, tra le sue braccia possenti e muscolose, senza mai abbandonarla…
E dopo il volo, arriva l’atterraggio. Mussolini, che ha parlato più per se stesso che per me, ritorna bruscamente alla realtà, dicendomi che sono stato ricevuto e che ha risposto a quasi tutto il questionario… Vuole aggiustare il tiro, tornare sui suoi passi:
– Per l’intervista usi solo quello che le ho detto riguardo al Portogallo… Il resto lo tenga per sé…
Che Mussolini, che è stato giornalista anche lui, possa perdonarmi per questo. Così come lui solo alla fine mi ha chiesto di mantenere il segreto, così io solo dopo aver scritto tutta la cronaca mi ricordo della sua raccomandazione… Mussolini, che è un costruttore, non desidera certo che io mandi a monte tutto il lavoro di ore e ore…
Mussolini mi ripete ancora, scandendo le sillabe, guardandomi con attenzione, volendo trasmettermi ogni lettera, ogni virgola della sua convinzione, la sua sincerità, quello che già mi aveva detto all’inizio dell’intervista sul Portogallo:
– Dica nel suo giornale che io stimo sinceramente il popolo portoghese, che capisco la sua lingua come l’italiano, che conosco in tutte le sue pagine la celebre storia del Portogallo, che ammiro profondamente la sua letteratura… Tutto quanto viene insinuato sulle intenzioni italiane rispetto alle colonie portoghesi, intenzioni palesi o presunte, lo ripeto, è assurdo e ridicolo! Non comprendo questo timore. Non ci si libera facilmente delle colonie…
E Mussolini fa un gesto circolare, il gesto che si fa per liberarsi di una mosca…
Insisto, affinché la questione venga chiarita una volta per tutte:
– Ma non c’è nessuna certezza circa l’emigrazione italiana, su delle possibili esplorazioni agricole in Angola?
Mussolini mi risponde con franchezza, senza imbarazzo o confusione:
– In effetti, si era pensato a un’esplorazione agricola negli altipiani dell’Angola. Ci siamo indirizzati sulle colonie portoghesi come avremmo potuto dirigerci su quelle belghe, francesi o inglesi. Le autorità portoghesi ci hanno fornito tutte le facilitazioni. Ma abbiamo desistito. L’Angola è una colonia ricchissima, ma molto lontana. Le spese sarebbero enormi. Abbiamo ripiegato sulla Tripolitania che sarà sviluppata e colonizzata a una velocità vertiginosa. Vuole vedere?
Mussolini in questo momento ha smesso di essere il capo, il dittatore. È un uomo di mondo, amabile, sorridente, senza posa. È un camerata che parla a un altro camerata, è il giornalista che mostra il suo ultimo lavoro a un altro giornalista, il drammaturgo che rivela al drammaturgo il suo ultimo atto. Si dirige verso un piccolo tavolo che è vicino alla sua scrivania e tira fuori un rotolo da dietro una pila di libri. Il movimento fa cadere alcuni fogli. Sto per alzarmi a raccoglierli… Mussolini interrompe il mio movimento e si abbassa lui stesso a raccoglierli… Ogni uomo forte infatti, deve saper sollevare quello che ha fatto cadere…
Srotola dunque la grande carta sulla scrivania, un rotolo dal quale escono altri rotoli… Sono piantine, carte, progetti, è il sogno d’Italia…
– Guardi! Tutte queste case, tutte queste piantagioni cominciano a crescere. Non è solo un’intenzione. È già realtà. L’uomo che sta al comando di tutto questo, che tiene le redini del progetto, ha fatto costruire da poco a Viareggio un grande hotel in centoquaranta giorni…
Il gesto di Mussolini rappresenta il momento culminante dell’intervista. Dopo il combattimento, dopo la tempesta, arriva il giorno, la nuova Italia si alza, pietra dopo pietra, fiore dopo fiore, albero dopo albero… Mussolini, chino sulle mappe, assente da me, perso nella strada verso il futuro, ha smesso di essere il demolitore, il demolitore delle rovine. Adesso è l’architetto, l’architetto di una grande patria, un architetto che passa la vita tra le impalcature… Mussolini finalmente si siede, vinto, per autografare due ritratti, uno per me, uno per il Portogallo.
Io resto in piedi, eroicamente. La mia intervista con Mussolini, della quale ho cercato di non perdere nemmeno una parola, un punto, un’espressione, è stata un’intervista da talloni uniti, un’intervista sull’attenti!

A. Ferro, Visita ao Duce, “Diário de Notícias”, 26 novembro 1934

Ho incontrato per la prima volta Mussolini, ancor prima di vederlo di persona o di potergli parlare, in una notte in cui ho fatto sosta a Milano, mentre ero in viaggio verso Napoli. La città provava il suo vestito nuziale. Mussolini sarebbe arrivato nelle prime ore del giorno seguente e tutto veniva preparato affinché questo appuntamento amoroso tra il capo del Governo italiano e la città del fascismo passasse alla storia.
Duce era la parola del giorno, il grido della città. Già in stazione, un’opera monumentale dell’era mussoliniana, dei panneggi con queste quattro lettere giganti impresse in nero, esaltavano, “fascistizzavano” l’immensa galleria. Attaccati alle colonne, in attesa dei viaggiatori, precedendoli, volantini con l’immagine energica di Mussolini, messe in risalto con un grido altezzoso, quasi guerriero, dell’Italia Nuova: “A noi!”. Ma era in Piazza Duomo, dove era prevista l’apparizione, che Mussolini era maggiormente presente, come fosse già arrivato, tanto era l’entusiasmo e la trepidazione con cui gli stavano preparando l’accoglienza.
In fondo, l’enorme profilo della cattedrale, dove le guglie svettanti sembrano moltiplicarsi a ogni minuto. Dinnanzi alla cattedrale e la sua popolazione di seimila statue, il Corso Vittorio Emanuele, l’eterno via vai di Milano. Nemmeno un metro di muro dove non scorresse entusiasmo, dove non si udisse un grido, un saluto al Duce. Energici gruppi di milanesi leggevano, quasi cantavano le frasi amorose dei volantini che tappezzavano la galleria e l’intera città. Per avere un’idea del calore, del fuoco che animava la città, basti leggere queste due frasi che mi hanno particolarmente colpito e che ho memorizzato:

TUTTO AVRÀ FINE, MA NON LA FEDE IN TE!
LA NOSTRA VITA PER IL TUO AMORE!

Oltre a questi volantini di parole eloquenti e violente, se ne aggiungevano altri con il ritratto del capo, con allegorie espressive.
In corso Vittorio Emanuele, in quasi tutte le strade del centro, grandi striscioni bianchi accompagnavano il coro della città nella lode a Mussolini con espressioni come questa:

DUCE! GRAZIE!
MUSSOLINI! RITORNA!

Davanti alla cattedrale, decine di operai, assoldati come volontari tra i popolani, davano le ultime martellate alla tribuna d’onore e sollevavano con fatica l’ultima delle quattro Vittorie bianche, il motivo principale delle decorazioni della piazza, con le ali aperte in uno spontaneo saluto fascista. La cattedrale, una giungla addormentata nel cuore di Milano; l’immensa piazza trasformata in un quadro nuziale dove la sposa provava per l’ultima volta il suo vestito; le pareti – la pelle di una città- tatuate con amore col nome di Mussolini, – un quadro unico, un’ora di intimità in una grande città, piena di sorprese e che mai dimenticherò.
Fu solamente il giorno seguente che Mussolini pronunciò il suo famoso discorso agli operai di Milano. La verità, tuttavia, è che già durante quella notte io sentivo la sua presenza, la sua immagine viva, nell’entusiasmo e nell’allegria dei milanesi, nell’impazienza febbrile di vederlo arrivare…

Mussolini mi riceve oggi alle cinque e mezza del pomeriggio. Sono arrivato con mezz’ora di anticipo in Piazza Venezia e ho tempo di percorrere, più di una volta, quella famosa Via dell’Impero di cui Roma e il Duce si possono vantare. Non conosco un’altra strada al mondo dove il passato e il presente si intrecciano in questo modo. Tutto sembra appartenere al passato, ma allo stesso tempo, tutto pare di oggi!… “Rovine o prime pietre?” – arrivo, certe volte, a domandarmi tra me.
Impressionante la parata travolgente dei fori imperiali: il foro Traiano, il foro Giulio, il foro di Augusto, il foro di Nerva, il foro di Vespasiano, il foro Romano e la sua via sacra… In fondo, il circo romano (l’anfiteatro Flavio), un tempo nascosto, rimpicciolito, a causa dei vari vicoli e stradine che ne rendevano difficile l’accesso, oggi completamente scoperto, è la severa apoteosi di questa strada immortale. Ai lati della Via dell’Impero, costantemente attraversata dalle automobili, con i suoi giardini e alberi disposti geometricamente, i volti degli imperatori appaiono più vivi, e le maestose rovine sembrano quasi delle case abitate.
Molte di queste pietre millenarie erano già conosciute, altre sono state scoperte recentemente già durante l’era fascista, ma tutte loro, o quasi tutte, erano nascoste, in basso in mezzo alla terra o perse nel labirinto di Roma, tomba dei secoli. Allineate sulla Via dell’Impero, colonna dietro colonna, acquisiscono una forza e significato che non avrebbero mai raggiunto nell’abbandono e nell’oblio. Sono state, per così dire, disciplinate, arruolate, come dei balilla, come avanguardisti, come quasi tutti gli italiani. Non mi sorprenderei se un giorno vedessi sfilare di fronte a Palazzo Venezia tutte le colonne di Roma con i loro capitelli corinzi, ionici e dorici…
In una recente illustrazione viene raffigurato il Duce in camicia e piccone alla mano, curvo, in posizione di chi conosce il lavoro che sta facendo, che dà inizio all’opera di demolizione delle case intorno all’Augusto, per liberarlo dalle costruzioni intorno che gli rubano la prospettiva. Ebbene, percorrendo la Via Imperiale, soffermandomi sui fori imperiali riportati alla luce, ho sempre presente nella mia mente il gesto del Duce che con il piccone liberatore restituisce a Roma la sua eternità.

Sono di nuovo in Piazza Venezia, dove si affaccia Corso Umberto, Via Nazionale e Corso Vittorio Emanuele, la piazza politica e “civica” di Roma. Sullo sfondo, di un bianco abbagliante, il monumento al re Vittorio Emanuele II, con le sue colonne, statue e fontane, che sovrasta e nasconde completamente il Capitolio. Il monumento possiede in ogni caso una notevole maestosità e al suo interno riposa il Milite Ignoto, l’attrazione più celebre del monumento. Davanti al suo tumulo sfilano quasi tutti i cortei patriottici e sventolano le bandiere, conferendogli quasi un’aurea spirituale.
A lato di questa piazza, si erge Palazzo Venezia, il quartier generale di Mussolini, costruito nel XV secolo dal Cardinale Pietro Barbo, poi Paolo II, e ceduto da Pio IV alla Repubblica di Venezia e proprietà dello Stato Italiano dal 1916.
Con le sue mura guerriere, con la sua nobile e austera torre che svetta sulla piazza, col suo colore scuro e i leoni alati, questo palazzo, che sembra di bronzo, si direbbe sia stato costruito apposta per il Duce, e il suo profilo forte e deciso ricorda il profilo di Mussolini e il suo volto da medaglia. In cima al grande portone per i visitatori, svetta la tribuna del Duce, il balcone storico dove spesso Mussolini parla al popolo, secondo la solita disposizione: due fasci romani, uno per lato, una grande bandiera italiana al centro e uno stendardo che scende dal largo parapetto.

Dopo aver mostrato la carta di Ciano, il sottosegretario della Propaganda, che mi annuncia per l’orario in cui il Duce è disposto a ricevermi, salgo tranquillamente, incoraggiato dai saluti fascisti delle guardie di Palazzo Venezia, molto più accoglienti di quelle precedenti di Palazzo Chigi, dove il Duce aveva lavorato durante i primi anni della rivoluzione.
Passo attraverso una successione di sale semplici e armoniose, rivestite di seta, con panche di pietra scolpite tra le finestre bombate e sigillate con le armi di Venezia.
Quella in cui mi fermo e dove aspetto per alcuni minuti, ha da offrire una panca fiorentina, la vista di alcuni quadri religiosi con madonne e bambini, forme vaghe, aeree in mezzo alla luce della sala, e ancora lo spettacolo di una vetrina lievemente illuminata, piena di oggetti delicati, di maioliche italiane e orientali del XIII e del XVI secolo, che sono lì imprigionate, in un’atmosfera imponente, ma gravosa, come fossero passeri in una gabbia d’oro. Il capo delle guardie mi conduce ora alla presenza del Duce. E’ la terza volta che lo visito, ma quest’uomo si rinnova e si dà da fare così tanto, la sua immagine e il suo profilo sono così variabili, che arrivo ad aver la sensazione di non averlo mai visto, di non avergli mai parlato!
A un tratto sono alla porta del suo gabinetto, se si può usare questo termine per descrivere il salone immenso che si chiama “della mappa del Mondo”, in nome del primo globo terrestre in legno che era esposto lì, ma il cui nome potrebbe anche derivare dall’immensità della sala stessa. “Venti metri di altezza, tredici di larghezza e tredici di altezza”, ci informa Ludwig nel suo libro di interviste a Mussolini. La cosa non mi sorprende. La sala della Vittoria, a Palazzo Chigi, era già abbastanza grande, ma questa è decisamente più grande, ed è così impressionante da far mancare il coraggio mentre la si attraversa in direzione del Duce. Quello di cui posso essere certo è questo, che Mussolini mi ha già giudicato e classificato appena sono arrivato al suo cospetto…
I soffitti alti sono impreziositi dal leone di San Marco e dalla lupa romana. Sul pavimento dell’immensa sala, dove si vorrebbe correre, o scomparire, il mosaico dell’Abbondanza. Tre grandi finestre danno sulla piazza, una delle quali è la tribuna dell’entusiasmo… In fondo, in un angolo della sala deserta, maestosa ma fredda, la scrivania da lavoro di Mussolini, una piccola riproduzione della stessa sala, perché anche questa è grande e spoglia. In piedi, tra la scrivania e una stufetta intarsiata sulla parete, c’è il Duce. Da lontano, mi sembra un ritratto vago e sfuocato. Mano a mano che mi avvicino, il suo contorno si delinea, la figura dell’uomo si staglia e la sala sparisce al suo cospetto…
Mussolini è decisamente invecchiato dall’ultima volta che l’ho visto, ma il suo sguardo non ha età, ha due espressioni, due maschere: il primo, il “gros-plan” della sua faccia da capo, con le mascelle serrate e gli occhi duri; qualche minuto dopo, un cambiamento completo, per merito di quel sorriso che lo umanizza, che lo rende un’altra persona. Di solito, il sorriso degli uomini che comandano altri uomini è una contrazione artificiale, una necessità da protocollo. In Mussolini è un sollievo, una liberazione, qualcosa che si può spiegare così, più o meno: “ Bene, ho già fatto il ritratto. Ora sono un uomo come gli altri”.
Devo dirlo, Mussolini non mi riceve in quanto giornalista. Dunque non ho il diritto di chiedergli un’intervista, né di riportare integralmente la nostra conversazione. Percepisco tuttavia che lui stesso gradirebbe che io trasmettessi pubblicamente ai portoghesi i suoi calorosi saluti al nostro Paese e al suo Estado Novo. Userò alcuni passaggi della nostra conversazione, che giudico inoffensivi, ed essendo certo che facendo ciò non abuserò della fiducia con la quale mi ha accolto, rispetterò questo suo desiderio… Riporto l’inizio del nostro dialogo:
– È la terza volta che ho l’onore di visitare…
– Mi ricordo perfettamente – risponde Mussolini e, come se la sua sorprendente memoria fosse un archivio – La prima volta nel 1923. la seconda nel 1926 o 1927. All’epoca era un semplice giornalista…
Confermo, sinceramente grato:
– Un giornalista che le deve alcuni dei momenti più felici della sua carriera e che non dimentica…
Mussolini, sovrastando i miei ringraziamenti, mi chiede:
– E adesso? In cosa posso esserle utile?
Dico ciò che mi porta lì:
– Desidero ringraziarla personalmente, per aver suggerito a Corrado Zoli la traduzione in italiano del mio libro sul Capo del Governo portoghese…
Mussolini conferma ciò che Zoli già mi aveva comunicato.
– In effetti sono stato io a dire a Zoli di far conoscere al popolo italiano la figura di Salazar. Non ne sono pentito.
Ricambio:
– Mussolini è, da molto tempo, fin dalla marcia su Roma, una figura popolare e ammirata in Portogallo.
Il Duce si alza dalla sua trincea, dalla muraglia della sua scrivania, mi si avvicina e mi dice lentamente, con una certa solennità, come se stesse scrivendo queste parole nei miei occhi:
– Dica al Generale Carmona che lo conosco molto bene. I miei ragazzi, quando sono passati per Lisbona durante un’escursione di balilla, sono stati ricevuti affettuosamente da lui e non lo dimenticheranno mai. È una delle memorie indelebili della loro infanzia. Sono stati i miei figli a farmi diventare familiare la sua veneranda persona. Cos’altro potrei aggiungere per comunicargli tutta la mia stima?
E dopo una pausa, queste significative e testuali parole:
– Dica a Salazar che conosco e seguo attentamente il suo lavoro, che so valutare correttamente la levatura della sua persona e che lo ammiro molto, soprattutto per due ragioni: per la sua intelligenza e per il suo carattere. Non si dimentichi di dirglielo.
Memorizzo con grande commozione il semplice ma espressivo omaggio di Mussolini al Generale Carmona e al Capo di Governo portoghese e colgo il momento per fare un’osservazione:
– L’Italia, nonostante le sue affinità con il Portogallo – affinità ideologiche, razziali, climatiche e linguistiche – non si è interessata tanto all’Estado Novo portoghese come hanno fatto altri paesi meno vicini a noi. Vedo ora con piacere che il capo del fascismo è ben a conoscenza della nostra rinascita e delle sue grandi personalità. Questa quasi indifferenza contro la quale combatte il nostro Ministro a Roma, devo confessare che mi sconcertava, perché non corrispondeva all’interesse e alla simpatia che il fascismo suscita invece in Portogallo.
Mussolini mi risponde abilmente, ma anche con sincerità:
– Non si tratta di indifferenza, ma di distanza. Il fatto che un popolo sia ben informato su un altro popolo, non significa necessariamente che fra i due vi siano rapporti amichevoli. L’Italia, come la Francia, la Germania, come il Portogallo, è più aggiornata su quello che succede nelle nazioni vicine (o di quelle delle quali non si fida), rispetto a quello che succede in paesi che ammira profondamente, per la sua storia e per il suo orientamento ideologico…
Insisto:
– Il Portogallo, come l’Italia, ha ritrovato la retta via dopo un periodo di agitazioni che è stato tristemente famoso. E’ importante che, come sta accadendo, l’opinione pubblica internazionale, che ci ha giudicato tanto severamente, venga a conoscenza della nostra rinascita e ci renda giustizia. Mussolini concorda:
– Ha ragione, e stia certo che seguo con la massima attenzione questo indubbio risorgimento. Voglio anche dirle che ho letto e riletto tutta la vostra legislazione corporativa, che considero, accanto a quella italiana, una delle più intelligenti d’Europa. La riuscita organizzazione delle “Case del Popolo” mi ha molto interessato.
Ringrazio:
– Questa dichiarazione, che mi prenderei la libertà di rendere pubblica, certamente lusingherà e sarà uno stimolo per gli organizzatori dello Stato Corporativo portoghese.
Il Duce si interessa ancora:
– Gli avanguardisti portoghesi sono già andati via da Roma?
Lo informo:
– Da due giorni…
Mussolini si scusa con loro:
– Mi è dispiaciuto molto non essere riuscito a riceverli. Ho sentito ottime cose sul loro conto.
Poi il Duce mi domanda della Spagna, della posizione del Portogallo rispetto a questa situazione esplosiva e incendiaria, tanto vicina a noi che avrebbe potuto bruciarci… Lo tranquillizzo, e la conversazione per alcuni minuti si svolge con leggerezza, senza riserve né cautele. Il Duce si dimentica amabilmente che io sono un giornalista e il mio dovere, in questo momento, è di dimenticarlo a mia volta…
Giunge l’ora di congedarmi. Ma questa volta, Mussolini mi accompagna fino alla frontiera, fino alla porta della sala della “Mappa del mondo”, e io non mi rendo conto del tragitto.

– Cosa gliene è sembrato di Roma? La trova cambiata?
Dico con entusiasmo:
– Più che cambiata, è un’altra città! Il Duce ha realizzato questo miracolo: ha fatto tornare vive, dinamiche le rovine di Roma… Proprio oggi l’ho constatato, percorrendo la Via dell’Impero…
Mussolini applaude con allegria, la sua espressione completamente illuminata da un sorriso di trionfo:
– Roma è una costante a tutte le epoche, a tutte le civiltà! Ha visto come i fori imperiali si inquadrano bene nell’urbanistica moderna, nella strada “di oggi”? Ha visto come le rovine osservano passare senza sgomento le automobili che strombazzano, dall’alba al tramonto, in Via dell’Impero?
Rispondo mentre sono già alla porta, stringendo la mano a Mussolini e concludendo così la mia visita al Duce:
– Ho visto, e ritengo di aver compreso: la vostra Roma, la Roma fascista, è il fascio di tutte le altre, la vera immagine di Roma eterna!

Roma, ottobre 1934

Questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International. Copyright (c) 2020 Federica Tosi