Bibliomanie

Le spose sepolte di Marilù Oliva
di , numero 45, gennaio/giugno 2018, Letture e Recensioni,

Come citare questo articolo:
Beatrice Collina, Le spose sepolte di Marilù Oliva, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 45, no. 9, gennaio/giugno 2018

C’è un paese reale, Bedizzole, in provincia di Brescia, dove non esiste una via, una piazza o un vicolo che porti il nome di una donna. Per rimediare pare che la giunta comunale abbia istituito una commissione incaricata di trovare nomi di donne illustri, sostenendo che le denominazioni di piazze e strade contribuiscano a formare la cultura dei cittadini e che siano un potentissimo mezzo di educazione subliminale: tutti li leggono e li imparano e chi ne legge solo di maschili a lungo andare introietta l’idea che non ci siano donne degne di comparire sulle targhe stradali.
C’è un paese immaginario, Monterocca, sull’Appennino bolognese, nel quale ogni luogo, monumento o istituzione è dedicato a una donna: via Maria Bellonci, viale Mia Martini, via Anna Magnani, via Gae Aulenti, via Isabella d’Este, fino alla locanda Margherita Hack e alla pasticceria Grazia Deledda. Una Città delle Donne non solo nella toponomastica, ma un luogo ideale governato prevalentemente dalle donne: una sindaca, una vice-sindaca, molte assessore. Il tema utopico della città delle donne è antico, risale a Cristina da Pizzano, nata in provincia di Bologna, vissuta alla corte del re di Francia, più nota col nome francesizzato di Christine de Pizan, che tra il 1404 e il 1405 aveva scritto Le livre de la Cité des Dames, La Città delle Dame, appunto, ambientato in un luogo governato come Monterocca da un manipolo di donne sagge.
Comincia con una sfida volutamente paradossale alla toponomastica l’ultimo romanzo di Marilù Oliva: ribaltare una tradizione che vuole solo nomi maschili per città, monumenti, istituzioni. Ma Le spose sepolte si apre soprattutto con una dedica a donne non altrettanto famose, ovvero a “tutte quelle che non hanno fatto più ritorno”, molto probabilmente vittime di un padre, di un marito, di un compagno che le ha fatte scomparire senza lasciar traccia, mogli e madri che diventano tristemente famose solo perché a un certo punto della loro vita si volatilizzano nel nulla, finendo sulle pagine della cronaca nera o in programmi tv come Chi l’ha visto. Al centro del plot sono soprattutto i figli delle donne scomparse, vittime “vive” di una violenza della quale sono stati testimoni impotenti, costretti a tacere, spesso maltrattati o violati, sempre condizionati e plagiati, devastati a vita dal ricordo di un’esperienza troppo dura e impossibile da rimuovere e tantomeno da rielaborare.
L’ispettrice di polizia Micol Medici viene inviata a Monterocca per indagare su una serie di morti ammazzati, tutti compagni o mariti di donne da tempo scomparse, delle quali si sospetta che abbiano fatto una brutta fine, senza che il corpo sia mai stato trovato. Il pluriomicida ha il profilo del giustiziere dei femminicidi rimasti impuniti. E per questo viene battezzato dalla stampa col nome di “killer delle spose sepolte”. Il suo modus operandi è ripetitivo, prima di uccidere inietta alla vittima una specie di “siero della verità” che ha il potere di farla confessare e di estorcerle il luogo nel quale sono sepolte le donne scomparse, poi in forma anonima fa pervenire agli inquirenti le informazioni utili al ritrovamento dei poveri resti. Il killer colpisce in luoghi diversi, ma è a Monterocca che convergono le indagini, perché vi ha sede un istituto di ricerca, il centro studi Rita (ovviamente Levi Montalcini), che sta mettendo a punto il Pentothal-21, lo stesso siero usato dal killer nei suoi omicidi.
La Città delle Donne all’apparenza perfetta, circondata da un ambiente naturale idillico, pervasa dalla musica, modello di buon governo, meta di turisti e di aspiranti cittadini, custodisce segreti insospettabili, che verranno alla luce grazie all’intuizione e alla ricerca meticolosa di Micol, donna fra le donne e proprio per questo capace di capire i meccanismi psicologici che le governano. Per risolvere il caso l’ispettrice dovrà porre a repentaglio la sua stessa vita, entrando nelle vite degli abitanti di Monterocca, mettendole a confronto, individuandone i misteri e le contraddizioni, fino all’epilogo risolutivo.
Dicevamo dei numerosi richiami alla storia e alla mitologia. Non può sfuggire il collegamento fra il personaggio della Circassa e il mito delle amazzoni, un popolo di guerriere, che si autogovernavano, escludendo quasi totalmente dalla loro vita i maschi, “usati” solo per la riproduzione. A Monterocca la Circassa, titolare della “Farmachìa” Artemisia (ovviamente Gentileschi) è un po’ amazzone un po’ specialista in erboristeria e degna erede delle “streghe” del Medioevo e del Rinascimento, esperte conoscitrici delle virtù benefiche, ma anche malefiche delle erbe, capaci di preparare pozioni, decotti, infusi ai quali nell’Ancien Régime si attribuivano spesso qualità magiche, dispensatrici di salute o di morte. Il veleno, si sa, è per antonomasia il mezzo più usato dalle donne per liberarsi di mariti non più amati, di amanti divenuti scomodi, di rivali in amore da togliere di mezzo e non è un caso se alcuni abitanti del paese si rivolgono alla Circassa per ottenere recipe non proprio innocui spinti da fantasie omicide.
Le donne sono al centro dell’interesse di Marilù Oliva fin dai primi romanzi. Le sue storie sono ambientate in luoghi immaginari, ma allo stesso tempo riconoscibili e familiari ai bolognesi: la scuola superiore, la periferia della città, l’ambiente montano della provincia. I suoi personaggi, anche quando non hanno la riconoscibile cadenza del dialetto, come nel romanzo Le sultane (Roma, Elliot, 2014), sono titolari di quella “bolognesità” riconosciuta come tratto caratteristico della città felsinea: socievolezza, bonomia, capacità di mettersi in relazione con gli altri. Le sue donne, specie le protagoniste, sono personaggi a tutto tondo. L’ispettore Micol Medici ad esempio è una giovane con molte insicurezze sul piano sentimentale e su quello lavorativo. Qualche volta fa tardi la notte, non sente la sveglia la mattina, arriva in ritardo agli appuntamenti, trascura il proprio aspetto, fa errori di valutazione, subisce le strigliate del suo capo, si fa intrattenere al telefono da una madre ossessiva e, costantemente, deve far fronte all’inevitabile gap di essere donna in un corpo di polizia che conserva intatti gli antichi pregiudizi sull’altra metà del cielo. È fornita di una mente matematica, razionale e organizzata, ma al tempo stesso fa sogni premonitori e ha visioni che l’aiutano a dipanare la matassa del caso. L’apparente ossimoro insieme alle numerose contraddizioni che la contraddistinguono rendono il personaggio decisamente verosimile.
Marilù Oliva lavora alla sua fiaba-giallo o, per altri aspetti, al suo thriller-noir, effettuando una sapiente contaminazione di generi e alternando i 58 capitoli del romanzo, raccontati da un narratore esterno, a intermezzi in corsivo, scritti in prima persona da un misterioso personaggio del quale solo alla fine si svelerà l’identità. Due racconti in apparenza autonomi, due storie separate, destinate a ricongiungersi solo nell’epilogo.

tag: , ,

Questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International. Copyright (c) 2018 Beatrice Collina