Bibliomanie

The second chance
di , numero 37, settembre/dicembre 2014, Letture e Recensioni,

Come citare questo articolo:
Veronica Morgera, The second chance, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 37, no. 12, settembre/dicembre 2014

Tutti i nuovi inizi restituiscono il mondo da zero.

Questo pomeriggio il sole è alto su Londra e splende in modo sconveniente; di solito preferisce starsene nascosto dietro alle nuvole, lasciando quel velo cupo sulla città.
Oggi no. Oggi costringe i pallidi abitanti inglesi a indossare gli occhiali da sole ed abbassare i finestrini delle loro auto mentre sfrecciano sul Tower Bridge perché è tardi. Tardi per cosa, però, non si sa; è sempre tardi anche per non fare niente.
È stato calcolato che ogni giorno il ponte è attraversato da circa quarantamila persone che non possono superare i trenta chilometri orari e che invece puntualmente lo fanno, e imprecano mentre suonano il clacson all’infinito contro quelli che rispettano le regole. Oltre a quest’incessante rumore, si diffondono nell’aria di Londra i rintocchi del Big Ben che segna le dodici, orario di pausa per la maggior parte dei lavoratori.
Nel giro di una decina di minuti, l’afflusso di macchine e di gente aumenta notevolmente, riempiendo le strade già affollate della città.
Gli uffici si svuotano, le persone che abitano vicino al loro posto di lavoro hanno il tempo di tornare a casa a pranzare con la loro famiglia, mentre quelli più lontani sfruttano le sale mense o i pub.
Accendere le luci oggi non servirebbe perché è tutto ben illuminato, ma i londinesi lo fanno lo stesso perché non sono abituati e di luce non ce n’è mai abbastanza. Pian piano si spengono tutte quante.
A parte una. Al ventesimo piano di un altissimo grattacielo, una luce rimane accesa. Si tratta di un piccolo ufficio quasi vuoto, vuoto a parte una libreria e una scrivania alla quale è seduto un uomo che si tiene la testa tra le mani e fissa il nulla davanti a sé. È irrimediabilmente solo.
Accanto al contenitore di penne – ce ne sono solo due, una rossa e una blu – e una cornice col vetro rotto contenente una fotografia sbiadita, c’è un cartellino sopra il quale è scritto Nigel Adam Watchman.
È un uomo di trentasei anni più vuoto della stanza in cui si trova.
Ingegnere elettronico rinchiuso in quell’ufficio da quindici anni senza un collega con cui andare d’accordo. A parte Ginny, una delle poche donne a lavorare lì, una delle poche persone che riesce a sopportare il suo terribile carattere e che continua a portargli il pranzo tutti i giorni, perché lui da lì non esce finché non ha finito il suo turno di lavoro, anzi, a volte rimane anche oltre, quando proprio non ce la fa a far entrare nella sua testa che deve andare all’asilo a prendere Sam e le medicine per suo padre.
Nigel da due anni e mezzo a questa parte è solo. Era sposato, una volta.
La sua famiglia gli piaceva: aveva accanto una donna che amava, Sienna Parker, da cui aveva avuto Sam, un ometto che ora ha cinque anni.
Sienna era bellissima. Lui ci pensa spesso. Capelli biondi, come lui, viso angelico, due occhi che ti prendono l’anima e non te la restituiscono più. Verdi, ma non di quel verde acceso; verde tendente al grigio, non banali come i suoi neri.
Sienna era bellissima. Lui ci soffre spesso, ancora. Era bellissima e sua, una volta.
Ma Sienna, con i suoi occhi verdi-grigi, un giorno cominciò a non guardarlo più nel modo di sempre. Ci si leggeva dentro che non era più innamorata, e Nigel lo sapeva, ma preferiva fare l’indifferente, preferiva negare una consapevolezza, finché un giorno Sienna decise che lui non le andava più bene, che la loro famiglia non era poi così bella, che era troppo giovane per fare la mamma a tempo pieno, che tutti quei problemi di dislessia di Sam erano troppo per lei.
E Nigel alla fine non era abbastanza.
È stata una mattina d’inverno che Sienna gli disse che non lo amava più e che nella sua vita c’era un altro uomo. Che voleva il divorzio.
Gli crollò il mondo addosso e in quel momento il suo corpo si congelò a tal punto che la temperatura fuori era fin troppo calda.
Il suo sguardo non è più cambiato da allora. È lo stesso che continua ad avere adesso mentre guarda quel punto fisso davanti a sé sperando che le risposte prima o poi gli scorrano davanti agli occhi.
Perché. Per due anni e mezzo la stessa domanda e per due anni e mezzo non trova risposta.
Non capisce. Lui aveva sempre dato il massimo, l’aveva amata come nessun altro, si era comportato da bravo marito. Non le aveva mai fatto pesare nulla, e se qualcosa non gli andava bene se lo teneva per sé.
Cos’aveva fatto di sbagliato? Sienna non glielo diceva. La sua eterna risposta era sempre che ormai non lo amava più.
Ma “non ti amo più” non ha nessun senso, continuava a ripetersi lui.
Doveva per forza esserci qualcosa che è andato storto, perché non ci si disinnamora così, non può cessare completamente ogni cosa da un momento all’altro, come se un universo perfettamente regolato da precise leggi matematiche improvvisamente esplodesse così, senza ragione, e rimanesse soltanto un buco nero, immenso e spietato, dove prima regnava l’armonia.
Ma Nigel si è tenuto le sue domande senza risposte e ha lasciato che Sienna uscisse senza fatica dalla sua vita, senza combattere, perché sapeva che per quanto ci avesse provato, per quanto amore avrebbe potuto darle, non sarebbe stato abbastanza.
Qualcosa di lei però è rimasto: i suoi occhi sul suo bambino, fermo davanti alla fotografia appesa alla parete d’ingresso della loro casa, che gli tira i pantaloni e lo guarda dal basso verso l’alto dicendogli che anche a lui la mamma manca un po’.
Sienna non ha combattuto per Sam. Non aveva nemmeno chiesto l’affidamento. L’aveva lasciato a Nigel e lo andava a trovare un sabato al mese.
Forse lei non li aveva mai amati davvero, pensa adesso Nigel spostando lo sguardo sulla foto della scrivania e prendendola tra le mani.
Forse tutte le sue promesse erano vuote e lui aveva costruito il suo Tower Bridge personale di illusioni e speranze su parole senza significato.
Forse se lei gli avesse concesso una seconda possibilità ce l’avrebbero fatta a rimanere insieme e ad essere felici.
Forse. Perché tutto quello che lui credeva e sperava fosse impossibile, si è realizzato.
Bussano alla porta. Ginny entra senza aspettare il consenso di Nigel, perché tanto sa già che non arriverà.
«Dovresti mangiare qualcosa di diverso dai tramezzini con uovo e maionese» dice, poggiandogli il pranzo sulla scrivania.
Nigel solleva lo sguardo e fa un gesto col mento per ringraziarla.
Ginny si siede sul bordo della scrivania. Si accorge che gli occhi di Nigel, mentre scarta la confezione dei tramezzini, sono fissi su quella fotografia che ritrae lui, Sam e Sienna abbracciati e sorridenti.
Ginny la gira. «Dovresti smetterla, sai?»
«Di fare cosa?»
«Di fare tutto quello che fai. Anzi, che non fai. Te ne stai sempre chiuso qui dentro o in casa. Dovresti uscire, andare al parco con Sam, mangiare una pizza con lui, o chiamare una baby-sitter e andartene in un pub.»
«Non cambierebbe niente» risponde Nigel con un tono di voce apatico.
Ginny esita a rispondere; sa che per quanto possa contestarlo, non servirebbe a nulla. Fa un sospiro. «Come sta tuo padre?»
«Sta morendo.»
«Nigel non gli dai nessuna speranza…»
«Dovrei farlo? Ha un tumore. Sta morendo.»
«Ma sta facendo le cure e–»
«Tu non hai idea di quanto sia frustrante sentirlo dire in continuazione che il suo unico desiderio sarebbe quello di vivere altri vent’anni per vedere Sam crescere, sposarsi e avere una famiglia, e sapere che molto probabilmente non arriverà alla fine dell’anno» dice Nigel volgendo lo sguardo verso di lei per la prima volta nella giornata.
Ginny tace perché le sue parole le hanno annodato la gola.
Si limita a guardarlo per un secondo in quegli occhi spenti e pieni di dolore, per poi abbassare lo sguardo e annuire flebilmente.
Silenzio. Lei si passa le mani sulla gonna nera aderente che le arriva fino al ginocchio e si sistema la camicetta rosa.
Nigel mangia noncurante della sua presenza.
«Puoi anche andartene adesso» dice, ad un certo punto.
Ginny si morde le labbra, si alza e se ne va senza dire nulla, lasciando aperta la porta.
Nigel finalmente ingoia ciò che stava masticando e che non riusciva a mangiare giù e si abbandona con la testa sul tavolo.
Si odia e odia Sienna più di quanto tutti gli altri odino lui.
Un tempo non era così.
Adesso riesce solo ad allontanare le persone. Lui vuole bene a Ginny e non voleva davvero che se ne andasse. La sua presenza in qualche modo lo rasserena e lo fa sentire un po’ meglio, ma non è capace di intrattenere una sana conversazione con qualcuno senza finire per rispondere male o toccare tasti dolenti, che scatenano la rabbia repressa che ha dentro e che sfoga sugli altri.
È un’altra cosa che odia. Soprattutto quando succede con Sam, che è l’unico a non avere colpe in questa faccenda, che è l’unico ad abbracciarlo forte, a dargli baci sulla guancia e a dirgli “ti voglio bene” anche se ha un papà di merda, che vive per il lavoro e non per lui.
Si ricorda le parole di suo padre quando gli diceva: “Dovresti pensare anche un po’ a noi, figliolo”, e gli viene ancora di più la rabbia perché nessuno capisce che del lavoro non gli frega niente, ma che è l’unico modo per distrarsi appena.
Ginny torna dopo un quarto d’ora.
«Volevo solo dirti che mi dispiace» dice rimanendo sulla soglia dell’ufficio.
Lui annuisce. Si alza dalla poltrona e prende la fotografia sulla scrivania. La guarda per un attimo, ci passa il dito sopra, e poi la scaraventa dall’altro lato della stanza.
Ginny sussulta ma non si sorprende più, ormai: Nigel ha dato di matto tante di quelle volte.

Alle tre e cinquanta Nigel è davanti all’asilo ad aspettare con le braccia incrociate che le maestre portino fuori i bambini.
Mancano ancora dieci minuti, ma lui preferisce arrivare sempre un po’ in anticipo, piuttosto che in ritardo.
Man mano che i minuti passano si avvicinano all’entrata altri genitori, prevalentemente madri, e si chiede cosa pensino della mamma di Sam che non si fa vedere mai.
Ne riconosce qualcuna; sono anni che i figli frequentano le stesse scuole.
Quando lo vede, la madre di Desyra, la bambina con la quale Sam gioca di più, lo saluta con la mano e un gran sorriso, e lui ricambia con un cenno del capo.
Lei si avvicina trascinandosi dietro una bambina più piccola. «Ciao Nigel, come stai?» gli domanda premurosa.
Lui non sa cosa rispondere. Se dicesse “bene”, risulterebbe palese essere una bugia, se dicesse “male”, lei farebbe troppe altre domande.
«Così. Tu?»
Christine sta per rispondere, ma la bambina la chiama e la tira per mano. Lei si abbassa e Nigel sente che dice: «Tesoro aspetta un attimo, dopo ci andiamo al parco, adesso sto parlando col papà di Sam, l’amico di Desyra, okay? Ti ci porto. Aspetta.»
Poi si tira su e si volta verso Nigel passandosi una mano sulla fronte.
«Devi scusarmi, Jen è così impaziente…»
«Oh, figurati.»
«Comunque io sto bene, anche se sono stanca. Devo sempre fare tutto di corsa. Porta a scuola le bambine, vai a lavoro, torna a prenderle, esaudisci i loro desideri, torna a casa, pulisci, lava, stira, mettile a letto e non puoi risposarti perché c’è tanto altro lavoro da fare. È una routine allucinante.»
«Già, capisco. Tu almeno hai tuo marito che ti aiuta» risponde Nigel infilandosi le mani in tasca e stringendosi nelle spalle.
Tra i genitori della sezione di Sam non è un segreto il suo divorzio con Sienna. Sam non è andato a scuola per un bel po’, e quando ci è tornato raccontava che la mamma non voleva più vivere con loro.
E si sa, i bambini riportano ai genitori, i genitori alle maestre, e le maestre intervengono sempre e comunque.
«Sì, è vero – dice, poi sembra pensarci un po’ su – Anche se non è che Michael sia molto d’aiuto. E poi potrei benissimo farcela da sola, non mi serve il suo aiuto. L’unica cosa che servirebbe, per fare tutto, sarebbe avere più tempo.»
Tic tac. Nigel sospira. L’ha sentito dire troppe volte.
«Sì, quello è un gran problema» dice solamente, poi si immerge di nuovo dei suoi pensieri, assumendo quell’aria assente che fa capire a Christine che basta, ora non c’è più per nessuno.
Chiude gli occhi e ascolta le voci attorno accanto a lui, focalizzandosi prima su una e poi su un’altra e su un’altra ancora.
«Siamo appena oltre la metà di aprile e mancano ancora due mesi alla fine della scuola. Il tempo sembra non passare mai!»
«Il tempo sta passando troppo in fretta: mio figlio, il grande, ha deciso di sposarsi.»
«Ci sono dei giorni nei quali il tempo sembra congelarsi: non finiscono più!»
«Vorrei solo avere un po’ più di tempo per rilassarmi.»
Nigel spalanca gli occhi e poi li strizza forte, premendosi le mani sulle orecchie.
Tempo. Tic Tac. Tempo. Tic tac. Tempo.
Gli sembra di impazzire. Lo sta sognando o è reale? È come se tutti si mettessero d’accordo per tirare fuori l’argomento del tempo quando c’è lui nei paraggi.
Il tempo è una cosa che lo assilla. Lo ha sempre assillato. Chissà, forse per colpa del suo cognome, che crea delle aspettative nelle persone. Anche per questo la sua mania della puntualità.
Sente una mano poggiarsi sulla sua spalla e immediatamente riapre gli occhi e lascia le braccia lungo i fianchi, cercando di rilassare le spalle.
«Tutto bene Nigel? C’è qualcosa che non va?» la voce di Christine gli dà quasi fastidio.
«Sì, sì. Mi è solo venuto un gran mal di testa» taglia corto.
Dopo un momento di silenzio lei si alza sulle punte per guardare davanti a sé, oltre la gente che ha davanti, ed esclama: «Oh! Eccoli! Stanno uscendo! Vado a prendere Desyra. Ci vediamo Nigel, e prenditi qualcosa per quel mal di testa.»
Lui annuisce e abbozza un sorriso. Aspetta che sia Sam a trovare lui, che gli corre incontro appena lo vede e lui si abbassa per stringerlo e prenderlo in braccio.
Mentre stanno andando via e Sam è nel bel mezzo di un intenso racconto, sente una voce che lo chiama. La prima volta non la riconosce e prosegue il suo cammino. La seconda, quando si fa più vicina, capisce che appartiene a Jessica.
Oh, no. Pensa.
Si volta sfoggiando il più falso dei suoi sorrisi.
«Nigel! – lo chiama ancora lei, prima di smettere di correre e fermarsi a un metro da lui – Ciao Nigel, scusami! Ti ricordi di me, vero?» chiede con voce stridula.
Nigel vorrebbe dirle di no, ma purtroppo si ricorda benissimo. È un’altra delle mamme dei compagni di classe di Sam. Una delle single che dal primo giorno che ha saputo del suo divorzio con Sienna ha sempre mostrato un particolare interesse nei suoi confronti.
Non è una cosa strana. Nigel è un bell’uomo: alto, biondo, muscoloso, occhi profondi, voce bassa e sensuale. Decisamente appetibile per le madri single in cerca di un marito.
Il classico bello e bastardo, quello che piace tanto alle donne ed è odiato da tutti i colleghi maschi e dalla maggior parte degli uomini in generale.
Ma lui non vuole nessuna, specialmente non Jessica.
«Oh, la mamma di Gimmy? Posso fare qualcosa di riferibile per te?»
«Esatto! – esclama battendo le mani, esaltata, senza cogliere il sarcasmo nelle parole di Nigel – Ascolta, volevo dirti che stiamo organizzando una cena di fine anno e naturalmente sei invitato anche tu! Non puoi assolutamente mancare. La faremo a inizio maggio. Purtroppo non abbiamo molto tempo per organizzarla e ancora non so tutti i dettagli. Se ne avessimo di più sono certa che verrebbe perfetta, ma ci accontentiamo di questo poco per fare del nostro meglio Appena decideremo ti farò sapere! Ci sarai, vero?»
Nigel la guarda per alcuni secondi senza proferire parola, sbalordito, con la bocca leggermente aperta. Non aveva ascoltato nulla, tranne una sola parola. Tempo.
Ancora. Ancora tempo. Ancora donne. Ancora donne che si lamentano del tempo.
Questa è una congiura contro di me, pensa, mentre Jennifer lo guarda in attesa di una risposta.
Nigel scuote la testa e guarda Sam. «Tu vuoi andarci?» gli domanda.
Il bambino urla un “siii” euforico annuendo energicamente.
Sperava che dicesse di no, ma cosa ci si può aspettare da un bambino a cui viene proposto un momento di gioco e divertimento?
«Ci saremo» dice poi, rassegnato.
Il sorriso sul volto della donna di fronte a lui si apre ancora di più e Nigel prova un senso di disgusto nel vedere di nuovo quelle labbra rifatte tirarsi così tanto da sembrare essere sul punto di strapparsi.
«Perfetto. Allora ci vediamo presto, Nigel» dice con la sua voce troppo acuta, e lui non ricambia il saluto.
La guarda spostarsi i capelli biondo ossigenato dietro le spalle e allontanarsi con passo felino, vestita firmata da capo a piedi, ed è quasi certo di aver capito il motivo per cui il marito l’ha lasciata.
Sam scalcia tra le sue braccia perché vuole essere messo per terra, così lo fa scendere, gli prende la mano e tornano a casa.

La settimana passa e si svolge esattamente come tutte quelle passate.
Un mercoledì sera, quando il bambino dorme nella sua cameretta e suo padre Alfred anche, Nigel ha il tempo di stendersi sul divano a guardare la tv.
È molto tardi, dubita di poter trovare programmi interessanti e sta pensando a quale film dell’orrore possa vedere, tra i DVD che ha, quando si accorge che sul canale su cui ha lasciato stanno trasmettendo il primo dei Ritorno al futuro.
Nigel lancia il telecomando per terra.
«Non è possibile! – esclama.»
Si alza in piedi e fissa la televisione con le mani sui fianchi, poi guarda in alto, verso il soffitto.
«Credo che tu, mio caro, ti diverta maledettamente a vedermi impazzire. Lo fai apposta! Rigiri la mia vita e gli eventi come ti pare e piace, ma sono io che la sto vivendo, non tu. E questa storia del tempo?! Eh!? Cosa stai cercando di dirmi?! Che di tempo non ne ho più perché la mia vita sta per finire? Che lo spreco perché l’unica cosa che faccio è lavorare? Che dovrei concederne un po’ di più a Sam e a papà? COSA DIAVOLO VUOI! Dimmelo e non farmi stare così, non riesco a sopportarlo» urla, dimenticandosi degli altri che dormono.
Nigel si lascia cadere sul divano e si mette le mani nei capelli, stringendoli talmente forte che quasi se li strappa.
Si sente solo contro il mondo, e adesso anche contro il tempo.
Deve fare qualcosa.
Si strofina le mani sul viso e si schiaffeggia le guance domandandosi cosa gli sia preso e cosa volesse ottenere parlando col soffitto.
Le scene del film scorrono davanti ai suoi occhi senza che lui ci presti attenzione. C’è il giovanotto, la ragazza, il tizio con i capelli bianchi, la macchina… la macchina.
Nigel spalanca gli occhi e scatta in piedi. «La macchina!» esclama quando la lampadina nella sua testa si accende all’improvviso.
Si guarda attorno e poi tasta le tasche del suo pantaloncino per prendere il cellulare.
Compone un numero e si porta il telefono all’orecchio.
«Ginny, ho bisogno di te.»

Dieci minuti dopo è seduto sul divano di casa di Ginny con una tazza di caffè in mano. Lei abita da sola in un piccolo appartamento a pochi chilometri da casa sua.
Quando anche lei ha la sua tazza di caffè, si siede sul divano accanto a lui, mantenendo comunque una certa distanza.
«Allora? Hai intenzione di spiegarmi che ti è saltato in mente? Sono le tre di notte, Nigel» dice Ginny a bassa voce.
«Ero a casa e stavo guardando Ritorno al futuro e c’era il ragazzino e il tizio con i capelli bianchi e la macchina che può viaggiare nel tempo e sono esaurito perché tutti non fanno altro che tirare fuori il fatto che di tempo ce ne sia troppo o troppo poco e credo che Dio ce l’abbia con me, per questo ho intenzione di inventare una specie di macchina del tempo» dice Nigel tutto d’un fiato.
«Fermo, fermo, fermo… cosa!? Non ho capito niente di tutto quello che hai detto!»
«Ho intenzione di inventare una macchina del tempo» ripete lui scandendo bene le parole.
Ginny lo guarda per alcuni secondi negli occhi poi scoppia a ridere.
Quando si rende conto che non è uno scherzo e Nigel accanto a lei è serissimo, si ricompone e lo guarda incredula.
«Cioè, aspetta, fammi capire… tu hai davvero intenzione di–»
«Esattamente.»
«Hai battuto la testa?»
«Ti assicuro di no.»
«Mi spieghi cosa c’entro io in tutto questo?»
«Sei una mia collega di lavoro, e sei una donna, e sono in particolare le donne che hanno questa cosa del tempo.»
«Sì, ma l’ingegnere elettronico sei tu, non io. E cosa intendi con “questa cosa del tempo”?» domanda confusa.
«Che vorrebbero averne di più o vorrebbero che passasse più in fretta, o tornare indietro per sistemare qualcosa o andare avanti» spiega lui.
Ginny lo guarda continuando a non capire.
Nigel alza gli occhi al cielo. «Hai mai desiderato tornare indietro nel tempo per rimediare a un terribile errore?» le chiede, poi.
Lei fa per rispondere, poi abbassa lo sguardo sulle sue mani e ci pensa. Annuisce.
«Ecco. Voglio costruire una macchina che ti permetta di farlo.»
«Ma non ha senso! Non puoi viaggiare nel tempo, Nigel! Non è come muoversi nello spazio! La luce è la velocità limite dell’universo!»
«Invece credo proprio di sì. Sappiamo già grazie ad Einstein che il tempo è una sorta di quarta dimensione ed è forse possibile andare avanti o indietro esattamente come potresti fare saltando da una staccionata.»
«Continuo a non capire a cosa ti servo» dice lei spostandosi i capelli davanti agli occhi con una mano.
«Mi serve un’appassionata di fisica che conosca la gran parte delle leggi e che mi dia una mano ad applicarle. Chi, se non tu, potrebbe darmi una mano? Tu sei la mente e io il braccio» dice sorridendo.
Nigel non lo fa quasi mai, e anche per Ginny è una sorpresa.
Sorride involontariamente anche lei e si sente lusingata dal complimento indiretto appena ricevuto. Sa benissimo che l’ha detto apposta per convincerla a dire di sì, ma spera comunque che almeno una minima parte di lui lo pensi davvero.
Ginny lo guarda negli occhi e sospira. «D’accordo» dice poi rassegnata.
Nigel fa un altro sorriso, le prende il viso tra le mani e le dà un bacio sui capelli, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Si alza dal divano, poggia la sua tazza nel lavandino e prende la lavagnetta che lei tiene per scriverci le cose da comprare.
Ginny è ancora seduta sul divano a ripensare alla sensazione che ha invaso il suo corpo al contatto con lui.
«Ti dispiace se cancello?» le domanda e la voce di lui la riportano alla realtà.
Lui le spiega le sue teorie scarabocchiando e cancellando su quella lavagnetta formule matematiche e fisiche, cercando di convincerla che ha ragione.
«Non puoi muoverti liberamente nel tempo, Nigel, te l’ho detto. È un’assurdità» lo ammonisce lei, ma lui non si dà per vinto.
«Se ci pensi bene non puoi muoverti liberamente nemmeno nello spazio: puoi andare avanti, indietro, a destra, a sinistra, e, certo, puoi cambiare direzione, verso, camminare in obliquo o con i piedi per aria, ma che mi dici di su e giù? Puoi fare un salto, ma la forza di gravità ti schiaccia di nuovo al suolo, rimani sospeso solo qualche secondo. E gli aerei sono agenti esterni che volano, non che permettono a te di farlo. Come non puoi nemmeno decidere di sprofondare fino al centro della terra. Siamo limitati. Non c’è differenza tra lo spazio e il tempo.» le spiega accuratamente.
«Continuo a non capire, Nigel…»
«Okay. Prendiamo per esempio dei quadri. Diciamo che ne hai una decina in fila con la stessa immagine di un uomo ritratto prima a cinque anni, poi a dieci, poi a venti, poi a trenta e così via. Quello che vediamo è una rappresentazione tridimensionale del suo essere quadridimensionale. Il tempo, Ginny, è solo una quarta dimensione dello spazio.»
«Comincio a capirci qualcosa di più… ma quello che non mi è chiaro è: come facciamo a costruire una macchina del tempo?»
«Vediamo se ci arrivi: noi umani in realtà siamo già in grado di muoverci nel tempo, ma solo con la mente, col pensiero, perciò…»
«Perciò questa macchina deve riuscire a spostarci fisicamente nel momento e nel luogo che stiamo pensando!» esclama lei.
Nigel fa un sospiro di sollievo. «Esatto!»
«Quindi bisognerebbe creare una sorta di vortice spazio-tempo collegato alla mente umana che venga influenzato da ciò che cambia nel passato o nel futuro e che a sua volta modifichi gli avvenimenti nel presente.» dice Ginny.
Nigel rimane stupefatto. «Vedi perché ho bisogno di te?»
Ginny sorride e Nigel le batte il cinque.
Passano tutta la notte a progettare la loro missione e trascorrono insieme anche tutte quelle dei cinque mesi successivi.
Di giorno lavorano e svolgono le loro vite quotidiane, di notte vengono rapiti dalla macchina del tempo che chiede di essere portata a termine.
È una notte di settembre e Nigel sta guidando verso la casa di Ginny, mentre si trova a pensare a quante volte ha fatto questa strada da quel giorno di aprile fino ad oggi. Pensa che a lavoro loro due ora sono diversi, che Ginny ha smesso di portagli il pranzo perché vanno a mangiare insieme. Pensa che la fotografia sul suo tavolo è sempre coperta ultimamente. Pensa a Sam ed è felice perché si è reso conto che la sua dislessia non è poi un problema così grave come gli aveva fatto credere Sienna, che in realtà lui è un bambino intelligentissimo che però fa fatica a leggere, e necessita di imparare in modi diversi. Pensa che è pronto ad aiutarlo. Pensa alla cena di classe di suo figlio e a quanto lo aveva visto contento mentre giocava con Desyra, la quale non si preoccupava affatto dei suoi piccoli problemi, al contrario degli altri che tendevano a lasciarlo in disparte.
Poi pensa a suo padre che peggiora di giorno in giorno, e pensa che deve finire quella macchina del tempo per fargli vivere quell’accenno di per sempre dentro un numero di giorni finito.
Parcheggia sotto casa di Ginny, suona il campanello e corre su, al secondo piano, dove lei lo aspetta con due tazze di caffè in mano e gli attrezzi sul tavolo lasciati lì dal giorno prima.

Il dodici ottobre alle cinque e trentadue di notte la macchina del tempo è ufficialmente terminata.
Nigel e Ginny si guardano per un attimo e poi si stringono in un abbraccio carico d’emozione.
La macchina ha la forma di un orologio da tasca che si apre premendo un bottoncino in superficie e a cui di lato è collegata una piccola ventosa da attaccare al corpo.
«Ginny dobbiamo provarlo» dice impaziente Nigel.
«Sì, dobbiamo. Chi va per primo?»
Nigel ci pensa un attimo. Si ricorda di quando le ha chiesto se avesse mai commesso un errore a cui avrebbe voluto rimediare e rivede gli occhi di lei abbassarsi.
Vuole darle la precedenza, ma sente di avere paura.
Non sa cosa sia quell’errore di cui parlava. Potrebbe essere un uomo, una scelta, una decisione, un’azione, potrebbe essere qualsiasi cosa e teme le cause che avrebbe sul presente.
Ha paura che qualcosa possa allontanarla da lui e non vuole, ha bisogno di lei per il suo progetto.
Ginny intanto pensa la stessa cosa. Pensa a Sienna e pensa che Nigel sicuramente tornerebbe indietro per risistemare la situazione con lei e vivere la vita felice che sogna accanto a quella donna tanto più bella di lei.
Si guardando negli occhi senza dirsi niente.
«Vieni con me?» azzarda poi lei.
«La macchina non è abilitata per due persone, Ginny» le fa notare lui.
«Possiamo provarci. O modificarla! L’abbiamo inventata noi, d’altra parte!»
«Non possiamo. Dovremmo sconvolgere tutto il sistema interno che riceve gli impulsi nevosi. Dovremmo ricodificarla per due persone e aumentare il generatore. E poi non abbiamo la certezza che funzioni adesso, figuriamoci se la scombussoliamo» le spiega lui.
«D’accordo, hai ragione. Allora…»
«Vai tu. Io ti aspetto qui. Non stravolgere troppo le cose, però: mi piacerebbe che tu continuassi ad essere la mia collega di lavoro» dice Nigel abbozzando un sorriso.
«Tranquillo. Non stravolgerò niente. Devo solo togliermi il senso di colpa che mi opprime da anni. Se funziona, ti spiegherò tutto al ritorno» risponde lei.
Stringe la mano di Nigel per poi lasciarla e prendere con delicatezza la P.W. Machine (avevano deciso tempo prima di chiamarla Pocket Watch Machine).
Attacca la ventosa al polso, fa un respiro profondo, chiude gli occhi e poi preme il tasto in cima, che fa aprire di scatto l’orologio.
Un flash di luce illumina la stanza e poi tutto torna di nuovo buio.
E Ginny non c’è.
Nigel fa un salto dalla sedia e comincia a urlare per casa, incredulo e felice.
«Ce l’abbiamo fatta, Ginny! Ce l’abbiamo fatta! Lo sapevo!» grida, anche se lei non può sentirlo, perché è andata chissà dove.
Dopo quel momento di euforia si mette a camminare avanti e indietro per la stanza controllando l’orologio a muro ogni minuto, contando il tempo in cui Ginny sta via.
Passa un’ora e lei ancora non torna. Si siede sul divano, sfinito. Hanno lavorato tutta la notte alla P.W. Machine e tra poche ore dovranno alzarsi e svolgere le loro normali vite.
E Ginny ancora non c’è. Nigel crolla in un sonno profondo.

Un lampo di luce lo fa svegliare di soprassalto e si alza di scatto dal divano.
Ginny è sdraiata per terra accanto a lui. Nigel si accovaccia accanto a lei e le prende il viso tra le mani, scuotendola delicatamente.
«Oddio Ginny sei qui. Ginny svegliati. Ginny sei tornata, ce l’abbiamo fatta. Ginny…»
Un mormorio esce dalla bocca di lei e poco dopo i suoi occhi castani incontrano quelli neri di Nigel. Non si era mai accorto che fossero così belli.
Un sorriso si apre sul volto di entrambi e si abbracciano, immensamente soddisfatti del loro capolavoro.
«È stato assurdo Nigel…»
«Devi raccontarmi tutto. Dove sei stata?»
«Sono tornata nel duemila. Al giorno ventisei maggio, per la precisione. – Ginny comincia a spiegare, appoggiando la schiena al divano – All’epoca ero al College e avevo quindici anni. Era il giorno del ballo di fine anno.»
«Cos’è, sei tornata indietro per chiedere al ragazzo più carino della scuola di uscire con te?»
Ginny si irrigidisce.
«Stupido – dice – Ci sono tornata per un motivo più serio.»
«Dai, racconta» la incita lui.
«Dicevo, era il ballo di fine anno e tu sai come sono i balli. Tante persone, musica talmente alta che non si sente neanche la propria voce, cibo e alcol, tanto alcol. Io ero con Leyla, una ragazza di due anni più grande che avevo conosciuto molti mesi prima ad un concorso di scrittura e che era diventata la mia migliore amica. Insomma, credo tu abbia capito che ci siamo ubriacate. A fatica ci reggevamo in piedi. Era tardi, e io dovevo tornare al mio dormitorio che era alcuni chilometri distante dalla sala del ballo. Lei, che aveva la macchina, si è offerta di accompagnarmi e io, da stupida, l’ho lasciata fare. Per i primi metri è andato tutto bene, poi ha cominciato a sbandare, finché non siamo finite in un fosso dopo che la macchina si era ribaltata tre volte. Io, come vedi, sono ancora qui e ciò che mi è rimasto di quell’incidente è solo una grossa cicatrice sul braccio. Lei… è morta sul colpo.»
«Oh… non immaginavo… mi dispiace tanto…» dice Nigel abbassando lo sguardo.
«Non sai per quanto tempo quella scena mi ha divorata da dentro. Il senso di colpa non ha mai smesso di tormentarmi e lei mi manca terribilmente. Sono tornata indietro per non commettere lo stesso fatale errore di quattordici anni fa. Non le ho fatto prendere la macchina, abbiamo chiamato un taxi e, quando sono stata certa di essere nella mia camera con Leyla, tutte e due sane e salve, ho riazionato la macchina» spiega Ginny.
«Ora capisco… – mormora Nigel. – Ma… come facciamo a sapere che il corso delle cose è veramente cambiato?»
Ginny ci pensa un attimo, poi sfila il braccio destro dalla maglietta, lo guarda e ci strofina sopra una mano.
«La cicatrice…»
«Non c’è» conferma lei.
Infila di nuovo il braccio nella maglietta e si alza cercando frettolosamente il suo cellulare.
Nigel segue i suoi movimenti e si avvicina mentre sta componendo un numero che corrisponde al nome “Leyla”.
Ginny guarda Nigel, che le rivolge un sorriso di speranza, e lei clicca il tasto della chiamata, per poi mettere il vivavoce.
Squilla.
«Ginny?»
«OH MIO DIO LEYLA!» esclama lei.
«Ginny va tutto bene? Sono le sei e quaranta di mattina!»
«Sì, sì, sì, adesso va tutto bene Ley, va tutto bene. Ti chiamo più tardi, ti voglio bene, ciao Ley, ciao.»
«Anch’io G» e riattacca.
Ginny si volta verso Nigel e scoppia a piangere.
Lui la stringe in un abbraccio di sostegno e di conforto, e quando si tranquillizza, per lui è già ora di tornare a casa.
«Grazie Nigel» dice lei, mentre lo guarda uscire dalla porta.
«Grazie a te, Ginny. Non ce l’avrei mai fatta senza il tuo aiuto.»
Le dà un bacio sui capelli e se ne va con la P.W. Machine .

Lo stesso pomeriggio Nigel decide che è il suo turno.
Con Ginny ha funzionato, perciò deve valere lo stesso con lui.
Il fatto è che non sa bene in quale preciso momento tornare perché Sienna non gli ha mai detto cosa sia stato veramente ad averla allontanata da lui. Non gli ha mai detto di una scelta sbagliata, di un gesto non gradito, o di un pessimo comportamento.
Decide di tornare al giorno in cui è nato Sam, il tre marzo duemila nove.
Nigel inspira a fondo e pensa intensamente a quel momento. Attacca la ventosa al suo polso e gli sembra di percepire le scariche elettriche partire dal suo cervello e arrivare alla Macchina del Tempo.
Preme il pulsante. Una luce bianca lo acceca, e quando riapre gli occhi si ritrova nella sala parto con la mano di Sienna che stringe terribilmente forte la sua e le grida di dolore della moglie che riempiono la stanza.
Poi il pianto frenetico del loro bambino.
Nigel si emoziona esattamente come la prima volta.
Nigel si piega e bacia Sienna mentre i dottori lavano il piccolo Sam.
Questo non l’aveva fatto. Era rimasto semplicemente immobile.
Danno il bambino a Sienna ed entrambi lo guardano, lo baciano, lo accarezzano delicatamente e con tanto amore.
Quant’era bello quando erano felici, pensa Nigel, e spera che possano tornare ad esserlo.
Nigel riaziona la macchina e va avanti di qualche anno, al terzo compleanno di Sam, quello a cui lui non ha partecipato per motivi di lavoro.
Questa volta decide che suo figlio viene prima di tutto, e del resto non importa.
Alle quattro meno un quarto lascia la riunione a cui stava partecipando senza dare spiegazioni a nessuno e corre a casa loro, dove Sam e i suoi amici giocano nel giardino.
Corre da Sienna, che sta parlando con le altre mamme – tra cui Christine, la mamma di Desyra – e la saluta con un lungo bacio.
Sienna lo abbraccia. «Ce l’hai fatta, allora» gli dice.
«Non potevo mancare» risponde lui, e le mette un braccio attorno al fianco per tenerla stretta accanto a sé mentre guarda i bambini giocare.
Come ho potuto perdermi questo, pensa Nigel.
Decide di godersi l’intero compleanno, per poi riazionare la macchina del tempo la sera, e andare avanti di alcuni mesi, al tredici dicembre, al giorno in cui Sienna l’ha lasciato.
Torna a casa da lavoro, fa il bagnetto a Sam, prepara una meravigliosa cena per sé e Sienna, aiuta suo padre a fare un giro in giardino.
Quando Sienna torna a casa, ha lo stesso sguardo assente di quella volta.
E tutto si svolge esattamente allo stesso modo.
Sienna se ne va. Di nuovo.
Nigel torna al presente e si ritrova in un mare di lacrime.
Essere lasciato per la seconda volta fa più male della prima.
Forse perché questa volta dentro di lui si era acceso un barlume di speranza che lo aveva illuso, e la delusione di non avercela fatta adesso lo distrugge.
Voleva solo una seconda opportunità per essere felice.
Nigel prende il telefono e guarda l’orario: sono passate solo tre ore.
Decide di chiamare Ginny perché qualcosa è andato storto.
Lei gli suggerisce di fare altre prove, magari prima con qualcun altro.
Nigel pensa a suo padre e al suo desiderio.
Corre nella sua camera, lo trova addormentato sul letto e lo sveglia delicatamente.
«Papà, ho una sorpresa per te.»
«Per me?»
«Sì, ho fatto una cosa per te.»
«Di che si tratta, Nigel?»
«Sai quando mi dici che vorresti vivere altri vent’anni per veder crescere Sam? Ecco, ho la possibilità di farteli vivere più o meno in cinque ore» gli dice.
«Ma… che cosa stai dicendo?» domanda Alfred confuso.
«Ho inventato una macchina del tempo. E funziona. Non ha funzionato con me, ma con Ginny sì. Ti ricordi la mia collega?»
«Quella bella? Come potrei dimenticarmela…»
«Papà! – esclama Nigel – Sei troppo vecchio per lei.»
«Grazie per avermelo ricordato, figliolo. Be’, cos’è questa storia della macchina del tempo?» domanda.
«Devi provarla. Devi pensare intensamente a un momento nel futuro o nel passato nel quale ti piacerebbe trovarti e improvvisamente ti ci ritroverai. Quando sei soddisfatto, allora torni indietro. Il tempo ti sembrerà trascorrere normalmente, in realtà gli anni che vivrai equivarranno a una manciata di minuti qui nel presente. Sarai cosciente di essere in un altro tempo» gli spiega Nigel.
«È una cosa che si può fare davvero?» chiede dubbioso suo padre.
«Sì» dice, e gli porge la P.W. Machine.
Gli spiega come funziona, come attivarla, e dopo poco lo vede scomparire nel bagliore bianco.
Nigel sorride e approfitta di quel tempo per stare solo con Sam e distrarsi con lui.

Alfred torna dopo sei ore. È esausto, ma Nigel non ha mai visto suo padre così contento.
Non gli racconta niente. Tiene tutto per sé perché dice che non è possibile condividere una felicità così grande, e che non vuole svelargli dettagli della vita che ancora deve vivere.
«Grazie figlio mio» gli dice Alfred.
«Te lo dovevo papà.»
«Grazie comunque di avermi fatto vivere Questo. Ora la morte non mi fa più paura. Può venire a prendermi quando le pare: ho vissuto tutto quello che volevo vivere e visto tutto ciò che volevo vedere. Non rimpiango niente. Grazie Nigel. Grazie.»
Nigel non può fare a meno di commuoversi davanti a parole così toccanti e soprattutto vere, che non aveva mai sentito uscire dalla bocca di suo padre.
Si abbracciano e poi tutti vanno a dormire.

Due settimane dopo Alfred si addormenta e non si sveglia più.
Nigel piange forte sul suo letto mentre gli stringe la mano ora priva di vita. Sapeva che sarebbe successo.
Dopo il giorno del salto nel futuro, suo padre aveva completamente smesso di combattere. Non prendeva le medicine con la scusa che se ne dimenticava, quando in realtà la sua memoria non aveva nessun problema, non aveva più voglia di alzarsi dal letto e mangiava molto meno.
Però era felice. Glielo si leggeva negli occhi e nei sorrisi che faceva.
Suo padre è stato più felice nelle ultime due settimane prima della sua morte che durante tutta la vita. E Nigel sa che è solo grazie alla macchina che lui e Ginny hanno inventato.
E ora sa cosa fare.
Smette di singhiozzare, afferra il telefono e chiama la sua collega.
«Dimmi Nigel» dice la voce delicata dall’altro capo del telefono.
«Ginny voglio che la macchina del tempo possa essere usata da tutti quanti» dice lui senza tanti giri di parole.
«Cosa?»
«Mio padre è morto e…»
«Che cosa!? Alfred è morto? Oh mio Dio Nigel, io…»
«Sì, è morto Ginny, ma dovevi vedere i suoi occhi. Dovevi vedere quanto brillavano. Dovevi vedere quant’era felice dopo essere stato nel futuro. È morto perché non voleva più combattere, perché stava finalmente bene, nonostante il tumore e nonostante tutto il resto. – Nigel fa una pausa per ricacciare indietro le lacrime – Voglio che tutti abbiano la possibilità di provare la stessa felicità e di sentirsi bene. Voglio smettere di fare l’egoista e piangermi addosso e fare qualcosa per gli altri, dato che non posso fare nulla per me.»
«È una cosa meravigliosa, Nigel» dice Ginny con la voce tremante, e lui intuisce che anche negli occhi di lei delle lacrime fanno la lotta per uscire.
«Chiamo il capo per dire del lutto e mi prendo alcuni giorni di ferie, così organizzo il funerale, e poi io e te andiamo in giro a far provare la nostra P.W. Machine. Vieni con me?»
«Neanche da chiedere. Conta sempre su di me.»
«Grazie Ginny.»
«Sono lì tra un’ora.»
Nigel sorride e chiude la chiamata.

Il funerale è due giorni dopo. Nigel è stato costretto a dire a Sam del nonno, ma non l’ha presa troppo male. Per fortuna i bambini non si rendono perfettamente conto della situazione e si risparmiano un po’ di dolore.
Per Sam il nonno è andato a fare un lungo viaggio in un altro posto perché aveva bisogno di staccare un po’.
E Nigel intanto se lo immagina a vagare nel futuro circondato da nipoti e pronipoti che non vedrà mai.
Il giorno dopo Nigel e Ginny si mettono ad organizzare eventi per mostrare la validità della loro invenzione e preparano manifesti da attaccare in giro.
Dopo che lei torna a casa, Nigel decide di riprovare a tornare nel passato in momenti diversi da quelli della volta precedente, per poi finire sempre col tredici dicembre.
E anche questa volta Sienna se ne va.
Torna nel presente, infuriato. Vuole riprovarci subito, così riaziona la macchina e torna nel passato, e decide di lasciar trascorrere l’intero anno duemilaundici, nella speranza che un tempo prolungato possa servire di più a migliorare le cose, piuttosto che un breve momento.
Arriva il tredici dicembre e Sienna c’è. Sienna resta.
Nigel fa fatica a crederci. Gli viene da piangere per la gioia. Trascorrono una bellissima serata insieme e le cose vanno finalmente per il verso giusto.
Ora che ha Sienna, Nigel non vuole tornare nel presente, così rimane lì ancora un po’.
Festeggiano insieme il Natale e Capodanno. Vanno tutti e tre a fare un bellissimo pupazzo di neve il giorno in cui se ne posa a terra quasi un metro.
La sera del diciotto gennaio, però, Sienna non torna a casa e Nigel si trova un messaggio sul cellulare:
Ciao Nigel,
mi dispiace dovertelo dire così, ma non ho il coraggio di farlo di persona.
Non ce la faccio più ad andare avanti a mentire. Io non ti amo più, e non riesco a continuare a rimanere con voi.
Ho trovato un altro uomo. Da stasera in poi dormirò da lui.
Domani vengo a prendermi tutte le mie cose e…
Nigel lancia il telefono per terra prima ancora di aver finito di leggere il messaggio.
Urla. Non è possibile, maledizione, non è possibile. Stava andando tutto bene. Cosa diavolo è successo?
Riaziona la macchina e torna nel presente. È stato via un’ora.
Non capisce. La macchina funziona per forza, altrimenti Sienna se ne sarebbe andata il tredici dicembre. Sono riusciti a rimanere insieme un po’ di più ma lei comunque l’ha lasciato. Non ha senso, pensa frustrato.
Telefona subito a Ginny e le racconta l’accaduto. Lei non sembra poi così dispiaciuta, ma, come lui, non capisce come sia possibile.
Quando cala la notte vanno in giro per la città ad attaccare i manifesti e il giorno successivo ricevono già delle telefonate di persone interessate a sperimentare la macchina.
La prima è una donna adulta che dice di essere andata da loro solo per vedere di persona chi siano questi ciarlatani che dicono di aver inventato una macchina del tempo.
Si sottopone all’esperimento solo perché è convinta che non succederà assolutamente niente, ma quando preme il bottone sparisce e ritorna dopo una decina di minuti del tutto sconvolta.
Si inginocchia ai loro piedi chiedendogli umilmente perdono e ringraziandoli per averla inventata.
«Sono stata nel futuro. Ero veramente preoccupata per mio figlio. Ormai è grande e non ha ancora trovato una compagna, non lavora, e non ha una grande istruzione: non è mai stato bravo a scuola. Temevo che sarebbe potuto fine sotto i ponti o che sarebbe diventato un alcolizzato, visto il suo amore per il bere. Invece no. Ho visto ciò che mi serviva per riuscire ad essere tranquilla. Avrà un bellissimo lavoro e presto si sposerà e avrà due gemelli. Ovviamente non glielo dirò, o gli rovinerei tutto, ma ora credo di poter riuscire a dormire la notte e a vivere tranquillamente. Perdonate i miei pregiudizi nei vostri confronti e lasciate che vi ringrazi infinitamente. Siete due persone meravigliose. Grazie per aver reso pubblica la vostra magnifica invenzione. Ve ne sarò eternamente grata» dice la donna a Nigel e Ginny, stringendo loro la mano, e poi se ne va.
Dopo di lei fa loro visita una ragazza giovane che chiede di tornare indietro nel tempo per rimediare a una scelta sbagliata di cui si è amaramente pentita: abortire a diciotto anni.
Quando torna nel presente ha in braccio una bambina di tre anni e la ragazza ringrazia infinitamente per avergli concesso questa seconda opportunità, dice che adesso è felice e che anche se era scura che avrebbe avuto dei bambini in futuro, provava un senso di colpa nei confronti di quella che non aveva voluto per un semplice capriccio.
Poi è la volta di un uomo, che, come Nigel, vuole rimediare ad un matrimonio fallito, ma al contrario di lui sa bene cosa è andato storto e quando torna nel presente sa che sua moglie è a casa che lo aspetta.
Questa giornata e tutte quelle seguenti sono un via vai di gente che usa la P.W. Machine per migliorarsi la vita e cogliere al volo una seconda opportunità per rimediare ai loro errori.
Nigel e Ginny si sentono ringraziare continuamente e i complimenti non mancano.
La voce si sparge, vengono intervistati, pagati per le dimostrazioni.
Fanno della loro invenzione il loro futuro.
Un futuro che vede le loro vite intrecciate.

Una mattina di maggio, Nigel, dopo aver portato Sam a scuola, invita Ginny a fare un picnic al parco.
Lei accetta volentieri, e alle undici è già fuori dal portone di casa ad aspettare che lui la venga a prendere.
Una volta al parco, stendono la tovaglia e ci si sdraiano sopra uno accanto all’altra, a pancia in su.
«Sono molto felice, Nigel» dice Ginny ad un certo punto.
Nigel fa un sorriso nel quale è facile leggerci un po’ d’amarezza e lei, che ha voltato il viso per guardarlo, se ne accorge.
«Mi dispiace» dice poi.
«Di cosa?» chiede lui.
«Che tu non ce l’abbia fatta. – fa una pausa – Con Sienna dico.»
«Oh. Non importa. Solo… sono l’unico con cui non funziona. Non capisco.»
«Non credo sia la macchina che non funziona, altrimenti avrebbe fatto cilecca altre volte. Dev’esserci qualcos’altro» osserva Ginny.
«E cosa?»
«Credo che sia tu.»
«Io?»
«Quanto intensamente hai pensato a ciò che volevi che cambiasse?»
«Abbastanza.»
«Nigel… – Ginny si alza su un gomito e si volta verso di lui – tutte le volte che hai provato… lo volevi davvero?»
Nigel sta in silenzio. Riflette sulle parole di Ginny e si trova ad essere confuso.
Lo volevi davvero?
Certo che lo volevo. L’amavo.
Lo volevi davvero?
Stavo cominciando a stare meglio.
Lo volevi davvero?
Forse non mi manca più di tanto.
Ginny.
Ginny. Questo nome si fa spazio nella sua testa e resetta tutto quanto. Nigel pensa alla donna accanto a lui. Tutti quei mesi, tutte quelle notti passate insieme, tutte quelle soddisfazioni ricevute, tutte quelle prove, tutte quelle volte in cui lei c’era per lui. Tutte quelle tazze di caffè, tutte quelle risate, tutte quelle nottate passate a lavorare e chiacchierare.
Tutto quello che era successo nel giro di un anno l’aveva cambiato radicalmente. Lei lo aveva cambiato. Lo faceva sentire bene, quello stesso bene che aveva provato suo padre dopo essere stato nel futuro, quel tipo di bene che ti fa smettere di combattere e cercare qualcos’altro perché hai già tutto.
Lo volevi davvero?
Nigel adesso sa la risposta e ha capito perché la macchina con lui non ha mai funzionato.
Il problema non era la macchina. Era il suo cervello che no, non lo voleva davvero. Non è mai cambiato nulla perché lui non voleva che cambiasse.
Ora capisce. Ora è tutto più chiaro. Ora sa che, qualunque cosa possa fare nel passato la situazione non si modificherà perché non deve andare così. Perché non lo vuole davvero.
Ora ha capito che bisogna vivere la vita andando avanti, non indietro.
«No, Ginny. – risponde – Hai ragione. So perché è sempre andato tutto storto. E sono felice che sia andata così. Io non voglio più lei, Ginny. Io voglio te. – Nigel si solleva sull’avambraccio in modo da poterla guardare negli occhi e sa esattamente cosa dire – Mi ci è voluto un po’ per capirlo, mi ci sei voluta tu. Sono stato più felice nelle notti passate con te a lavorare che in tutti i sei anni di matrimonio con lei. No, non lo volevo davvero perché mi sono innamorato di te e voglio che ci sia tu accanto a me. Avevo bisogno di te come collega perché sei brava, intelligente e talmente altruista da portare tutti i giorni il pranzo a un bastardo come me. E mi sei stata vicina dal primo giorno che hai cominciato a lavorare lì. Mi hai sempre sopportato ed ero sicuro che un po’ mi volessi bene, altrimenti te ne saresti andata subito. Ora ho bisogno di te come persona. Ora so quanto sei speciale, meravigliosa, brava con i bambini, adorabile anche in pigiama, bella sempre e incantevole quando tieni i capelli sciolti. Ho bisogno di te e della fiducia che hai in me. Ho bisogno che tu mi dia suggerimenti, che mi correggi quando sbaglio, che mi aiuti. Ho bisogno di te perché ti amo. E credo anche tu.»
Ginny lo guarda con le lacrime agli occhi.
«Credo di avere bisogno anch’io di te, Nigel Adam Watchman, almeno come gli esseri umani hanno bisogno del tempo» scherza lei.
Nigel ride e le accarezza il viso con una mano, asciugandole le lacrime col pollice.
Poi, avvicina il viso al suo e la bacia a lungo.
Quando si separano per riprendere fiato e si guardano negli occhi sanno entrambi che è solo stando insieme che riescono a reggersi in piedi e che, ora come ora, senza l’uno, l’altro cadrebbe.

Presto Ginny si trasferisce a casa di Nigel e Sam è contento di avere una “nuova mamma”, come dice lui, che sicuramente lo ama più di quanto abbia fatto quella naturale.
La loro fama di inventori cresce a dismisura e vengono chiamati a fare dimostrazioni in tutto il mondo, ricevendo alte retribuzioni.
Lasciano il loro vecchio lavoro, quello grazie al quale si sono conosciuti, perché ormai non ne hanno più bisogno.
Nessuno dei due azzarda l’idea di dare una sbirciatina al futuro o di guardare al passato, poiché troppo concentrati sul loro meraviglioso presente.
Nigel è un’altra persona, è rinato. È felice, e ha la famiglia che ha sempre sognato.
Ora può ricominciare la sua vita daccapo, ma non con Sienna, con Ginny.
È questa la sua seconda chance: un nuovo inizio, e tutti i nuovi inizi restituiscono il mondo da zero.

Questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International. Copyright (c) 2014 Veronica Morgera