Bibliomanie

Moltitudine
di , numero 37, settembre/dicembre 2014, Letture e Recensioni,

Come citare questo articolo:
Magda Indiveri, Moltitudine, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 37, no. 11, settembre/dicembre 2014

Ho fatto un sogno.
Facile dire: un sogno.
Visioni, immagini, ritratti svolazzavano nella camera del mio cervello. Era una figurina, un viso, un fantasma, come sulla superficie mossa di un secchio pieno d’acqua. Erano due, una che si sdoppiava, dondolando, e una rideva mentre l’altra aveva il muso. Erano tre, perché alle prime due si sovrapponeva una più prepotente, più vivida, che poi trascolorava.
Era un brulicame come di formiche che giravano intorno al loro formicaio e in un istante non si riusciva più a distinguerle. Allora sentivo pure una voce che declamava un antico haiku:
“L’apparenza di questi volti nella folla
Petali su un umido, nero ramo”.
Roba giapponese? eppure mi pareva di ricordare che questi versi li aveva scritti Ezra Pound, nel 1913. La data mi apriva una visione di numeri pulsanti neri sulla parete bianca della memoria.
L’ultima sigaretta di Zeno! immancabilmente un’ultima data che ne diventava molte altre.
Allora provato a girarmi, ma le immagini proliferavano, diventavano una parete di museo piena di ritratti senza cornice. Era forse lo stesso ritratto ripetuto molte volte? Fissavo i particolari, la curva della guancia, l’ombra della palpebra, per districarmi da quella moltitudine. Strano come moltitudine faccia rima con solitudine…
Mi alzavo con un pensiero ossessivo e cercavo nella libreria un testo molto serio, il saggio del buon Toqueville, teorico a metà dell’ottocento della democrazia americana. Lui aveva già profetizzato una democrazia fatta di “una folla innumerevole di uomini uguali”, fissati dal potere centrale ai propri piaceri, quasi inchiodati all’infanzia,legati per affetto ai propria familiari e vicini, ma ciechi al resto dell’umanità…Ecco, quei ritratti dalle segrete varianti mi sembravano quella folla, e mi veniva da piangere per il loro destino dal sapore dolciastro.
All’ incalzare di una cadenza di fisarmonica vedevo animarsi davanti ai miei occhi il quadro di Renoir del ballo a le Moulin de la Galette: versione allegra e spensierata della folla, folla che si diverte, dopo il tempo del lavoro.
Era stata la Rivoluzione Francese a dare dignità di rappresentazione alle folle…ma bisognò arrivare ai Lumiere, per mostrare nel loro primo film un gruppo di operai, specialmente donne, che escono dallo stabilimento … Era il 28 dicembre 1895 e sembrava un progresso inaudito. Invece no, la rappresentazione della moltitudine avrebbe significato la riduzione dell’uomo moderno a individuo senza volto, inghiottito dalla mancanza di passato e di avvenire, pedina, numero, insetto. Poe e Baudelaire l’avevano intuito per tempo. L’insonnia di Kafka lo mise in inchiostro.
Lasciati sulla libreria i miei cari libri, ero di nuovo nel letto a rigirarmi. La mia camera ottica era sempre più ingombra di ritratti: presenza dell’assenza, li definisce Nancy…non faccio in tempo a finire il pensiero che le immagini sembrano animarsi, prendere vita: : ora mi guardavano, moltitudine di occhi-ragno, occhi-lago, occhi-confetti che mi premevano,mi spingevano, facevano lega contro di me. La moltitudine diventava folla, e poi massa. Insostenibile.
“Delinquenti!” gridavo, come fossi davanti a uno schedario di polizia. E rivedevo masse indistinte alla crocifissione di Cristo, alle esecuzioni capitali, alle lapidazioni. E proprio quando credevo di soccombere, tutto si riduceva a un cassetto rovesciato: milioni di occhi come bottoni , e nessuno uguale all’altro, e i miei occhi che mi lasciavano per unirsi all’allegra sarabanda di uno, uno, uno, molti, molti, molti…Con un sospiro di sottofondo: “ogni uomo è tutti gli uomini”…
Mi svegliavo.
Ed ero solo1.

Note

  1. Il testo è uscito in inglese sulla rivista Dust, giugno 2014

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