Bibliomanie

Voltaire filosofo
di , numero 37, settembre/dicembre 2014, Note e Riflessioni,

Come citare questo articolo:
Gianluigi Goggi, Voltaire filosofo, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 37, no. 7, settembre/dicembre 2014

La procedura del ri-uso (o del re-impiego)

Negli ultimi anni gli studiosi di Voltaire hanno concentrato l’attenzione sulle procedure di ri-uso o di riutilizzazione con cui Voltaire ha spesso ripreso per un testo che aveva in elaborazione pezzi già pubblicati in altra occasione. Non si tratta solamente dell’attenzione ai criteri di “copia/incolla” spesso applicati, ad esempio, dal Voltaire storico nella utilizzazione dei testi che costituiscono delle “fonti” o degli intertesti della sua opera. Voltaire in maniera disinvolta ri-usa spesso (soprattutto il Voltaire degli anni di Ferney) pezzi (o testi) già pubblicati in precedenza.
È soprattutto nel caso di opere alfabetiche che il fenomeno diventa particolarmente vistoso: come è stato stabilito da Christiane Mervaud, una cinquantina di “voci” del Dictionnaire philosophique portatif (1764, con ristampe negli anni successivi) finiscono per essere riprese nelle Questions sur l’Encyclopédie (9 volumi pubblicati fra il 1770 e il 1772). Se si pensa poi al fatto che nell’edizione cosiddetta “incorniciata” (“encadrée”) del 1775 delle opere di Voltaire (fatta sotto la sorveglianza stessa del philosophe) il Dictionnaire philosophique portatif è smembrato e non conserva più una fisionomia autonoma (nonostante se ne continuino a ristampare a parte delle edizioni!), si può capire la portata che ha nell’attività dell’ultimo Voltaire la procedura del ri-uso.
Il ricorso alla procedura del ri-uso da parte di Voltaire è talmente cospicuo che si è ipotizzato che i curatori della edizione di Kehl (1784-1789) delle opere voltairiane ne siano stati influenzati nelle scelte fatte e nella costituzione dei volumi (t. 37-43) del cosiddetto Dictionnaire philosophique, in cui furono raccolte tutti gli scritti consistenti in voci alfabetiche (o riducibli a tali) del ‘patriarca di Ferney’ (dagli articoli scritti per l’Encyclopédie di Diderot et D’Alembert agli articoli delle diverse edizioni del Dictionnaire philosophique portatif, sino alle voci dei vari volumi delle Questions sur l’Encyclopédie etc.).
Si tratta di una scelta confermata nelle edizioni ottocentesche delle opere di Voltaire, sia nell’edizione Beuchot del 1829-1840 (t. 26-32), sia nell’edizione Moland del 1877-1885 (t. 17-20). Per quanto una tale scelta possa essere criticata dal punto di vista filologico («mostruosa» è stata giudicata recentemente da tutti gli specialisti di Voltaire), è su di essa che si basa l’edizione con traduzione italiana a fronte, che ci viene proposta nella collana “Il Pensiero Occidentale” di Bompiani.
Secondo i curatori, Domenico Felice e Riccardo Campi, per quanto una tale scelta sia spuria dal punto di vista filologico, è pur vero che l’insieme dei testi presentati è interamente autentico (p. IX). Di fronte a una tale presa di posizione non si può non ricordare che dei testi pubblicati esistono ormai delle rigorose edizioni critiche nella raccolta delle Opere complete di Voltaire pubblicate dalla Voltaire Foundation di Oxford: nel t. 33 sono pubblicate le Opere alfabetiche (articoli scritti per l’Encyclopédie di Diderot etc.), nei tomi 35 e 36 il Dizionario filosofico vero e proprio (pubblicato in prima edizione nel 1764) e, infine, nei sette tomi dal 38 al 43 (con la duplicazione del 42 in 42A e 42B) le Domande sull’Enciclopedia (Questions sur l’Encyclopédie). Data l’esistenza di tali edizioni critiche, i testi pubblicati nel volume avrebbero certamente guadagnato ad essere pubblicati secondo il ‘taglio’ e la distribuzione che hanno in esse.
La serie di testi che comunque viene messa a disposizione del lettore italiano nel volume de “Il Pensiero Occidentale”, è veramente considerevole. Le informazioni stringate e essenziali fornite dai due curatori aiutano a inquadrare e mettere a fuoco ciascun singolo testo.
Inoltre, l’aspetto per cui si raccomanda il volume che ci viene presentato è il tentativo di caratterizzare – e fare il punto – sull’attività di ‘filosofo’, che Voltaire svolge e porta avanti attraverso le voci alfabetiche qui raccolte. È quanto fa Riccardo Campi nella cospicua Introduzione al volume.

Voltaire ‘filosofo’

Riccardo Campi prende spunto dai testi del Dictionnaire per cercare di caratterizzare la ‘consistenza’ della ‘filosofia’ voltairiana. In che senso i ‘philosophes’, cioè gli uomini dell’Illuminismo, possono essere considerati filosofi? La tendenza è quella di sminuire la vera e propria competenza filosofica degli illuministi. È, come si sa, un luogo comune estremamente radicato.
Ora Campi lo discute alla luce di alcune assunzioni di Hegel, che, nelle Lezioni di storia della filosofia, non ha esitazioni a riconoscere nell’‘atteggiamento spiritoso’ (cioè che fa centro sull’‘esprit’) il momento autenticamente filosofico dell’Illuminismo francese. Nonostante la distanza che Hegel manifesta nei confronti dei ‘Lumi’ (dell’Aufklärung), il recupero di tale notazione serve a Campi per caratterizzare quello che è l’atteggiamento fondamentale di Voltaire, quale si esprime nelle sue opere ‘alfabetiche’.
Nei brani in prosa che compongono tali testi, Voltaire poté non solo riversare tutto il suo sapere, ma, quello che è più importante, poté anche esprimerlo per mezzo di uno strumento (o di un genere di scrittura) che gli concedeva la stessa libertà di cui godeva scrivendo le lettere ai propri corrispondenti o conversando. Certo non si può dire che le voci che compongono il Dizionario filosofico non siano ricchissime di cognizioni (esse in effetti toccano gli argomenti più disparati). Tuttavia non è questo aspetto enciclopedico quello che è più rilevante. Le informazioni trasmesse al lettore sono meno importanti e originali del modo in cui questi testi insegnano a porre i quesiti, le domande in grado di smascherare l’inconsistenza delle verità che la tradizione assumeva come ovvie.
Non bisogna pertanto pretendere di valutare la portata storica e l’eventuale significato attuale della ‘filosofia’ di Voltaire attraverso lo studio della trafila di influssi, echi, prestiti, plagi che sono alla base dei suoi testi. Piuttosto, non sarà improprio e arbitrario vedere, alla radice di essa, un moto d’impazienza e d’insofferenza nei confronti dell’autorità costituita e della tradizione. Che in pieno Settecento i più forti dovessero continuare a essere i “monaci” (come si legge, p. 714-715, nell’articolo ‘Beni ecclesiastici’, dove i ‘monaci’ stanno ovviamente per tutti i difensori dello status quo, della tradizione, della consuetudine, del principio d’autorità, del privilegio etc.) non era più accettabile. Per l’Illuminismo, nessuna assunzione può più essere considerata ovvia: ogni assunzione deve essere passata al vaglio della ragione. Per la precisione, nel caso di Voltaire, sembra più prudente e pertinente parlare di ‘buon senso’, in quanto il giudizio ch’egli chiede implicitamente al lettore di pronunciare, anche senza avere le conoscenze necessarie, scaturisce per lo più dall’immediato confronto tra l’idea e il dato empirico, tra le credenze e il fatto, tra il dogma e la prassi.
Voltaire, in nome della verosimiglianza, s’intestardì sempre a spiegare tutti i fenomeni storici, le usanze, i culti e le pratiche umane più strane nel modo più conforme alla ragionevolezza. Il ‘buon senso’ di Voltaire non ammette ragioni che esso stesso non possa afferrare, e, quando non riesce a coglierle, il motivo è che non sono ragioni universalmente valide, bensì pregiudizi, mere credenze.
Hegel giustificherà filosoficamente “il modo di procedere di Voltaire”, indicando in esso un «esempio di quell’autentico buon senso, che quest’uomo ha posseduto in così alto grado, e di cui altri ciarlano tanto onde spacciare le loro idee malsane per buon senso». In questo modo, Hegel contestava alla pedanteria di Kant e di Fichte di aver travisato il significato e misconosciuto il vero valore filosofico del ‘buon senso’ voltairiano, che è radicato nella attualità e che della coscienza di essa si alimenta.
È la coscienza dell’attualità che, per Voltaire, basta a condannare al ridicolo il passato. In effetti, è a partire dall’attualità che la ‘filosofia’ del Settecento in generale ha preteso di misurare le proprie conquiste rispetto al passato, di fissare gli obiettivi per il futuro e di rivendicare la legittimità del proprio atteggiamento critico verso la tradizione e il principio d’autorità.
Questo, come ha osservato Foucault, è proprio il tratto che contraddistingue l’Illuminismo, facendo di esso un processo culturale molto particolare, che ha preso coscienza di sé dandosi un nome, situandosi nei confronti del proprio passato e del proprio avvenire, indicando le operazioni che deve effettuare nel proprio presente. Foucault non menziona mai il nome di Voltaire, ma quello che dice, nella conferenza Che cos’è l’illuminismo? (pubblicato in Archivio Foucault 3) e altrove (Illuminismo e critica etc.), si attaglia perfettamente al ‘patriarca di Ferney’.
Il Voltaire che ci restituisce Campi nell’Introduzione è un Voltaire calato e impegnato nell’attualità dei suoi tempi, capace di unire e mettere d’accordo, in qualche modo, la ‘consacrazione’ che – a dire di Jean D’Hondt – ne ha fatto Hegel con la caratterizzazione dell’Illuminismo come critica, compiuta dall’ultimo Foucault. È proprio in tale aspetto che, secondo Campi, consisterebbe la straordinaria ‘attualità’ di Voltaire.
Più che una introduzione mirata a illustrare i testi del volume, l’introduzione di Campi offre una vivace caratterizzazione della figura di Voltaire come ‘filosofo’, insistendo, come testé detto, su due momenti importanti della ricezione della ‘filosofia’ dell’Illuminismo: Hegel, da una parte, e Foucault, dall’altra.

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