Bibliomanie

La bestia
di , numero 39, maggio/agosto 2015, Letture e Recensioni,

Come citare questo articolo:
Isabella Cattaneo, La bestia, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 39, no. 16, maggio/agosto 2015

La bestia ha occhi di velluto, iridi grandi, pupille vibranti, lo sguardo luminoso avvolge con dolcezza. Ho seguito gli occhi della bestia dal Ghana a un mare sconosciuto. Rive affollate, macerie, dolori e grida erano ovunque, da una città si alzavano due grandi case costruite come bottiglie rovesciate, vicino a queste, l’ultimo piano di una torre altissima ruotava su se stesso, un miracolo per me, ma tutto questo lo vedevo già vecchio, logoro e devastato da una recente rivoluzione. Eravamo a Tripoli, per una donna africana ero già alle soglie della vecchiaia, perciò di quel lungo viaggio avevo subito una stanchezza al limite della rinuncia, ma accanto a me ritrovavo nei momenti più disperati gli occhi di velluto, ed allora, paura e fame li sentivo svanire, dissolti dal suo sguardo.
Trascorsi con lui alcuni giorni, rimarranno i più felici della mia vita. Oggi guardo un domani vuoto e buio, ho sempre freddo e attorno a me parlano una lingua sconosciuta.
Il ricordo di quella sera è diventato l’ossessione del presente, un chiodo conficcato nella mente che impietoso mi fa rivivere ogni attimo. Una sequenza del vissuto che si ripete all’infinito, un Presente che non vuole cedere al Futuro.

Crepuscolo. Partiamo con altri disperati, molti uomini, occhi febbrili, allucinati; le poche donne, tutte giovanissime, mi guardano come se vedessero il mio destino, poi si scostano, abbassando lo sguardo.
La grande barca è sporca, emana odori a me sconosciuti mischiati all’afrore pungente del mare, gli uomini si accalcano attorno ad altri due che gridano ordini? minacce? Al vociare cupo dei sottomessi si sovrappongono le imposizioni arroganti di chi può mercanteggiare la nostra disperazione.
Il buio si riversa sul mare come un castigo, le rive si allontanano, ascolto un rumore nuovo, sono le onde falciate dalla chiglia, onde che alla partenza sfioravano timidamente le fiancate, di notte si alzano sfrontate, spavalde vogliono farci sentire stranieri in un luogo liquido e sconosciuto. Un messaggio interpretabile come il primo scontro del migrante verso l’ignoto, ma sono troppo frastornata per poter cogliere quell’avvertimento della natura.
Occhi di velluto è ancora accanto a me, ma lo vedo distratto, spesso si allontana. La notte cresce, e con lei sento crescere una presenza maligna, un male ancestrale che mi schiaccia in una specie di rassegnazione di cui non conosco la causa, ma la mia natura ne avverte l’inevitabilità, un male che si ripete da un lontano Passato e di cui avverto la fatalità del suo compiersi.
Tutto inizia e si consuma nell’ora prima dell’alba. La bestia è ormai visibile negli occhi di chi mi era stato accanto nel viaggio, ma anche in tutti gli altri uomini, la violenza selvaggia del possesso, della forza sicura di vincere, da sempre. Si avvicinano alle giovani donne attorno a me, cercando di stracciarne i vestiti, negli occhi degli aggressori vedo il piacere del possesso, in quelli delle vittime vedo il terrore inghiottito dalla pazzia.
È il mio corpo a decidere, allontano le ragazzine con uno strattone e accolgo su di me la violenza dello stupro, si accaniscono, occhi divorati dallo sguardo della bestia, odori acri mi ricoprono la carne, l’anima assiste, rifiutandosi di veniva violata.

Poco dopo l’alba, la barca viene accostata da un’altra molto più grande. Per la prima volta vedo uomini impeccabili vestiti in bianco. Guardo i loro occhi, non scorgo nulla, ma sento che in quella profondità c’è un germe maligno, forse rimarrà per sempre laggiù in fondo, inavvertito dall’uomo, o forse, un giorno divorerà quello sguardo distante e uscirà la bestia.
Una donna africana alle soglie della vecchiaia lo sente come una certezza, perché non ha mai conosciuto protezione e rispetto. Da quella notte il mio corpo è in preda a mille dolori, mi muovo adagio, il più delle volte guardo ma non vedo.
Ma oggi qualcosa di vivo e vagamente appagante si muove dentro di me, anche l’ultima giovane donna che stava sulla barca è riuscita ad allontanarsi, certa dei incontrare la civiltà, una cosa che non capisco ma lei è convinta che il suo corpo verrà amato e rispettato. Mi ha abbracciato prima di allontanarsi, ma io pensavo a quel germe maligno che non conosce colore della pelle, una bestia in agguato, laggiù, in fondo all’anima dell’uomo, nel buio, dove si nascondono gli istinti più turpi, risvegliati dalla violenza della guerra, dal sopravvivere nella paura, dall’esigenza di sottomettere nell’illusione di sentire nella carne la forza del dominio.

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