Bibliomanie

Per una “Empatia di gregge”. Su La Metamorfosi dei Papaveri di Nathan Levi, Tresogni edizioni
di , numero 52, dicembre 2021, Letture e Recensioni, DOI

Per una “Empatia di gregge”. Su <em>La Metamorfosi dei Papaveri</em> di Nathan Levi, Tresogni edizioni
Come citare questo articolo:
Vania Passini, Per una “Empatia di gregge”. Su La Metamorfosi dei Papaveri di Nathan Levi, Tresogni edizioni, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 52, no. 23, dicembre 2021, doi:10.48276/issn.2280-8833.9737

Leggere questo romanzo senza conoscere nulla della storia del suo autore fa perdere una parte importante del valore del romanzo stesso e del significato della storia narrata.
Al di là delle poche info biografiche fornite in aletta, è facile reperire in rete notizie su Nathan Levi. Personalità poliedrica e difficile da esaurire nella sola sua professione ufficiale.
Sicuramente l’aver svolto per decenni l’attività di pediatra ha contribuito a consolidare la sua già innata sensibilità; aver dedicato molti anni di questa sua professione alla cooperazione internazionale in Mozambico lo ha arricchito umanamente portandolo a scontrarsi con realtà crude e spietate, lontane a dismisura dalla quotidianità del pediatra di famiglia nell’Italia di fine secolo scorso. Ma non bastano questi due aspetti, sicuramente determinanti, per descrivere in toto la personalità di Levi.
Certamente già il cognome lascia intuire la sua origine. Luogo e anno di nascita lo collocano a forza nel bel mezzo della Storia: Tel Aviv, 1945. Come lui stesso ama ripetere “Io e Israele siamo nati praticamente insieme”.
Figlio di una coppia triestina migrata anni prima da Trieste verso la “terra promessa” per ovvii motivi razziali, Levi tornerà con la famiglia in Italia nel 1957, dopo aver assimilato lo spirito, l’energia, l’entusiasmo e gli ideali legati alla nascita del nuovo stato dei figli di Abramo.
Altri scorci, che aiutano a comprendere meglio l’autore, sono gli studi di agopuntura e Medicina Tradizionale Cinese, compiuti direttamente a Shangai, lo studio della fitoterapia e la creazione della prima scuola di fitoterapia medica. Queste esperienze, peraltro, hanno in passato già trovato forma in diversi lavori letterari sia di tipo scientifico, sia di tipo narrativo.
Ma mai, come in questo romanzo, il tema dell’origine del moderno Israele e del conflitto israelo-palestinese trovano ampia espressione.
Ossessionato, nell’infanzia trascorsa tra Tel Aviv e Gerusalemme, dall’eco della allora ancora recentissima Shoa, il giovane Levi sarà sicuramente cresciuto nella ferma convinzione della giustezza, ancor prima che della necessità, di un moderno stato Israeliano, ma lo spirito giovanile lo ha sicuramente indotto, anche ingenuamente, a ritenere giusta, e quindi possibile, la pacifica coesistenza con i popoli arabi, palestinesi in primis; idea, peraltro, molto diffusa finanche nelle gerarchie politiche sioniste dei primi decenni della storia israeliana. Successiva e inevitabile, quindi, la delusione, maturata in questi ultimi 30 anni, che tale idea venisse sempre più relegata, dal susseguirsi dei fatti, alla sfera dell’utopia. Infine il processo che sta ormai portando Israele, in questo ultimi anni, verso la forma di stato confessionale è stato sicuramente molla finale per liberare su carta tutto il vissuto dell’autore.
Levi è sicuramente un ebreo laico, lo si evince già dalla frase che apre la quarta di copertina, tratta dal racconto:
“Chissà perché l’amore per la pace prevale fra le persone colte e di scienza. Proprio fra coloro che più spesso sono lontane da Dio. Sembra una contraddizione – si disse – almeno in apparenza”.
Frase che mal cela quel costante pessimismo sulla “natura umana” che contraddistingue il racconto attraverso la figura del protagonista maschile (sicuramente in buona parte alter ego dell’autore).
La sua laicità gli consente una visione distaccata, quantomeno scevra da esasperazioni fideistiche (inutile addentrarsi qui su quanto questi estremismi siano promotori di conflitti o quanto siano in realtà strumento di ben altri interessi politici ed economici), e i riferimenti storici che si trovano qua e là nel racconto ancorano il racconto stesso in un quadro storico ben preciso.
Su questo contesto l’autore diverte il lettore con una trama da thriller politico, ma così facendo lo cattura e lo accompagna attraverso quei temi importanti che costituiscono i differenti argomenti e i molteplici piani di lettura di questo romanzo. Del conflitto israelo-palestinese si è già detto e se da una parte si può accusare l’autore di una forse eccessiva ingenuità intellettuale nel voler auspicare ancora oggi una possibile pace duratura tra i due popoli attraverso la creazione di due stati autonomi e indipendenti (non dimentichiamoci però quanto questa soluzione sia stata centrale all’ONU), non si può non giustificare ciò con la purezza del fanciullo, che evidentemente ancora vive dentro l’animo dell’autore, che lo porta a vedere nella scienza e nella medicina (a cui lui ha dedicato tutta la sua vita) il rimedio di tutto ciò.
E qui entra in ballo un secondo piano di lettura, sicuramente non meno privo di implicazioni etiche e morali. Levi gioca, nella sua narrazione, sul filo della verosimiglianza, intendendo qui quel sottile confine tra ciò che già è scienza reale e ciò che plausibilmente potrebbe certo essere, ma che ancora non è, anche se lo stato dell’arte attuale in materia lo fa rendere credibile.
Non si parli quindi di fantascienza: l’epigenetica esiste ed è disciplina di frontiera, ma ben codificata; lo studio del comportamento umano legato ai processi fisiologici ormonali è oggetto da anni di approfondimenti scientifici. Solo per citare due tra gli argomenti medici su cui si basa l’arcano narrativo della trama.
Il tutto, come già accennato, ancorato sulla solidità dei fatti storici realmente accaduti.
La scienza che manipola a fin di bene la natura umana diventa quindi il modo ideale con cui il medico Levi sogna la soluzione dell’interminabile conflitto.
Inevitabile allora, di conseguenza, che questo introduca al problema etico/morale che ci viene posto da una Scienza sempre più capace di penetrare all’interno della natura e del comportamento umano, potendone manipolare l’essenza. Quanto questo è tollerabile e ammissibile?
Per secoli la politica ha condizionato la Scienza, ma ormai da decenni la politica insegue la Scienza e tutte le conseguenze tecnologiche che essa produce. In fondo uno dei compiti principali della politica è proprio quello di intercettare, comprendere, codificare, discutere e regolamentare.
Sicuramente in questo frangente storico in cui, a livello mondiale, i valori della Scienza vengono messi in discussione da una parte comunque rilevante di società “complottista”, simili tematiche vanno affrontate con più determinazione. La politica ha fallito nel linguaggio e nelle modalità con cui ha parlato di Scienza alla società. E questo livello di lettura fornisce ulteriori spunti di riflessione al riguardo. Levi, uomo di scienza, richiama la nostra attenzione anche su questo. E l’interrogativo resta, forse non a torto, inevitabilmente sospeso nel finale emozionante, risolutivo, che ci ricorda che questo, in fondo, è solo un romanzo.
Ma se guardiamo bene nella trama del racconto, in fondo questa Scienza verosimile ci porta alla esaltazione di un valore fondamentale per l’essere umano, troppo e sempre più spesso messo in disparte, a volte quasi ridicolizzato e considerato fuori moda: l’empatia. Forse la più alta forma di intelligenza umana, che coinvolge non solo gli aspetti razionali, ma anche i risvolti emotivi e spirituali di ogni individuo. Con tutte queste premesse non dobbiamo però cadere nell’errore di classificare questo prodotto letterario come una monografia di denuncia, né, tantomeno, come un saggio (anche se l’appendice storica finale è indubbiamente un piccolo e utile compendio per avvicinare il lettore generico alla questione israelo-palestinese).
No, è un “semplice” romanzo. Ben scritto, stile asciutto e molto scorrevole. La struttura a thriller sicuramente coinvolge, forse in certi passaggi sorprende, sicuramente rende piacevole la lettura. E lascia facilmente spazio, nella mente di chi legge, a tutti i dubbi, gli interrogativi, le riflessioni cui si è qui accennato.
È anche un buon strumento per non dimenticare questa guerra, ancora e sempre in corso, ma sempre più dimenticata dall’opinione pubblica e comunque troppo spesso inquadrata con prese di posizione aprioristiche, quasi da “tifo da stadio”. Uno strumento, infine, per diffondere verso gli “indifferenti” questo argomento storico considerato, sempre più, scomodo e fastidioso. Rilevante, a tratti, solo per un servizio al TG.

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