Bibliomanie

Attorno a “Rinascere. Storie e maestri di un’idea italiana”
di , numero 50, dicembre 2020, Note e Riflessioni, DOI

Attorno a “Rinascere. Storie e maestri di un’idea italiana”
Come citare questo articolo:
Federico Diamanti, Attorno a “Rinascere. Storie e maestri di un’idea italiana”, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 50, no. 13, dicembre 2020, doi:10.48276/issn.2280-8833.5391


«Continuo, infatti, è il passaggio delle delineazioni di una ‘figura’ tipica agli esempi viventi che la storia offre. D’altra parte, proprio nello sfumare dei tipi, nel loro incontrarsi e intrecciarsi, nel loro continuo suggerirne altri ancora, riemergono in tutta la loro vivente individualità appunto donne e uomini del Rinascimento»
E. Garin1

La pubblicazione dell’ultimo volume di Nicola Gardini (Rinascere. Storie e maestri di un’idea italiana, Garzanti, Milano, 2019) può fungere da punto di partenza per una riflessione sui più recenti sviluppi del dibattito intorno al Rinascimento italiano; una discussione che ha interessato, a fasi alterne, le discipline letterarie, filosofiche e storiche per tutto il corso del secolo scorso (coinvolgendone alcune delle intelligenze più acute) e che ha stimolato, anche in tempi recenti, studiosi e ricerche di diverso retroterra e diverse impostazioni. Un discorso a proposito del Rinascimento italiano, infatti, implica (e ha implicato) senza dubbio uno sforzo storiografico preliminare vòlto alla definizione e alla periodizzazione del fenomeno, ma impone, almeno a livello teorico, un tentativo di costruzione di un’interpretazione complessiva dei suoi principali motivi e di un’analisi del ruolo e dell’importanza che esso ha ricoperto nel corso della storia delle idee e della cultura e della letteratura italiana ed europea dei secoli successivi. Da questa consapevolezza muove il volume di Gardini e in seno a questa consapevolezza si sviluppa il commento che qui si presenta.
Non è questa, naturalmente, la sede per estendere considerazioni che abbiano una pretesa di esaustività, a patto che sia possibile tracciare considerazioni con caratteri definitivi: l’impresa di sistematizzazione sarebbe impossibile, per le competenze di chi scrive e per i limiti connaturati al presente lavoro. D’altro canto, è possibile – e forse, per certi aspetti, utile – mettere a sistema, a partire dagli sforzi di Gardini (di cui si sono isolati alcuni elementi paradigmatici), alcuni degli ultimi contributi italiani alla discussione su Umanesimo e Rinascimento e indicare, infine, alcune traiettorie che potrebbero essere seguite nel prossimo futuro, a partire dal materiale disponibile e dalle metodologie fin qui proposte. Con queste ultime traiettorie Gardini instaura un intenso dialogo, come si proverà a dimostrare, dando spazio a interessanti prospettive future di studio.
In un importante contributo del 1956, perlopiù obliato dagli studiosi contemporanei, Carlo Dionisotti premetteva queste parole al suo “Discorso sull’Umanesimo italiano”2, giustificandosi per una sua presunta inadeguatezza di fronte alla grandezza della materia trattata: «Ma, a parte ogni altra considerazione e tentazione, ho poi pensato che ad una accolta di specialisti, gli stessi limiti e dubbi e impedimenti miei avrebbero potuto fornire materia di discussione non inutile, indicare qualche difficoltà impreveduta nel trapasso dalla specializzazione alla divulgazione, dalla storia propria dell’Umanesimo, inteso come rivoluzione del pensiero e della cultura in Europa, alla storia di esso come momento della letteratura italiana. Anche ho pensato che un pubblico esame di coscienza relativo a un trentennio di studi potesse avere un interesse non soltanto individuale»3. Con la consapevolezza delle medesime difficoltà, cinquant’anni dopo, che cosa può dirci l’ultimo libro di Nicola Gardini?

“Rinascere”: volti e parole per un’interpretazione del Rinascimento italiano

La “galleria degli uomini e delle donne illustri” presentata da Gardini non deve e non può essere intesa come un semplice ciclo di ritratti elogiativi, vòlti a rappresentare una selezione ‘affrescata’ dei più notevoli personaggi della cultura, della letteratura e dell’arte rinascimentale – legati fra loro soltanto da parallelismi temporali, vicinanze spaziali e consonanze culturali e letterarie. Gardini, peraltro, non è il primo studioso ad aver scelto la forma del ritratto per raccordare “per via d’immagini” alcune considerazioni generali sul periodo Rinascimentale. Già Eugenio Garin, dopo aver dedicato decenni di contributi fondamentali al Quattro-Cinquecento italiano, ebbe a riunire in diversi volumi collettanei alcuni suoi contributi più significativi; tra i tanti libri emerge, quasi a illustre antenato del volume qui in oggetto, Ritratti di umanisti (Sansoni, Firenze, 1967). Riprenderne la premessa può sicuramente aiutarci a comprendere la ratio soggiacente – pur con qualche differenza – anche ai ritratti di Gardini. «Dei ritratti è stato detto, con ironia» premette Garin, «che se “rispondono a un costume e a una richiesta, e tributano omaggio all’importanza attribuita agli individui” possono anche essere dovuti “alla paura di affrontare campi illimitati o a mancanza di immaginazione creativa”. Chiunque abbia esperienza di ricerche storiche sa bene come istituzioni, avvenimenti, idee, sembrino a volte più del consueto quasi condensarsi e prender consistenza “nei pensieri e sentimenti degli uomini” e non esaurirsi in “cose universali e generalizzate”. Cercare di ripresentare quegli uomini non è certo agevole, ma tentarlo val bene la pena”»4.
L’ultimo volume di Nicola Gardini, che al Rinascimento e ai suoi tratti fondamentali ha peraltro già dedicato un importante saggio scientifico nel 2010 (che per certi aspetti risulta essere un vero e proprio presupposto fondamentale e in continuo dialogo con il suo ultimo libro) muove a partire dalla scelta del ritratto, e si articola nello stesso contesto e con gli stessi presupposti di cui scrisse Garin. «Ogni capitolo» premette infatti l’autore «presentando un personaggio e indagando il modo in cui esprime la sua idea di rinascita, illustrerà concezioni, originalità e scoperte ed evidenzierà momenti culminanti della cultura rinascimentale». «Il caso singolo», continua, «non è mai solo caso a sé, ma va visto come un’armonia di mescolanze»5. Una premessa che si colloca, almeno nel quadro di indirizzo generale, in linea con la precedente monografia a tema rinascimentale, che, per quanto impostata diversamente, dava già conto della posizione di Gardini sul Rinascimento6. Il tema messo a punto in Rinascere è proprio – come indica il titolo – il concetto di “rinascita”: «in questo libro parlerò di rinascita parlando di Rinascimento. Osserveremo la metafora del rinascere dall’interno, usando non la prospettiva del “dopo”, ma quella del “durante”. Ne uscirà un libro sul senso della rinascita nel Rinascimento, ma, come spero, ne uscirà anche qualcos’altro: l’idea che il Rinascimento sia una rappresentazione esemplare dell’archetipo del rinascere e che, alla fine, anche per tale esemplarità, il Rinascimento costituisca un momento imprescindibile della cultura globale, capace di ispirare ancora oggi»7.
L’intenzione è dunque dichiarata esplicitamente in apertura: mettere a punto ed esprimere uno sguardo complessivo sul Rinascimento italiano quanto più “orchestrale” e “polifonico” possibile (per quanto Gardini sia più affine, nella sua scrittura, all’utilizzo di metafore e immagine pittoriche, piuttosto che di metafore o riferimenti musicali), entro il quale siano comunque ben riconoscibili linee di fondo comuni, un’armonia complessiva che renda uniformi le voci molteplici che si accavallano in una composizione unitaria.
L’interpretazione complessiva che Gardini ha dato e dà del periodo rinascimentale impone di tener presente, come si anticipava, almeno due elementi preliminari alla riflessione. Da un lato, occorre notare come Gardini si approcci alla materia a partire da una riflessione per così dire “filosofica” a proposito dei principî cardine che generalmente si riferiscono all’età rinascimentale, alle sue ragioni profonde e ai suoi molteplici svolgimenti: il tema della rinascita – come si è già notato – viene declinato a seconda degli autori, entro un’impostazione complessiva che guarda al Rinascimento intero e a suoi possibili echi nel contemporaneo. Con essa, d’altro canto, sarà conseguentemente necessaria una profonda riconsiderazione critica del periodo che storiograficamente s’intende col termine “Rinascimento”: è infatti utile leggere Rinascere parallelamente ad un’analisi delle principali “scuole di pensiero” che si sono cimentate sul Quattro-Cinquecento italiano ed europeo, che ne hanno rivisto criticamente protagonisti, opere e dibattiti più rappresentative. In sintesi, il volume di Gardini, per come è strutturato, per le premesse da cui parte e le conclusioni cui perviene, impone sicuramente un’analisi della “tradizione del Rinascimento” – o almeno di quella più recente, come si tenterà di fare qui – che in alcun modo però incappi in quello che già Eugenio Garin, presentando la riedizione della traduzione italiana de La civiltà del Rinascimento in Italia di J. Burckhard, definiva «un tema quasi obbligato», ma al contempo «un’esercitazione erudita un po’ oziosa»8.
Rinascere di Nicola Gardini, offrendo al “grande pubblico” nove ritratti di «personalità paradigmatiche» (p. 15) più o meno note del Rinascimento, sollecita – ed è un fatto usuale, a cui l’autore ha abituato i suoi lettori in ogni suo volume – un’utile necessaria riflessione anche a critici e studiosi: se è vero infatti che alcuni dei nomi interessati dal volume sono oggetto di un’incontrollata mole di studi e ricerche (oltreché di una salda e consolidata posizione nella letteratura di divulgazione), è altrettanto vero che accanto ai nomi di Machiavelli, Poliziano, Leonardo, Pico e Ariosto trovano spazio figure minori, relegate ad una posizione secondaria non solo nell’ambito della divulgazione extra-accademica, ma anche della stessa ricerca scientifica (ed è questo il caso di Cassandra Fedele, del Lorenzo de’ Medici poeta – del quale si ricordano pochi versi in qualche antologia – e di Girolamo Fracastoro; una posizione intermedia è invece ricoperta da Giovanni Pontano, la cui produzione poetica rimane in gran parte indisponibile in edizioni moderne, ma la cui opera di prosa inizia a circolare in edizioni di maggiore fruibilità9). Ad esse Gardini dedica spazio nella sua galleria, ma di esse, soprattutto, l’autore evidenzia tratti e peculiarità in armonia con lo sguardo complessivo che viene restituito dell’intera epoca rinascimentale.
Il dialogo che Gardini imposta con queste nove figure è particolarmente interessante dal punto di vista del metodo. Partendo dalla premessa che vuole una sinonimia profonda tra il termine cultura e il termine letteratura, l’autore riassume un tratto fondamentale del Rinascimento italiano, ovvero il polimorfismo del sapere umano, che trova nella letteratura «luogo precipuo di conoscenza al pari delle altre discipline, quando non superiore, [è] fonte di sapere essenziale per raccontare la complessità del mondo e dell’esistere, la loro irriducibilità a forme stereotipe, [è] appunto il luogo, insieme alle arti figurative in primis, che dà conto dell’ombra e della luce», per citare G. M. Anselmi10. Una disciplina, la letteratura, sì fondamentale perché raccorda «saperi interconnessi (scienza, filologia, filosofia, poesia, politica, lingua, editoria, arte)», ma anche e soprattutto perché codifica, col linguaggio e la forza della parola scritta e ascoltata, la conoscenza umana: e apre le possibilità alla divulgazione, all’insegnamento, alla comunicazione. Riprendendo un termine classico che troverà il suo spazio “civile” più significativo nel Settecento illuminista, la letteratura e il suo codice linguistico si prestano all’enciclopedia (e al metodo enciclopedico) del Rinascimento: «E all’enciclopedia corrispondono le forme espressive più diverse, e le pratiche più diverse: il disegno e la pittura, la composizione letteraria (dal dialogo al trattato al poema all’epistola, in latino o in volgare), la ricerca scientifica, l’indagine medica, l’esercizio filosofico. E pure queste si intrecciano variamente. Uno può essere medico e poeta in una volta (Fracastoro); filosofo e maestro di stile (Pico); artista e scienziato (Leonardo); segretario della repubblica e teorico della politica (Machiavelli) ecc. Nel Rinascimento letteratura è tutto quello che si impegna a spiegare il mondo attraverso il ragionamento e un linguaggio studiato, non necessariamente verbale […] è “quam multa scire”, “sapere il più possibile” (Pontano, De principe 27), dai misteri della natura alla storia dei grandi uomini» (Rinascere, p. 21).
Non da ultimo, l’approccio di Gardini al Rinascimento risulta essere particolarmente interessante per i suoi riverberi nel dibattito “civile” – e non solo culturale – della contemporaneità: Lina Bolzoni l’ha notato per prima, recensendo il volume sul La Domenica del Sole 24 Ore il 19 dicembre del 2019: lungi dall’avventurarsi in parallelismi tanto forzati da risultare impropri e fuori luogo l’autore, ponendo «Al centro del libro […] il grande tema della rinascita, quel mito che gli umanisti costruirono per rappresentare la propria opera e che qui diventa archetipo esemplare di una rigenerazione continua» costruisce, secondo Bolzoni, una «promessa di libertà che facciamo a noi stessi e agli altri», barriera contro la barbarie del presente, contro «il discredito generale del sapere», «la mancanza di critica e di dibattito, la delegittimazione dei libri»11.
Isolato il fil rouge che accompagna l’intero volume e fatte le dovute prime considerazioni metodologiche, è bene evidenziare qui alcuni elementi di particolare rilievo del libro. Due personaggi, in particolare, “rinascono” in tutta la loro potenza tra le pagine di Gardini. Si tratta dei due forse meno noti, ma per molte ragioni tra le figure più interessanti del nostro Rinascimento (e per questo meritoriamente messi in rilievo dall’autore, che scrive – occorre ricordarlo – anche e soprattutto per un pubblico di non addetti ai lavori): Giovanni Pontano e Girolamo Fracastoro12.
Giovanni Pontano (1429-1503) è forse il più noto fra i due, non fosse altro per aver dato il nome alla più antica accademia italiana (che proprio da Pontano prese il nome e che è stata il centro del dibattito culturale napoletano per tutta l’epoca moderna) e per essere il maggior rappresentante del cosiddetto “umanesimo napoletano”13. Della sua grandiosa e versatile produzione, Gardini isola alcuni elementi particolarmente aderenti al tema complessivo della rinascita, che ruotano in particolare intorno al mito portante della fertilità (p. 105): pochi altri temi sono così diffusi nella produzione di Pontano (in particolare nella poesia) e così variamente semantizzati. «La fertilità compare, nell’opera di Pontano, in numerosi motivi: la primavera, l’Aurora, la maturazione dei frutti, l’età dell’oro, l’accoppiamento, la sposa vergine che si dà allo sposo, il desiderio che rinasce da se stesso (perfino nell’uomo vecchio), il matrimonio (visto come perdurante passione sensuale), le avventure di Venere e delle ninfe, le prodezze del dio Amore, gli umori, dal miele alla rugiada, dall’ambra gocciante allo sperma sparso nel letto degli amanti, dalle lacrime umane all’ambrosia divina, dalla cera ai fiumi» (p. 106). Attingendo ad un repertorio classico che si spinge dai canonici versi oraziani e ovidiani fino alla meno nota Cronographia di Pomponio Mela, Pontano plasma e indirizza il suo latino verso una dimensione meno erudita e filologica (quella tipica di Poliziano), ma parimenti idonea ad una rappresentazione plurale e polimorfica del mondo. Il latino “che rinasce” – come ha notato tra gli altri Francesco Tateo14, occupandosi della prosa dialogata di Pontano – diventa veicolo, almeno in poesia, di una descrizione straordinaria dell’uomo e del mondo, di volta in volta vista tramite le lenti del bambino, dell’amante, della madre. La poesia pontaniana, il cui itinerario sembra procedere a partire da un iniziale erotismo sfrenato (leggibile nel Partenopeus siue de Amore) ad una più matura “enciclopedia” della voluptas per tutte le età (il De amore coniugali), non è però sola poesia erotica: la sua rinascita non è soltanto una rinascita degli amorosi sensi. Il poeta evidenzia infatti, dedicandosi ad alcuni temi legati all’infanzia, un altro importante elemento paradigmatico. I tutt’altro che semplici esametri pontaniani dell’ecloga V, in quest’occasione, raccontano il mondo tramite il ricorso alle più ancestrali e innate paure immaginarie tipiche dei fanciulli: un’occasione che permette a Gardini di evidenziare, oltre alle dinamiche familiari tra fanciullo e adulto, un altro interesse di Pontano, quello per l’astrologia, che si manifesta variamente non solo nella poesia (si veda, ad esempio, l’Urania, opera didascalica dedicata al figlio) ma anche nel commento alle Cento sentenze di Tolomeo, che avvicina la figura di Pontano a quella di Giorgio di Trebisonda, uno dei prìncipi, tra gli umanisti greci, dagli interessi tolomaici. Il ritratto gardiniano di Pontano (di cui comunque non va dimenticato il lato più “politico”, espresso nel De principe) è dunque a tutto tondo: il suo canto dolce (sono parole di un amico, Antonio Beccadelli, detto il Panormita, in una preghiera erotico-faceta dedicata proprio a Pontano: etsi dulce canas, possit vox ipsa videri / dulcior, et credat suavius esse nihil15) abbraccia ogni aspetto della rinascita.
Il capitolo dedicato a Girolamo Fracastoro (1478-1553) parte da un vero e proprio ritratto: un quadro di Tiziano raffigurante il genio polimorfo di Fracastoro (poeta, medico, scienziato, filosofo e molto altro insieme), malamente conservato, ritrovato in modo fortuito e non particolarmente brillante, tutto sommato, se parametrato alla produzione del pittore veneto. Proprio lo stato di conservazione del ritratto di Fracastoro può rispecchiare, a detta di Gardini (p. 207ss.), la fortuna contemporanea di Fracastoro e dell’opera sua. A fronte dell’epoca moderna, in cui l’opera più importante di Fracastoro, la Syphilis (poemetto sull’epidemia da sifilide la cui princeps venne stampata a Verona nel 1530) ebbe una fortuna ed una diffusione straordinarie in tutta Europa16, occorre riscontrare come il nostro tempo abbia dimenticato quasi del tutto la produzione di Fracastoro. La trattazione di Gardini ci permette di fare i conti con due questioni di particolare rilievo.
Anzitutto, il ruolo di Pietro Bembo nel Rinascimento italiano: pur chiamato in causa da Gardini nell’analisi della Syphilis e di alcuni suoi aspetti stilistici, Bembo è programmaticamente escluso dal volume in sede di premessa. Nel decretare precisamente il lasso di tempo trattato nel volume (seconda metà del Quattrocento – prima metà del Cinquecento), Gardini afferma di aver evitato la riforma linguistica di Bembo, considerando autori – latini e volgari – che non si curino della riforma linguistica di Bembo. Così si esprime l’autore: «A Bembo, che anagraficamente sarebbe rientrato nel piano del libro, ho scelto pertanto di non dedicare un capitolo. Il suo nome, tuttavia, comparirà qua e là, indicando quell’altro Rinascimento normativo e conformista, che spazzerà via il versatile e l’eterogeneo»17. Per quanto il giudizio sia netto e per certi aspetti contestabile (per quanto la riforma linguistica costituisca una linea di discrimine irreversibile nella storia della cultura italiana, non si può attribuire ad essa una – opinabile – obliterazione totale dell’elemento “irregolare” dalla letteratura cinquecentesca), è d’altro canto vero che nel libro di Gardini non trovano spazio petrarchismi e petrarchisti, né i dibattiti teorici sulla lingua – nemmeno quando si trattano autori, come Ariosto, che sulla base di quella riforma riorganizzarono ciò che avevano scritto fino ad allora e a Bembo tributarono omaggi diffusi nelle loro opere (cf. Orlando Furioso, XLVI 15). Per quel che concerne Fracastoro, Bembo ha un ruolo innegabile e fondamentale, che a Gardini tocca ricordare – anche a costo di rischiare di contraddire le sue indicazioni di metodo iniziali. Lo stesso Bembo promotore della regolarizzazione del volgare, è «sempre pronto a competere sul terreno del classicismo neolatino»18 è infatti il nume tutelare del poemetto latino di Fracastoro: un poema, certo, tutto improntato ad un latino poetico classico e regolare, virgiliano, ma pur sempre latino (fu proprio la lingua, è evidente, a garantirgli una diffusione straordinaria in Europa). Tolte alcune importanti questioni di variantistica – già studiati da Francesco Pellegrini19 – si comprende come il patronato di Bembo su Fracastoro sia inserito in una dimensione di polemica linguistico-letteraria più ampia, che comprende tra i primi – come nota Gardini – il già citato Pontano, controcanto e riferimento ideale per Fracastoro e per la sua Syphilis, e che non può essere obliterato totalmente. Il secondo rilievo che emerge dalle pagine di Gardini su Fracastoro è di natura tematica: a tutto potrebbe far pensare un poema sulla sifilide meno che al concetto di “rinascita”. Ma la descrizione della malattia sconosciuta, dei suoi sintomi e delle sue conseguenze – con tutti i dubbi e le incertezze che la novità epidemica porta con sé – non è l’unico tema che trova spazio nell’operetta, che ancora attende una buona edizione/traduzione contemporanea. Questi i principali meriti della lettura gardiniana: da un lato, l’evidenza data all’interpretazione che Fracastoro elabora della malattia come di un elemento rientrante «nel molteplice ciclo delle trasformazioni naturali: il susseguirsi delle stagioni, i moti degli astri, il mutare del clima»20. L’epidemia è dunque inserita in un ciclo naturale e astrale ben presente a Fracastoro – a lui come a tanti intellettuali dell’epoca – e il discorso medico, nota Gardini, «si va[da] formando attraverso immagini di renovatio che sono proprie del profetismo di un Savonarola, o di un Machiavelli»21. In questo senso, la renovatio coincide con la cura e la guarigione: del singolo come dell’umanità intera, nel suo rapporto con la natura. Malattia e cura, dunque, in un’epoca di frattura e rinascita: che sia stata la frequentazione con il lato più profetico, o savonaroliano, del nostro Rinascimento ad aver guidato Gardini su questa via molti mesi prima della crisi globale che ha ridisegnato il nostro tempo è un’ipotesi. Che i volti di Gardini parlino al nostro tempo con una voce sempre valida davanti alle crisi di ogni epoca è d’altro canto una certezza.

Tra classico e contemporaneo, la “lunga durata” del Rinascimento italiano

Il volume di Gardini, come si anticipava in premessa, è contraddistinto da un profondo dialogo con alcuni contributi di chi si è occupato di Rinascimento e Umanesimo negli ultimi anni e risente di un debito con l’”onda lunga” del pensiero storiografico, letterario e filosofico novecentesco sul Cinquecento italiano. A ben vedere, una traccia dei debiti gardiniani è ben ravvisabile, grazie ad un ricchissimo apparato di note e di bibliografia, già nel suo Rinascimento del 2010: elencarli tutti qui, a fronte di un lavoro di scandaglio del testo forse non del tutto utile, sarebbe una ridondante operazione di Quellenforshung non del tutto opportuna. Qui, seppur in grande parte celati ai lettori (per ragioni, ben evidenti e comprensibili, di leggibilità del testo), è bene farne emergere soltanto alcuni – i fondamentali – che emergono in filigrana dalle pagine di Rinascere. Si parta da una considerazione di fondo: il “rinascere” di Gardini è (passi l’espressione) a tutti gli effetti un concetto “bifronte”. Rinascono certo i classici tramite nuovi autori ed un rinnovato sguardo sulla lingua e sulla letteratura del passato, ma rinascono continuamente – nella tradizione posteriore, fino al contemporaneo – anche gli autori rinascimentali che l’autore studia e ritrae.
Per quanto riguarda il primo aspetto, ovvero la rinascita dei classici, un libro sicuramente fondamentale per comprendere la posizione di Gardini e gli sviluppi degli studi negli ultimi anni è L’umanesimo perduto. La letteratura latina nella cultura italiana del Quattrocento di Christopher Celenza (Carocci, Roma 2014). Il volume dello studioso – edito in inglese, per il pubblico americano, per la prima volta nel 2004 e riaggiornato dieci anni dopo per la pubblicazione italiana – ha il merito di avere rimesso al centro della discussione accademica contemporanea la cultura latina del primo Rinascimento italiano: nonostante esso faccia i conti in primo luogo con il mondo universitario americano, digiuno di alcuni elementi che per l’accademia italiana risultano essere pressoché assimilati, il volume risulta importante anche per il nostro Paese e la sua cultura. Anzitutto perché i nomi cui Celenza guarda con interesse – e dei quali cerca di ripercorrere le traiettorie di ricerca, segnalando debiti espliciti con essi – hanno profondamente a che fare con l’Italia: c’è naturalmente Eugenio Garin, a cui si deve il primo tentativo (riuscito) di gettare luce sul Rinascimento perduto neolatino, ma con lui anche figure forse meno note ai più, ma parimenti fondamentali per gli sviluppi degli studi umanistico-rinascimentali: Celenza ha ben presente, ad esempio, oltre che il magistero di Paul Oskar Kristeller (che italiano non era, ma che alle biblioteche italiane ha dedicato il fondamentale Iter italicum), quello di Silvia Rizzo, Alessandro Perosa, Remigio Sabbadini22. In essi, Celenza – come Gardini, che in Rinascimento fa continua menzione dei loro studi – non ravvede soltanto la fondamentale perizia filologica e la cura editoriale nei confronti di autori fino ad allora in parte dimenticati, alle volte anche dagli storici della letteratura italiana più importanti: oltre a ciò, la lezione della “tradizione”, ripresa da Celenza, impone uno sforzo di “impostazione” e di sguardo complessivo sul Rinascimento. Un’epoca che non può essere analizzata, sembra dirci anche Gardini sulla scorta di Celenza, senza tenere presente dell’organica ripresa del modello classico, che è possibile comprendere appieno soltanto approfondendo il côté neolatino del Rinascimento italiano, non soltanto dal punto di vista letterario, ma anche e soprattutto dal punto di vista linguistico e di pensiero. Gli auspici e i suggerimenti metodologici di Celenza e Gardini dovranno, in questo senso, essere necessariamente esauditi e seguiti: a dimostrare l’importanza e la necessità di pensare il Rinascimento anche in latino è giunta, in tempi recentissimi, la straordinaria edizione pisana dei Poeti latini del Cinquecento (Edizioni della Normale, Pisa-Firenze 2020). Un’opera postuma di Giovanni Parenti (1947-2000) che mette finalmente, ancorché non definitivamente, in luce alcune delle voci più importante del Quattro-Cinquecento poetico latino (criticamente editi e raccordati in un unico progetto editoriale).
D’altro canto, dalle pagine di Gardini traspare un intenso dialogo con la prospettiva di “lunga durata” con cui alcuni studiosi hanno approcciato i secoli XV e XVI: è l’altra faccia del bifrontismo a cui si accennava prima. Lo sguardo di Gardini è sempre proiettato verso le tracce impresse dal Rinascimento nella letteratura e nella cultura posteriore, di cui Gardini non si dimentica mai. Per quanto l’autore non faccia mistero della sua interpretazione del Rinascimento come un fenomeno conchiuso nel tempo (valgono anche per Rinascere, infatti, le parole scritte in premessa a Rinascimento23), e qui addirittura limitato – per esigenze della trattazione – a due sole porzioni del XV e XVI secolo, ben si comprende come questo momento della cultura italiana abbia posto, anche secondo l’ottica di Gardini, le radici per alcuni sviluppi del dibattito e dell’evoluzione della letteratura successiva. Rimangono in questo senso valide, come controcanto in dialogo con i ritratti di Gardini, le considerazioni che diversi storici della letteratura italiana hanno condotto nel corso delle loro ricerche. Può giovare in tal senso comparare, tra gli altri, l’approccio teorizzato da Gian Mario Anselmi nel già citato L’età dell’Umanesimo e del Rinascimento (Carocci, Roma 2008), un volume che raccoglie diversi saggi già pubblicati e discussi dall’autore, variamente ripresi e rielaborati, e che può essere posto in fertile dialogo col recente volume di Gardini. L’interpretazione del Quattro-Cinquecento italiano di Anselmi è infatti significativa per almeno tre ragioni, che è possibile confrontare con la riflessione gardiniana ottenendo esiti differenti. In primo luogo, da un punto di vista tematico, il “problema della storia” è assillante in entrambe le letture del periodo: se da un lato Anselmi ne discute, a partire da Dante per arrivare a Machiavelli, privilegiando gli aspetti di costruzione ideologica della riflessione storiografica degli autori (è un saggio fondamentale, in questo senso, Gli umanisti e la storia, in op. cit., pp. 46-56), Gardini si trova a delineare, anche in Rinascere (cf. p. 265ss.), le traiettorie con cui l’uomo rinascimentale cerca di disegnare una proposta per una realtà migliore (e, dunque, per risolvere il problema imposto dalla storia in termini forse eccessivamente trascendenti). Laddove Anselmi arriva a tratteggiare la “sfida” di Machiavelli evidenziando il fatto che essa consista in primis in un’analisi “radicale” della realtà, che muove da una consapevolezza della natura «accettata, [è] forgiata, [è] fatta parte di un progetto complessivo che, lungi dallo svilirlo la esalta anzi al centro del suo ordito» (Anselmi, op. cit. p. 129), Gardini, scandagliando fonti classiche (Livio, certamente, su tutti, ma con lui in Rinascere trova spazio un interessante rimando a Lucrezio24) e moderne (l’attenzione è posta su Savonarola, in particolare), pone rilievo sugli aspetti più propriamente politici del concetto, quasi religioso, di renovatio di Machiavelli. In secondo luogo, entrambi gli autori intendono il periodo umanistico-rinascimentale come una vera e propria base della civiltà europea successiva. La lettura di Anselmi, da questo punto di vista, è stata esplicitata in più occasioni e assume una fisionomia complessa: non si tratta soltanto di ritenere affascinante e convincente l’ipotesi, che fu già di Braudel, di intendere un Rinascimento “lungo” almeno fino al primo quarto del Seicento (ipotesi che, come s’è visto, Gardini non sposa); si tratta piuttosto di individuare, nel Rinascimento, «un complesso intreccio cronologico che mette in campo, come già sottolineava Raimondi, la contiguità e la sovrapposizione di varie generazioni: un punto di vista antropologico che mai andrebbe sottovalutato» (op. cit., p. 195). Al di là dell’intreccio (e della sovrapposizione) col Barocco, il Rinascimento ci impone una riflessione sulla modernità: «il dibattito sulle origini della modernità, che ha vivacemente acceso negli anni gli studi, va perciò rielaborato al plurale: non c’è una sola modernità, la canonica modernità che è ovvio attestare sullo spartiacque settecentesco della nuova economia industriale e delle rivoluzioni ma più percorsi spezzano legami antichi e classici, su lunghe durate cronologiche» (ibidem). Si tratta di una prospettiva, perfezionata da Anselmi in un volume sul Settecento del 2017 (L’immaginario e la ragione. Letteratura italiana e modernità, Roma, Carocci 2017: in particolare, cf. cap. 4), che fa della ricerca delle radici umanistiche nello sviluppo della cultura europea non tanto una rivendicazione del ruolo della cultura italiana in Europa lungo i secoli XV-XVIII, quanto un’analisi puntuale della consonanza e della ri-semantizzazione di alcune domande di senso, e delle rispettive risposte, poste dal Rinascimento “a beneficio” anche delle future generazioni. Con una prospettiva di “lungo Rinascimento” ha fatto i conti, tra gli altri, Amedeo Quondam in diversi suoi scritti25, distinguendo, in modo molto opportuno, tra il periodo rinascimentale in senso stretto e le varie forme di ripresa classicistica ravvisabili nel corso degli sviluppi della cultura europea successiva ai secoli XV e XVI. Per quanto dunque diversamente isolato e studiato dal punto di vista cronologico, l’idea di una “lunga durata” associata al Rinascimento italiano aiuta a guardare con attenzione a quel che venne dopo, e alle tracce lasciate nella storia dalle riflessioni degli umanisti26. In terzo luogo, da un punto di vista dell’impostazione metodologica complessiva, gli studi della tradizione italiana (Anselmi, le ricerche di Amedeo Quondam, ma anche la già menzionata Lina Bolzoni, che in numerose importanti pubblicazioni si è dedicata non solo ad arti iconografiche, ma anche alla più importante “invenzione” materiale del Rinascimento: la cultura del libro e della lettura27) fa continuo riferimento alla cultura rinascimentale come ad un complesso sistema di discipline intellettuali e artistiche differenti che crea un linguaggio valido per i secoli a venire.
Tutto il volume di Gardini è inoltre costellato da presenze filosofiche. Da un lato la domanda di fondo sul Rinascimento, che soggiace a tutto il volume, è di per sé filosofica e implica una riflessione sulla vita umana, sul tempo e sui suoi destini; dall’altro, più di un pensatore tra quelli ritratti da Gardini può afferire al mondo del sapere filosofico. È forse da questo punto di vista che Gardini sembra recepire il dibattito più recente sulla filosofia umanistico-rinascimentale, che ha visto nei recenti studi di Massimo Cacciari, sopra tutti, un punto di arrivo significativo. Parlare di filosofia nell’Umanesimo e nel Rinascimento impone un confronto con Eugenio Garin: non lo nasconde Massimo Cacciari nel suo La mente inquieta. Saggio sull’umanesimo italiano (Einaudi, Torino 2019), che muovendo da una coincidenza temporale (l’anno di uscita di Krisis, il primo saggio del filosofo, coincide con il libro di Garin che “varca le colonne d’Ercole” della sua interpretazione del Rinascimento: Rinascite e rivoluzioni. È il 1976) tenta di dimostrare, lungo tutto il suo volume, l’autonomia e l’importanza del pensiero umanistico-rinascimentale, spesso vittima di interpretazioni riduttive e comparative rispetto all’elaborazione successiva. Il libro di Cacciari, originariamente una prefazione ad una meritoria raccolta antologica “per temi” curata da R. Ebgi (Umanisti italiani, Torino, Einaudi 2017), affronta alcuni autori-chiave per il Rinascimento offrendo al lettore un’impostazione saldamente filologica: emergono rilevanti le riflessioni di Valla, filologo philosophicus maxime, che muovono dalla lingua degli antichi per formare al pensiero dei moderni. Nuove questioni vengono poste a partire da una riflessione filosofica sul logos, che muove dallo studio della lezione degli antichi, passa per la riflessione linguistica di Dante (col quale, secondo Cacciari che riprende un importante volume di Guido Toffanin28, prende avvio il periodo umanistico) e culmina con la creazione di un nuovo linguaggio, veicolo preliminare e necessario per l’estensione di un pensiero nuovo. Un pensiero che, secondo la prospettiva di Cacciari, è occupato a pensare la crisi, la domanda sul “dramma condiviso” (p. 55) dell’uomo, in bilico tra perfezione e limitatezza, il cui principale interprete è Leon Battista Alberti. Infine, è da notare come immagini, icone e architetture accompagnino le riflessioni di Cacciari e di Gardini, insieme: proprio accostando le parole ai luoghi del Rinascimento potranno svilupparsi, nel prossimo futuro, ulteriori stimoli al dibattito.

Altre strade per il Rinascimento

Le possibilità di ricerca e approfondimento squadernate dal volume di Gardini sono – come fu per il precedente saggio – numerosissime. Il dialogo impostato tra Gardini e il panorama di studi contemporanei sul Rinascimento è fervido, come si è visto, e soggetto a stimoli futuri di diversa natura. Qui ci si limita ad indicare due (anzi tre) percorsi di ricerca ulteriori, sicuramente percorribili e per certi aspetti necessari.
Tra i ritratti di Gardini manca una delle personalità paradigmatiche forse più importanti del primo Rinascimento italiano, che avrebbe senza alcun dubbio trovato un posto d’eccezione nella galleria presentata, poiché perfettamente rispondente ai tratti principali degli ingegni multiformi descritti nel corso del volume: la figura di Leon Battista Alberti (1404-1472). L’umanista e architetto, che non rientra pienamente nel lasso di tempo interessato dai ritratti gardiniani (cf. p. 17) ma che anticipa molti dei motivi intellettuali, letterari e artistici presentati nel corso del volume, è particolarmente significativo per molte ragioni (ed è peraltro presenza costante del precedente libro di Gardini, il già citato Rinascimento). Tra le più note, certamente, l’enciclopedismo e l’interdisciplinarità del suo sapere, che poggiava sugli anni della formazione sviluppata su solidissime radici classiche (latine e in parte anche greche, come s’è variamente dimostrato), ma che si sviluppò poi a contatto con quella che, studiando l’esperienza leonardesca, si potrebbe definire la “lezione dell’esperienza”: “madre di ogni certezza” e “maestra vera” (sono parole dello stesso Leonardo, citate da Gardini a p. 31), lo studio empirico della complessa architettura della realtà pone infatti in stretta dialettica Leonardo e Leon Battista Alberti, come già notato, in premessa ad una meritoria edizione di una parte degli scritti di Alberti, da Loredana Chines e Andrea Severi (L. B. Alberti, Autobiografia e altre opere latine, BUR, Milano 2012, p. 5). Quest’ultimo, oggetto di interessi non solo italiani29, è forse l’interprete più politropo del Rinascimento italiano: la sua vita è da questo punto di vista esemplare e programmatica per l’intero periodo, la potenza diegetica e le diffuse arguzie di alcune sue Intercenales30 anticipano tratti che si ritroveranno in Ariosto decenni dopo, la riflessione del Momus pone in connessione pensiero politico e responsabilità dell’uomo; e si tace qui lo straordinario apporto di Alberti agli sviluppi dell’architettura rinascimentale.
Dalle pagine di Gardini emergono poi, a più riprese, temi e problemi legati alla tradizione greca nell’Umanesimo e nel Rinascimento italiano. Nel capitolo di Pico, in particolare, le radici greche della filosofia dell’umanista vengono attentamente riprese e spiegate (con uno sforzo divulgativo encomiabile): non trova infatti spazio nella discussione attorno a Pico il solo e più noto Platone, di cui vengono citati il Sofista e il Simposio, ma viene dato spazio anche alla tradizione pitagorica, cristiana e neoplatonica (della quale vengono citati Giamblico, Plotino e il più moderno dei neoplatonici, Ficino; tra i cristiani Giovanni Damasceno, Gregorio di Nissa e Nemesio Emesino – un autore, quest’ultimo, presentissimo nella tradizione umanistico-rinascimentale): i passi greci vengono letti in filigrana, come ideali fonti “statiche” della filosofia di Pico, ma anche come veri e propri agenti di stimolo e di nuove possibilità semantiche del linguaggio e del lessico filosofico31. È esemplificativa, in questo senso, l’analisi che Gardini svolge del termine microcosmo, adoperato da Pico: esso è un vero e proprio Schlüsselbegriff per la filosofia del Rinascimento, «concetto chiave dell’antropologia rinascimentale» (p.99). L’analisi delle radici greche del termine – adoperato a partire da Aristotele (Phys. 252 b24-28) – permette di definirne al meglio il significato “fisico” e chiarire l’equazione proposta dalla filosofia pichiana, che mette in relazione Dio e cosmo, Uomo e microcosmo: i concetti di intertitium e meditellium, cardini della concezione dell’uomo di Pico, espressa dell’Oratio (la cui migliore traduzione è ancora quella a cura di Eugenio Garin32) vengono spiegati tramite il greco, e alla sapienza greca ritornano. Ma non è questo l’unico greco che interessa le pagine di Gardini. Nonostante uno dei più grandi promotori del greco nel Cinquecento sia escluso dalle riflessioni ospitate nel volume (si tratta, evidentemente, di Pietro Bembo)33, Gardini dedica molto spazio alla riflessione sul ruolo giocato dalla tradizione greca nelle vicende intellettuali che riporta alla luce. In tal senso è evidenziato il ruolo del greco per la riflessione e la pratica letteraria di Poliziano, del quale viene ricordato il triplice ruolo di lettore, filologo e poeta autonomo, che dopo aver ripreso e commentato ciò di cui disponeva della letteratura greca, si cimentava nel riproporlo, in volgare, latino o di nuovo in greco stesso (come nel caso dell’Anthologia Planudea e delle sue riprese nella poesia latina di Poliziano, ma anche degli epigrammi greci polizianeschi34).
Le numerose presenze greche di Gardini segnalano agli studiosi un’evidente lacuna nel panorama degli studi italiani sul Quattro-Cinquecento: manca una ricerca complessiva sul ruolo svolto dal cosiddetto “ritorno del greco in Occidente”. La pietra miliare di N. G. Wilson (Da Bisanzio all’Italia. Gli studi greci nell’umanesimo italiano, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2009 [1^ ed. 1992]) attende aggiornamenti e ulteriori sviluppi che muovano sui binari tracciati dall’autore. Gli sforzi dedicati, nel recente passato, al ruolo di Aldo Manuzio e della sua stamperia (culminati, in particolare, nelle celebrazioni del cinquecentenario dalla morte dello stampatore, nel 2016) hanno coperto soltanto una parte della diffusione del greco, ovvero l’approdo del patrimonio ellenico nel mondo degli incunaboli e dei primi volumi a stampa di ambiente veneziano35. Rimangono altresì scoperti molti dei campi di studio che aiuterebbero a tracciare un giudizio complessivo sull’effettiva importanza del greco nel Rinascimento: non basta – anche se si tratta di un cimento già rilevante – ritrovare tracce e fonti greche, siano esse letterarie o filosofiche, negli scritti rinascimentali. Ogni fonte si muove su libri e codici, che a loro volta si muovono grazie a uomini e insegnanti; e lo stesso vale per gli insegnamenti linguistici, che si diffondono in Europa grazie alle pagine delle grammatiche, ai maestri bizantini itineranti, finanziati e mantenuti da Studia e illustri protettori. Nomi come quelli di Marco Musuro, Basilio Bessarione, Teodoro Gaza, Andronico Callisto e Demetrio Calcondila non possono essere relegati ai margini del Rinascimento, poiché del Rinascimento sono – è legittimo affermarlo – alcuni dei “comprimari” più importanti36. Basti pensare a quanto sia l’impatto, per la sola cultura scientifica, della rinnovata circolazione, prima manoscritta e poi a stampa, delle opere di Aristotele nell’Europa moderna. Studiare dunque il greco e i greci nel Rinascimento potrebbe, in futuro, dirci qualcosa di più riguardo le nostre radici. Approcci del genere, però, saranno possibili soltanto tramite una rinnovata attenzione “materiale” verso i codici e la loro storia, dunque, e poi verso i libri che gli umanisti leggevano, commentavano e compulsavano: non solo greci, certo. Se da un lato è vero i patrimoni delle ricche biblioteche italiane sono stati nel corso dell’Ottocento e del Novecento ampiamente studiate, catalogate e ricostruite, è d’altro canto quanto mai vero che da esse possono emergere ancora novità straordinarie37.

Conclusioni

Il già citato Carlo Dionisotti, nel concludere il “Discorso” di cui si faceva menzione all’inizio di questo contributo, si esprimeva così: «La realtà umana è, nel tempo e nello spazio, assai più ricca e varia e insomma difficile all’intelligenza nostra. Credo che convenga modestamente e onestamente studiare tratto tratto il lungo cammino e paesaggio in tutta la sua estensione e complessità, e trarre via via le conclusioni che si impongano da un tale studio. La linea dell’Umanesimo letterario non può essere che una fra le molte che la realtà politica e religiosa, le arti, le scienze, il diritto e il costume propongono alla comparazione e interpretazione storica»38. Parole illuminanti dal punto di vista metodologico che, se intersecate alla vigorosa presa di posizione di Gardini a favore di un «sapere eterogeneo e aperto, costruito sul confronto continuo tra le molteplici manifestazioni della vita, aperto al piccolo e al grande, impegnato nella contemplazione e nell’azione, certo della parentela circolare tra tutte le forme di conoscenza, desideroso di scoperta e di trasformazione» (N. Gardini, Rinascere, p. 269) indica agli studiosi un sentiero non troppo frequentato, ma che sicuramente val la pena intraprendere. La strada, peraltro, senza dubbio più complessa da percorrere, poiché impone a chi la voglia seguire di liberarsi d’ogni soffocante iper-specialismo e orpello residuo, con mente aperta e ingegno acuto. Impedimenta omnia sibi esse dimittenda: parole di un apologo di Leon Battista Alberti, che, a ben pensarci, può ricordare agli studiosi il difficile bivio a cui ci si trova davanti nell’approcciarsi al Rinascimento e ai suoi intrecciati itinerari: «Due cespugli interrogarono le onde del fiumicello circa la destinazione del loro veloce scorrere. Risposero le acque di dirigersi nei luoghi dove sarebbero diventate più grandi e sagge. Come infiammati dal desiderio di tanta elevazione, i due si erano subito gettati tra le onde; anzi, uno trovò pure ostacolo lungo il percorso difficile delle acque ma, appena inteso che doveva liberarsi di ogni ingombro, si fermò lì. L’altro invece, scalzate le radici, assecondò lo scorrimento. A seguito di varie peripezie, fu depositato alla fine su un territorio fertile, dove crebbe sino a diventare ampia e famosa selva»39.

Note

  1. Eugenio Garin (a cura di), L’uomo del Rinascimento, Laterza, Roma-Bari, 1988, p. 12.
  2. Oggi disponibile in Carlo Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi 1977 (1^ ed. 1967), pp. 179-199.
  3. Ibid., pp. 179s.
  4. Garin, Ritratti di umanisti, cit., p. 7. I personaggi rinascimentali cui sono dedicati i ritratti di Garin sono i seguenti: Enea Silvio Piccolomini, Paolo di Pozzo Toscanelli, Filippo Beroaldo il Vecchio, Agnolo Poliziano, Girolamo Savonarola, Pico della Mirandola. Due sole risultano essere le sovrapposizioni con i personaggi scelti Gardini (Pico e Poliziano).
  5. N. Gardini, Rinascere, cit., p. 19.
  6. Il volume cui si fa riferimento è Nicola Gardini, Rinascimento, Einaudi, Torino, 2010. Un libro di particolare rilievo, che risulta essere uno degli sforzi teorici sul Rinascimento tra i più importanti degli ultimi anni: forte di una visione complessiva del periodo e della scelta di non distinguere tra «un Umanesimo (quattrocentesco) e un Rinascimento (cinquecentesco)» (p. XVII) Gardini ripercorre – scandagliando una ricchissima bibliografia – i punti fondamentali del dibattito novecentesco intorno al Rinascimento, per poi dedicarsi ad una serie di nuclei tematici “chiave” della letteratura e della cultura quattro-cinquecentesca. Questa enucleazione di temi da cui far scaturire un ragionamento complessivo, tra l’altro, accomuna ulteriormente, a livello di impostazione, i due volumi.
  7. N. Gardini, Rinascere, cit., p. 14.
  8. La frase è ricordata da Alfonso Prandi, in apertura del volume collettaneo Interpretazioni del Rinascimento, il Mulino, Bologna, 1971 (p. 8).
  9. Si veda, ad esempio, la recente edizione dei Dialoghi di Pontano ospitata dalla collana Classici della letteratura europea, a cura di Francesco Tateo (Bompiani, Milano 2019).
  10. Gian Mario Anselmi, L’età dell’Umanesimo e del Rinascimento, Roma, Carocci 2008, p. 14.
  11. La recensione è disponibile online sul portale del «Il Sole 24 Ore» (ultima consultazione: 15/10/2020).
  12. Invero, tra gli autori meno frequentati ospitati dal volume di Gardini rientrerebbe, a buon diritto, la figura di Cassandra Fedele: la si evita qui non perché di poco interesse, ma perché lo spazio e, soprattutto, la competenza di chi scrive non sarebbero in alcun modo sufficienti.
  13. Una buona panoramica, a proposito dell’epoca umanistica a Napoli, è fornita da Guido Cappelli, L’umanesimo italiano da Petrarca a Valla, Roma, Carocci, 2011.
  14. F. Tateo (a cura di), G. Pontano, I dialoghi, cit., passim.
  15. Cit. da Panormita (A. Beccadelli), Ermafrodito, Torino Einaudi 2017, pp. 82s., curato peraltro dallo stesso Gardini.
  16. Chi scrive, legge la Syphilis da un’edizione veronese del 1740, in cui i carmina di Fracastoro sono uniti antologicamente a quelli di M. A. Flaminio e di altri poeti cinquecenteschi.
  17. Gardini, Rinascere, cit., pp. 17s.
  18. Ibidem, p. 211.
  19. G. Fracastoro, Scritti inediti, a cura di F. Pellegrini, Valdonega ed., Verona 1955.
  20. Gardini, Rinascere, cit., p. 218.
  21. Ibidem, p. 221s.
  22. Sterminati sarebbero i contributi da citare, qui: ci si limiti a segnalare lo sforzo gariniano nell’antologizzare i testi neolatini del Rinascimento italiano, culminato in alcune importanti edizioni Ricciardi e poi Einaudi; per una panoramica a proposito dell’impegno profuso da Perosa e dalla sua scuola è bene guardare, oltre che alle numerosissime edizioni di poeti neolatini (da Michele Marullo a Naldo Naldi) due volumi collettanei Tradizione classica e letteratura umanistica: per Alessandro Perosa (Bulzoni ed., Roma, 1985).
  23. «Dunque, rimangono esclusi dalla mia trattazione autori come Tasso (a parte qualche riferimento comparativo) o i vari petrarchisti, nonché il dibattito neoaristotelico – voci che rappresentano in Italia ma soprattutto in America il Rinascimento per eccellenza, “the Renaissance”, e che io invece tratterei in un libro a sé, da intitolarsi “Dopo il Rinascimento”, perché li vedo propri di un ambiente spirituale e linguistico del tutto diverso (quello che, pur seguendo altre partizioni e criteri soprattutto di ordine letterario, plaudendo al formalismo e trovandoci un inizio laddove io ci trovo una fine, Giancarlo Mazzacurati affrontò nel suo bel libro Il Rinascimento dei moderni, o quello che Ezio Raimondi ha denominato “Rinascimento inquieto”)», N. Gardini, Rinascimento, Einaudi, Torino 2010, XVs.
  24. Su questo sia però concesso un rimando agli studi – tutti – di Gennaro Sasso in proposito. Per il riferimento di Gardini, cf. p. 179.
  25. Ma, in particolare cf. Amedeo Quondam, Rinascimento e classicismi, Bologna, Il Mulino 2013.
  26. Ne dà prova Gardini in più parti del suo volume. Cf., ad es., per l’esempio di Pontano, p. 114.
  27. Si veda, in particolare, Lina Bolzoni, Una meravigliosa solitudine. L’arte di leggere nell’Europa moderna, Torino, Einaudi, 2019
  28. G. Toffanin, Perché l’umanesimo comincia con Dante, Zanichelli, Bologna, 1967.
  29. Il prestigioso editore francese Les belles lettres, ad esempio, promuove e pubblica da anni edizioni di qualità di opere albertiane, con traduzione in francese a fronte.
  30. Delle Intercenales è bene qui segnalare l’edizione commentata a cura di F. Bacchelli e L. D’Ascia (Pendragon, Bologna, 2003), oltre ai vari studi di R. Cardini – tutti puntualmente segnalati dalla bibliografia dell’edizione già citata a cura di L. Chines e A. Severi.
  31. Cfr., a proposito, quanto si scriveva supra sulle affinità tra l’impostazione di Gardini e gli ultimi studi di M. Cacciari.
  32. Ora disponibile in una nuova edizione anastatica: E. Garin (a cura di), Pico della Mirandola. De hominis dignitate, con introduzione di M. Ciliberto, Edizioni della Scuola Normale Superiore, Pisa 2009.
  33. Sulle ragioni dell’esclusione di Bembo, cf. quanto s’è detto supra.
  34. Per la menzione epigrammatica, cf. Gardini, Rinascere, cit. p. 50. Per quel che riguarda la menzione a Poliziano epigrammista in greco, cf. p. 75. Degli epigrammi greci di Poliziano – è bene ricordarlo in questa sede – esiste una straordinaria edizione, che propone edizione, traduzione e un commento che fa i conti coi classici e coi moderni, a cura di Filippomaria Pontani (Angeli Politiani Liber epigrammatum graecorum, Edizioni di Storia e letteratura, Roma 2002).
  35. Su Manuzio, oltre alle pubblicazioni in occasione del cinquecentenario, si segnala in particolare la recente traduzione italiana del volume di M. Davies e N. Harries, Aldo Manuzio. L’uomo, l’editore, il mito, Carocci, Roma, 2019.
  36. Un buon esempio metodologico per ricerche in questo campo è rappresentato dall’opus maximum di J. Hankins: La riscoperta di Platone nel Rinascimento italiano, trad. it. Edizioni della Normale, Pisa, 2009 (1^ ed. 1990).
  37. Ne è prova eclatante la recentissima scoperta, dovuta ad un paziente e importante lavoro di catalogazione e riordinamento di un fondo della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, di un manoscritto testimone di alcune pagine machiavelliane sinora inedite (in seno alla stessa operazione di riordino e catalogazione, guidata da D. Speranzi e D. Conti, era già emerso un autografo di Guicciardini).
  38. C. Dionisotti, Geografia e storia…, cit., p. 199s.
  39. L. B. Alberti, Apologhi, a cura di M. Ciccuto, Aragno, Torino, pp. 34s.

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