Bibliomanie

Petrolio di Pasolini nella rilettura del magistrato Vincenzo Calia
di , numero 48, dicembre 2019, Saggi e Studi,

<em>Petrolio</em> di Pasolini nella rilettura del magistrato Vincenzo Calia
Come citare questo articolo:
Marika Martina, Petrolio di Pasolini nella rilettura del magistrato Vincenzo Calia, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 48, no. 3, dicembre 2019

1. All’origine delle indagini di Vincenzo Calia
La morte di Pasolini avvenne durante la notte del primo novembre del 1975. La stessa notte viene arrestato il giovane diciassettenne Pino Pelosi detto “la Rana”. Il ragazzo, interrogato il 5 novembre dal giudice Carlo Alfredo Moro, fratello del deputato Dc Aldo, rilascia quella che sarà la versione dei fatti ufficiale fino alla completa ritrattazione avvenuta solo nel 20051. Abbordato dallo scrittore, Pelosi viene portato prima a cena al ristorante “Il Pommidoro”, nel quartiere di san Lorenzo, a Roma, poi all’idroscalo di Ostia dove, rifiutando di compiere delle prestazioni sessuali cerca di fuggire. Aggredito da Pasolini, sceso anch’esso dall’auto, Pelosi intraprende una colluttazione alla fine della quale, riuscendo a raggiungere l’auto di Pasolini, ne investe il possessore prima andando in retromarcia e poi scappando definitivamente. Lo scrittore sarebbe dunque morto, non per i colpi ricevuti durante la colluttazione, bensì per lo scoppio del cuore causato dallo schiacciamento del torace nel momento in cui Pelosi gli passava sopra con la sua stessa Alfa.
Il ragazzo affermò sempre che non era sua intenzione passare sopra al corpo dell’uomo con l’auto, dichiarando, invece, che la sua unica intenzione era quella di fuggire dall’aggressore e di aver compito tutto in completa solitudine: all’idroscalo, la notte del primo novembre, erano presenti solo lui e Pasolini. Tuttavia, il 14 novembre su «L’Europeo» esce un articolo di Oriana Fallaci2, nel quale viene confutata la versione di Pelosi: il ragazzo non sarebbe stato solo ma, a dire dalle fonti della Fallaci, quella notta all’Idroscalo ad uccidere Pasolini ci sarebbero state più persone che sorpresero i due, giunti in macchina, aggredendo lo scrittore fino ad ucciderlo. Ignoti sarebbero arrivati all’idroscalo in modo seguendo l’Alfa di Pasolini, per compiere un’aggressione programmata. La Fallaci non riferì mai l’identità dei suoi informatori, nemmeno durante la deposizione del 2 dicembre nell’istruttoria per il processo, afferendo che questi non volessero assolutamente uscire allo scoperto, ma sostenne sempre che le fonti fossero della massima attendibilità. Il 24 gennaio del 1976 il giudice Giunta nega al giornalista de «L’Europeo», Salvatore Giannella, l’esistenza del misterioso “motociclista Jhonny” (identificabile probabilmente con Giuseppe Mastini3), citato però da Pino Pelosi fin dalle prime dichiarazioni. Da questo motocilista per di più Pelosi dice di aver ricevuto in dono l’anello rinvenuto vicino al cadavere di Pasolini e richiesto da lui ai carabinieri fin dai primi momenti dell’arresto.
Il 24 aprile l’avvocato di parte civile, Guido Calvi, espone delle prove di confutazione dell’accaduto, sostenendo la versione che vede più persone partecipanti nell’omicidio dello scrittore. “[…] Giuseppe Pelosi non avrebbe potuto, da solo, commettere l’omicidio. Le ferite sul corpo e sul volto di Pasolini dovevano essere state procurate da corpi contundenti molto pesanti, mai rinvenuti, e senza dubbio meno fragili della tavola e del bastone indicati da Pelosi, legni infradiciati e leggeri, inadeguati a provocare lacerazioni così gravi e profonde. Calvi si chiede perché le armi del delitto non siano mai state rinvenute e chi, eventualmente, le abbia rimosse. Sul luogo del delitto, inoltre, vengono rilevate diverse impronte, orme che non appartengono né a Pelosi né a Pier Paolo Pasolini. Al momento dell’arresto, non viene poi evidenziata alcuna traccia di sangue sugli abiti o sul corpo di Pelosi, nonostante il corpo del poeta fosse stato ritrovato interamente coperto di sangue. Pasolini, inoltre, era un uomo forte, anche se di piccola costituzione, dedito allo sport: in una colluttazione con un ragazzo di 17 anni, non particolarmente robusto, è difficile pensare che avrebbe potuto soccombere facilmente.”4. In un’intervista, condotta per “I Quaderni de L’ora” da Simona Zecchi e Martina Di Matteo, Guido Calvi afferma che furono fatte

Omissioni atte a chiudere di fretta una storia in modo che potesse accontentare tutti: opinione pubblica, intellighenzia, inquirenti e accusatori e in parte anche la difesa cui io poi mi aggiunsi. Certo alcuni di questi errori sono da addebitarsi a casi di incultura inquisitoria del tempo. Tuttavia, sommandoli tutti e accennando qui solo a quelli più marcatamente evidenti – come la cancellazione della macchia sulla capotte della macchina di Pasolini, sul lato passeggero; la discrepanza tra la risibile traccia ematica rinvenuta sulla manica della maglia di Pelosi, contro lo stato orribile in cui Pier Paolo era ridotto, e il fatto che il luogo del delitto non fosse stato, da subito, circoscritto in modo che non potesse essere inquinato da altri agenti esterni, come invece fu – non si può non collegarli anche con la mole dei tempi morti passati dall’arresto del Pelosi e il ritrovamento del corpo. Tempi in cui, la versione dell’allora diciassettenne poteva essere stata facilmente indottrinata da qualcuno 5.

In aggiunta non bisogna dimenticare che permangono il giallo dell’anello (scivolato via dal dito di Pelosi accidentalmente, sebbene fosse molto stretto, tanto da aver lasciato un’impronta evidente sul dito del ragazzo); quello del maglione ritrovato nel bagagliaio della macchina di Pasolini (appartenente a ignoti); e quello del plantare di scarpa numero 41 (troppo grande sia per Pelosi che per Pasolini) ritrovato anch’esso all’interno della macchina dello scrittore. Il processo si concluse il 26 aprile del 1976 presso il Tribunale dei Minori di Roma con la condanna a 9 anni, 7 mesi, 10 giorni di Pino Pelosi, con l’aggiunta del pagamento di 30.000 lire, per «atti osceni, furto aggravato e omicidio volontario in concorso con altre persone rimaste ignote»6. Il 4 dicembre del 1976 la Corte d’Appello di Roma assolve Pelosi dall’imputazione di furto e atti osceni ma viene confermata la condanna per omicidio, tuttavia il processo si conclude con l’imputazione al solo Pelosi dell’omicidio dello scrittore. Il 26 aprile del 1979 la Corte di Cassazione conferma la prima sentenza, anche se il concorso di altre persone nell’omicidio viene ritenuto poco probabile.
Nel 1992 viene pubblicato per Einaudi il romanzo di Pasolini Petrolio7, nel quale la critica ritrova fin dalle prime recensioni l’anima scandalistica dell’autore, arrivata in questo volume ad una becera ridondanza di sé stessa. Il romanzo viene bollato come pornografico e nulla più. Ma nel 1994 il pm Vincenzo Calia, che stava indagando sulla morte del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, avvenuta nel 1962, leggendo accuratamente il romanzo postumo di Pasolini scopre dei contenuti tutt’altro che pornografici.
Il libro d’inchiesta pubblicato da Calia nel marzo del 2017, intitolato Il caso Mattei. Le prove dell’omicidio del presidente dell’Eni dopo bugie, depistaggi e manipolazioni della verità, è il risultato delle indagini che il magistrato iniziò sulla morte di Enrico Mattei, che lo portarono alla scomparsa del giornalista del quotidiano palermitano «L’Ora», Mauro De Mauro, fino ad arrivare all’omicidio di Pier Paolo Pasolini.

Il ritrovamento di Questo è Cefis di Steimetz
È il 1992 quando viene pubblicata la prima edizione di Petrolio, romanzo postumo di Pier Paolo Pasolini, morto tragicamente nella notte del primo novembre 1975. Il testo si presenta come una raccolta di appunti di diversa lunghezza (si va da appunti composti da brevi annotazioni ad appunti composti anche da una ventina di pagine) ordinati secondo una linea il più possibile cronologia dello sviluppo dei fatti del racconto. Nonostante un lavoro filologico durato ben 17 anni, il romanzo risultate non presenta l’organicità dei romanzi conclusi: la storia del protagonista Carlo si intreccia con altri racconti, appunti solo abbozzati, considerazioni di carattere cronachistico. La lettura che si può fare dell’opera è per nulla scorrevole, priva di legami fra le parti, spesso ambigua e dal significato avvolto nel mistero. La sua pubblicazione viene accolta da una profonda critica negativa da parte dell’opinione pubblica8: del romanzo, infatti, si scrivono articoli, saggi e recensioni dai toni sprezzanti e deplorevoli; ne vengono divulgate solamente parti oscene e scandalose che fanno stendere sulla totalità dell’opera un velo di censura. Non solo l’ultima opera, così, ma la summa della produzione pasoliniana viene confinata nel fallace ricordo di un poeta, uno scrittore, un regista che voleva dar scandalo per tenere i riflettori puntati su di sé.
Tra il 1992 e il 1994 il magistrato di Pavia, Vincenzo Calia, entra in possesso di un libro, dal titolo Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, scritto dall’ignoto Giorgio Steimetz e pubblicato dalla casa editrice AMI nel 1972. Il libro diventa centrale nelle indagini quando il magistrato scopre che intere parti vengono trascritte in Petrolio, precise trascrizioni del suo contenuto senza variazioni di forma. Il libro, ora in possesso del pm, presenta una vicenda editoriale molto farraginosa in quanto appena comparve sul mercato, scomparve una copia dopo l’altra, a cominciare da quelle d’obbligo nella biblioteca nazionale di Firenze e in quella di Roma. Il libro, dunque, all’epoca in cui Calia ne entra in possesso, è praticamente introvabile, anzi, non risulta nemmeno esistente. Il suo autore, un tale Giorgio Steimetz, è ignoto poiché, si pensa sia lo pseudonimo del giornalista Corrado Ragozzino (del quale oggi non si trovano informazioni). L’AMI (Agenzia Milano Informazioni), la casa di pubblicazione, era finanziata da Graziano Verzotto, uomo di fiducia di Enrico Mattei, ex partigiano e democristiano della corrente dorotea di Mariano Rumor. Verzotto dal 1962 al 1966 fu segretario regionale in Sicilia della Dc, mentre dal 1967 venne nominato presidente dell’Ente minerario siciliano, a capo del quale rimarrà fino al 1975

quando, per evitare l’arresto (in una banca di Michele Sindona, infatti, erano emersi dei “fondi neri”), il presidente dell’Ems ripara in Libano e infine a Parigi, sotto falso nome. Tornerà in Italia solo nel 1991, libero solo grazie a un indulto 9.

Calia prosegue nelle indagini di questa nuova pista che lo porta nella Sicilia degli anni di Enrico Mattei e dei suoi collaboratori. Il principale è appunto il doroteo Graziano Verzotto, il quale all’alba della presidenza Cefis (dapprima braccio destro di Mattei) all’Eni, viene allontanato dall’incarico all’Ems. Lo stesso Verzotto, intervistato nel 2006 da Enzo Catania, affermerà di essere stato avversario politico di Cefis “anche per quanto riguardava la strategia dell’Ente Minerario Siciliano”10. Non solo, ma Verzotto riferì anche che “i miei guai incominciarono quando presi ad esternare un’idea precisa sul metanodotto Algeria-Sicilia che voleva dire spezzare il monopolio del metano che aveva l’Eni, ormai in mano ad Eugenio Cefis”11; così, nel momento in cui Cefis prese il comando dell’Eni, Verzotto venne licenziato12.
Indicativa è anche la vicenda dell’Ufficio Pubbliche Relazioni dell’Eni, in quanto Cefis ne sospese le attività, licenziando Verzotto che ne era il direttor. Poco dopo, però, l’Ufficio riprese le sue attività questa volta diretto dall’avvocato Vito Guarrasi, coinvolto nella “vicenda De Mauro”.
È il senatore democristiano a riferire al pm Vincenzo Calia che Cefis, Guarrasi e il nuovo gruppo amministrativo inaugurato da questi, avevano tratto sicuramente vantaggio dalla morte di Mattei: infatti entrambi erano stati allontanati dai loro incarichi poco prima della morte dell’ingegnere.
Calia, dunque, compiendo un’analisi sinottica tra Questo è Cefis e Petrolio, comprende che Pasolini stava studiando il volume di Steimetz e ne era rimasto così colpito da volerne addirittura replicare intere parti senza modifica alcuna.
Questo è Cefis si presenta come una sorta di biografia di uno dei presidenti più controversi dell’Eni e poi della Montedison, nell’epoca del sistema delle Partecipazioni statali13. Di Cefis vengono rivelate società per azioni, immobili posseduti, attività e conti. Il libro, ad una attenta analisi, non è altro che la raccolta di articoli scritti sullo stesso argomento e con lo stesso intento: quello di denunciare l’operato di Cefis come funzionario dello Stato richiedendo un’indagine fiscale ai suoi riguardi, rivolta direttamente al Ministero del Tesoro e delle Finanze.
Potrebbe essere questa, dunque, una delle motivazioni per spiegare la scomparsa del libro dalla scena pochi mesi dopo la sua pubblicazione. Tuttavia, come dimostra l’indagine di Calia, Pasolini ne possedeva una copia, ed era pronto a divulgarne il contenuto dandogli gran voce e visibilità in virtù del suo nome. Pasolini era consapevole di poter divulgare il contenuto del libro “sparito” grazie al potere della sua immagine, al fatto che lui fosse una personalità di spicco sulla scena italiana e internazionale: dell’operato di Cefis (nel 1975, alla vigilia della morte dello scrittore, a capo della Montedison) se ne sarebbe parlato, si sarebbe resa necessaria un’indagine a suo carico e la conseguente istruzione di un processo. Il libro di Steimetz, fonte primaria di Petrolio, è di fatto, oltre che un atto di accusa anche uno di intimidazione nei confronti di Cefis, e Pasolini aveva il chiaro intento di darne voce e diffusione, dopo esserne entrato in possesso grazie al direttore e amico della rivista «L’Erba Voglio», Elvio Fachinelli, il quale in allegato ad una lettera gli invia una copia superstite nel settembre del 197414.
Purtroppo, Petrolio vedrà la luce solamente nel 1992 mentre la vita del suo autore sarà stroncata prima che potesse compiere questa denuncia.

3. Da Pasolini a Mattei
Calia dà avvio alle proprie indagini battendo, a questo punto, la pista che era stata all’epoca intrapresa da Pasolini: la ricerca di eventuali colpe di Eugenio Cefis nella vicenda che portò alla morte di Enrico Mattei. Un sottile filo rosso si delinea sempre di più, andando dal 1962 al 1975.
Si apre uno scenario diametralmente opposto rispetto a quello che fin dai primi atti processuali ne era stato dato della morte di Pier Paolo Pasolini. Da una morte infamante, avvenuta a causa della condotta di una vita sregolata, fatta di deviazione sessuale e rottura di tabù sessuali sotto i riflettori dell’Italia e del mondo, si aprono nuove possibilità di lettura dell’accaduto. Lo scrittore sarebbe stato crudelmente ucciso affinché gli fosse impedito di divulgare informazioni sconcertanti su un uomo, Eugenio Cefis, all’epoca fortemente influente all’interno del panorama politico ed economico italiano, aprendo la strada ad una necessaria indagine fiscale ai suoi riguardi. Il pm Vincenzo Calia, a distanza di quasi vent’anni dalla morte del controverso scrittore, riprende le ricerche sul misterioso Cefis, un uomo che lungo tutto il corso della propria vita eluse in modo certosino i riflettori mediatici. È a questo punto che Calia si imbatte nel lavoro di ricerca di un giornalista pugliese che all’inizio degli anni Settanta, per conto del regista Francesco Rosi (che stava realizzando un film sulla vita di Enrico Mattei, uscito nel 1972 con il titolo de Il caso Mattei) aveva cominciato delle indagini attorno alla terribile morte del presidente dell’Eni, Enrico Mattei.
È Mauro De Mauro, il giornalista de L’Ora di Palermo, colui che, accettando l’incarico di Francesco Rosi, stava mettendo in dubbio l’accidentalità dell’esplosione dell’aereo su cui viaggiava Mattei al ritorno da un comizio in Sicilia. De Mauro è in stretto contatto con Graziano Verzotto, allora presidente dell’Ente Minerario Siciliano nonché braccio destro di Mattei in Sicilia, il quale riferisce a De Mauro dettagli mai prima d’ora presi in considerazione all’interno della vicenda della morte del presidente dell’Eni: la linea di Mattei sarebbe stata ostacolata dal suo braccio destro nell’azienda, Eugenio Cefis, il quale non vedeva di buon occhio la linea indipendente dell’Eni nella stipula dei contratti con i paesi produttori di petrolio; Cefis infatti era dell’idea che si dovessero creare delle reti economiche di compra vendita senza eludere le sette grandi compagnie multinazionali petrolifere, le così dette “Sette sorelle”15.
Nei primi anni Sessanta Mattei, con il supporto di Verzotto, si trovava nel pieno di trattative con l’Algeria per la costruzione di un gasdotto verso l’Italia che avrebbe facilitato il trasporto del gas tra i due paesi. Poco meno di dieci anni dopo, nel momento in cui De Mauro intervista Verzotto, questo pare dare grande importanza al progetto, poi cassato a causa della morte del presidente, e sottolineando anche la contrarietà di Cefis a riguardo. La vicenda potrebbe essere spiegata con la motivazione che Cefis era in stretti rapporti con i petrolieri Monti e Rovelli, i quali possedevano ditte navali di trasporto delle materie prime che sarebbero state ostacolate nei loro profitti dalla realizzazione del gasdotto.
De Mauro segue le parole di Verzotto, il quale solo molti anni dopo rivelerà a Calia di aver subito intimidazioni e minacce per le sue rivelazioni al giornalista, e crea un fascicolo di appunti su una vicenda oscura che rivela in molti punti il nome di Cefis. Purtroppo, il giornalista sparisce la sera del 16 settembre del 1970 lasciando incomplete le sue indagini. Molto tardi, solo nel 1994, Verzotto rivelerà a Calia la sua impressione avuto fin da subito, all’alba del rapimento del giornalista, che ciò successe per spaventarlo e dargli un chiaro segnale di abbandono del progetto del metanodotto16.
Si veda più chiaramente il collegamento tra questi personaggi: Graziano Verzotto, all’epoca della presidenza Eni di Enrico Mattei, era presidente dell’Ente Minerario Siciliano e direttore dell’Ufficio Pubbliche Relazioni dell’Eni. Nel 1962 Mattei muore per una manomissione all’aereo sul quale viaggiava (all’inizio si credette però che fosse un incidente). Poco dopo Verzotto viene rimosso da Cefis dai suoi incarichi ma la notizia che circola è che abbia dato spontaneamente le sue dimissioni per divergenze di gestione. Con lui viene accantonata anche l’dea della costruzione del metanodotto Algeria-Sicilia. Nel 1970 il giornalista Mauro De Mauro compie delle ricerche sulla morte di Mattei e intrattiene molti colloqui con Verzotto ma poi una notte scompare e di lui non si venne più a sapere nulla. Rimangono i suoi ultimi appunti, nei quali compare più volte il nome di Cefis e il film di Francesco Rosi su Mattei che venne realizzato in buona parte grazie alle ricerche di De Mauro sul caso. L’Ems era anche finanziatore di un’agenzia di Milano, la AMI, per la quale nel 1972 un tale Giorgio Steimetz (di cui mai si è chiarita l’identità) pubblica il libro Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente. Il libro arriva nelle mani di Pasolini grazie all’amico psicanalista Elvio Fachinelli, che era anche giornalista per la rivista «L’Erba Voglio». Verzotto tuttavia dichiarò a Calia di non essere a conoscenza del libro di Steimetz, né tantomeno del giornalista Elvio Fachinelli scrive Enzo Catania nel suo libro:

Graziano Verzotto mi ha detto in mille modi che lui con quel pamphlet non ebbe nulla a che fare e che, pur finanziando l’Ami che lo editò (che gli garantiva una specie di contraltare giornalistico agli attacchi della stampa), questa aveva una sua autonomia editoriale e che, in ogni caso, non era lui a trattare con l’Ami .

Tuttavia, il libro scompare dal mercato e dalle biblioteche neanche un mese dopo. Pasolini fa però in tempo a riportarne degli stralci nel suo libro Petrolio, che rimarrà incompleto a causa della tragica morte del suo autore avvenuta il primo novembre del 1975.
Nel 1992 viene finalmente edito Petrolio ma ne risulta difficile la lettura a causa della sua inorganicità e soprattutto a causa dell’oblio in cui era caduto Questo è Cefis. Sarà, dunque, solo nel 1994 che Vincenzo Calia, trovando una copia del libro di Steimetz, ne trova il collegamento con Petrolio, e risale alla vicenda della morte di Mattei, a quella di De Mauro e al nome che le collega tutte: Eugenio Cefis.
Secondo il braccio destro di Vincenzo Calia, Enrico Guastini, occupatosi della parte investigativa delle indagini, “Pasolini arrivò alle stesse conclusioni cui arrivò il giornalista Mauro De Mauro che aveva incominciato a indagare sulla morte di Mattei, per incarico del regista Rosi (ma non solo) e che venne eliminato quando ormai aveva scoperto la verità”17.

4. La svolta nelle indagini di Vincenzo Calia
Uscirà il 20 gennaio del 2001 su «La Stampa» una versione diversa, rispetto a quella confermata dalla Cassazione, dell’omicidio Pasolini. Si tratta dell’articolo Mattei un delitto italiano, all’interno del quale la morte dello scrittore viene legata a quella di Enrico Mattei, morto nel 1962 quando, in qualità di presidente dell’Eni, stava tornando a Milano dopo un comizio tenuto in Sicilia. L’articolo si basa proprio sulle indagini di Calia, il primo a mettere in dubbio l’accidentale esplosione dell’aereo su cui l’ingegnere viaggiava.
In realtà, già quasi trent’anni prima, molti dubbi sull’accaduto erano stati esposti da Oriana Fallaci nell’articolo uscito su “L’Europeo” il 14 novembre del 1975 dal titolo Pasolini ucciso da due motociclisti?. La Fallaci non rivelò mai l’identità della sua fonte, sostenendone l’attendibilità ma negando la possibilità di un suo disvelamento come dalla fonte stessa richiesto.
La fonte raccontò, come si legge nell’articolo, che nella notte del primo novembre all’Idroscalo Pasolini sarebbe arrivato con Pelosi e due ragazzi in moto. La comitiva, entrata in una baracca (anzi, una villetta mascherata da baracca che Pasolini talvolta affittava per incontri occasionali), comincia un litigio. È a questo punto che lo scrittore avrebbe tentato la fuga uscendo e scappando, senza riuscita, verso la propria auto. Una volta essere stato picchiato selvaggiamente tramite tavolette di legno e catene da tutti e tre, viene investito per ben due volte dalla sua stessa auto, così scrive la Fallaci:

Erano circa le una del mattino e le urla dell’alterco continuarono, udite da tutti, per quasi o circa mezz’ora. Vide anche che Pasolini cercava di difendersi. Quando Pasolini si abbatté esanime, i due ragazzi corsero verso la sua automobile, vi salirono sopra, e passarono due volte sopra il corpo dello scrittore, mentre Giuseppe Pelosi rimaneva a guardare. Poi i due scesero dall’automobile, salirono sulla motocicletta, partirono mentre Giuseppe Pelosi gridava: «Mo’ me lasciate solo, mo’ me lasciate qui». Continuò a gridare in quel modo anche dopo che i due si furono allontanati. Allora si diresse a sua volta verso l’automobile di Pasolini, vi salì e scappò 18.

Spettatori della scena furono, oltre alla misteriosa fonte della scrittrice, anche una coppia posteggiata con l’auto all’Idroscalo. I dubbi, tuttavia, permangono sia per quanto riguarda il silenzio dei testimoni sia, se invece “deposizioni” sono state fatte, sull’incuria della polizia nella conduzione delle indagini.
Un altro spettatore fu il pescatore Ennio Salvitti, il quale interrogato la mattina del 2 novembre da Furio Colombo, giunto tra i primi all’Idroscalo, dirà al giornalista di aver assistito alle urla strazianti di un uomo massacrato da più persone. Tuttavia, Colombo è l’unico ad aver ascoltato l’uomo, che sparì dalla circolazione senza lasciare traccia né tantomeno deposizioni alla polizia19. Anche il nipote di Salvitti, Olimpio Marocchi, interverrà molti anni dopo, nel 2010:

Alfredo e Maria [Alfredo Principessa e Maria Lollobrigida, la famiglia che chiamò la polizia la mattina del 2 novembre, N.d.A.] quella notte avevano dormito all’Idroscalo. Sentirono Pasolini invocare aiuto e uscirono per vedere cosa stava accadendo 20.

L’uomo morirà in un incidente stradale nello stesso anno in un’auto guidata da Pino Pelosi21.
Resta il fatto che solo con la riapertura del caso da parte di Calia, anche grazie al fortuito ritrovamento di una copia di Questo è Steimetz. L’altra faccia dell’onorato presidente, si è potuto conferire più spessore alla lettura meno accreditata a livello giuridico del caso: quella del concorso di ignoti nell’omicidio Pasolini e quella, mai battuta, di un collegamento tra l’omicidio Pasolini e l’omicidio Mattei.
Petrolio diventa così, nella rilettura che riesce a trovare Vincenzo Calia, un libro di denuncia e di richiesta di giustizia, nonché un romanzo premonitore della terribile strage avvenuta presso la stazione di Bologna il 2 agosto del 1980, nella quale morirono 85 persone e 200 rimasero ferite22. Non solo, con le ricerche condotte sulla base di questa rilettura di Petrolio, Calia scopre un allegato ad un appunto del Sismi, nello stesso quartier generale a Forte Braschi. La nota è firmata “Turi”, nel quale si può identificare un alto funzionario del ministero della Difesa e recita:

La loggia P2 è stata fondata da Eugenio Cefis che l’ha gestita sino a quando è rimasto presidente della Montedison. Da tale periodo ha abbandonato il timone, a cui è subentrato il duo Ortolani-Gelli, per paura […] 23.

A dare vita alla P2 pare dunque essere stato Cefis, il quale ne fu anche capo fino al 1977, anno in cui, a causa dello scandalo petroli, avrebbe lasciato il comando a Licio Gelli e ad Umberto Ortolani. Non solo, un appunto riservato del Sisde 1° Roma del 17 settembre 1982 recita:

Intensi contatti sarebbero intercorsi in Svizzera, fino al mese di agosto u.s., tra Licio Gelli ed Eugenio Cefis, presidente della Montedison International .

Il 2 aprile del 2010, su “Il Fatto Quotidiano”, Gianni D’Elia scriverà che «La bomba di Pasolini era la verità, la sua ricerca del filo nero che dalla morte per attentato di Enrico Mattei conduce alla strategia delle stragi degli anni più bui dell’Italia»24, confermando ciò che Calia aveva scritto nella richiesta di archiviazione del caso nel 2003. Non sappiamo se Pasolini avesse intuito l’esistenza di una loggia massonica che muoveva i fili di un’Italia in ricostruzione, certo che leggendo il suo romando incompiuto i sospetti diventano qualcosa di più rispetto ad una semplice idea.
Di certo non si può smentire l’esistenza di rapporti fra Cefis e Gelli, i quali vengono ben documentati dalla Commissione d’inchiesta sulla loggia massonica P2 e in particolar modo nella relazione di minoranza del 1981 stilata dall’onorevole Massimo Teodori, in cui si legge con certezza «vi sono elementi di contiguità tra il sistema cefisiano e quello gelliano e non pochi sono i punti di contatto tra le due fasi della vita politica italiana»”25. Per non parlare delle persone che compongono l’universo di Cefis, tra le quali compaiono molti personaggi iscritti alla loggia massonica, come uno dei suoi assistenti stretti per le relazioni estere, Gioacchino Albanese (tessera P2 2210)26.
Il criptico romanzo di Pasolini, proprio a causa della sua natura di opera in costruzione, può dare adito a diverse chiavi di lettura e purtroppo, senza indagini che ne confermino tramite prove concrete ed attendibili la versione di Calia, non è possibile delineare i reali contorni delle scoperte di Pasolini. Bisogna anche ricordare, però, la misteriosa vicenda che si accompagna all’Appunto 21 dal titolo Lampi sull’Eni, il quale non reca altro se non il titolo. Secondo la versione di Guido Mazzon, un cugino friulano dello scrittore, in una telefonata da lui ricevuta da parte della cugina Graziella Chiarcossi, gli venne detto di un furto nella casa romana dove, dopo la morte dello scrittore vivevano la Chiarcossi e la zia, Susanna Colussi, madre di Pier Paolo. La cugina riferì di un’irruzione anche nello studio di Pasolini dove, a suo dire, erano state rubate delle carte. Potrebbe trattarsi del capitolo Lampi sull’Eni e il dubbio viene coltivato anche dal fatto che lo stesso capitolo è citato da Pasolini in un passo successivo del romanzo: a pagina 97 (edizione Eiunaudi) si legge infatti “ne ho già fatto cenno nel paragrafo intitolato Lampi sull’Eni, e ad esso rimando chi volesse rinfrescarsi la memoria”. Potrebbe trattarsi di un caso, anche perché lo scrittore talvolta, all’interno del romanzo, fa riferimenti a parti ancora da scrivere, ma mai così precise. La versione del furto, tuttavia, verrà negata dalla Chiarcossi, a fronte invece della deposizione di Mazzon che confermerà sempre essere stato il furto il contenuto della telefonata27. Pare tuttavia, grazie alla ricostruzione filologica del romanzo fatta da Aurelio Roncaglia, che siano andate perse (o rubate) più pagine di un capitolo. Pasolini, infatti, all’inizio del 1975, in una delle interviste in cui informava sullo stato dei lavori della sua ultima opera, parlava di una stesura di 600 pagine e di un’ultimazione che ne avrebbe viste almeno 2000. Le pagine pervenute e pubblicate sono però meno di 400.
Un’altra importante fonte di Petrolio sono tre discorsi di Cefis: La mia patria si chiama multinazionale pronunciato all’Accademia militare di Modena il 23 febbraio del 1972; Un caso interessante: la Montedison che doveva essere pronunciato presso la Scuola di cultura cattolica di Vicenza l’11 marzo del 1973 ma poi la conferenza non fu più tenuta; L’industria chimica e i problemi dello sviluppo pronunciato al Centro Alti Studi per la Difesa di Roma il 14 giugno del 1974.
Questi discorsi sono stati per lungo tempo introvabili, ma oggi si possono leggere integralmente nel volume Frocio e basta28. All’epoca in cui Pasolini compone Petrolio però, non vengono riportati dalla stampa e non se ne parla nei programmi televisivi, passano dunque sotto silenzio mediatico. Lo scrittore riesce ad entrarne in possesso sempre grazie all’amico Fachinelli, il quale ne permette la pubblicazione con commento di uno solo sulla rivista da lui diretta, “L’Erba voglio”. Ci si riferisce al discorso intitolato in modo satirico La mia patria si chiama multinazionale, pronunciato all’Accademia militare di Modena il 23 febbraio 1972 e riportato sulla rivista “L’Erba voglio” nel numero 6 del 1972 commentato da Giorgio Radice. È interessante notare come Giorgio Radice sia uno pseudonimo utilizzato da Giuseppe Turani solo per questa pubblicazione. L’idea che ci si può fare è chiaramente quella di un timore per eventuali ripercussioni circa la pubblicazione in sé oppure per i commenti che corredano il discorso. In ogni caso, per il semplice fatto che si sta parlando di una rivista d’élite e non certo di un periodico o un quotidiano di massa, l’articolo ebbe ben poca risonanza e tra i suoi lettori di certo ci fu Pasolini. Turani, sotto falso nome, lancia attacchi molto forti a Cefis, fautore di una «logica economica assoluta che avanza sul pianeta e che ogni cosa distrugge»29.
La critica di Turani ha evidenti analogie con il tema dominante in Petrolio e in generale con il pensiero pasoliniano di una deriva consumistica delle masse annientate ormai nella loro umanità e lanciate verso una trasformazione da persone a consumatori. La logica di un mercato che fa da padrone, che non rispetta le leggi nazionali, che si amplia ad ogni costo con la compiacenza ingenua e inerme dei popoli a poco a poco resi schiavi è la critica di film come Salò o le 120 giornate di Sodoma e di romanzi come Petrolio che, soprattutto verso gli ultimi anni dello scrittore, caratterizza prepotentemente i suoi lavori. Turani/Radice scrive che

le multinazionali tengono nel loro ventre tanto benessere, ma anche tanto potere concreto (i militari, la possibilità di ricattare economicamente interi continenti), che non è più il caso di ricorrere a sottili e complesse mediazioni. Insomma, finalmente il capitale può gettare la maschera, e presentarsi sulla scena mondiale proprio come è fatto, almeno in parte 30.

5. Pasolini sulle tracce della P2. Depistaggi e manomissioni
Nel 2016 Michele Metta aggiunge informazioni importanti sul caso Pasolini grazie a nuove scoperte date dalla desecretazione di molti documenti della CIA da parte del presidente americano Donald Trump. Metta scopre che a Roma, sotto la copertura di un polo imprenditoriale, compie le proprie operazioni il Centro Mondiale Commerciale, che si configura essere il ramo italiano della Permindex, azienda nordamericana fortemente legata in segreto alla CIA.
Il CMC aveva sede legale a Roma in Piazza di Spagna 72/a, esattamente la stessa sede in cui si forma il primo nucleo della loggia massonica P2. Si tratta dello studio di Roberto Ascarelli, del quale era diventato socio Virgilio Gaito. In questo luogo viene sottoscritta anche un’altra loggia massonica, la Hod, della quale fa parte Licio Gelli e che viene identificata dalla Commissione Anselmi come anticamera della P2. A finanziare il CMC, oltre a banche straniere, è la banca italiana BNL, la stessa che finanziava Eugenio Cefis ed in seguito la P2.
Il collegamento più immediato con il caso Pasolini lo si può verificare fin dalle prime mosse del processo. Pelosi, infatti, pur disponendo di ben due legali, i fratelli Vincenzo e Tommaso Spaltro, che tra l’altro costruiscono la difesa del loro accusato con prove che certificano la complicità di terzi la notte dell’omicidio, decide di cambiare la propria difesa con l’avvocato Rocco Mangia.
Questo personaggio, della corrente democristiana andreottiana, cambia completamente la posizione della difesa, eliminando le prove che avrebbero scagionato Pelosi (o se non altro mitigato la pena) in quanto minorenne e non unico colpevole del delitto. Certamente sorgono molti dubbi sul perché il ragazzo abbia deciso un così dubbio cambiamento legale, tuttavia, il fatto è spiegabile scoprendo che furono gli stessi genitori, tramite una lettera, a suggerire al ragazzo il da farsi. A loro volta essi furono guidati da Francesco Salomone, direttore del «Il Tempo» (quotidiano con esplicita posizione a Destra), nonché tessera P2 1911. A pagare Mangia non si doveva preoccupare la famiglia Pelosi.
Ad affiancare nella difesa di Pelosi l’avvocato Mangia, sono Franco Ferracuti (tessera P2 numero 2137); Fiorella Carrara, psicologa autrice di perizie a favore della banda della Magliana; Aldo Semerari, criminologo, docente universitario, simpatizzante di destra nonché amico di Licio Gelli e tesserato P2 (verrà decapitato il primo aprile del 1982 a Napoli)31.
Dunque, i personaggi che fanno parte dello scenario del CMC sono ben collegati a quelli che orbitano nel processo per l’omicidio di Pasolini dalla parte dell’accusa. Personaggi che, come sostiene Metta, sono già infastiditi dalla produzione letteraria e giornalistica di Pasolini che mette in dubbio la realtà benefica del boom economico italiano della fine gli anni Cinquanta e la smaschera come «speculazione edilizia con complicità vaticane, tangenti, raccomandazioni, privilegi»32. Si tratta di opere come Una vita violenta e Ragazzi di vita che mostrano l’altra faccia del benessere, un’arretratezza che più che manifestarsi nella quotidiana povertà si manifesta in una perdita di valori etici, di orgoglio e di rivalsa. Pasolini scrive anche articoli come Perché il Processo, nel quale accusa di complicità mafiose politici e magistrati, di partecipazione di servizi segreti esteri, come la Cia, negli attentati italiani e accusa lo Stato di non rivelare verità di cui destra e sinistra sono complici in parti uguali, affermando che

Gli italiani vogliono consapevolmente sapere fino a che punto la Mafia abbia partecipato alle decisioni del governo di Roma o collaborato con esso. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia la realtà dei cosiddetti «golpe» fascisti. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere da quali menti e in quale sede sia stato varato il progetto della “strategia della tensione” (prima anticomunista e poi antifascista, indifferentemente) 33.

Bisogna aggiungere che nei primi anni Sessanta il giornalista Ruggero Zangrandi è autore di un’inchiesta per «Paese Sera» sul CMC, inchiesta che aveva portato avanti già precedentemente sulle pagine di “Vie Nuove” e che sarà ripresa sempre da «Paese Sera» nel 1967. Pasolini aveva avuto modo di conoscere Zangrandi quando entrambi collaboravano con “Paese Sera” quindi è molto probabile se non addirittura certo che fosse a conoscenza delle sue inchieste.
In questi anni Pasolini viene accusato di furto a mano armata ad un distributore di benzina al Circeo. Ad accusarlo è il benzinaio Bernardino De Santis con i suoi avvocati Zeppieri e Venronese. Il primo, membro del CMC, si ritroverà, sempre con il collega Veronesi, alla difesa di Angelo Izzo nel processo per il massacro del Circeo. La perizia psichiatrica dello scrittore viene resa pubblica dal già menzionato Aldo Semerari dall’Agenzia di informazioni per la stampa del direttore Roberto Zamboni. Il giudice Salvini nella Sentenza-ordinaria del Tribunale di Milano del 18 marzo 1995 accerta che il dottor Zamboni appartiene all’ambiente massonico. L’anello di congiunzione tra il processo per tentata rapina del 1961 e il processo per la morte di Pasolini nel 1975 è dunque Aldo Semerari che in un’intervista al settimanale “Gente” del 1° marzo 1976 affermerà quella che è sempre stata la sua linea ovvero che «Pasolini era andato alla ricerca di emozioni», in particolare di «un particolare tipo di incontro sessuale». Secondo Semerari, Pasolini si sarebbe andato a cercare una tale morte perché affetto da una patologia che lo spingeva a cercare rapporti sessuali pericolosi.
Certamente se le pagine di Petrolio autenticamente scritte dall’autore non vengono alla luce, è lecito supporre, dall’elaborazione delle informazioni raccolte, che Pasolini fosse ad un passo dalla scoperta dei piani del Centro Mondiale Commerciale. Afferma infatti di sapere i nomi dei responsabili delle stragi, si scaglia contro Andreotti, chiedendone un processo, scrive su Cefis, su Monti, contro Pio XII, contro Tambroni. Non solo, Pasolini viene denigrato già in vita dall’avvocato Giorgio Zeppieri, il quale poi articolerà una vera e propria opera di infangamento della memoria dello scrittore, con la partecipazione di Semerari. Entrambi questi due personaggi sono membri del CMC.
Da notare anche come il legale della famiglia Pasolini, Nino Marazzita, abbia detto solo a distanza di anni dal processo per la morte dello scrittore, che le indagini si sarebbero dovute muovere attorno alla figura di Giuseppe Mastini, detto “lo zingaro”. Nell’intervista rilasciata a Radio Radicale nel 2017 il giudice afferma che «c’era una volontà precisa di non arrivare ai mandanti perché se si scoprivano gli esecutori si sarebbero scoperti i mandanti»34.
Non solo nel processo per l’omicidio, ma anche negli altri processi di cui Pasolini fu protagonista si possono evidenziare delle stranezze. Le numerose denunce nei suoi confronti cominciano molto presto, ovvero da quella prima denuncia a Casarsa per atti osceni e corruzione di minore del 1949 che costringe lui e la madre a lasciare Casarsa e trasferirsi a Roma. A tal proposito nel libro collettaneo a cura di Laura Betti, Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, si sostiene che «Pasolini non sarebbe stato tante volte denunciato se non fosse esistito, all’inizio della sua carriera letteraria, il processo a Casarsa». I relatori sottolineano l’aspetto politico della vita giudiziaria dello scrittore affermando che “il rilancio della palla tra DC e PCI avviene ormai secondo un rito collaudato: il PCI accusa lo scrittore di aberrazione (in senso etimologico) ideologica, la DC lo fa processare per oscenità (cioè per aberrazione morale)”35.
Nella stessa raccolta, Stefano Rodotà precisa che «Pasolini rimane ininterrottamente nelle mani dei giudici dal 1960 al 1975». E da questa osservazione ne ricava un’analisi che accusa la magistratura di essere stata complice quando scrive che «se sono gli uomini medi a creare la gran parte dei pretesti, la magistratura li coglie al volo, li gonfia, li tiene in caldo; non esercitando il potere di archiviare denunce palesemente assurde, la magistratura se ne fa complice»36. Intanto la stampa coglie l’iter processuale come spunto per attacchi sulla moralità di Pasolini e delle sue opere letterarie e cinematografiche. Tanto che Pasolini dirà: “«Appena avrò un po’ di tempo», scrive in un appunto inedito, «pubblicherò un libro bianco di una dozzina di sentenze pronunciate contro di me: senza commento. Sarà uno dei libri più comici della pubblicistica italiana. Ma ora le cose non sono più comiche. Sono tragiche, perché non riguardano più la persecuzione di un capro espiatorio […]: ora si tratta di una vasta, profonda calcolata opera di repressione, a cui la parte più retriva della Magistratura si è dedicata con zelo…». E ancora: «Ho speso circa quindici milioni in avvocati, per difendermi in processi assurdi e puramente politici»”37.
L’autore era dunque ben conscio della censura che in ogni modo si cercava di attuare nei riguardi delle sue opere e della sua persona, tanto che fu anche vittima di agguati, come quello del 13 febbraio 1964 quando

davanti alla Casa dello studente di Roma, una Fiat 600 cerca di investire un gruppo di amici di Pasolini che difendevano quest’ultimo da un agguato fascista. A guidare l’auto è Adriano Romualdi, discepolo di Julius Evola e figlio di Pino, deputato e presidente del Movimento sociale italiano (Msi). L’episodio è riportato con dettagli e fonti in tutte le biografie di Pasolini, mentre è assente dalla voce che Wikipedia dedica a Romualdi 38.

Oppure i danni riportati dalla macchina dello scrittore dal reo confesso Paolo Pecoriello il quale aveva anche compiuto nel 1968 un attentato dinamitardo contro la libreria Rinascita di Reggio39.
La censura nei confronti di Pasolini è dilagante tanto che la Rai impedisce anche la messa in onda del programma Terza B: facciamo l’appello diretto da Enzo Biagi. La puntata che vede tra i protagonisti Pasolini andò infatti in onda solo dopo la morte dello scrittore, cinque anni dopo la registrazione.

6. Conclusione
Nonostante le indagini sulla morte di Pier Paolo Pasolini siano state riprese nel 1994, a quasi vent’anni dalla morte dello scrittore e a due anni dalla pubblicazione della sua ultima opera, Petrolio, furono anche immediatamente archiviate. L’ipotesi che parte dell’ambiente politico-economico avesse l’interesse di non entrare nel merito delle indagini di Calia, dà adito all’apertura di molteplici scenari. Sicuramente si può affermare che la morte di Pasolini porta con sé retroscena di cui è difficile parlare, e che probabilmente hanno avuto legami e ripercussioni sugli anni Ottanta e Novanta. Che queste trame abbiano oggi finito di essere tessute all’insaputa dell’opinione pubblica non è una cosa certa. La stessa apparente superficialità delle indagini sui fatti dell’Idroscalo e il silenzio che ha avvolto le indagini di Calia fa pensare che Pasolini stesse per mettere in luce un volto dell’Italia di cui ancora oggi si evita o si preferisce non parlare.
Le indagini di Calia e gli ulteriori sviluppi di Metta preparano uno scenario di possibilità da vagliare sul caso, sulla necessità di compiere un’analisi politico-sociale di Petrolio, edito ben 17 anni dopo la morte e bollato come il romanzo pornografico di un uomo che, secondo la maggior parte della critica, aveva bisogno di dare scandalo per tenere i riflettori puntati su di sé.
Pasolini stava invece compiendo la più precisa, oculata e reale ricostruzione di una storia italiana che ancora oggi, per volontà politiche di compiacenza e vergogna, viene taciuta o volontariamente dimenticata, come spesso accade in questo Paese.

Note

  1. “Veltroni: «La versione che lei sostenne quella notte come nacque?» Pelosi: «Diciamo che è stata imposta, perché a me hanno strappato l’anello che avevo comprato da uno steward Alitalia e loro l’hanno buttato là». L’intera intervista è riportata da Giommaria Monti nei numeri 50 e 51 di «Left», 23 dicembre 2011.
  2. Oriana Fallaci, Pasolini ucciso da due motociclisti?, in «L’Europeo», 14 novembre 1975.
  3. Meglio conosciuto come “Johnny lo Zingaro”, è un criminale italiano arrestato più volte per rapine e furti. Fu arrestato e condannato all’ergastolo per omicidio nel 1989.
  4. Gianluca Maconi, Il delitto Pasolini, Becco Giallo, Verona, 2011 [1a 2005], pp. 73-74.
  5. Martina Di Matteo, Simona Zecchi, La testimonianza di Guido Calvi, in Viaggio nella notte dell’Idroscalo su «i Quaderni de L’ora», Ila Palma Editore.
  6. G. Maconi, Il delitto Pasolini, cit., p. 74
  7. Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Einaudi, Torino, 1992
  8. Sulla critica alle opere di Pier Paolo Pasolini si veda Roberto Chiesi (a cura di) Una strategia del linciaggio e delle mistificazioni: l’immagine di Pasolini nelle deformazioni mediatiche, pubblicazione in occasione della mostra curata dal Centro Studi – Archivio Pier Paolo Pasolini della Cineteca di Bologna, Bologna, 2005
  9. Cfr. Questo è Cefis. La nuova edizione.
  10. Enzo Catania, Giallo Pasolini, Agar Edizioni, Varese, [1a 2006] 2007, p. 335.
  11. Ibidem, p. 340.
  12. Si riporta in nota l’intervista: “Venni subito licenziato da Eugenio Cefis, nel momento in cui trasformò l’Eni da industria petrolifera, in una specie di banca e di multinazionale degli affari. E poiché io ero interessato allo sviluppo delle zone più povere della Sicilia, non potevo mostrare simpatia per le sue spericolate manovre finanziarie” Ibidem, p. 342.
  13. L’insieme delle imprese costituite nella forma di società per azioni di cui lo Stato è azionista
  14. Come si apprende dalla prefazione della ristampa di Questo è Cefis l’altra faccia dell’onorato presidente edita da Effige nel 2010: “la lettera di Fachinelli a Pasolini, datata 20 settembre 1974: «Caro Pasolini, le faccio avere una conferenza di Cefis e una fotocopia del libro su di lui, ritirato. Forse le possono servire»”, p. IX.
  15. Nel 1962, all’epoca della morte di Mattei, il Consorzio per l’Iran, ovvero il cartello di compagnie petrolifere che dominava per fatturato la produzione petrolifera mondiale, era composto da: Standard Oil of New Jersey, poi Esso; Royal Dutch Shell, Anglo-Persian Oil Company, meglio nota come British Petroleum, BP; Standard Oil of New York, poi Mobil; Texaco; Standard Oil of California; Gulf Oil.
  16. E. Catania, Giallo Pasolini, cit., p. 356
  17. Ibidem, p. 357
  18. Oriana Fallaci, Pasolini ucciso da due motociclisti?, in «L’Europeo», 14 novembre 1975
  19. È possibile leggere la trascrizione dell’intervista nel libro di Simona Zecchi, Pasolini, massacro di un poeta, Salani Editore, Milano, 2015, pp. 24-25 e note
  20. Ibidem, p. 101
  21. Cfr.
  22. P. P. Pasolini, Petrolio, cit., 542-546
  23. Nota manoscritta firmata Turi, riportata nel volume di Vincenzo Calia, Sabrina Pisu, Il caso Mattei, Chiarelettere, Milano, 2017, p. 185
  24. G. D’Elia, “Petrolio”, la bomba di Pasolini
  25. V. Calia, S. Pisu, Il caso Mattei, cit., p. 182.
  26. Eugenio Occorsio, L’oro nero di Gioacchino, in «la Repubblica», 21 novembre 1994,
  27. “Mi ricordo bene quello che mi disse – aveva dichiarato Mazzon riguardo alla seconda telefonata: «Sono venuti i ladri in casa, hanno rubato della roba, gioielli e carte di Pier Paolo»”, S. Zecchi, Pasolini, cit., pp. 194-95.
  28. Carla Benedetti, Giovanni Giovannetti, Frocio e Basta, Effige, Milano, [1a 2012] 2016.
  29. Giorgio Radice, La mia patria si chiama multinazionale, in «L’erba voglio», n°6, 1972.
  30. Ibidem
  31. Una coppia nell’Italia delle trame, in «la Repubblica», 17 novembre 1990. La squadra di Mangia è ben descritta nel libro di Simona Zecchi al cap. VIII, Figure per una strategia.
  32. Michele Metta, Lampi sull’Eur. Il CMC e l’assassinio di Pier Paolo Pasolini, Edizione indipendente, 2016.
  33. Pier Paolo Pasolini, Perché il Processo, nel «Corriere della Sera», 8 settembre 1975
  34. Cfr. L’uccisione di Pier Paolo Pasolini: morto Pino Pelosi, intervista con l’avvocato Nino Marazzita
  35. Laura Betti (a cura di), Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, Garzanti, Milano, 1977, p. 60
  36. Ibidem, pp. 287-88.
  37. La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia
  38. Ibidem
  39. Cfr. di Eduardo M. Di Giovanni, Marco Ligini, Edgardo Pellegrini, La Strage di Stato. Controinchiesta, Roma, Odradek, 2006 (1970).

tag: ,

Questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International. Copyright (c) 2019 Marika Martina