Bibliomanie

Mario Untersteiner, la fisiologia del mito
di , numero 31, ottobre/dicembre 2012, Saggi e Studi,

Come citare questo articolo:
Carmen Del Monte, Mario Untersteiner, la fisiologia del mito, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 31, no. 8, ottobre/dicembre 2012

Lo scopo dichiarato dell’indagine filosofica di Mario Untersteiner intorno al pensiero mitico è ritrovare le tappe del passaggio dal mito al logos:

< “Che l’evoluzione del pensiero greco, dalle sue più remote origini alla sofistica, si possa definire un graduale passaggio dal mito al logos, può considerarsi come un principio ormai chiaro […] Ma finora, per quello che a me sembra, sono state messe in rilievo solo le tappe successive di questo moto spirituale, senza che ne venissero rintracciati gli spunti genetici nel loro formarsi e negli interni sviluppi progressivi” 1.

Non c’è problematicità irrisolta quindi nel rapporto di filiazione storico-genetica che dal mito ha portato al logos, e il principale – e meno dubbioso all’apparenza – filo conduttore dell’indagine è ritrovare l’esatto percorso delle tappe di questo passaggio, e il vero quesito da risolvere è, secondo Untersteiner, l’equivoco mai chiarito nella giusta articolazione della questione; essa è stata mal posta perché “si è avuto di mira il logos più del mito, il punto di arrivo invece del punto di partenza2. Si tratta perciò di indagare e portare alla luce i successivi cambiamenti del mito all’interno delle varie fasi della civiltà ellenica per ritrovare quel filo rosso della razionalità che ha condotto allo sviluppo della cultura occidentale. Nel mito il logos ritrova pre-formate le proprie categorie perché “il logos si chiarifica come un fenomeno naturale e necessario”3.
Ma cos’è il mito per Untersteiner? Più che darne una definizione – a suo parere impossibile – si può tentare del mito solo una precisazione descrittiva:

“Il mito è un racconto religioso, i cui protagonisti sono degli dei, esseri divini ed eroi; le loro azioni si svolgono nel più lontano passato: per gli Elleni, nell’età anteriore all’invasione dorica”4

e

“il mito va considerato come «una suddivisione del racconto religioso» […] il racconto religioso è dunque quella parte […] nella quale il rapporto dell’uomo con dio si manifesta in racconti e relazioni. Secondo questa definizione anche il mito è parte della religione”5.

La conclusione di Untersteiner è che:

“in origine mito e religione erano identici: la differenziazione fra le due manifestazioni dello spirito ebbe inizio quando i miti presero un fondo storico […] oppure quando si colorirono di un intento etico, o allegorico o eziologico”6.

Il legame tra mito e religione richiama il problema del rapporto tra mito e culto, rapporto che Walter F. Otto7, ricordato anche da Untersteiner, ritiene indispensabile per stabilire l’effettiva genuinità del mito; e al di là del rapporto tra mito e religione ritiene che il mito abbia una funzione conoscitiva, per quanto confusa e declinata attraverso l’immaginario.

“Il mito da una risposta alle domande: che cosa? Come mai? Perché? […] Si tratta naturalmente di una risposta offerta non dalla ragione che indaga rigorosamente, ma dalla fantasia, la quale tenta di trasformare quello che è oscuro, conturbante, minaccioso o rasserenante in una visione facile per l’uomo […] la concezione mitica è il primo stimolo all’impulso verso il sapere”8.

La forma di espressione del mito e del suo sapere, un sapere che sta tra la religione e la metafisica, è il racconto, e la diversità dell’accadere mitico narrato si ritrova esclusivamente nell’essere un evento dell’origine. Seguendo la lezione di Eliade e di Cassirer, che in questa ottica si possono avvicinare, se pur con molta cautela, l’universalità del mito, e quindi la sua possibile, e, in questa accezione del discorso, inevitabile estensione a tutte le civiltà conosciute consiste appunto nella definizione del mito come racconto originario (Eliade) e del mito come essere dell’origine (Cassirer). È facile a questo punto ritrovare l’eco del mito platonico e Untersteiner lo riporta attraverso una frase di Paula Philippson: “l’ordinamento sorto dall’incontro dell’essere con il divenire si contempla per mezzo del mito”9, Unica forma narrativa in grado di raccontare il passato originario e di rendere ragione del mondo degli uomini.
Nell’evoluzione del mito ellenico Untersteiner ritrova in nuce oggetti e problemi della razionalità moderna, ed è questo il nodo della sua ricerca. A chiusa dell’introduzione egli scrive:

“Mi propongo quindi di collegare un’infinità di conquiste fatte dalla scienza, allo scopo di proiettarle nella storia del problema che a noi interessa. Si tratta pertanto di ricostruire, risalendo alle più lontane origini della spiritualità degli Elleni, quelle concezioni che, ricche di contenuto, dovevano svilupparsi rifrangendosi in mille aspetti fecondi di problemi e delle relative soluzioni. L’opera del logos fu quella di discernere gli uni ed escogitare le altre”10.

Untersteiner non cerca di argomentare quello che ritiene oramai una conquista acquisita: la derivazione del logos dal mito. Esclude quindi dalla sua ricerca una questione che invece da altri verrà minuziosamente sviscerata. E parte dall’assunto che nel mito agisce il logos:

“Le […] trasformazioni [del mito] sono state determinate da quella antitetica forza che è il logos. Questo insinuatosi nel mito per varie guise, gli ha impresso funzioni continuamente rinnovate, fino a che ne ha soverchiato la spiritualità per affermare se stesso”11.

Il logos viene definito da Untersteiner come un fenomeno naturale e necessario. Ma perché da un lato tanta certezza nell’affermare come dato indiscutibile un legame genetico, che non deve essere argomentato altrimenti, ma è solo da ricostruire con un’accurata indagine quale quella da lui compiuta, e dall’altro la forte sottolineatura di una antiteticità e, di conseguenza, un’impossibile coesistenza, fra mito e logos? Perchè l’oggetto di entrambi è il vero, la verità, e non è possibile che vi siano due modi di argomentare la verità. Il mito si presenta nella storia greca come verità degli dei che progressivamente si modifica in verità degli uomini. In questa trasformazione, che occupa tutto l’arco della civiltà ellenica dalle sue origini all’ellenismo, l’azione del logos, dice Untersteiner, diviene sempre più evidente fino a soppiantare in maniera definitiva la modalità del raccontare mitico e a sostituirla con la tecnica della dialettica e dell’età dei sofisti. E nel terzo capitolo, “L’umano nel mito (Omero ed Esiodo)”, Untersteiner crede di rintracciare le categorie del pensiero in quello che ritiene essere momenti cruciali della trasformazione del mito (come le migrazioni o l’invasione dorica), e nella narrazione omerica ritrova il primo momento del giudizio dell’uomo, il momento del rapporto del singolo con la polis, il momento dell’incertezza e dell’indecisione che, egli sostiene, è dell’uomo e non dell’eroe:

“Priamo, Ettore, gli altri eroi troiani e gli stessi Achei dovevano domandarsi quale atteggiamento conveniva loro tenere di fronte a Elena, e la risposta poteva essere contrastata: nell’indecisione si delinea il problema interiore, la coscienza che deve decidere. L’eroe si emancipa dal divino: come deve contare solo su di sé nel ristretto ambito della polis, così si riferisce prevalentemente alla propria persona, quando gli tocca giudicare intorno alle più alte questioni del bene e del male” 12.

La definitiva sanzione della verità umana nel mito Untersteiner la ritrova nei tre passi omerici che raccontano la morte di Agamennone. La narrano Nestore, Menelao e lo stesso Agamennone. Nella diversa attribuzione della responsabilità dell’assassinio – per Nestore e Menelao deve ricadere su Egisto, per Agamennone su Clitemnestra – egli vede l’evoluzione dalla figura sacra del re nell’umana persona dolente:

“Là dove si era agitata una figura divina esponente di un sacro mistero, rimane solo l’aspetto doloroso di questo con la rassegnazione più crudele nell’animo della vittima troppo conscia del senso ultimo delle cose umane” 13.

In breve, comincia il distacco operato nel mito della volontà degli dei dal destino degli uomini, poiché in Omero, come dimostra il destino di Egisto, l’uomo “è padrone della propria psiche e, per conseguenza, della sua volontà nel senso psicologico e nel senso morale”14. È possibile ritrovare analoghi esempi per quello che riguarda la funzione conoscitiva del mito che Untersteiner esemplifica attraverso l’analisi della Teogonia di Esiodo:

“si può ben dire che l’opera di sistemazione che del mito ha attuata Esiodo, tanto in senso verticale, quanto in senso orizzontale, segna un primo passaggio dal mito alla scienza”15.

Esiodo razionalizza il concetto di physis, e Untersteiner seguendo la lezione di Jaeger16 trova nell’introduzione della figura di Eros come potenza cosmica la chiave per definire la mentalità teologica di Esiodo; e l’ulteriore metamorfosi del mito dopo quella omerica si compie nella Teogonia,la quale culmina nella nuova accezione del Caos, del nulla, che diviene non essere contrapposto all’essere. Come riporta Untersteiner da Rodolfo Mondolfo17, Esiodo vuole affermare che “Ogni esistente esiste per il fatto che si distingue (spazialmente, temporalmente, logicamente) di fronte a un vuoto non essere”18.
Untersteiner quindi legge i miti esiodei in chiave scientifica, intendendo con ciò che il linguaggio poetico del mito viene posto al servizio di una ricostruzione razionale dell’esistente19 ed esamina i miti esiodei a partire da questa prospettiva. Il nodo della questione viene posto nella concezione storica in cui Esiodo, a detta di Untersteiner, pone una “tonalità nettamente razionalistica, […] umana ed etica a un tempo”20.
La concezione ciclica della storia di Esiodo, che sembra significativa per negare21 nella sua opera quella scientificità che Untersteiner vuole attribuirgli, viene brevemente liquidata come caratteristica del pensiero greco, e viene altrettanto brevemente giustificata con la tesi che:

“Il suo originario significato naturalistico [dell’antica idea di ciclo] si umanizza in una visione filosofica, per il fatto della stretta correlazione, già rilevata, fra l’idea di ciclo e quella dell’impossibilità della creazione ex nihilo e di un ritorno in nihilum”22.

In realtà, la concezione ciclica della storia, che si ricollega strettamente al problema del tempo, e della distinzione tra tempo mitico e tempo storico che tanta importanza ha nel dibattito di queste questioni, e che si ritrova in molte narrazioni mitiche, spesso risulta essere un ostacolo insormontabile per tutti coloro, compreso Untersteiner, che nel pensiero mitico credono di poter ritrovare le stesse categorie del pensiero logico. Non a caso l’idea del tempo ciclico, e una narrazione mitica in cui esso viene esplicitato, ritorna solo nel panorama contemporaneo con la rivolta nietzscheana contro una visione strettamente positiva della scienza.
La riduzione del pensiero mitico un ambito razionale con l’individuazione di categorie e idee elaborati dal pensiero occidentale trova quindi un primo ostacolo nel tempo mitico che non si lascia ridurre entro schemi prestabiliti. E la prima distinzione tra mito e ragione viene quasi sempre indicata e ritrovata nel momento in cui il racconto mitico entra nella storia, come nel caso di Esiodo nella lettura di Untersteiner. Ciò che però rende fallace questo discorso è appunto l’individuazione del momento in cui avviene questo passaggio. Sempre che si sia intimamente convinti che questo passaggio avvenga. È davvero possibile stabilire quando, nel mito, si passa dal mito alla storia?

Il primo tentativo in questo senso è stato fatto, in età moderna, da Schelling. La storia, dice Schelling nella Filosofia della mitologia, comincia con la Rivelazione. Tutto ciò che la precede appartiene al tempo mitico e non al tempo storico. Ma l’intento di Schelling, nel fare una netta e precisa distinzione tra mito e storia è chiaro: il suo intendimento era salvare un ambito religioso dall’analisi storica e razionale, analisi che già nel secolo precedente con le opere di Bayle e Spinoza aveva avuto come oggetto proprio i testi sacri. Egli quindi aveva come scopo dichiarato quello di salvare un ambito metafisico indicandolo come empiricamente non indagabile; ma questa distinzione schellinghiana è rimasta nella tradizione della cultura, ed è stata assunta anche per sostenere tesi che con Schelling hanno poco a che vedere; operazione legittima certamente, ma che deve essere argomentata: in caso contrario resta solo il dogmatismo di una presa di posizione. Perché proprio l’opera di Esiodo deve segnare lo spartiacque tra tempo mitico e tempo storico se non per la personale volontà di chi fa questa distinzione e si arroga la pretesa, questa si mitica, di fissare un momento nel divenire, un posto di confine dopo il quale c’è il tempo?
Untersteiner aveva aperto la sua opera con una dichiarazione di intenti molto precisa: indagare il percorso dal mito al logos partendo dal mito. In realtà la sua partenza dal mito è perlomeno equivoca. Il gioco sotteso, mai esplicitato, ma visibile a una lettura attenta, è in realtà molto diverso. Untersteiner non esce mai dal logos, in questo consiste l’unico vero mito de La fisiologia del mito, nell’incomprensione dell’impossibilità del discorso razionale per spiegare il mito. Non esiste un mito spiegato, non esiste un mito che possa essere ricondotto al logos senza divenire altro da sé.

Note

  1. Mario Untersteiner, La fisiologia del mito, Torino, Bollati Boringhieri, 1991 (2), p. 9.
  2. Ibidem
  3. Untersteiner, op.cit., p. 8.
  4. Untersteiner, op.cit., p. 10.
  5. Ibidem
  6. Untersteiner, op.cit., p. 3.
  7. W.F. Otto, Il volto degli dei. Leggi, archetipo e mito, Fazi editore, Roma, 1996; ed. or. Gesetz, Urbild und Mythos, 1955, Wissenschaftliche Buchgesellschft, Darmstadt.
  8. Untersteiner, op.cit., pp. 4-5.
  9. Paula Philippson, Origine e forme del mito greco, Bollati Boringhieri, Torino, 1944, cit. in Untersteiner, op.cit. p.8.
  10. Untersteiner, op.cit. p.10.
  11. Untersteiner, op. cit., p.XI.
  12. Untersteiner, op. cit., p.96.
  13. Untersteiner, op. cit., p.104.
  14. Untersteiner, op. cit., p.108.
  15. Untersteiner, op. cit., p.129.
  16. W.Jaeger, The Theology of Early Greek Philosophers, Oxford, 1947.
  17. R.Mondolfo, Problemi di comprensione del soggetto umano nell’antichità classica, Firenze, 1958; L’inifinito nel pensiero dell’antichità classica, Firenze, 1958 (2), Problemi del pensiero antico, Bologna, 1936.
  18. Unterstener, op.cit., p. 133.
  19. L’interpretazione di Vernant della Teogonia esiodea ha molti punti di contatto con questa lettura.
  20. Unterstener, op.cit., p. 138
  21. Qui si potrebbe aprire una ipotesi di lettura molto interessante: il tempo mitico viene considerato ascientifico – quando non antiscientifico – prioprio in virtù della sua ciclicità. A mio avviso non solo il tempo mitico non è sempre circolare, il tempo delle religione monoteistiche non lo è certamente, – o in esso si possono ritrovare entrambe le concezioni e penso in particolare alla tradizione del giudaismo ortodosso – ma la sua ciclicità non può di per sé essere considerata antitetica a un pensiero razionale. Nell’ambito degli studi storici, per esempio, almeno due grandi studiosi – anche se difficilmente comparabili fra loro – come Michelet e Bachofen, si distinguono, in maniera diversa, per una concezione del tempo che non può certo definirsi lineare.
  22. Unterstener, op.cit., p. 136.

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