Bibliomanie

Sociologia delle biblioteche. Un primo taccuino al tempo della globalizzazione digitale
di , numero 53, giugno 2022, Note e Riflessioni, DOI

Sociologia delle biblioteche. Un primo taccuino al tempo della globalizzazione digitale
Come citare questo articolo:
Andrea Pitasi, Sociologia delle biblioteche. Un primo taccuino al tempo della globalizzazione digitale, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 53, no. 22, giugno 2022, doi:10.48276/issn.2280-8833.9997

Come saranno le biblioteche del prossimo futuro? Le scienze in generale e quelle politico-sociali in particolare non hanno capacità predittiva-previsionale, dato che anche l’ipotesi più accurata non è altro che un’ipotesi. Il futuro si progetta, si modella, si costruisce, ma non si prevede. Il principio è lo stesso per il quale, negli ospedali, si mettono rilevatori di fumo ed estintori. Essi non servono a nulla in chiave predittiva-previsionale: servono esclusivamente per domare il fuoco qualora scoppi un incendio.
Come potremo immaginare, inventare le biblioteche del prossimo futuro? Per certi versi, il futuro è già cominciato e alcuni tratti già si vedono, mentre altri li abbozziamo progettandone il consolidamento. Le biblioteche del prossimo futuro:
1. Avranno un’atmosfera in cui Gemuetlichkeit, Fremdheit ed Entfremdung si misceleranno sapientemente. Vediamo un poco più in profondità che s’intende: “La miglior forma di ospitalità nei confronti di uno straniero che arriva in casa mia mi sembra quella di abbandonare la mia casa e diventare io stesso un po’ straniero” (Ortega y Gasset, 1994: 9). Ambienti assolutamente accoglienti, confortevoli magari shabby chic in stile Starbucks e scaffalature, chiuse con leggere vetrate, in un design che potremmo definire un’Ikea luxury, un top di gamma di questo celebre marchio, per non intimorire l’utente con immotivate riverenze e futili barocchismi, volumi, immediatamente riconoscibili e individuabili a colpo d’occhio al di là degli scaffali a vetrinetta, magari pure illuminati dall’interno.
Biblioteca con dentro caffetterie, toilettes ecc. organizzate per garantire la miglior igiene ambientale possibile, poche chiare regole al pubblico per una convivenza e una fruizione civili e gradevoli. Un ambiente in cui si vorrebbe restare per ore, incuranti del tempo, senza però rinunciare ad essere connessi , anzi esserlo è intrinseco di ogni biblioteca importante e ben progettata. Tutta questa è la Gemuetlichkeit che rende accogliente, confortevole e user friendly la biblioteca al suo visitatore, anche al più occasionale. Ma la biblioteca, sociologicamente intesa, riverbera il tratto caratterizzante della disciplina: “la sociologia […] vuol essere la garante dell’egemonia della ragione su tutti gli aspetti della vita in comune” (Moscovici, 1991: 486). Orbene sin dai classici della sociologia.
Grazie a Durkheim, Weber, Pareto e Ortega y Gasset – tanto per citarne quattro quasi a caso – sappiamo che l’uomo non è fatto di sola ragione, e sarebbe dunque del tutto irrazionale crederlo del tutto razionale. La sociologia tenta, con i suoi progetti più o meno felici, di scongiurare che il timone e il comando di quella nave chiamata società passi ad altri che non sia la ragione, ben sapendo però che a bordo c’è di tutto, e soprattutto che comandanti meno accorti potrebbero finire vittima di ammutinamenti nitidamente descritti, ad esempio, dall’irrazionalismo delle piazze dell’anarco-individualismo di Sorel (1970). Come proteggere comandante e nave dal rischio di tali irrazionali ammutinamenti? Qui entra i scena la Fremdheit, ovvero quel senso di astrazione, distacco e scarsa familiarità, seppur formalmente garbata e cortese, tra il personale – il minimo indispensabile, dato l’approccio fortemente tecnologico dell’ambiente biblioteca, ovviamente munito di videsorveglianza, qrcode e codice a barre su ogni libro e di ogni tecnologia che renda libero il visitatore di fruire del testo senza però dargli la possibilità di appropriarsene indebitamente.
A ciò si aggiunge la Entfremdung. Entrambi i termini Fremdheit ed Entfremdung contengono il sostantivo Fremd (straniero): sarebbe tuttavia una grave errore ritenerle sinonimi. Entfremdung è un sostantivo che ha goduto e gode di tanta, troppa fraintesa celebrità per colpa di Marx che, rammentiamolo, era uomo dalla Bildung piuttosto disorganizzata e modesta, da autodidatta, persino nella conoscenza della propria Muttersprache. Con un uso decisamente a sineddoche del termine – in sé assai più ricco – Marx riduce Entfremdung ad alienazione ben presto connotata negativamente sia dall’opinione pubblica sia da quei critici bravissimi a recensire le quarte di copertina.
Entfremdung è un processo di estraneazione – sovente cosciente, consapevole ed intenzionale dunque con nulla a che fare con l’alienazione intesa come frammentazione di sé in un mondo (percepito come) parcellizzato. Estraneazione cosciente, consapevole e intenzionale da che cosa? Dal senso comune, dal mondo dato per scontato (Berger-Luckmann 1966; Berger 2012), dalla tradizione. Il problema è il seguente: il senso comune prende forma da tre origini:
1.1 La vox populi fatta di “da che mondo è mondo sì è sempre fatto così”, che è la morte cognitiva ed evolutiva della nostra specie. Morti che camminano.
1.2 I finti “sistemi di pensiero” modelli puramente emozional-percettivo-assiologici camuffati e presentati al proprio come fossero un sistema di pensiero (lo è invece il corpus delle tre Critiche kantiane, per intenderci).
1.3 Le scoperte scientifiche del passato divenute obsolete in campo scientifico ma divenute “senso comune colto” per la vox populi. Qui vengono facili e immediati due esempi.
1.3.1. Quando Freud nella Vienna fine Ottocento (Kandel, 2016) elabora il suo metodo psicanalitico basato sulle pulsioni sessuali compie una rivoluzione scientifica e sociale nel suo tempo, rivoluzione che induce a ripensare il Mensch tout court anche in una sintesi tra arte e scienza sino a quel momento inedita. Eccellente contributo che però gli stessi allievi (da Jung a Frankl via Adler) svilupperanno e correggeranno, finché per gli scienziati il metodo freudiano si rivelerà presto un caso di riduzionismo metodologico da abbandonare. Per i peggiori intellettuali – rivenditori salottieri di idee di seconda o terza mano – invece Freud diventa una celebrità – col già menzionato Marx. I due a braccetto ispirano (loro malgrado, ovviamente) movimenti sociali, scontri di piazza e opuscoletti ad uso di operai spesso poco più che analfabeti. Il Verbo Freudo-Marxista diventa vox populi quando Freud è già stato archiviato dalla scienza che poco dopo con la scomparsa dell’ URSS farà fatica a non archiviare Marx. A quel punto popperianamente falsificato, nondimeno la vox populi e gli intellettuali (tra cui rientra il peggio del giornalismo) nel senso anzidetto continueranno a prendere Marx sul serio, ma guardando geopoliticamente al pianeta di oggi di Marx non vi è traccia da tempo, di Marx meno che mai in Cina e Russia, considerate negli anni ’60 e ’70 del XX secolo le eccellenze del marxismo applicato.
1.3.2. Nel 1972 esce un volume coprodotto dal MIT e dal Club di Roma dal titolo The limits to Growth al quale faranno seguito Beyond the Limits to Growth nel 1992 e The limits to Growth 30 Years Later. Orbene, tale corpus di lavori – che hanno ancor oggi un enorme impatto socio-politico sui temi dell’opinione pubblica, si rifanno al paradigma sistemico tutto/parti figlio degli anni Cinquanta. Nel 1972 era ancora assai considerato, seppure in declino, ma alla fine egli anni ’70 era già stato rimpiazzato dal paradigma sistema/ambiente (Luhmann, 1990). Di fatto, tutti i lavori MIT-Club di Roma del periodo 1972-2003 (non ve ne sono di successivi, a quanto mi consta) sono rimasti nel paradigma precedente: così intellettuali, opinione pubblica, politica e senso comune, oggi, stano dibattendo la questione ecologica su un paradigma obsoleto da almeno 40 anni, non da oggi. Errore mortale sarebbe confondere il consenso socio-politico attorno a una teoria o a un paradigma per una validazione scientifica della o dello stesso.
La biblioteca del prossimo futuro, specie se universitaria e/o al mondo universitario connessa, avrà il compito di ricombinare/riconfigurare, a tutta velocità, la cinghia di trasmissione scienziati/studiosi-intellettuali/opinion leader-politici ed altre public faces attoriali meramente esecutive e non creatrici di conoscenza-opinione pubblica-senso comune e tradizione.
Non a caso, con la consueta, fonda raffinatezza Goethe scriveva all’alba dell’Ottocento: “Per metterci a costruire, risaliamo coi pensieri dal futuro e torniamo al presente” (Goethe, 2013: 104). Prendiamolo alla lettera: immaginiamo una scuola superiore italiana del 2050 (ma spererei prima!) in cui non si studia più Dante e la sua Divina Commedia. Sarebbe nessuna perdita già oggi per un generazione che, abituata a Twitter, è più facile ritenga più verosimile Star Wars che la Divina Commedia. Perché si studia ancora Dante? Per quel riciclo mentalmente malsano di idee e roba vecchia che però permette ad alcuni intellettuali (la parte peggiore dei docenti di Lettere delle superiori) di iniziare a insegnare, poniamo, a 25 anni e a mettere quindi il pilota automatico della didattica, ripetendo le stesse lezioni per quaranta anni a generazioni che si succedono sui banchi sempre più disincantate, demotivate, disinteressate e annoiate davanti a cotanta obsolescenza. Ma per quaranta anni il docente avrà insegnato a costo zero di soldi ed energie per sé.
Chissà, forse nel 2050 si sarà compreso che “qualità della Bildung” e “scuola” sono due concetti tra loro del tutto estranei.
2. Saranno architettonicamente e urbanisticamente ispirate alla filosofia opposta di quella delle biblioteche della gretta, volgare e cortigiana società dell’Antica Roma: pompose, monumentali, maestose tout court, ma sostanzialmente vuote quelle dell’Antica Roma (Campbell-Pryce 2020: 62-76), molto più piccole e leggere, per nulla maestose né ostentatrici di potere, ma invece knowledge intensive le nostre.
3. Luogo non tanto e non principalmente di archiviazione e conservazione della conoscenza, quanto di ricombinazione, riconfigurazione della stessa. Tale aspetto è stato di certo accelerato e potenziato dalla digitalizzazione, ma non è nato con essa; variatis variandis, lo aveva già intuito Ortega y Gasset: “Finora il bibliotecario si era occupato essenzialmente del libro come oggetto materiale. Da adesso in poi dovrà prendersi cura del libro in quanto funzione vivente” (Ortega y Gasset, 1994: 42), o forse, per dirla con Borges ed Eco (2006), come pianeta o stella vivente di un universo infinito chiamato biblioteca.
Ma Ortega y Gasset non ha intuito e colto tutto con pienezza: ad esempio, il suo lamentarsi di troppi libri esistenti – prodotti torrenzialmente nuovi ogni giorno, che vanno a formare una selva selvaggia in cui il bibliotecario diventerebbe l’igienista mentale e ambientale del lettore (cfr. Ortega y Gasset, 1994: 43-48) – non è fondato alla luce delle attuali teorie della complessità, in cui l’abbondanza e la varietà sono risorse preziose da selezionare solo in via contingente e mai permanente (Luhmann, 1990).
4. Pur restando, per i volumi tangibili, ancora modellata su librerie a muro per almeno qualche decennio, il numero di volumi posseduti da una biblioteca non sarà più in sé rilevante, anzi, entro certi limiti di credibilità, tanti meno volumi purché di gran pregio, tanto più importante la collezione. Scaffalature fisiche per volumi tascabili economici ecc. non avranno più senso e, men che meno, probabilmente per testi prettamente scolastico-universitari. Tutte quelle tipologie librarie, presumibilmente, rifluiranno su supporti digitali – oggi diremmo tablet, ma già questo medium sta diventando obsoleto rispetto agli orizzonti delle migliori tecnologie d’oggi.
5. Meno scaffali ma più grandi e più raffinati, nessuno scaffale aperto più (tutti ad esempio con ante di vetro o altro materiale protettivo e leggero) per ospitare:
5.1. Prime edizioni in lingua originale
5.2. Edizioni a tiratura limitata certificata
5.3. Volumi autografati e/o con alte peculiarità rilevanti
5.4. Edizioni hardcover, di grandi dimensioni di pregio anche merceologico, ad esempio riccamente illustrate o decorate.
5.5. Tutti questi comunque egualmente anche digitalizzati per offrirne la fruizione ad un pubblico più vasto e che probabilmente avrebbe un approccio maldestro a volumi di tale riguardo e delicatezza.
6. La stragrande maggioranza dei volumi sarà digitalizzata accessibile anche da workstations in sede per i casi di emergenza ma ovviamente accessibili online da ovunque. Decisivo al riguardo sarà lo sviluppo dell’open access, delle politiche della WIPO e della condivisione di format contrattuali tipo Creative Commons.
7. Sarà un ambiente sotto tutela sanitaria (mascherine e guanti usa e getta per bibliotecari e pubblico), sistemi di aerazione ed illuminazione adeguati, opportune misure antincendio ecc.: tutto ciò allo scopo di proteggere i volumi.
8. Gli edifici che ospiteranno le biblioteche saranno stati progettati a tale scopo e relative funzioni. Biblioteche in antiche Chiese/Basiliche/Monasteri ecc. saranno un serio problema se la loro struttura plurisecolare non dovesse garantire un pieno adeguamento tecnologico al mondo digitale, intangibile, immateriale, ma questo è un nodo che richiederebbe (e probabilmente richiederà) un apposito saggio, e che non si può comunque liquidare né con un conservatorismo immobile né con la logica delle ruspe.
9. Per i volumi tangibili, il prestito interbibliotecario è strategico e decisivo (Eco, 2006) ancor oggi, magari prevedendo anche meccanismi di home delivery per ampliare il più possibile il territorio geografico di potenziale fruizione dei volumi ma entro quality standards degli utenti per poter ricevere, a volte, volumi davvero di pregio.
10. Una biblioteca all’altezza dei tempi futuri e venturi, terrà certamente presenti i quattro ambiti evolutivi della storia del libro:
10.1. Rezeptionsgeschichte
10.2. Storia comparata e globale
10.3. Bibliografia materiale
10.4. New media, società di rete e digitalizzazione
considerandoli però (cfr. Barbier, 2005: 16-17) come confini di senso mobili e non come rigide strutture.
11. Per questo la biblioteca del prossimo futuro sarà anche l’incubatore della nuova bibliopea, articolata nei seguenti tre punti:
11.1. Bildung e funzione dell’autore nella società complessa, connessa e intangibile (Pitasi, 2008; Pitasi – Ferone, 2008).
11.2. Logica strutturale e tecnologia ovvero l’evoluzione della bibliografia materiale di cui a punto 10.3 una tavoletta di argilla o di legno, una pergamena uterina, un rotolo, un codex via via fino ad un ebook descrivono un processo evolutivo che modella una costellazione intangibile (Normann, 2001).
11.3. Retorica stilistica e lettorato, ove la retorica con la sue figure (metafora, sineddoche, ossimoro, analogia ecc.) costituisce la sintassi universale e metalinguistica di ogni costruzione testuale.
12. Saranno luoghi a barriere architettoniche zero.
13. Saranno luoghi dove, a differenza della scuola, non si darà tregua all’obsolescenza gnoseologica anche valorizzando il meglio degli intellettuali tra cui il meglio de docenti delle medie superiori e inferiori nonché delle primarie nonché il meglio del giornalismo autentico e di qualità che ancora esiste, benché sia merce sempre più rara.
14. Saranno luoghi per attività seminariali, convegnistiche sempre blended, ove il pubblico in sala sarà solo una piccola parte del potenziale pubblico planetario raggiungibile, specie con l’uso strategico delle più importanti lingue vive e l’attenzione su temi di rilevanza globale, planetaria, “universale” (non si pensi solo, più o meno con tedio, alla geopolitica: amore, sesso, successo, denaro, paura, violenza ecc. sono tutti temi universali, ad esempio). Una biblioteca meramente fisica e solo per il proprio territorio, nonché attenta a soli fenomeni locali, sarà semplicemente un anacronismo.
Mi fermo qui prima che l’echiana “vertigine della lista” mi travolga, e mi fermo qui anche perché per scrivere questo cammeo ho saltato il pranzo e, a stomaco vuoto, non reggono né corpo né spirito. Cartesio aveva torto marcio e io vado a concedermi una lussuosa merenda.

Orientamenti bibliografici minimi
F. Barbier, Storia del libro, Bari 2005
J.W.P. Campbell – W. Pryce, La biblioteca. Una storia mondiale, Torino 2020
U. Eco, De Bibliotheca, in C. Hofer, Biblioteche, Milano 2006
J.W. von Goethe, Le affinità elettive, Milano 2013
C. Hofer, Biblioteche, Milano 2006
E. R. Kandel, L’età dell’inconscio, Milano 2016
N. Luhmann, Sistemi sociali, Bologna 1990
S. Moscovici, La fabbrica degli dei, Bologna 1991
R. Normann, Ridisegnare l’impresa, Milano 2001
J. Ortega y Gasset, La missione del bibliotecario, Milano 1994
A. Pitasi, Un seimiliardesimo di umanità, Milano 2008
A. Pitasi – E. Ferone, Il tempo zero del desiderio, Milano 2008
G. Sorel, Scritti politici, Torino 1970.

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