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Identità, sport e Lega Nord: la nazionale padana di calcio
di , numero 52, dicembre 2021, Saggi e Studi, DOI

Identità, sport e Lega Nord: la nazionale padana di calcio
Come citare questo articolo:
Sergio Giuntini, Identità, sport e Lega Nord: la nazionale padana di calcio, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 52, no. 7, dicembre 2021, doi:10.48276/issn.2280-8833.9599

Identità, sport e Lega Nord: la nazionale padana di calcio
Mentre si disputa il primo campionato europeo di football in un grave contesto pandemico e la geopolitica è tornata a riaffacciarsi attraverso le rivendicazioni di nazioni quali l’Ucraina e la Macedonia del nord, può risultare di qualche interesse tornare sui rapporti instaurati col calcio dal movimento più identitario del panorama politico italiano tra Prima e Seconda Repubblica. Vale a dire quella Lega Nord che, specie durante la lunga segreteria federale di Umberto Bossi, ha largamente investito in termini simbolici e materiali sullo sport come strumento di costruzione e affermazione delle identità locali.1 D’altronde fin dalle origini essa si diede una precisa e consolidata vocazione localistico/amministrativa. Un localismo capace di contemperare “ethnos e demos” e di radicarsi tramite la rivalutazione di tradizioni, costumi, lingua, territorialità. Localismo e territorialismo che nella loro essenza richiamano emblematicamente l’antico e moderno campanilismo, il dualismo città/campagna, capitale morale/capitale/politica, settentrione/meridione. Temi, questi, estremizzati con ricette sovente demagogiche, da cui non poteva che discendere la stessa sensibilità da subito denotata dal leghismo per lo sport. «Gli eventi sportivi – sottolineò tra i primi Antonio Sema – costituiscono un ambiente ottimale per la diffusione senza rischi del messaggio secessionistico intrecciato allo stereotipo antitaliano, rafforzando il sentimento indipendentista con continue iniziative contro l’unità nazionale».2 D’altronde lo sport genera per sua natura identità e partecipazione. Le due maggiori risorse attorno a cui la Lega Nord prima maniera andò mobilitando la propria base e il proprio elettorato. Lo sport, ancora, ruota attorno a categorie quali “agonismo”, “virilità”, “rito” che appartenevano alla più tipica “antropologia” leghista. Dai suoi vertici, si pensi al prorompente “uso politico” del corpo praticato da Bossi, ai semplici fiancheggiatori e simpatizzanti. E nondimeno lo sport si nutre, alla stregua della “politica ultrà” inventata da Bossi ma fatta sua anche da Matteo Salvini, di simbolismi e miti che riducono il confronto fra le parti a un “derby politico” permanente: Nord-Sud, locale-centrale, Milano-Roma, Lega contro tutti, sinistra-destra-centro. Relativamente a ciò, come ha osservato Giovanni De Luna, Bossi seppe a suo tempo abilmente sfruttare due intuizioni: «La capacità di indicare sempre con nettezza il nemico da combattere (lo Stato, il fisco, la burocrazia, i partiti) e l’accentuazione del carattere strategico del conflitto come risorsa identitaria del movimento».3 Una semplificazione del concetto “amico-nemico” di Carl Schmitt, il maestro del massimo ideologo espresso dal leghismo d’impianto bossiano: Gianfranco Miglio. Un binomio divaricante che mira a fondare l’identità del singolo e del gruppo sulla base dell’appartenenza a un territorio comune, e che come ben sappiamo costituisce uno dei principi-guida delle curve ultrà: l’amico di un mio nemico e mio nemico, il nemico di un mio nemico è mio amico… Lo sport dunque, anche da un punto di vista storico ben si presta a studiare la Lega Nord nei suoi molteplici aspetti ideologici e organizzativi , e soprattutto la dimensione calcistica offre una conferma del valore da esso rivestito nella rappresentazione simbolica di diversi regionalismi europei (dal Barcellona all’Athletic Bilbao in Catalogna e nei Paesi Baschi, fino al Celtic Glasgow in Scozia, ecc.). Un fenomeno che, nelle diverse realtà geografiche, tende a proporre un uso abbastanza omogeneo di istanze autonomiste-separatiste-indipendentiste, nonché di mezzi propagandistici con cui esprimere la propria identità.4

Gli esordi della nazionale di calcio della Padania
Per compiere un salto di qualità, superando l’autoreferenzialità e attirando le attenzioni dei media, l’agonismo padano degli anni di Bossi puntò su ciclismo e calcio. Le due discipline più popolari da Nord a Sud. Nel ciclismo gli sforzi si concentrarono su un Giro della Padania a tappe per professionisti di cui si tennero due edizioni nel 2011 e 2012,5 nel calcio sull’allestimento di una nazionale padana (maglia a strisce orizzontali bianche e verdi con pantaloncini bianchi per le gare in casa, tinta unita verde integrale per le trasferte) ricorrendo anche a calciatori che avevano militato nelle serie maggiori. Una nazionale che aveva anche lo scopo di nascondere le grosse difficoltà incontrare nel dar vita a dei propri autonomi campionati. Infatti, vinte dalla rappresentativa piemontese le finali dei “Giochi padani” del settembre 1997, solo nel 1998 Francesco Tirelli – presidente di “SportPadania”, l’ente di promozione sportiva leghista fondato il 3 febbraio di quell’anno e riconosciuto dal Comitato nazionale olimpico italiano (Coni) il 10 novembre 2004 – poteva annunciare l’inizio per il 25 aprile di un Campionato padano di calcio.6 Torneo che però non decollò mai, rimase sostanzialmente sulla carta, tanto da accantonarlo rapidamente e virare sulla creazione di una formazione-simbolo che garantisse una maggiore visibilità pubblica e nel contempo valorizzasse i tratti identitari e la riconoscibilità di una Padania-nazione. In quest’ottica la nascita semi-ufficiale di una nazionale “verde” si era avuta già 27 settembre 1997 quando a Brescello, la piccola patria guareschiana di don Camillo e Peppone, davanti a qualche centinaia di spettatori, una rappresentativa col titolo di Padania affrontò una formazione raccogliticcia di emigrati del Ghana residenti in Italia. Una scelta ricercata, volendo attrarre il circo mediatico e dare prova di apertura e tolleranza verso gli extracomunitari. Lo si evince da un pezzo che al riguardo comparve allora sul quotidiano leghista “la Padania”:

Giornalisti di quotidiani nazionali, che per un articolo venderebbero anche la madre, si sono divertiti a fare il verso alla Padania sconfitta dal Ghana. Poveretti. Il tabellino dell’incontro ha vista sconfitta la squadra del “Sole delle Alpi”, ma, in realtà, questa partita è stata una stupenda vittoria: sportiva e di libertà. Ci piacerebbe vedere le facce di cattocomunismi e sindacalisti della “Triplice” che tutti i giorni, sui mass-media e nelle fabbriche della Padania, vanno a raccontare ai lavoratori immigrati in regola che i leghisti sono “razzisti e fascisti”. Questi signori sono gli stessi che, invitati domenica a Brescello, ad un dibattito sull’immigrazione con il sottosegretario del governo padano Farouk Ramadan, hanno declinato l’invito.7

Per le cronache, la sedicente nazionale ghanese batté la Padania (Castagna e Travaini, autore d’una doppietta i suoi marcatori), composta da giocatori di Promozione ed Eccellenza, 5-3. Ufficiale in tutti i sensi fu viceversa considerata la partita giocata dai “bianco verdi” contro l’”Ausonia”, squadra del separatismo sudista, il 1° marzo 1998. Una gara che Leo Siegel (ex calciatore in Serie C, diplomato a Coverciano nel 1980 e con esperienze da tecnico di Vogherese, Mantova, Leffe, Vigevano, Omegna “Pro Patria” Busto Arsizio), allenatore della Padania e giornalista dell’organo della Lega, cercò di caricare di significati storici attribuendole un valore “costituente”: «Chiamiamola pure nazionale costituente – affermava -, facendo il verso al Parlamento di Chignolo Po, ed in effetti lo spirito è molto simile all’insegna del volontariato e dell’entusiasmo di chi sa di aver imboccato una via che porterà lontano».8 Chignolo Po nella quale, con dei trasparenti intenti simbolici, i convocati da Siegel si radunarono il 21 febbraio 1998 trovando ad accoglierli Francesco Tirelli. Per Siegel il confronto con l’”Ausonia” presentava dei precisi risvolti politici. Proprio in quegli anni la Lega stava operando i primi tentativi di penetrazione al Sud, e rinunciando al più rozzo antimeridionalismo cercava di avvicinare al federalismo altre forze. Sosteneva un populismo regionalista generico cercando mobilitare il Mezzogiorno contro il comune nemico centralista. All’uopo aveva anche incaricato il deputato Oreste Rossi di seguire i movimenti indipendentisti che si agitavano da Roma in giù. Fu all’interno di questa strategia che il calcio padano venne chiamato a fare la sua parte. A esplicitarlo apertamente fu lo stesso Tirelli, per il quale la partita di Benevento costituiva il primo concreto sforzo di «instaurare un rapporto con quella parte del Sud che vuole sganciarsi da Roma e creare un asse con il Nord che escluda l’intermediazione capitolina».9 Questo punto di vista era condiviso anche da Gianfranco Vetusto: il segretario della Lega Sud “Ausonia”. Egli nella gara campana, che proponeva una santa alleanza tra Settentrione e Meridione uniti contro l’Italia romana lontana e ostile, intravedeva «l’inizio di una collaborazione con la Lega Nord per abbattere il regime». L’opportunità di gettare le basi di uno “Stato federale, con la Lega di Bossi, in uno spirito realmente costruttivo».10 Nondimeno Siegel, con toni paternalistici, si augurava che dal «seme lanciato in terra d’Ausonia» potesse «nascere qualcosa di buono per quelle genti, se non ancora un frutto, almeno un fiore, quello della speranza». E con identica retorica caricava così i suoi ragazzi: «A Benevento le maglie “verdi”, le note del “Va’ Pensiero”, le mani destre sul cuore, non saranno ritualismo né simbolismi, come tenteranno di liquidare i nostri colonizzatori, bensì qualcosa di profondamente spontaneo, l’esatto contrario dei teatrini a pagamento costruiti attorno al tricolore e all’inno mamelico negli stadi del centro-sud, ad uso di mamma Rai».11 Tutto il “meglio” del suo repertorio per motivare l’11 della Padania, ma invano. A Benevento, gli eredi degli antichi bellicosi sanniti, superarono 2-0 i presunti discendenti (Bastianello, Zattra, Volpi, Sandre, Pasquali, Bertoni, Gianesello, Breno, Russo, Prandini, Sora) delle stirpi celtiche. Dopo la sconfitta con gli emigranti ghanesi veniva quella con i meridionali della Lega Sud. Per il calcio di Bossi non si poteva certo parlare di un buon inizio. Eppure, su “la Padania”, il risultato venne accettato con spirito decoubertiano, se ne vollero cogliere anche gli aspetti positivi: «L’”Ausonia” vince 2-0, ma vince anche la Padania: se ne accorgono anche qui, tra queste colline di Campania dove soffia il vento dell’indipendenza (è una brezza, può farsi ciclone). Quelle mani curiose protese verso i simboli della nazione padana, quel balletto di scugnizzi entusiasti valgono mille parole>>.12 La rivincita si tenne a Varese il 22 marzo 1998. Questa volta a prevalere, con un “golden gol” al ’93, furono i padani largamente rinnovati (Bastianello, Pagliuca, Rondini, Sandre, Pasquali, Pietta, Zuanetti, Prandini, Gavazzoni, Bongiorni, Russo), che si aggiudicarono l’ambita “Coppa per la Libertà dei Popoli”. Un trofeo che l’organo della Lega non mancò di debitamente epicizzare:

È stato forse quell’urlo tremendo (“Pa-da-nia, Pa-da-nia, Pa-da-nia”) che scendeva insieme al vento sul prato di Masnago a dare l’ultima spinta alla Padania per ribaltare il risultato dell’andata (0-2) che la giovane coraggiosissima squadra dell’”Ausonia” (figlia di un partito, la Lega Sud, che vuole ripercorrere le orme di Bossi) ha provato stoicamente a difendere. La gente, più di 6000 persone provenienti da tutte le Nazioni, e l’ambiente, uno stadio tappezzato di striscioni e ravvivato dallo sventolio folgorante delle bandiere verdi, hanno accompagnato la rappresentativa padana verso un ineccepibile 3-0, costruito con una partita di attacco totale e forsennato.13

Foltissima risultò la delegazione di dirigenti leghisti in tribuna e, per tutti, si espressero l’ex sindaco di Milano Marco Formentini e Umberto Bossi. Formentini, da diplomatico, fece gli onori di casa: «È un incontro internazionale – affermava -: do il benvenuto agli amici dell’”Ausonia”, che credono nel risorgimento del Sud e che riscattano l’immagine vergognosa di quegli amministratori che sfilano in testa ai cortei dopo avere distrutto il Meridione». Al Senàtur di Cassano Magnago premette invece sottolineare che «questa era una prima assoluta, abbiamo lanciato un nuovo simbolo, la gente l’ha preso al volo e l’ha fatto suo. La gente ha fame di nuovi simboli». 14

La nazionale padana e l’Europa dei regionalismi
Passata per i due match con gli “ausoni”, la nazionale “biancoverde” si sentì pronta ad allargare il proprio spettro d’azione all’Europa, andando alla ricerca di competitori abbordabili e disposti ad affrontarla. Da qui s’impegnò in una “politica estera” volta a stabilire dei contatti con le realtà regionaliste e autonomiste, con le minoranze etniche e linguistiche e con gli stati di recente formazione. A inaugurare questo nuovo corso fu Padania-Costa Azzurra giocata, il 24 maggio 1998, ad Alassio, nella riviera ligure di Ponente. Una partita dominata dagli uomini di Siegel (Lanfranco, Prandini, Pagliuca, Greco, Diciano, Pasquali, Gianesello, Finardi, Capraro, Bongiorni, Pialli) 4-1.15 La Padania (Cusino, Prandini, Gibelli, Diciano, Greco, Pasquali, Pagliuca, Perucca, Cumetti, Piovani, Gianesello) tornò in campo contro degli avversari francesi pure il 7 giugno 1998 affrontando la Savoia. A Marnaz debuttò nella nazionale di Bossi Giuseppe Piovani, calciatore di orzinuovese del Piacenza in serie A (341 partite e 57 gol) e idolo del calcio leghista. Un Piovani che ebbe d’acchito i gradi di capitano, confessando commosso: «In Savoia ho disputato la mia prima partita in maglia “verde”. E per uno come me, che non ha nascosto di sentirsi profondamente padano, indossare la casacca con il “Sole delle Alpi” ha rappresentato, lasciatemelo dire, una forte emozione. Questa è la mia nazionale, così come la Padania è la mia terra».16 Terminata la contesa sul 3-3, ai rigori s’imposero i savoiardi che tra gli spettatori annoveravano pure l’Umberto Bossi locale: Patrice Abeille. Il leader della Ligue Savoissiene, il quale, come rilevava “la Padania”, con la sua presenza conferì valore politico alla gara:

Padania-Savoia, una partita mozzafiato, ma soprattutto un evento la cui importanza rimbalza dal calcio alla politica. È iniziata con un unico grido, dai calciatori alle centinaia di tifosi giunti numerosi anche dalla Padania: “Libertà, libertà, Libertè, libertè…” E poco prima dagli spalti: “Pa-trice, Pa-trice” […]. Il vessillo della Savoia, una “Croce bianca su un campo rosso”, sventola insieme al “Sole delle Alpi”. Tifosi padani e savoiardi sono mischiati sugli spalti. Si respira agonismo e tensione per il risultato della propria squadra, ma non aggressività: il desiderio di libertà che unisce i due popoli è più profondo.17

Di ritorno dalla Savoia, la Padania, il 18 luglio 1998, affrontò il Sud Tirolo. Una partita, a Bassano del Grappa, senza storia che finì 12-0 a favore della squadra di Siegel (Bastianello, Pagliuca, Nicoli, Diciano, Sella, Regonesi, Prandini, Greco, Gianesello, Capraro, Pialli).18 E trascorso quasi un anno, il 23 giugno 1999, a Lecco, i padani (Guarcilena, Monza, Gerosa, Gibellini, Regonesi L., Prandini, Greco, Piovani, Regonesi M., Pagliuca, Russo, Montoneri) si misurarono in un’altra gara di cartello contro l’”Olimpia” Lubiana. La più importante da quando era nata la nazionale leghista. L’asticella cominciava ad alzarsi e, come mai in precedenza, Leo Siegel ricorse ad atleti delle categorie professionistiche e semiprofessionistiche. Apporti che intese sottolineare con malcelato orgoglio: «È un evento storico – dichiarava – perché è la prima volta che dei professionisti del calcio daranno la loro adesione alla nazionale padana. Oltretutto senza volere nulla in cambio. Si tratta di un fatto eccezionale in Italia ma non certo in Europa. L’esempio più calzante è quello dei calciatori catalani che hanno più volte rappresentato la loro terra affrontando avversari di altre nazioni».19 Effettivamente, oltre a Piovani il computo dei calciatori, con un passato in A o in B, che durante l’esperienza della nazionale della Padania vi giocarono o fecero parte della sua “rosa” è piuttosto ampio e, a grandi linee, risponde a questi nomi: Marco Monza (titolare col Bologna di Gigi Maifredi dal 1986 al 1989); Paolo Monelli (Fiorentina, Ascoli, Lazio, Bari, Pescara, Vicenza); Giacomo Ferrari (Alzano Lombardo in C1, Modena in A); Alessandro Dal Canto (ex di Juventus, Torino, Vicenza, Venezia, Bologna, Perugia, Albinoleffe, Treviso); Giuliano Gentilini (Vicenza e Bologna); Massimiliano Scaglia (Fiorentina, Bari, Treviso, Bologna); Paolo Zirafa (Modena); Federico Cossato (243 presenze e 48 reti col Chievo); Michele Cossato (Chievo, Venezia, Verona, Atalanta, Fiorentina); Fabian Valtolina (Chievo, Bologna, Piacenza, Venezia, Sampdoria); Cristiano Pavone (Atalanta, Bologna, Lecce, Salernitana); Massimo Beghetto (Bologna, Chievo, Perugia, Vicenza). E da ultimo, i due più titolati: Maurizio Ganz (attaccante di razza guadagnatosi in carriera l’appellativo di “el segna semper lu”) con un denso curriculum in Sampdoria, Monza, Parma, Brescia, Atalanta, Inter, Milan, Venezia, Fiorentina, Ancona Modena, e Carlo Nervo: 337 incontri con il Bologna e 6 con la nazionale italiana dal 2002 al 2004. Una lista che, comunque la si giudichi, attesta l’attrazione esercitata dal leghismo anche all’interno del mondo del calcio nella stagione dominata dal carisma di Umberto Bossi. Tornando all’incontro lecchese con l’”Olimpia”, i canonici 90 minuti si conclusero sullo 0-0, e la “lotteria dei rigori” premiò i “bianco verdi” che ebbero nel Senatùr il loro “dodicesimo uomo”: «Bossi è stato decisivo, i tifosi sono stati galvanizzati dalla sua presenza, li ha davvero trascinati», chiosava “la Padania”.20 Bossi che, con inusitata pacatezza, in sede di commento preferiva attenersi al senso politico della vittoria trovandovi la conferma che «attraverso lo sport, e il calcio in particolare, è possibile lavorare per far penetrare la padanità all’interno della società».21 La nazionale padana di calcio, ancor prima del Giro ciclistico lanciato nel 2011, doveva quindi concorrere, “fatta la Padania”, a “fare i padani”. A veicolare una loro “padanizzazione-nazionalizzazione” all’interno d’un tessuto macro-regionale dotato d’una supposta identità condivisa. Essa era ritenuta utile alla “narrazione” necessaria alla Lega Nord per ancorare la propria proposta politica a un obiettivo, di volta in volta secessionista, indipendentista, federalista, fondato su un luogo mitico. Una “patria promessa”, oltremodo vaga nella sua omogeneità geografica, culturale e storica, ma sempre immanente. Possibile da realizzare. Incamerato il successo con gli sloveni, la Padania (Foresti, Mgerry, Gioda, Bassanesi, Pagliuca, Monza, Prandini, Cozza, Russo, Montoneri, Russo) patì una sconfitta per 2-1, il 4 luglio 1999, a Saint Pierre in Val d’Aosta, con l’Arpitania. Rappresentativa che raccoglieva le minoranze linguistiche franco-provenzali italiane. Una battuta d’arresto per la quale Siegel non si scompose, preferendo piuttosto evidenziare l’esordio in “bianco verde” di un calciatore di origini africane: Mgerry. «Un longilineo difensore del Gambia», ancora «inesperto ma – spiegava l’allenatore padano – implacabile quando trova un riferimento nella marcatura a uomo». Inoltre Siegel precisava non essere stata «una scelta estemporanea, ma una gradevole scoperta meritevole di conferma».22 Una promessa quest’ultima un po’ demagogica e comunque non mantenuta, giacchè Mgerry, dopo Saint Pierre, non figurò più in alcuna selezione della Padania.

L’intermezzo di Padania-England International all stars
Nel 2000 la nazionale padana si concesse una bizzarra parentesi. Il 18 giugno, a Monza, affrontò l’England internationals all stars, una scanzonata brigata di vecchie glorie e sconosciuti calciatori britannici guidati dall’allenatore del Derby County Jim Smith. Per loro una simpatica vacanza spesata in Italia, per la Padania un’occasione di conquistare spazio sulla stampa e nelle televisioni. In questo senso si gonfiò a dismisura il significato tecnico e politico di una simile esibizione. Umberto Bossi lanciò la parola d’ordine: “La libertà della Padania passa anche attraverso uno stadio»;23 e gli organi d’informazioni leghisti presentarono così la partita: «Qualcuno si chiederà chi glielo fa fare, a questi campioni, di venire in Padania a giocare gratuitamente contro i nostri ragazzi […]. Innanzitutto lo spirito sportivo che li anima […], poi, siamo disposti a scommettere, il gusto di conoscere di persona una realtà geografica e identitaria emergente, di cui tutti parlano anche all’estero, in termini spesso contraddittori. La Scozia, come il Galles, è ovviamente nei nostri cuori, ma non dimentichiamo che è stata l’Inghilterra a concedere la devolution».24 Il resto della stampa provvide a demistificare l’evento, e in specie Gian Antonio Stella ironizzò sul suo vero contenuto:

Gli organizzatori – scriveva su “Il Corriere della Sera” – hanno preso un bidone: si sono beccati gli hooligans originali e l’Inghilterra falsa. Quella vera, invece di perdere tempo contro la Germania o la Romania, era impegnata in una sfida epocale, a Monza, davanti a una folla straripante di ben quattromila spettatori, contro la Padania. Meglio: contro la rappresentativa delle “varie nazioni del Nord”.25

A queste ironie “la Padania” rispose con la massima serietà e contrattaccando. E il solito Siegel s’incaricò delle bordate più pesanti:

È incredibile! Ecco l’esclamazione di Tony Marley, stella inglese schierata con i compagni sull’attenti durante l’esecuzione degli inni. Le note di “God save the Queen” si sono già spente fra gli applausi, è la volta de “Va’ pensiero”. È stato accorciato, come l’inno degli ospiti, ma la folla accalcata in tribuna non ci sta, e quando gli altoparlanti si spengono, continua a cantare sino all’ultima strofa. È un coro insolitamente intonato, maestoso, che mette i brividi, le squadre ascoltano compunte, qualche ragazzo con la maglia verde ha gli occhi lucidi. Gli inglesi battono le mani, sono sorpresi. È la prima volta che nei nostri confini assistono ad un simile spettacolo – in precedenza si erano abituati alle scene mute, in campo e fuori, ed allora capiscono che rispetto alla tiritera di Mameli, questa è tutt’altra musica. L’inno padano non è una formalità burocratica, noiosa e mal sopportata, bensì uno sfogo che nasce dal cuore, un’invocazione di libertà, scandita subito dopo a gran voce. Gli inglesi accompagnano il coro sorridenti, ammiccanti: hanno scoperto la Padania, con la sua anima popolare e popolana. Adesso ci aspettano in casa loro, per la rivincita. Aspettano la Padania, non l’Italia!26

La politicizzazione della sfida con gli inglesi non bastò alla Padania (Guarcilena, Belloni, Radice, Gibellini, Campese, Piacentini, Bolis, Greco, Regonesi, Gritti, Montoneri, Monelli) per piegarli. Chiusi sull’1-1 i tempi regolamentari, dal dischetto gli ospiti si affermarono 4-2. Una delusione scaricata da Bossi sferrando un nuovo attacco federalista alla politica romana e prendendosela con gli “azzurri”: «Questo Paese poco democratico – sbottò – non riconosce il valore delle varie nazionali, e trasforma una vittoria della nazionale in una forma di nazionalismo. Il Regno Unito ha fatto meglio di noi, lì il Galles e la Scozia hanno le loro nazionali».27 A valorizzare le ricadute positive della gara fu perciò l’immancabile Siegel, che facendone un bilancio mediatico assegnò queste “pagelle” ai suoi colleghi: «Un tempo ci ridevano dietro, ora non più. Dal “Corriere della Sera” alla “Stampa”, dalla “Repubblica” al “Giorno”, questa volta hanno dato un buon risalto all’evento. Certo, l’ottica era la loro, ma è pur sempre un passo in avanti. Tra le Tv, ottime “Telelombardia” e “Odeon”, discreta “Mediaset”.28 Insomma, tirando le conclusioni, se la partita di Monza aveva prodotto un insuccesso sportivo aveva però sostanzialmente raggiunto i propri obiettivi politici. Quelli che, a ben vedere, più contavano.

Le partecipazioni ai mondiali del New football – board
L’amichevole con l’England International all stars sembrò porre la parola la fine all’avventura della nazionale calcistica della Padania. Infatti per molto tempo se ne persero le tracce, salvo rinascere d’improvviso, il 7 maggio 2008, all’Arena napoleonica di Milano, per sostenervi una gara contro il Tibet. Gara che rientrava nella strategia parlamentare leghista di allora, mirante al boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino (2008). Durante quella lunga latitanza il quotidiano leghista glissò sulle ragioni che l’avevano provocata, e fedele a questa linea, rispetto all’incontro milanese, la Lega Nord preferì soffermarsi sui suoi aspetti extracalcistici :

Ecco finalmente il grande ritorno della rappresentativa padana di calcio ad otto anni di distanza dall’ultima apparizione […]. Un grande ritorno perché avverrà per mezzo di una partita destinata ad entrare negli annali indipendentemente dal risultato, per tutti i significati che un incontro del genere può avere: Padania-Tibet, le squadre di due popoli alla ricerca della propria libertà […]. Un’occasione che palesa, ancora una volta, come lo sport rappresenti un veicolo d’eccezione per valori positivi quali la volontà, il coraggio, la lealtà, la solidarietà.29

Analogamente, nella conferenza stampa di presentazione della partita, anche Roberto Maroni usò degli argomenti simili: «Questa è un’iniziativa importante anche in chiave politica perché testimonia l’impegno della Lega a sostegno di tutte le battaglie che riguardano la libertà dei popoli. Il popolo della Padania condivide con quello del Tibet l’aspirazione ad essere ciascuno padrone a casa propria>>.30 Il confronto si risolse in una “goleada” di 13 gol a 2, rifilati ai malcapitati tibetani da un organico che schierava Ganz (3 gol), Piovani (1), Valtolina (1), Ferrari (1) Pavone e quel Nervo che il 7 giugno 2009 sarebbe diventato sindaco leghista di Solagna. L’”allenamento” sostenuto col Tibet aveva in realtà lo scopo di perfezionare la preparazione in funzione del cosiddetto “Campionato del mondo dei popoli” (anche detto Viva world cup) promosso dal New football – board (Nf-b). Un ente sorto il 12 dicembre 2003 per riunire le nazioni-regioni e i territori non riconosciuti, e pertanto respinti dalla Federazione internazionale del football (Fifa). Giusto la partecipazione a un tale campionato fu dunque, assai probabilmente, la principale ragione all’origine della ricostituzione della nazionale padana. A questo scopo il 10 dicembre 2007 “Padania calcio”, la federazione appositamente costituita pochi mesi prima dalla Lega Nord per potervi aderire (con presidente Nunziante Consiglio, vicepresidente Leo Siegel e Renzo Bossi team-manager), s’affiliò alla Nf-b e così potette iscriversi al mondiale di Gallivare e Malmberget in Lapponia. Battute nell’ordine, l’8, il 10 e l’11 luglio, la Provenza (6-1), il Kurdistan (2-1) e i lapponi (2-0), nella finale del 12 luglio 2008 la Padania (Pedersoli, Scaglia, Colombo, Tignonsini, Cresta, Cossato F., Salandra, Dal Canto, Ligarotti, Toniolo) superò 2-0 l’Aramea (minoranza etnica originaria dell’area fra Iran, Iraq, Turchia e Siria di lingua siriaca e religione cristiana) con reti di Colombo e Ligarotti. Al seguito della trasferta nell’estremo Nord polare vi era pure il super-tifoso Umberto Bossi, il quale dedicò il successo «a tutti quelli che capiscono la necessità di mettere fine al centralismo di Roma».31 Prima che si chiudesse il 2008 i “biancoverd” (Pedersoli, Bulleri, Toniolo, Cresta, Keric, Mosti, Pavone, Valtolina, Gentilini. Beghetto, Cossato M.) fecero infine “passerella” a Treviso, il 19 novembre, contro i croati del Nogometni Klub di Zagabria. Un incontro vinto 2-1, ma oggetto delle proteste della sinistra trevigiana che accusò le amministrazioni locali e provinciali leghiste di sperpero del denaro pubblico e propaganda. Nel 2009 la Viva world cup si tenne dal 22 al 27 luglio in Padania, tra Veneto (Verona), Lombardia (Varese, Brescia), Piemonte (Novara), e ne curò l’organizzazione un Comitato “Padania 2009” con direttore generale Claudio Gallo e presidente Fabrizio Iseni. Un facoltoso proprietario di cliniche private, l’Iseni, talmente vicino alla Lega Nord da meritarsi il soprannome di “badante del Trota”. Cioè di quel Renzo Bossi che doveva l’affettuoso soprannome ittico al padre Umberto. Testimonial della manifestazione furono quattro popolari campioni del passato quali Evaristo Beccalossi, Roberto Tricella, Carlo Muraro e Carlo Soldo, e per l’occasione si commissionò persino un inno del Campionato. A realizzarlo pensò il bergamasco Peter Barcella che nelle parole della sua composizione evocava Gianni Brera, ritenuto dalla Lega un nume tutelare dell’idea di Padania. E il “Giuann” (Brera), un giocatore in tenuta verde che palleggiava con un pallone-mappamondo disegnato al vignettista Valerio Marini, fu pure adottato come mascotte ufficiale della manifestazione. Senza alcun riguardo si cercò dunque di appropriarsi della memoria di Gianni Brera. Il quale, se talvolta con le sue teorie etno-antropologiche applicate al calcio poteva apparire un proto-leghista, in prima persona, con un articolo su “la Repubblica” del 24 aprile 1992, aveva smentito tali voci poco prima della morte sopraggiunta in un tragico incidente automobilistico.32 In vista del mondiale dei popoli la Padania disputò dei match amichevoli con due nuove nazionali di quell’Italia federale agognata da Bossi. La prima a Boario Terme, il 30 aprile 2009, venne riportata ai rigori contro la squadra del Regno delle Due Sicilie. Si trattava di una selezione che si richiamava al reame borbonico di Francesco II, cessato nel 1860 col processo d’unificazione, creata nel dicembre 2008 dal generale a riposo della “Folgore” Antonio Pagano, divenutone il presidente, e da Giuseppe Di Grezio dell’Associazione Due Sicilie.33 La seconda amichevole, vinta anch’essa, fu disputata a Sant’Angelo Lodigiano il 28 maggio 2009 avendo per rivale la Nazionale calcio Sardegna. Una rappresentativa presieduta da Giampiero Sogus con capitano l’ex giocatore del Cagliari Marco Sanna. Godendo dei favori del pronostico la Padania s’impose nella Viva world cup casalinga (Trofeo “Nelson Mandela”) con relativa facilità. Sconfitte Occitania (1-0), Kurdistan iracheno (2-1) e Lapponia (4-0), il 27 giugno 2009, nella finalissima veronese al “Bentegodi”, i ragazzi di Nunziante e Bossi jr ribatterono 2-0 i curdi con gol di Andrea D’Alessandro e Andrea Casse.34 Un secondo trionfo in un biennio (celebrato da Leo Siegel finanche in un volume d’occasione),35 e il terzo si ebbe a Gozo. Un’isola dell’arcipelago maltese. Qui, dal 31 maggio al 5 giugno 2010, le formazioni partecipanti al mondiale dei popoli vennero suddivise in due gruppi e, oltre alla Padania, fece il suo debutto in questo torneo anche il Regno delle Due Sicilie. Nel loro girone i “bianco verdi” si sbarazzarono di Gozo (2-0) e dell’Occitania (1-0), e anche le Due Sicilie, nell’altro, superarono il turno. Così in semifinale, il 4 giugno, andò in scena un “derby” macroregionalistico tutto italiano a cui assistettero, fra gli altri, la nazionale padana-donne guidata da Alessandro Pietro Mazzola (il figlio di Sandro fuoriclasse dell’Inter) che si aggiudicò la Viva world cup femminile; i tre figli di Bossi al completo; e Monica Rizzi, assessore allo sport della regione Lombardia, che provocatoriamente propose di istituzionalizzare un simile incontro facendolo giocare ogni 2 giugno, festa della Repubblica italica.36 Sul campo, con reti di Mauro Nannini e Maurizio Ganz, che anche con la Padania non finiva mai di andare a segno, la squadra di Siegel non lasciò scampo agli avversari e approdò in tal modo a una nuova finale col Kurdistan. Una vittoria sulla compagine meridionale dal significato duplice. Da un lato, metaforicamente, confermava la supremazia sportiva e non solo del Nord sul Sud assistenziale e clientelare. Dall’altro costituiva la riprova che ormai il leghismo, in Italia, stava dilagando e assumendo la cifra caricaturale d’uno sterile “particolarismo” assolutamente anacronistico rispetto a un mondo globalizzato e a una Europa, se non politicamente coesa, sempre più economicamente interdipendente. Intanto, comunque, la Padania faceva tris piegando la resistenza curda con un gol siglato da Luca Mosti al 24’. L’ennesima affermazione commentata con queste parole dal team-manager Renzo Bossi: «Per noi il calcio è uno sport, l’indipendenza della Padania non c’entra […]. Naturalmente [però] sappiamo bene che lo sport può veicolare storia e tradizione».37

Conclusioni
La storia della nazionale padana di calcio finisce qui, sommersa dagli scandali della famiglia Bossi e dalle nuove linee impresse alla Lega Nord prima da Roberto Maroni e poi da Matteo Salvini. Se nel modello bossiano, vuoi federal-autonomista vuoi secession-indipendentista, la rappresentativa calcistica della Padania rivestiva un ruolo preciso, servendo a cementare i vincoli d’appartenenza fra padani e trasmettere l’idea di una padanità reale e concreta all’esterno, con l’impianto “italianista” e sovranista di Salvini ciò non aveva più senso. Col suo “prima gli italiani” s’indeboliva ogni precedente forte insediamento identitario rendendo sostanzialmente superfluo un rinforzo di tipo sportivo. Oggi, agli europei itineranti del 2021, anche per la Lega Nord è pertanto più politicamente utile tifare “azzurri”, sventolare il tricolore, cantare l’aborrito inno di Goffredo Mameli. I colori “biancoverdi” del “Sole delle Alpi”, il “Va’ Pensiero” tanto cari al Senatùr e al “Trota” sono solo, ormai un lontano ricordo sbiadito.

Note

  1. S. Giuntini, L’agonismo della Padania. Sport e Lega Nord, Milano, sedizioni, 2017
  2. A. Sema, Contro Roma Bossi inventa lo sport padano, in “Limes”, n. 1, 1998, p. 138.
  3. G. De Luna, Un partito condannato ad alzare sempre l’asticella, in “Il Venerdì di Repubblica”, 28 dicembre 2013, p. 41.
  4. S. Stumpp, D. Jallat (eds), Identités sportive et revendications régionales (XIX°-XX° siècles), Grenoble, Presses universitaires de Grenoble, 2013.
  5. S. Giuntini, La politica in bicicletta: il primo giro ciclistico della Padania, in Aa.Vv., Giro d’Italia a cura di S. Battente, Canterano, Aracne Editrice, 2020, pp. 113-126.
  6. F. Carcano, Lo sport in verde conquista il futuro, in “la Padania”, 5-6 aprile 1998.
  7. Padania-Ghana, tifo al Sole delle Alpi, in “la Padania”, 30 luglio 1997.
  8. L. Siegel, Nazionale padana cresce. Pronti leva e amichevoli, in “la Padania”, 29 gennaio 1998.
  9. L. Siegel, Da Mantova nasce la nostra Nazionale, in “la Padania”, 21 febbraio 1998.
  10. F. Montanino, Lega Sud: daremo un calcio a Roma e al suo centralismo, in “la Padania”, 24 febbraio 1998.
  11. L. Siegel, Dallo sport l’unione della nostra gente, in “la Padania”, 1-2 marzo 1998.
  12. A. Confalonieri, Padania a testa alta, rivincita a Varese, in “la Padania”, 3 marzo 1998.
  13. A. Confalonieri, Varese, in migliaia inventano il tifo padano, in “la Padania”, 24 marzo 1998.
  14. Ibidem.
  15. L. Siegel, La Padania vince una partita a poker, in “la Padania”, 26 maggio 1998.
  16. La mia prima volta da capitano padano, in “la Padania”, 9 giugno 1998.
  17. S. Sanzini, Il Bossi d’Oltralpe. “Grazie per esserci”, in “la Padania”, 9 giugno 1998.
  18. L. Siegel, Festival del gol a senso unico, in “la Padania”, 21 luglio 1998.
  19. V. Barizza, La Padania gioca i suoi assi, in “la Padania”, 18 giugno 1999.
  20. F. Carcano, Il pubblico trascina la Padania, in “la Padania”, 25 giugno 1999.
  21. M. Mauri, Bossi: “Ha vinto il cuore”, in “la Padania”, 25 giugno 1999.
  22. L. Siegel, Come corre questa Padania, in “la Padania”, 6 luglio 1999.
  23. C. Gobbi, Il leone britannico ruggirà in Padania, in “la Padania”, 11-12 giugno 2000.
  24. C. Gobbi, Ecco gli England International all stars, in “La Padania”, 11-12 giugno 2000.
  25. G. A. Stella, “Va’ pensiero” e prove di forza, l’orgoglio lumbard riparte dal pallone, in “Il Corriere della Sera”, 21 giugno 2000.
  26. L. Siegel, L’inno che nasce dal cuore, in “la Padania”, 20 giugno 2000.
  27. R. Bianchin, E l’England all stars mette sotto la Padania, in “la Repubblica”, 19 giugno 2000.
  28. L. Siegel, “Grazie per essere stati con noi”, in “la Padania”, 21 giugno 2000.
  29. N. Luca, Tibet-Padania, sfida per la “Libertà”, in “Corriere.it”, 5 maggio 2008.
  30. Ibidem.
  31. G. Santucci, Padania campione. Bossi calcio meglio dei fucili, in “Il Corriere della Sera”, 14 luglio 2010.
  32. G. Brera, Parola di Brera a cura di A. Carotenuto, Roma, Gruppo Editoriale “L’Espresso”, 2012, pp. 321-322.
  33. S. Landi, Ecco la Nazionale delle due Sicilie, in “7 Corriere della Sera”, 29 ottobre 2009.
  34. E. Buzzi, La “Padania” vince il Mondiale “dei popoli”, in “Il Corriere della Sera”, 28 giugno 2009.
  35. L. Siegel, Padania mondiale, Milano, Grafiche Gelmini, 2009.
  36. F. Roncone, E i figli di Bossi celebrano il trionfo sui borbonici, in “Il Corriere della Sera”, 5 giugno 2010.
  37. Ibidem.

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