Bibliomanie

George Best, il quinto Beatle
di , numero 52, dicembre 2021, Saggi e Studi, DOI

George Best, il quinto Beatle
Come citare questo articolo:
Gino Scatasta, George Best, il quinto Beatle, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 52, no. 2, dicembre 2021, doi:10.48276/issn.2280-8833.9528


Going on up to the spirit in the sky,
It’s where I’m gonna go when I die,
When I die and they lay me to rest
I’m gonna go on the piss with Georgie Best
(coro dei tifosi del Manchester United)


La vicenda personale di George Best si può leggere semplicemente come uno dei numerosi esempi di sregolatezza di un campione calcistico. Il primo, probabilmente, e dopo di lui ci sarebbero stati il caso più famoso di Diego Armando Maradona o quello, meno noto in campo internazionale ma altrettanto celebre in Gran Bretagna, di Paul Gascoigne: in un primo momento ammirato e odiato dai tifosi ma comunque omaggiato per le sue doti in campo, Best ha quindi condotto una vita riassunta da lui stesso con una frase famosa che gli è stata più volte attribuita: «Ho speso un sacco di soldi per bere, per le donne e per le auto veloci. Il resto l’ho sperperato». Infine, durante l’ennesimo ricovero in ospedale per le conseguenze di un trapianto di fegato, chiese al più noto tabloid inglese del tempo, il “News of the World”, di pubblicare una sua foto, itterico e intubato, accompagnata da una sua dichiarazione a titoli cubitali: «DON’T DIE LIKE ME»1.
La conclusione della vicenda, affidata a uno dei più diffusi giornali popolari inglesi, è già in sé significativa e contraddittoria, dal momento che Best fu una delle prime celebrità calcistiche, e la prima nel Regno Unito, a essere seguita in modo ossessivo dalla stampa popolare inglese, cosa di cui egli stesso si lamenta più volte nelle sue autobiografie. Sono anche altri, però, gli elementi nella vicenda umana e sportiva di George Best che rendono la sua storia indicativa di qualcosa che va al di là del personaggio pubblico, eccessivo e invidiato, e dei suoi eccessi: la sua vita si intreccia con gli enormi cambiamenti che si stavano verificando nel Regno Unito nel corso degli anni Sessanta, in seguito alla cosiddetta teenage revolution e nel contesto del conflitto nordirlandese. Sarà la posizione emblematica di Best all’interno di questi due nodi cruciali della storia politica e sociale inglese che si intende qui descrivere, mostrando come anche nello sport e nel calcio le nuove spinte generazionali e anticlassiste, portatrici di valori divergenti e in alcuni casi antagonisti rispetto a quelli tradizionali, iniziavano a manifestarsi in modo evidente2.

1 LA TEENAGE REVOLUTION
In due saggi scritti fra la fine del 1957 e l’inizio del 1958, lo scrittore e giornalista Colin MacInnes osserva con attenzione un fenomeno che fino ad allora era stato liquidato quasi esclusivamente come una nefasta conseguenza dell’americanizzazione e del senso di noia che sarebbe stato diffuso fra gli adolescenti inglesi3: MacInnes descrive con interesse l’ascesa di un gruppo sociale, quello dei ragazzi fra i tredici e i diciannove anni, che per la prima volta si trovano ad avere non solo l’«energia» derivata dall’età ma anche del denaro da spendere, in un benessere sempre più diffuso che li rende oggetto di particolare attenzione da parte della nascente industria legata all’intrattenimento4. Si tratta di un fenomeno che MacInnes, dopo un iniziale entusiasmo e una certa esagerazione, coglie in tutta la sua complessità e che avrà conseguenze importanti nel decennio seguente, quando al conflitto di classe che aveva caratterizzato gli anni Cinquanta inizia a subentrare un conflitto che è anche generazionale. MacInnes coglie inizialmente gli aspetti positivi di questa teenage revolution, osservando come gli adolescenti non siano ossessionati dai problemi di classe come i loro fratelli maggiori e la generazione che li aveva proceduti, e neppure da questioni di razza: in una nota del 1961 a uno dei due saggi, MacInnes scrive che «in giro per Londra è oggi possibile vedere teenagers di entrambi i “colori” in intima e casuale unione». Tuttavia, riconosce anche la complessità del fenomeno ammettendo che il disinteresse per la politica e l’allegra superficialità giovanile possono essere anche «materiale grezzo per un criptofascismo del peggior genere»5. Alla teenage revolution si collega quella che Roberto Bertinetti, sulla scia della riflessione di Hobsbawm sull’età dell’oro post-bellica, ha definito «l’utopia politica e sociale più importante del periodo che va […] dalla metà degli anni Cinquanta ai tardi anni Sessanta», ovvero «la liberazione pacifica degli individui attraverso i consumi»6, questione a cui i teenagers, in quanto prima generazione esposta all’era del consumismo in Gran Bretagna, erano particolarmente sensibili: si tratta di un sogno che, come si vedrà, si trasformerà in un incubo nei decenni successivi. Il dibattito sugli anni Sessanta nella realtà inglese è ancora aperto: si è trattato di un cambiamento epocale o soltanto di un normale ricambio generazionale? C’è stato effettivamente un passaggio da una società rigidamente divisa in classi a un mondo nuovo, sostanzialmente classless o in cui, quanto meno, era possibile scalare con facilità la scala sociale? Oppure è stato solo un periodo di confusione dopo il quale le classi sociali si sono riformate secondo nuove linee, ma in modo altrettanto rigido? E la rivoluzione dei costumi riguardò tutti oppure solo una minoranza di persone, mentre per la maggioranza degli inglesi quell’età dell’oro arrivò troppo tardi o addirittura mai7?
A qualcuno, però, la vita cambiò. All’inizio di un suo libro sulla Swinging London, Shawn Levy riporta le parole di Alvaro Maccioni, un emigrato italiano arrivato nel 1957 a Londra come cameriere e che aprì lo stesso anno a Soho un ristorante, la trattoria Terrazza, chiamato «The Tratt» dai suoi avventori del decennio successivo che erano anche i volti più in vista della cultura pop del periodo. «Successe tutto contemporaneamente», scrive Maccioni.

«Ogni giorno era una festa. Era come se a un ragazzino che era stato fino ad allora sotto il controllo dei genitori, all’improvviso, il giorno del suo diciottesimo compleanno, avessero detto: “Ecco le chiavi della tua Ferrari, ecco le chiavi della tua casa nuova, ecco il tuo conto in banca. Da adesso in poi puoi fare quello che ti pare”. Era più che sufficiente per diventare matti. Il nuovo secolo iniziò negli anni Sessanta.8»

Le stesse parole potrebbe averle pronunciate George Best, nato nel 1946 in un quartiere protestante di Belfast, primo di sei figli di un operaio in un cantiere navale e di un’operaia, prima in una manifattura tabacchi quindi in una fabbrica di gelati. La sua era una tipica famiglia working-class protestante nordirlandese e Best era destinato a ripetere la vita dei suoi genitori, godendo forse di un maggiore benessere che all’epoca si iniziava a respirare, se a quindici anni non fosse stato notato da un talent scout, che lo consigliò a Matt Busby, l’allenatore del Manchester United che era allora una delle squadre inglesi più prestigiose. Best lasciò quindi Belfast nel 1961 per un periodo di prova nel Manchester United ed esordì in prima squadra a diciassette anni, nel 1963. La sua carriera calcistica, prestigiosa e brevissima, si svolse quasi interamente all’interno del club di Manchester nell’arco di undici anni: lasciò definitivamente la squadra nel 1974, anche se i suoi problemi con l’alcol lo avevano già portato a disertare gli allenamenti e a staccarsi lentamente dal mondo del calcio. Dopo aver abbandonato il Manchester United, Best continuò a giocare a calcio negli Stati Uniti, in Australia e in Sudafrica o in squadre minori inglesi o irlandesi, per motivi quasi esclusivamente economici dato che il suo nome attrasse ancora per qualche anno un vasto numero di tifosi negli stadi in cui giocava.
La sua fama non era dovuta però soltanto alla sua bravura in campo e alle sue capacità di attaccante: un suo compagno nel Manchester United, Denis Law, giocò anche lui per undici anni nella squadra per un totale di 404 partite, segnando 237 volte. Best nello stesso periodo giocò 470 partite, segnando 179 volte: non è quindi al numero dei goal da lui segnati o alle gare giocate che Best deve la sua celebrità. Una foto del 1968 che lo ritrae con due compagni del Manchester United, Bobby Charlton e Nobby Stiles, può suggerire una spiegazione migliore. Best è al centro ed è il più giovane dei tre: ha ventidue anni mentre Charlton ne ha trentuno e Stiles ventisei. La differenza d’età fra loro, tuttavia, sembra enorme: Charlton sembra quasi il padre di Best mentre Stiles, pur avendo solo quattro anni più di Best, sembra appartenere a un’altra generazione. Cosa è successo nei quattro anni che separano Best da Stiles o nei nove anni che lo separano da Charlton?

2 EL BEATLE
Era cambiata l’Inghilterra, in primo luogo, e in secondo luogo era cambiato il calcio inglese. Best fu il primo calciatore ad avere una vita al di là del campo di calcio: i giornali popolari si occupavano di lui e delle sue vicende private; le sue dichiarazioni, spesso provocatorie e paradossali come quasi cento anni prima quelle del suo conterraneo Oscar Wilde, venivano riprese e diffuse dalla stampa e dalla televisione; il suo stile di vita, anche in un mondo calcistico che era famoso per il suo scarso salutismo9, andava molto a di là delle normali trasgressioni alla regola. Il motivo era semplice e Best ne parla più volte nella sua autobiografia con la stessa semplicità di Alvaro Maccioni:

«Fuori dai campi di gioco, nel 1964 stava accadendo qualcosa di strano. Tutti i vecchi valori stavano cambiando. Erano iniziati gli anni Sessanta, dominati da gruppi pop come i Beatles e i Rolling Stones. Non era solo la musica che suonavano, era il modo in cui vestivano. […] fu l’inizio di un’epoca fantastica di pace e di amore libero e io stavo innegabilmente iniziando a prendermi la mia fetta di quest’ultimo.10»

Non si tratta di considerazioni particolarmente profonde, dal momento che richiamano alcuni dei luoghi comuni del decennio, ma è interessante che siano ripetute più volte nel corso della stessa autobiografia. Ecco un altro esempio:

«Negli anni Sessanta succedeva di tutto. E tutto sembrava possibile. Eravamo la prima generazione a non dover andare in guerra. Non dovevamo fare nemmeno il servizio militare. Così non vedevamo motivi per non festeggiare la nostra gioia, qualunque cosa questo volesse dire. Per molti voleva dire prendere droghe. Fortunatamente, se pensate alla mia tendenza a sviluppare dipendenze, non ho mai avuto troppa voglia di provarle.
Le mie droghe erano l’alcol e le donne.11»


Best era perfettamente inserito nella cultura giovanile del periodo, in particolare per quanto riguardava la musica, l’abbigliamento e i nuovi comportamenti sessuali. Top of the Pops era una trasmissione della BBC dedicata a un pubblico giovanile, con i gruppi più famosi del periodo che eseguivano i loro successi, circondati dal pubblico che ballava. Andò in onda per la prima volta il 1 gennaio 1964, ma dopo qualche mese il successo fu tale che si decise di portare a oltre mezz’ora la lunghezza del programma settimanale e di spostarlo in una fascia oraria migliore. In una puntata del 1965, i Rolling Stones suonarono il loro ultimo successo, The Last Time, e fra il pubblico che balla si vede per qualche secondo, confuso fra gli altri ragazzi, George Best, ancora di fatto un teenager12, perfettamente integrato nell’atmosfera della trasmissione. A legarlo maggiormente alla cultura musicale e giovanile del periodo fu la fama che gli derivò da un soprannome datogli da un giornale portoghese che fu immediatamente ripreso e diffuso dalla stampa popolare inglese. Il 9 marzo 1966 si giocò a Lisbona la partita di ritorno per i quarti di finale della Coppa dei Campioni fra il Manchester United e il Benfica, una delle migliori squadre europee del periodo. Nella partita di andata il Manchester aveva vinto di stretta misura e i pronostici davano per favorita la squadra portoghese. La partita finì invece con un imprevisto 5-1 per la squadra inglese, trascinata da Best che segnò i primi due goal. Come ricorda Best, la «stampa inglese fu fantastica, ma fu il giornale portoghese “Bola” a battezzarmi El Beatle, perché ero un inglese con i capelli lunghi. Quel soprannome mi sarebbe rimasto appiccicato per un bel po’.13» Al ritorno in patria, il giorno seguente, Best venne fotografato con un enorme sombrero e apparve sulle prime pagine di tutti i giornali. Anche in questo caso la fotografia è significativa per il contrasto evidente fra George Best, con il suo sombrero, gli occhiali scuri e un giaccone di pelle nera, e gli altri viaggiatori che scendono dall’aereo vestiti in modo molto più formale e tradizionale. L’allineamento fra Best e la cultura giovanile del periodo, sancito dal suo soprannome che la stampa inglese riprese trasformandolo in «il Quinto Beatle”, viene sottolineato dallo stesso Best, con parole che richiamano quelle già citate:

«Fuori dai campi di gioco il mondo sembrava impazzito. La beatlemania era al suo apice e per la prima volta i giovani avevano come star dei musicisti che avevano più o meno la loro stessa età. Dopo i bacchettoni anni Cinquanta i costumi si stavano decisamente rilassando. I ragazzi volevano esprimere le proprie emozioni e dopo che la stampa inglese ebbe modificato il mio soprannome in “Il Quinto Beatle” divenni immediatamente una figura di riferimento per i giovani, un’icona (per quanto sia difficile pensare a se stessi in questi termini).14»

Potrebbe apparire superficiale l’insistenza di Best sull’abbigliamento e più in generale sul suo aspetto fisico e sulla lunghezza dei suoi capelli, ma è significativo che uno dei primi investimenti di Best fosse proprio una boutique di abiti da uomo, che inaugurò poco dopo la partita con il Benfica. Lo stile, inteso nel senso più ampio del termine e che quindi comprende anche l’abbigliamento, è un elemento distintivo delle sottoculture inglesi, come ha ampiamente dimostrato Dick Hebdige: si tratta di una devianza che può apparire leggera, come «la cura prestata a un certo tipo di ciuffo, l’acquisto di un motoscooter o di un disco o di un certo genere di vestito». Ma si finisce in questo modo, anche inconsapevolmente come fu nel caso di Best, con il costruire uno stile con «un gesto di sfida o di disprezzo, con un sorriso o con un sogghigno»15. Best non si fece mai portavoce di una sottocultura, pur se proveniva da quella classe operaia a cui appartenevano molti esponenti delle sottoculture inglesi degli anni Sessanta e Settanta, ma entrò direttamente a far parte di quella nuova aristocrazia o popcracy, «un pantheon stratificato di gruppi pop, attori, modelle e imprenditori di nuovo stampo»16, fotografi, gangster, nuovi e vecchi ricchi e un unico calciatore: George Best. Era un mondo ristretto, ma che apriva possibilità nuove anche a chi, in una società classista come quella inglese, proveniva da un retroterra sociale a cui, fino ad allora, erano stati negati i privilegi propri degli strati sociali più ricchi.
Anche di quella provocatoria arroganza che molti commentatori attribuivano ai teenagers, Best non andava esente. Non tutti, per esempio, apprezzavano i suoi capelli lunghi e i tifosi delle squadre avversarie li consideravano un segno di effeminatezza, prendendolo in giro con un coro che diceva «George Best, superstar, cammina come una donna e porta il reggiseno», tanto per sottolineare quanto fosse poco condivisa, anche dopo la metà degli anni Sessanta, la scelta di non tagliarsi i capelli. La reazione di Best al coro dei tifosi avversari fu tipica di un adolescente beffardo: «un giorno ad Anfield presi in prestito la borsetta di una cameriera ed entrai in campo tenendola sotto braccio.17» Non a caso MacInnes accennava alla pratica dei giovani e delle giovani teenagers di scambiarsi i vestiti18, in un prima, confusa revisione dei gender roles, superficiale ma tuttavia indicativa di tempi che stavano cambiando. La reazione di Best alle prese in giro dei tifosi avversari è però soprattutto tipica di un atteggiamento che, andando al di là di un atto rabbioso e antagonista, sceglie la strada dello sberleffo, della reazione imprevista, di una provocazione giocosa e divertita. Come quelli del protagonista adolescente del racconto di Alan Sillitoe La solitudine del maratoneta e del film The Loneliness of the Long-Distance Runner (in italiano Gioventù, amore e rabbia) che nel 1962 ne trasse Tony Richardson. O più ancora quelli con cui i Beatles nel film A Hard Day’s Night (in italiano Tutti per Uno) di Richard Lester del 1964 affrontano l’anziano ex militare sul treno che li porta a Londra.

3 MUTAZIONI DEL CALCIO INGLESE
La vittoria contro il Benfica non diede alla squadra di Best il successo sperato perché nelle semifinali della Coppa dei Campioni il Manchester perse contro il Partizan di Belgrado e fu esclusa dal torneo. Avrebbe dovuto aspettare il 1968 quando a Wembley il Benfica fu nuovamente battuto: la partita finì con un pareggio e si dovettero giocare i tempi supplementari, ma anche questa volta fu decisivo il goal di Best nel primo minuto che trascinò la squadra verso il successo. Erano anni decisivi per il calcio inglese, e non solo per il Manchester: due anni prima, nel 1966, la nazionale inglese aveva conquistato la Coppa Rimet battendo in finale la Germania, anche se c’erano stati molti dubbi sul goal della vittoria inglese. Il problema, però, è che il calcio inglese era sempre stato molto sospettoso delle competizioni europee e la Football League, adottando una politica isolazionista, aveva sconsigliato alle squadre inglese di partecipare alle coppe europee che avevano iniziato a nascere a partire dalla metà degli anni Cinquanta. L’unica eccezione era stata proprio quella del Manchester United che, allenato dallo scozzese Matt Busby, nel 1957 aveva deciso di partecipare alla Coppa dei Campioni nonostante il suggerimento della Football League. La decisione ebbe un esito tragico dato che nel febbraio dell’anno seguente, di ritorno da una partita per i quarti di finale della Coppa dei Campioni a Belgrado, l’aereo che trasportava la squadra si fermò a Monaco per fare rifornimento e al terzo tentativo di decollare, a causa della neve e della fanghiglia sulla pista, si schiantò contro il parapetto e poi contro una casa. Fra i quarantaquattro passeggeri, le vittime furono ventitré e la squadra del Manchester fu praticamente distrutta. Come osserva James Walvin, «è impossibile discutere la storia recente del calcio britannico senza riconoscere le ramificazioni del disastro aereo di Monaco, sia sul gioco del calcio sia sulla creazione di una mitologia che sembrava crescere sempre più prepotentemente con il passare del tempo.19» Il fatto che l’età media della squadra coinvolta nel disastro fosse molto bassa e che i calciatori del Manchester United fossero conosciuti come i Busty Babes, cresciuti all’interno della squadra giovanile di Manchester, furono fondamentali nella creazione di quella mitologia intorno alla squadra che divenne centrale nella carriera di Best, anche lui giovanissimo e visto come una sorta di ritorno ai Busty Babes del decennio precedente.
Il disastro di Monaco, come argomenta Walvin, contribuì a suscitare un dibattito fra le squadre inglesi sull’opportunità di partecipare alle coppe europee e contribuì a rompere l’isolazionismo britannico20. Non a caso, in quegli stessi anni, la propensione internazionale dei teenagers era un altro degli elementi identificati da MacInnes, secondo il quale gli adolescenti inglesi non guardavano solo agli Stati Uniti, ma anche a Parigi e Roma in cerca di modelli e di ispirazione: a suo parere i teenagers avevano «una mentalità più internazionale della generazione precedente; non, per così dire, programmaticamente […] ma istintivamente.21» L’apertura del calcio inglese verso l’Europa, un tassello fra i tanti che andavano a rompere l’isolamento inglese rispetto al continente europeo, andava inoltre di pari passo con un cambiamento che si stava verificando negli anni Cinquanta e che apparentemente aveva poco a che fare con il calcio: l’avvento della televisione che iniziò a diffondersi con l’incoronazione della regina Elisabetta nel giugno 1953. All’inizio del decennio, si stima che il 9% delle case inglesi possedesse un apparecchio televisivo, mentre all’inizio del decennio seguente quattro famiglie su cinque ne avevano uno22. La diffusione della televisione ebbe, fra le tante conseguenze, anche quella di cambiare le abitudini inglesi nei confronti delle partite di calcio: la presenza negli stadi, già in lento declino nel corso degli anni Cinquanta, subì un crollo nel decennio successivo, anche se colpì meno le grosse squadre. Contemporaneamente, le partite iniziarono a essere trasmesse sempre più spesso in televisione, contribuendo a diminuire la presenza fisica dei tifosi sui campi di calcio e a promuovere una catena di interessi economici, sponsorizzazioni e pubblicità che da allora non si è più fermata. L’apertura del calcio inglese all’Europa fu un ulteriore incentivo all’inizio degli anni Sessanta per cambiare la visione delle partite di calcio, lontano dagli stadi e attraverso l’apparecchio televisivo. All’interno di questo fenomeno, Best si inserì quando, alla fine della sua carriera e nonostante i suoi evidenti problemi con l’alcol, venne messo sotto contratto da alcune squadre minori proprio perché il suo nome richiamava i tifosi negli stadi, aumentando così i guadagni dei club e permettendo ad alcuni di essi di sopravvivere.
Nel periodo di maggiore celebrità, Best fu inoltre il primo calciatore a prestare il proprio volto per varie campagne pubblicitarie televisive che sfruttavano la sua popolarità. Anche questo era un fatto impensabile solo pochi anni prima, data la scarsa diffusione della televisione: ora invece il viso di Best (e non solo la sua voce, come poteva accadere alla radio) divenivano familiari ai telespettatori. Come ricorda Best, «la mia prima pubblicità importante fu per una marca di salsicce irlandesi» a cui partecipò tutta la sua famiglia.

«Io non dovevo quasi parlare. Nella pubblicità eravamo tutti seduti a tavola per la colazione a mangiare delle salsicce. Dopo averne addentata una dovevo alzare lo sguardo e dire una battuta immortale: “Le salsicce Cookstown sono di una bontà bestiale”. […] Il fatto che io mi chiami Best e che in inglese “best” significhi “migliore” mandava letteralmente in sollucchero i pubblicitari e forniva loro una riserva inesauribile di battute inqualificabili. Essendo io un atleta, e dato che gli atleti hanno ovviamente bisogno di una dieta equilibrata, venivo contattato da molti produttori di generi alimentari. Feci una pubblicità per delle arance spagnole e una per l’Associazione dei Produttori di Uova. […] Era inevitabile che il mondo della pubblicità finisse per interessarsi seriamente ai calciatori: io fui soltanto il primo.23»

Quella di Best fu la prima generazione a vivere con la televisione e con i cambiamenti che essa portò nella cultura dell’intrattenimento e nella pubblicità. E Best fu il primo sportivo a sfruttarli ma anche a subirne le conseguenze: le pubblicità finivano per infrangere la separazione fra vita pubblica e vita privata che fino ad allora era stata sostanzialmente rispettata dai media e che comunque aveva toccato solo tangenzialmente il mondo dello sport. A partire da Best, i media, e in particolari i programmi televisivi e i tabloid, scoprirono che oltre agli attori e ai musicisti, anche gli sportivi avevano una vita privata da dare in pasto al pubblico24.

4 LA FINE DEL SOGNO
Su un paio di cose MacInnes sbagliava, almeno rispetto a un teenager come poteva essere George Best: nel suo saggio aveva scritto che i teenagers non bevono e che la loro vita sessuale era misteriosa25. Le stesse cose non si possono di certo dire di Best, che divenne celebre non solo per il calcio ma anche per la sua vita sessuale, perfettamente in sintonia con quella rivoluzione sessuale per cui la generazione di Best divenne famosa, e per i suoi eccessi alcolici che ostacolarono la sua carriera e danneggiarono irrimediabilmente la sua salute.
All’inizio degli anni Settanta risale una partita che segna uno dei momenti più alti della carriera calcistica di Best ma lascia trasparire anche una stanchezza e una disillusione che sembra coglierlo proprio in quel momento. La partita contro il Northampton fu vinta dal Manchester United per 8 a 2 e Best segnò sei goal26. Vedendo i filmati della partita, si nota una differenza sostanziale nell’esultanza di Best dopo i suoi goal: dopo la prima rete c’è una normale esultanza, con Best abbracciato dai compagni. Il sesto goal, uno dei più spettacolari da lui fatto, si conclude con la palla in rete e Best che si appoggia al palo a testa bassa. È vero che la squadra stava già vincendo per 6 a 1, ma la reazione di Best sembra quella di chi abbia sbagliato una rete e si appoggia desolato al palo della porta avversaria, non quella di chi ha segnato uno dei più bei goal della sua carriera. Il calcio sembrava interessare sempre meno Best: era come se il teenager annoiato che nel 1957 Hoggart aveva immaginato davanti al juke-box avesse soppiantato in lui l’entusiasta adolescente di MacInnes. Il mondo non era cambiato in meglio, il benessere in Inghilterra, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, iniziò a rallentare insieme all’utopia dell’età dell’oro. Per molti fu un brusco risveglio a una realtà poco piacevole, per alcuni una spinta a impegnarsi nella politica, per altri l’inizio di una deriva autodistruttiva.
Per Best il risveglio da un sogno che si trasformava in incubo fu sostanzialmente privato e nelle sue autobiografie non c’è traccia di prese di posizione politica o di una delusione relativa a questioni sociali, se non qualche generica affermazione di scarso rilievo. La sua dipendenza dall’alcol, mascherata da una vita sociale brillante e da una fama di playboy incrementata dai servizi della stampa popolare, venne invece impietosamente alla luce in una serie di imbarazzanti interviste televisive nei decenni successivi, in cui lo stato alterato di Best era evidente27. La vicenda di Best, con i suoi problemi privati e la sua fama pubblica, rispecchia il cambiamento in corso negli anni Sessanta in tutta la sua complessità: i teenagers, nuovo gruppo sociale corteggiato dall’industria dello spettacolo, aveva spinto settori come quello dell’abbigliamento o della musica pop verso introiti fino ad allora impensabili e indirizzato altri settori tradizionali, come lo sport, in direzioni nuove. Le nuove icone giovanili inglesi erano però diventate portatrici di valori e di stili di vita alternativi alla società tradizionale che si erano affermati e diffusi grazie alla visibilità mediatica della nuova aristocrazia pop. Nella seconda metà degli anni Sessanta, si sviluppò una reazione da parte dei settori più tradizionalisti e conservatori della società inglese: dal discorso del deputato conservatore Enoch Powell contro gli immigrati al processo contro Mick Jagger e Keith Richards per droga, la tendenza generale del periodo mostra una Gran Bretagna poco propensa verso i cambiamenti auspicati nella prima parte del decennio. Le nuove identità giovanili si stavano rivelando fin troppo simili a quelle delle generazioni precedenti e l’utopia del cambiamento pacifico attraverso i consumi mostrava il suo lato distopico. L’intervento militare inglese in Irlanda del Nord nel 1969 è coerente con questo quadro di continuo e ininterrotto dispiegarsi degli aspetti più repressivi e conservatori della politica inglese. E George Best, nato a Belfast, pur se viveva lontano dall’Irlanda, non poteva restare estraneo a quello che accadeva nella sua città.

5 GEORGIE BEST, IRLANDESE
L’appartenenza religiosa non fu mai un problema per Best. La squadra protestante di Belfast, per esempio, era il Linfield mentre quella cattolica era il Glentoran. La famiglia di Best era presbiteriana, ma dal momento che il nonno abitava vicino allo stadio del Glentoran, da ragazzo Best tifava per la squadra cattolica. Tuttavia, la sua famiglia era protestante e «se eri protestante era naturale entrare nell’Orange Order. E sia mio padre sia mio nonno erano stati presidenti della loggia di zona.28»
L’Orange Order, una società protestante nata nel 1795, è sempre stato un baluardo dell’unionismo nordirlandese, filo-britannico e contrario all’unificazione dell’Irlanda: molti dei suoi membri sono stati dirigenti dell’Ulster Unionist Party. È vero che all’inizio degli anni Sessanta il partito unionista avviò una serie di riforme che riconoscevano maggiori diritti alla minoranza cattolica, ma l’Ordine Orangista è sempre stato identificato con una politica protestante e anticattolica, in particolare in occasione delle parate che si organizzano ogni 12 luglio per ricordare la Gloriosa Rivoluzione del 1688 e la vittoria di Guglielmo d’Orange nella battaglia del Boyne del 1690. Viste come esibizione della propria identità dai protestanti, le marce, che spesso sfociano in episodi di violenza, sono considerate invece dai cattolici come una provocazione settaria e intimidatoria. Essere a capo, quindi, di una loggia dell’ordine orangista non si poteva considerare soltanto una innocua tradizione familiare neppure prima dell’esplosione dei Troubles e la parata del 12 luglio non era «come il Martedì Grasso di New Orleans», come lo ricorda Best, e tanto meno «una giornata unica e affascinante», o quanto meno non per tutti gli abitanti di Belfast.

«Il 12 luglio […] era un giorno importante in casa nostra e tutta la famiglia partecipava alla parata. Il punto di ritrovo per molti partecipanti era la casa del presidente della loggia e ricordo quanto eravamo tutti emozionati quando mio padre era presidente e tutta quella gente si ritrovava davanti a casa nostra. Tutti indossavano sciarpe di seta arancione e abiti della festa mentre suonatori di cornamusa e di tamburo facevano le ultime prove. Allora la questione irlandese non aveva avuto ancora la svolta violenta di oggi e per noi era solo un giorno di divertimento. Era come una specie di carnevale.29»

Nel ricordo di Best il conflitto nordirlandese, che effettivamente sarebbe esploso solo alla fine degli anni Sessanta, negli anni precedenti non è molto diverso da uno scontro fra due tifoserie rivali. La violenza, tuttavia, è già strisciante e implicita anche nel racconto edulcorato e venato di nostalgia che ne fa: si parla di scambi di improperi con i ragazzi cattolici o del fatto che, dal momento che la scuola che frequenta si trova all’interno di un’area cattolica, i ragazzi della zona lo insultano e cercano di rubargli la sciarpa o il berretto, probabilmente segni distintivi nella sua uniforme della sua appartenenza protestante. Best riconosce tuttavia che le parate «finirono per essere considerate delle provocazioni, cosa che in effetti sono» e termina il paragrafo rivendicando la propria distanza da ogni estremismo protestante, anche se le sue affermazioni sono alquanto generiche: «la fede e il colore per me non sono mai stati un problema. Credo che ognuno si possa tenere il suo, a meno che questo non voglia dire fare del male a qualcun altro.30»
Anche per quanto riguarda l’Irlanda del Nord, Best passò dall’idillio vagamente minaccioso della sua adolescenza all’incubo dei decenni successivi, che lo toccò indirettamente ma in modo significativo. Nella sua autobiografia racconta come nel 1971 un presunto militante dell’Ira avesse minacciato di sparargli durante una partita contro il Newcastle. La polizia prese seriamente la minaccia, scortando il pullman del Manchester United e verificando che non ci fossero esplosivi nascosti o cecchini pronti a sparare, ma la minaccia si rivelò infondata e Best segnò la rete della vittoria per la sua squadra. La vicenda che nel 1974 coinvolse indirettamente Best fu più tragica: suo cugino, il diciassettenne Gary Reid, fu ucciso a Belfast da un proiettile sparato dall’esercito contro un gruppo di estremisti protestanti. Secondo Best, Reid era uscito di casa per andare a comprare del fish and chips per i genitori ed era rimasto inconsapevolmente coinvolto in un conflitto a fuoco31. Nel 1984 ci fu un episodio meno tragico ma maggiormente significativo. Best era ricercato per guida in stato di ebbrezza e non si era presentato in tribunale. Dopo aver preso in giro i poliziotti che lo aspettavano davanti alla sua casa rifugiandosi da una vicina, Best si arrese dopo un assedio di ore ma i poliziotti lo maltrattarono, come se fosse stato un normale ricercato un po’ arrogante e non una celebrità pubblica, sia pure ormai decaduta. Best riporta gli insulti dei poliziotti, tutti riferiti alla sua origine irlandese. Dopo l’ennesimo insulto («ti credi un gran divo ma sei solo un irlandese di merda32»), Best reagisce infine dando una testata al poliziotto. L’insulto è simile a quelli che aveva già citato Best parlando degli scontri con i ragazzi cattolici, ma allora riguardava il fatto che era protestante mentre ora l’insulto è rivolto direttamente a Best in quanto irlandese. È come se, dopo tre decenni, Best fosse tornato quello che era da ragazzo: niente più di un protestante nordirlandese. Dopo i trionfi calcistici, una vita ammirata e invidiata fra donne, auto sportive ed eccessi alcolici, Best si risveglia e si ritrova esattamente dove era partito: un ragazzo irlandese, insultato questa volta non da un coetaneo cattolico, ma da un ignorante poliziotto inglese, per il quale l’affiliazione religiosa non ha alcuna importanza e un irlandese, cattolico o protestante che sia, è un essere inferiore da insultare.
Best si muove quindi fra due identità, quella di un teenager di fine anni Cinquanta che arriva a un successo insperato e imprevedibile nel decennio successivo e quella di un protestante irlandese: se la prima costituisce una novità che apporta cambiamenti più o meno importanti nella società inglese, la seconda subisce trasformazioni altrettanto radicali ma tragiche nel corso della vita di Best e di cui egli è testimone. Il calcio, come altri elementi della vita comunitaria, non è immune da queste trasformazioni, soprattutto quelle legate all’impatto di nuovi media come la televisione. Alla fine del decennio in cui si svolge la carriera calcistica di Best, iniziano ad apparire nuove tendenze che diventeranno centrali negli anni successivi, come il nuovo status del calciatore di successo che diventa un personaggio pubblico, la cui vita privata viene sviscerata dai media ed esposta in televisione; i club che devono affrontare la crisi del calcio allo stadio, con un tifo che si fa sempre più aggressivo e violento, e accettare la logica del calcio in televisione, con i cambiamenti che questo comporterà; o l’apertura verso il calcio europeo che procede parallelamente a una fase di effimera apertura della Gran Bretagna verso l’Europa.
Nel 2006 l’aeroporto di Belfast ha preso il nome di George Best, anche se una percentuale abbastanza alta degli abitanti della città ha avanzato qualche riserva. Best è entrato a fare parte delle icone inglesi e nordirlandesi, simbolo di un periodo anch’esso controverso, glorificato come momento utopico a cui guardare come modello per una società migliore oppure demonizzato come periodo di superficiale ottimismo o di cieco permissivismo. In ogni caso, si è trattato di un decennio fondamentale per comprendere la Gran Bretagna contemporanea, nel quale si sono visti per la prima volta all’opera dei fenomeni e dei meccanismi che in seguito sarebbero diventati consueti. E George Best resta una figura fondamentale di quel decennio per comprendere come il calcio, i suoi protagonisti e la storia inglese si sarebbero sviluppati negli anni successivi.

Note

  1. “News of the World”, 20 novembre 2005.
  2. Su George Best, oltre a Duncan Hamilton, George Best, l’immortale, 66thand2nd, Roma, 2015, è disponibile in italiano anche Stefano Friani, Belfast boy. Una storia inedita di George Best, Milieu, Milano, 2021.
  3. Si veda, per esempio, la descrizione di Richard Hoggart dei “ragazzi del juke-box” nel suo The Uses of Literacy, Penguin, London, 1957, pp. 247-250.
  4. Colin MacInnes, Young England, Half English e Pop Songs and Teenagers, in England, Half English, Chatto & Windus, London, 1993, pp. 11-19 e 45-59.
  5. C. MacInnes, Pop Songs and Teenagers, cit., p. 59.
  6. Roberto Bertinetti, Dai Beatles a Blair: la cultura inglese contemporanea, Carocci, Roma, 2001, pp. 8-9.
  7. Si vedano a questo proposito le riflessioni conclusive di Silvia Albertazzi nel suo Questo è domani. Gioventù, cultura e rabbia nel Regno Unito 1956-1967, paginauno, Lissone (MB), 2020, pp. 206-7.
  8. Cit. in Shawn Levy, Ready, Steady, Go! Swinging London and the Invention of Cool, Fourth Estate, London, 2001, p. 3.
  9. Nella sua autobiografia Best racconta di come fosse normale bere del whisky negli spogliatoi prima delle partite: George Best e Roy Collins, George Best. The Best, Baldini e Castoldi, Milano, 2020 [prima edizione italiana 2001, edizione originale 2001], p. 72.
  10. Ibidem, pp. 84-85.
  11. Ibidem, pp. 115-116.
  12. Il filmato si può vedere in The Rolling Stones – The Last Time (Top of the Pops, 1965) (visto il 31 ottobre 2021) e George Best compare al minuto 1:38.
  13. G. Best e R. Collins, George Best. The Best, cit., p. 99.
  14. Ibidem, p. 100.
  15. Dick Hebdige, Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale, Costa&Nolan, Genova, 2000, p. 6.
  16. S. Levy, Ready, Steady, Go!, cit., pp. 8-9.
  17. G. Best e R. Collins, George Best. The Best, cit., p. 193.
  18. C. MacInnes, Pop Songs and Teenagers, cit., p. 58.
  19. James Walvin, The People’s Game. The History of Football Revisited, Mainstream, Edinburgh, 1994, pp. 170-171.
  20. Ibidem, p. 171.
  21. C. MacInnes, Pop Songs and Teenagers, cit., p. 57.
  22. Per i dati sulla televisione in Gran Bretagna, si vedano J. Walvin, The People’s Game, cit., p. 165; John Oakland, British Civilization. An Introduction, Routledge, London, 2002, pp. 278-286 e le pagine di Wikipedia https://en.wikipedia.org/wiki/Television_in_the_United_Kingdome https://en.wikipedia.org/wiki/Coronation_of_Elizabeth_II, viste il 31 ottobre 2021.
  23. G. Best e R. Collins, George Best. The Best, cit., pp. 102-104. La pubblicità per le salsicce Cookstown si può vedere in George Best Vintage Cookstown Sausages TV AD , quella per l’Egg Marketing Board in British Eggs “E For B” ad starring George Best – by O&M , quella per il dopobarba Fore in ADS#0001 Fore Aftershave e quella per i reggiseni Playtex in Body Language Bra by Playtex feat. George Best (visti il 31 ottobre 2021).
  24. Su questo si veda Barry Smart, The Sport Star. Modern Sport and the Cultural Economy of Sporting Celebrity, Sage, London, 2005, pp. 72-77.
  25. C. MacInnes, Pop Songs and Teenagers, cit., p. 58.
  26. Le reti segnate da Best si possono vedere in George Best vs Northampton (visto il 1 novembre 2021).
  27. Un’intervista televisiva con Terry Wogan nel 1990 si può vedere in George Best on Wogan anche se manca la parte che suscitò più scandalo e che si può invece vedere in George Best & Terry Wogan, embarrassing drunk interview (visti il 31 ottobre 2021).
  28. G. Best e R. Collins, George Best. The Best, cit., p. 39.
  29. Ibidem, p. 39.
  30. Ibidem, p. 40.
  31. Ibidem, pp. 221-223. Altrove Gary Reid viene invece identificato come membro di un gruppo paramilitare protestante, l’Ulster Defence Association: si vedano https://belfastchildis.com/tag/gary-reid e la nota 73 in https://second.wiki/wiki/george_best (visti il 1 novembre 2021).
  32. Ibidem, p. 306.

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