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Il flagello sociale. La tratta delle bianche e la repressione dell’omosessualità nel corso del Novecento (1904-1982)
di , numero 51, giugno 2021, Saggi e Studi, DOI

Il flagello sociale. La tratta delle bianche e la repressione dell’omosessualità nel corso del Novecento (1904-1982)
Come citare questo articolo:
Dario Petrosino, Il flagello sociale. La tratta delle bianche e la repressione dell’omosessualità nel corso del Novecento (1904-1982), «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 51, no. 3, giugno 2021, doi:10.48276/issn.2280-8833.5938

1. Premessa. Omosessualità, flagello sociale

Il 18 luglio 1960 l’Assemblea nazionale francese, sotto la presidenza di Charles de Gaulle, approvava una legge (la numero 60-773) con la quale si autorizzava il governo a procedere per ordinanze (ossia per decreti presidenziali che non necessitano a tutti i costi di un voto parlamentare) al fine di proteggere la società francese da “flagelli sociali” come l’omosessualità, l’alcolismo, la tubercolosi, la prostituzione e il prossenetismo, ossia il sostentamento con i proventi della prostituzione1. Tale legge permetteva, il 25 novembre dello stesso anno, la promulgazione di un’ordinanza (la numero 60-1245) con la quale si integrava l’articolo 330 del codice penale col comma 2, al quale si prevedeva il raddoppio della pena per oltraggio al pudore «nel caso esso consistesse in atti contro natura con un individuo dello stesso sesso, […] inclusi i casi di rapporti omosessuali.2»
Parallelamente, in Italia, il 22 gennaio 1960 veniva presentata alla Camera dei Deputati una proposta di legge che aveva come obiettivo quello di rendere l’omosessualità un reato attraverso la modifica e integrazione dell’articolo 527 del codice penale:

«Art. 527-bis. (Omosessualità). – Chiunque ha rapporti sessuali con persona dello stesso sesso è punito con la pena della reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire 10.000 a lire 100.000. Se dal fatto deriva pubblico scandalo la pena è aumentata. Se tra persone che hanno rapporti sessuali con persone dello stesso sesso vi siano uno o più minori di anni 18, la pena sarà aumentata nei confronti del maggiorenne e dei maggiorenni.3»

Sempre in Italia, dopo poco più di un anno, Bruno Romano, del Psdi, presenta una proposta di legge, la 2990/61, dal titolo “Norme integrative del Codice penale per la repressione della condotta omosessuale”, inasprendo le pene e proponendo sostanzialmente la stessa legge presentata l’anno prima: 1) la denuncia d’ufficio per i rapporti omosessuali, con la condanna «alla reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 50.000 a lire 500.000», la metà se minorenne; 2) in caso di rapporto con un minore di diciassette anni, la pena va da cinque a dieci anni se l’altro partner è maggiorenne, la metà se minorenne; 3) il raddoppiamento delle pene se l’attore sottopone il soggetto a violenza fisica o lo rende inabile con l’uso di stupefacenti o di alcolici, o, ancora, se l’attore abusa della sua condizione di autorità, ricorre alla corruzione con denaro o dà luogo a pubblico scandalo; 4) la reclusione da cinque a dieci anni per

«chiunque a mezzo della stampa, della radio televisione, del teatro, del cinema, di convegni o riunioni dovunque tenuti e di ogni altro sistema di propaganda e di diffusione, si renda promotore, organizzatore od esecutore di azioni e manifestazioni che abbiano come finalità l’apologia della condotta omosessuale.4»

Tali proposte di legge non verranno mai approvate dal Parlamento. Tuttavia, giusto due anni prima, il 20 febbraio 1958, il Parlamento italiano aveva approvato la legge Merlin, che sanciva la messa al bando della prostituzione. Con Decreto del Ministero dell’Interno del dicembre 1958 (anch’esso non necessitante di voto parlamentare), intitolato “Fenomeni derivanti dall’applicazione della legge 20 febbraio 1958, n. 75: lotta contro lo sfruttamento della prostituzione”, si davano disposizioni per la repressione del fenomeno, includendo in esso anche l’omosessualità, intesa senza distinzione alcuna come prostituzione maschile5.
Sia le vicende italiane che quelle francesi, apparentemente separate malgrado la vicinanza temporale, e apparentemente distinte, sia per la provenienza da stati diversi che per le differenti tematiche, hanno invece un tratto comune che le unisce, ossia l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni Onu: in questo caso specifico, alla convenzione del 2 dicembre 1949 avente per oggetto la “soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione altrui”6.
In questo saggio illustreremo brevemente, facendo riferimento in particolare al caso italiano e a quello francese, come la repressione dell’omosessualità nel corso del Novecento, ad ogni suo livello, dalle sanzioni pecuniarie e dalle denunce della Francia democratica, fino agli abissi dei campi di concentramento nazisti, sia stata voluta o favorita dalle convenzioni approvate prima in seno alla Società delle Nazioni, e poi dall’Onu, all’interno della repressione della “tratta delle bianche” e della sua evoluzione giuridica nel secondo dopoguerra. Questa vicenda, sorta fin dal 1904 con le prime convenzioni internazionali sulla pornografia, fatta propria nel 1919 dalla Società delle Nazioni alla sua nascita, e veramente interrottasi solo all’arrivo degli anni Ottanta con l’elezione di Mitterrand in Francia, ha visto non solo il coinvolgimento degli stati che aderivano alle sopracitate organizzazioni internazionali, ma anche di quelli che non vi aderivano, e magari ne erano usciti, come la Germania nazista e l’Italia fascista, ma rimanevano comunque membri dell’Interpol, che dal 1924 in avanti si curerà di dare un indirizzo di carattere giudiziario a tutte le istanze provenienti dalla Sdn prima e dall’Onu poi, rapportandosi coi propri Paesi membri e svolgendo il ruolo di cerniera tra questi ultimi e le organizzazioni internazionali.

2. Il contesto internazionale e i casi nazionali

Il ruolo di raccordo, compiuto dall’Interpol, tra i suoi Paesi membri e la Società delle Nazioni, anche quando questi Paesi non vi appartenevano, è rimasto finora offuscato dal fatto che la Commissione internazionale di polizia criminale (Cipc, questo il nome iniziale dell’Interpol) ha sempre coordinato la sua lotta alla criminalità internazionale senza che i Paesi membri esplicitassero che gli input alla legislazione nazionale su questo tema non nascevano autonomamente da decisioni interne, ma provenivano da determinazioni prese all’interno di assemblee annuali organizzate dalla Commissione. Essa, in tale azione, inseriva anche le determinazioni provenienti dalla Società delle Nazioni e poi dalle Nazioni Unite, finendo così per lasciar pensare agli osservatori esterni che la coincidenza di intenti tra queste e gli stati fosse talvolta incidentale o non correlata. Sandro Bellassai ad esempio, nel suo studio sulla legge Merlin, coglie il nesso tra l’abolizione della prostituzione, la tratta delle bianche e la convenzione Onu del 1949 per la lotta alla prostituzione; ma ritiene che tale nesso sia una scelta strumentale dell’Italia7, non essendo ancora emersa su tali temi l’attivazione dell’Interpol. Attivazione che, sul tema della morale sessuale, nel corso dei decenni, aveva raggiunto il suo punto più intenso a partire dall’Assemblea di Stoccolma del 1952, incentrata sul tema dei reati sessuali8.
In tale luce viene meno, pertanto, o almeno si riduce fortemente, il ruolo giocato in Italia dalla Democrazia Cristiana e dalle gerarchie cattoliche nel controllo della morale pubblica, in un contesto dove i partiti al governo non sono certo meri esecutori, ma devono comunque produrre una legislazione nazionale compatibile con le direttive internazionali, secondo una modalità che, né più né meno, corrisponde al rapporto odierno che sussiste oggi tra direttive della Comunità europea e legiferazione di carattere nazionale. Marco Barbanti, nel suo pionieristico saggio del 1992 che studia la morale sessuale negli anni del centrismo (1948-1960), pone in evidenza su questo tema l’intensa attività legislativa, connessa alle disposizioni di carattere giudiziario, sviluppatasi in quegli anni in Italia9. Di tale fase, in realtà, a partire dagli anni dei lavori per la promulgazione della Convenzione del 1949, fino all’adeguamento della normativa francese e italiana circa la morale pubblica tra il 1958 e il 1960, nelle aule parlamentari italiane e nelle direzioni dei ministeri, si vede solo l’acme di un percorso che procede idealmente in linea con quanto attuato durante il fascismo tra anni Trenta e Quaranta (si veda, a mo’ di esempio, la vicenda delle circolari sull’abbigliamento al mare10 che, negli anni Cinquanta, sono la trascrizione pressoché pedissequa di quanto emanato nei vent’anni precedenti), e riacquista una sua reviviscenza proprio con la necessità di adeguare la normativa nazionale su prostituzione e omosessualità sia in Francia che in Italia, stati che, tra quelli di un certo peso nell’Onu, costituivano casi d’eccezione. Dopo il 1960 tale l’attività legislativa riduce la propria visibilità mediatica, essendo stato raggiunto l’obiettivo più importante, cioè la messa fuori legge della prostituzione, ma non si arresta, proseguendo per tutti gli anni Settanta tra alterne fortune fino ai primi anni Ottanta, quando le disposizioni sul buon costume saranno virtualmente abrogate, cadendo nell’oblio11.

3. Le fonti

Per far ordine all’interno di questi temi è stato necessario puntare la lente di ingrandimento sulla coralità dell’agire dei differenti Stati sul lungo periodo, aspetto che faceva capolino in continuazione ogni qualvolta si individuavano operazioni volte alla repressione dell’omosessualità12. Le considerazioni che seguono fanno tesoro dell’analisi compiuta nelle loro opere da Jean-Michel Chaumont e Florence Tamagne13, che hanno permesso, insieme a una ricerca d’archivio condotta in Francia e negli archivi italiani14, di ricostruire il fenomeno della repressione degli omosessuali e della prostituzione, che viene condotta attraverso una attività di controllo sociale, la quale nel suo intento ufficiale è di carattere preventivo, ma è di fatto repressiva. Tale attività di controllo sociale viene praticata attraverso una politica degli stati, sia a livello nazionale che internazionale, che mira a modificare le propria legislazione (nazionale) su questioni giudiziarie relative alla morale pubblica in generale, operando nel contesto di una vera e propria pianificazione operativa (di carattere internazionale), ossia tramite la lotta alla “tratta delle bianche”. Queste operazioni si dipaneranno per tutto l’arco del Novecento, in una vicenda che ha inizio, andando a ritroso, negli ultimi due decenni dell’Ottocento15.
I riscontri circa la continuità del fenomeno, e la sua correlazione con l’omosessualità, sono molteplici: primo fra tutti, nella fase del secondo dopoguerra, l’historique della polizia francese che, approntando nel 1956 la documentazione per le modifiche alla legislazione francese in materia di prostituzione, omosessualità e morale pubblica, mette esplicitamente in relazione, come un fenomeno unico, da un lato le procedure amministrative di schedatura e aggregazione dei dati, che saranno riorganizzate nel 195816 (e ancora attive negli anni Settanta) e, dall’altro lato, i lavori per la lotta alla tratta delle bianche della Sdn, a partire dalla costituzione di una apposita commissione di esperti nel 1924 in avanti17.
Per quanto riguarda le pratiche utilizzate per la repressione dell’omosessualità, a conferma della caratteristica di lungo periodo del fenomeno, sono stati individuati numerosi altri riscontri nei materiali di archivio: per la Francia (1928), per l’Italia (1939), per il Regno Unito (1953)18; e se ne potrebbero aggiungere altri.
La ricostruzione ex ante del fenomeno è invece delineata dall’opera di Chaumont, che antepone l’origine della tratta delle bianche al 1880 circa, periodo in cui il fenomeno comincia ad assumere una dimensione pubblica19. Per quanto nell’opera dello studioso non vi sia il minimo accenno alla repressione dell’omosessualità, le procedure di controllo e di repressione che, secondo Chaumont, gli esperti suggeriscono negli anni dei lavori della Commissione del 1924 sono le stesse individuate da Tamagne per la repressione dell’omosessualità in Francia, Regno Unito e Germania tra le due guerre20, ma sono anche quelle descritte dagli storici americani Michael Burleigh e Wolfgang Wippermann per la repressione degli ebrei e di tutte gli altri gruppi destinati ai campi di concentramento nazisti21. Il nesso tra persecuzione degli ebrei e persecuzione degli omosessuali22, che si esplicita solo nella Germania nazista e nella vicenda dei campi di concentramento, laddove ebrei, omosessuali, nomadi, oppositori politici vengono tutti accomunati sotto l’etichetta di criminali, non sembri peregrina o strumentale: c’è un filo che le lega tutte insieme, ed è la campagna xenofoba e sessuofobica sviluppatasi dalla degenerazione della lotta alla tratta delle bianche.

4. La “questione omosessuale”, una vicenda internazionale di lungo periodo

Ci si chiederà a questo punto in che modo la repressione dell’omosessualità finisca per essere inclusa come un fenomeno di prostituzione, e come entrambi i fenomeni finiscano per essere associati alla “questione ebraica”23.
Per quanto riguarda il primo punto, ossia la relazione tra prostituzione e omosessualità, va sottolineato che, parallelamente al fenomeno delle giovani donne avviate alla prostituzione descritto da Chaumont24, si era sviluppato, fin da fine Ottocento, l’allarme per la prostituzione minorile, ossia per la pedofilia, di carattere omosessuale. Ne è prova, per quanto riguarda l’Italia, lo scandalo Krupp, scoppiato a Capri nel 1902, che aveva coinvolto le più alte sfere della società tedesca25; e per quanto riguarda la Francia, la Brigade Mondaine, rifondata nel 1901, destinava buona parte dei suoi uomini al controllo della prostituzione omosessuale a Parigi, senza distinzioni tra adulti e minori26. Non deve quindi stupire che, nel dare notizia del convegno contro la prostituzione, svoltosi proprio a Parigi nel 1903, il quotidiano Le Petit Parisien sottolineasse che si sarebbe parlato delle misure da attuare contro la prostituzione «dell’uno e dell’altro sesso27».
Tali obiettivi, attraverso l’evoluzione della lotta alla tratta delle bianche, rimarranno non esplicitati nella Convenzione del 1949, ma inalterati, a giudicare dalle disposizioni che ne scaturiranno.
Per rendere meglio comprensibile un fenomeno di tale complessità, prima di passare al nesso tra ebrei e morale sessuale, sarà tuttavia necessario aprire alcune parentesi sulle organizzazioni internazionali che agiscono nei confronti dell’omosessualità, per capire come esse si relazionino con la repressione. Queste organizzazioni, che gravitano e si muovono tutte attorno al tema della prostituzione e della pornografia, sono: la Società delle Nazioni (che passerà il testimone alle Nazioni Unite), l’Interpol e la Nato.

5. La Società delle Nazioni, la tratta delle bianche e la repressione dell’omosessualità

Il fenomeno della repressione dell’omosessualità è una vicenda molto più ampia, sia cronologicamente che per ambito tematico, di quanto comunemente prospettato, e include nel suo evolversi determinazioni che, a partire dalla fine dell’Ottocento, si formalizzeranno in trattati internazionali fin dal 190428, e dal 1919 verranno resi parte integrante (nello statuto fondativo, come “tratta delle bianche”29) degli obiettivi della Società delle Nazioni che, con l’intento iniziale di combattere la prostituzione minorile, quindi con un obiettivo di difesa dei diritti umani, finirà per ratificare e attuare, attraverso convenzioni sempre più restrittive e attraverso la Cipc-Interpol, una vera e propria caccia all’uomo che coinvolgerà tutte le forme di sessualità fuori del matrimonio, ma vedrà anche come oggetti della repressione: oltre le prostitute, categorie sociali come omosessuali, stranieri e, inclusi tra questi, gli ebrei e quanti potessero essere ritenuti di sentimenti antinazionali, come ad esempio gli appartenenti ad altre religioni, gli oppositori politici; ma anche artisti, ufficiali di Marina, medici; e, in aggiunta a tutte queste categorie, coloro che frequentavano i luoghi in cui si riteneva che i delitti di tratta e prostituzione venissero commessi: case di tolleranza, ovviamente, ma anche locali pubblici, club privati, parchi, strade, bagni pubblici, includendo in tale controllo anche tutto ciò che potesse favorire la prostituzione, ad esempio la produzione a stampa (intesa, in tal caso, tutta come pornografica) e i luoghi in cui essa veniva prodotta o diffusa o detenuta, incluse anche le edicole30; le persone individuate in tali circostanze e in tali luoghi, anche in assenza di reati, venivano fermate e fotosegnalate, o quantomeno identificate; e tali operazioni portavano alla creazione di una scheda personale in qualità di sospetti, come rilevato nella documentazione della Cipc che, almeno dal 1935, deteneva un apposito schedario31.

6. La Società delle Nazioni e i campi nazisti

La produzione di siffatta documentazione rafforza il timore che quelle schedature, almeno dal 1941 al 1945, ma in particolare dal 1942 e in maniera ancora più attiva dal 1943, possano essere state utilizzate dai tedeschi per l’individuazione delle persone da inviare nei campi di concentramento e, in definitiva, nei campi di sterminio, dove le barbare operazioni condotte all’interno di questi ultimi coincidono, cronologicamente, con la palesata preoccupazione che l’epurazione degli ebrei dai territori tedeschi non incidesse in nessun modo sulla spesa pubblica32: circostanza che imponeva delle decisioni drastiche per la riduzione delle spese sostenute per la deportazione e la detenzione; il tutto sotto l’ombrello di convenzioni Sdn che fino al 1938, cioè fino all’evolversi dei fatti che portarono allo scoppio della seconda guerra mondiale, avevano legittimato, sia sul piano giuridico che amministrativo, tali operazioni, ratificandole di fatto in sede assembleare.
Quello che fece la Germania dal 1941, attraverso l’Interpol, in continuità con quanto fatto negli anni precedenti, fu di dare applicazione alle convenzioni Sdn, per quanto ne fosse già uscita, attraverso determinazioni prese in maniera unilaterale e radicale, specie per gli aspetti operativi di pubblica sicurezza; approfittando in ciò anche dell’impossibilità di convocare assemblee in stato di guerra; attuando tuttavia, con una forzatura dell’apparato normativo, operazioni coerenti sia con i principi generali votati in seno alla Sdn stessa, ma anche coerenti con gli auspici espressi dai suoi rappresentanti fin dagli anni Venti; bisogna infatti ricordare che la stessa Società delle Nazioni lasciava ai singoli Paesi piena discrezionalità nell’adeguamento della propria legislazione a quanto richiesto dalle convenzioni, anche se talvolta le determinazioni dei singoli Paesi finivano per fare a pezzi, sotto vari aspetti, lo stato di diritto.

7. Gli esperti della Società delle Nazioni e il progetto di controllo sociale

Come ciò sia potuto avvenire è illustrato nell’analisi che Chaumont compie sui verbali, redatti tra il 1924 e il 1927, dalla commissione di esperti istituita in seno alla Sdn proprio per combattere il fenomeno della tratta delle bianche. Attraverso i verbali, mai resi pubblici, delle sedute della Commissione (ma non nel testo ufficiale della relazione finale, nella quale nulla di ciò traspare) si pianifica, a partire dal 1924, anche attraverso la manipolazione dei dati, un vero e proprio progetto di controllo sociale che, nato col nobilissimo intento di combattere la prostituzione e la violenza sui minori, finirà per trasformarsi in una crociata contro determinate categorie sociali, indipendentemente dalla sussistenza o meno di reati, fino a perpetrare una deliberata violazione dello stato di diritto.
Queste sono le conclusioni a cui giunge Chaumont, quando fa notare che la relazione degli esperti, ma soprattutto quello che deliberarono in forma ufficiosa, specie per gli aspetti operativi, sarà il timone che orienterà, nei decenni successivi, tutte le convenzioni Sdn sul tema33; e anche quelle, precisiamo, successive alla seconda guerra mondiale e approvate dall’Onu. Atti che, col pretesto della lotta alla prostituzione, e della sua abolizione per legge, inclusero gradualmente, tra le due guerre, insieme alla lotta contro la prostituzione minorile, la lotta contro la prostituzione sotto tutti gli aspetti, quindi anche quella di adulti consenzienti (1931) in primo luogo, poi il controllo di tutto il traffico di stranieri, individuati come potenziali autori della tratta (1933), la repressione del prossenetismo, ossia di tutte quelle figure sociali che traevano profitto dai guadagni della prostituzione (familiari inclusi), e ribadendo che tali provvedimenti, si trattasse di protettori, mantenuti, lenoni o prostitute, erano da applicarsi per entrambi i sessi (1935), incluse le prostitute (1938), che potevano quindi essere anche di sesso maschile34.
Fin qui, nulla di strano. Tuttavia, tale apparato, nato con finalità preventive, ma con tutta evidenza repressivo, così come emerge dai verbali studiati da Chaumont, prevedeva una gradualità di controlli e di attività operative non sempre legali e non sempre in linea con quanto previsto dalla legge dei singoli stati, che infatti venivano invitati, nelle convenzioni, ad uniformare e modificare il proprio apparato legislativo in modo da corrispondere al dettato delle convenzioni. Gli Stati quindi, è bene ribadirlo, venivano lasciati liberi di modificare a loro totale discrezione la propria legislazione interna al fine di corrispondere al dettato delle convenzioni Sdn circa la repressione della prostituzione e la tutela dei minori35. Tali attività che saranno esplicitate nei verbali del 1924-1927, mai ufficializzate nella relazione finale, ma neanche nei testi delle convenzioni da essa scaturite, prevedevano, oltre la repressione dei reati:
A. la schedatura di chiunque venisse trovato non solo nel luogo e nel compiersi di un reato, ma anche dei semplici frequentatori di spazi ritenuti luoghi di reato, identificati in qualità di sospetti (e parliamo anche di identificazioni in luoghi pubblici e aperti al pubblico);
B. la condizione di recidiva, riconosciuta anche per la semplice identificazione in qualità di sospetto;
C. un ferreo controllo nei confronti degli stranieri, in quanto potenziali esecutori della tratta, e verso i quali, se individuati nei casi menzionati, si procedeva al “rimpatrio”, che però, per le caratteristiche con cui si svolgeva, era in realtà un’espulsione;
D. nel caso vi fossero incertezze circa il paese verso il quale “rimpatriare” i perseguiti, o nel caso questi non fossero da espellere in quanto connazionali, era previsto, oltre all’uso delle tradizionali misure detentive, la pratica della deportazione in luoghi lontani e isolati, o della detenzione in appositi campi, specie laddove si agiva su grandi numeri, ossia su operazioni di massa36.
A Chaumont, noto principalmente per i suoi studi sui deportati nei campi nazisti37, non sono sfuggite le analogie tra il fenomeno della tratta delle bianche e la vicenda dei campi di concentramento del Terzo Reich, al punto da sottolineare come, quanto da lui scoperto, possa ritenersi solo la punta dell’iceberg, e preconizzando, in un imminente futuro, la scoperta di sorprendenti materiali d’archivio38. Anche perché, come fa notare lo stesso Chaumont, il nesso forte tra immoralità sessuale ed ebraismo è senso comune, anche in contesti culturali impensabili. Ed ecco che si giunge finalmente al punto lasciato in sospeso: il nesso tra ebrei e morale sessuale.

8. Come si trasforma una battaglia per i diritti in uno Stato di polizia

Chaumont, partendo da quanto trascritto nei verbali della Commissione per la tratta delle bianche voluta dalla Sdn nel 1924, pone le origini del fenomeno nello scandalo delle “petit Anglaises”, scoppiato a Bruxelles nel 1880, quando delle minori di origine inglese furono sorprese a prostituirsi nelle case di tolleranza della città belga. In realtà la vicenda era più complessa, e coinvolgeva in un’accusa di corruzione anche alcuni esponenti della polizia locale. Tuttavia, in quell’occasione, la stampa cominciò a creare la favola di un’organizzazione criminale internazionale dedita al traffico di minori, indotte con l’inganno a emigrare all’estero e poi costrette a prostituirsi. Chaumont dimostra come la vicenda, se analizzata razionalmente, non stia in piedi neanche per un secondo. L’inverosimiglianza del fatto non impedì comunque che esso divenisse il cavallo di battaglia di chi si batteva per la difesa della donna e dei minori. Fin da subito, in quella che partì come una lotta contro la prostituzione minorile, si formarono due fronti: quello di chi intendeva tutelare la dignità femminile (perlopiù i regolamentaristi dell’esercizio della prostituzione) e quanti intendevano rendere reato la prostituzione sotto qualunque forma (gli abolizionisti, essenzialmente di matrice cattolica). Questi ultimi, progressivamente, prevarranno nel dibattito, trasformando lentamente la lotta contro la tratta delle minori in una lotta contro la prostituzione sotto tutti i suoi aspetti e in difesa della morale pubblica.
Questo sarà l’aspetto con il quale il tema della tratta delle bianche giungerà agli occhi degli esperti nel 1924. Si trattava dunque della creazione di uno stereotipo, ma dai contorni ben più ampi di quello che potrebbe qui sembrare, e soprattutto molto più articolato e radicato. Ad esempio, ci fa notare Chaumont, una delle sfaccettature degli stereotipi sulla prostituzione era la convinzione che essa fosse una professione tipica degli ebrei. Questa bizzarra affermazione, talmente radicata da essere condivisa, nel 1910, perfino dalla Fondazione Rockefeller, si basava sul fatto che una buona parte delle prostitute, in vari Paesi del mondo occidentale, fosse di origine ebraica, e in prevalenza proveniente dall’Est europeo. Ciò dipendeva dalle condizioni di estrema miseria in cui versavano le comunità ebraiche dell’Est Europa, povere al punto che le loro componenti, di loro spontanea volontà, preferivano emigrare per prostituirsi nei più ricchi Paesi dell’Europa occidentale e del Sudamerica, sicure di poter condurre una vita migliore. Il fenomeno era così esteso che perfino negli ambienti della prostituzione di Buenos Aires una delle principali lingue di comunicazione tra le prostitute era lo yiddish39. Ciò, naturalmente, non faceva di tutte le ebree delle prostitute in pectore, e ancor meno rendeva gli ebrei una massa di pervertiti; ma, come illustrato dagli studi sulla discriminazione sociale del sociologo Henri Tajfel, uno stereotipo è tale proprio per le sue capacità, potremmo dire, “sineddotiche”: la capacità di prendere una parte per rappresentare il tutto40.
Rimane comunque il fatto che tali tesi su ebraismo e prostituzione saranno poi riprese da Hitler nel “Mein Kampf41.
Il contrasto al fenomeno della prostituzione degli emigranti, ebrei e non, produceva, come diretta conseguenza, due ordini di problemi: il primo era come effettuare il controllo del fenomeno migratorio per individuare i casi di tratta e di prostituzione; il secondo era, una volta individuati e perseguiti lenoni, protettori e prostitute, come individuare il luogo per il loro rimpatrio forzato e, cosa che spesso avveniva, come gestire il problema dei grandi numeri di detenuti che le operazioni di polizia venivano a produrre. Una situazione, se si vuole, per molti versi analoga a quella odierna dei centri per l’immigrazione clandestina. I campi di detenzione nascono per corrispondere a questa esigenza42.
La Germania nazista apre il primo campo nel 1933, a Dachau, quindi in un periodo che poteva permettere alle altre potenze europee di vedere in modo chiaro cosa stava avvenendo43. Ma la realtà era che la Germania non era l’unica a far uso dei campi, e comunque lo faceva secondo procedure condivise dagli stessi esperti della Società delle Nazioni44.
Per capire però come il fenomeno fosse già presente sottotraccia fin dagli anni Venti, ed esposto per bocca dei rappresentanti Sdn, bisogna ritornare ai verbali analizzati da Chaumont, dove le istanze repressive della tratta delle bianche emergono in ordine sparso, e apparentemente senza una regia; ma, elencate insieme, formano, nel loro complesso la prima trama, e neanche tanto fra le righe, dei progetti razziali di fine anni Trenta. Dai verbali emerge infatti che gli esperti si esprimono, in Commissione o nelle vesti di esperti Sdn, a favore della schedatura illegale dei sospetti (rappresentante inglese), della deportazione e dell’internamento dei reclusi, e a favore dell’estensione della repressione, a largo raggio, a tutte le forme di libertà sessuale o dei costumi e di tutti i luoghi in cui si suppone essa venga pratica o esibita (queste ultime, posizioni difese dal rappresentante belga)45.
Con questo non si intende dire che tali pratiche fossero state pensate appositamente per la repressione della prostituzione e dell’omosessualità: esse nascevano in realtà all’interno della “modernizzazione” della gestione dell’ordine pubblico avvenuta a partire dalla fine dell’Ottocento46. Resta invece il fatto che tali misure, pensate evidentemente per perseguire il crimine, venissero invece applicate a gruppi sociali e a determinati comportamenti, finendo così per criminalizzare e punire l’appartenenza etnica, sociale e religiosa, o le condotte, e non i reati.
Se ci si riflette, è esattamente quanto avviene agli ebrei nella Germania nazista. E, naturalmente, agli omosessuali, oggetto principale di questo saggio.

9. La condotta omosessuale

Il passaggio che permetteva la repressione dell’omosessualità come orientamento sessuale, nonché delle altre categorie sociali, era l’inclusione di determinati comportamenti, o di determinate condizioni personali (di carattere sessuale, ma anche, negli altri casi, di carattere religioso, etnico, politico…) tra le categorie di reato. La definizione o meno, come reato, di un determinato comportamento determinava alla fine anche le capacità di intervento delle forze dell’ordine. Prendiamo appunto il caso dell’omosessualità. Il fatto che in Germania e Regno Unito essa fosse un reato rendeva più facile l’operato delle forze di polizia, che poteva includere sotto tale ombrello determinati comportamenti correlabili con un orientamento omosessuale, e perseguire i malcapitati. Al contrario, in Paesi come Francia e Italia, dove non esisteva il reato di atti omosessuali, le forze dell’ordine riuscivano comunque a perseguire determinati comportamenti, ma a costo di applicazioni della legge molto spesso frutto di acrobazie interpretative, che spesso non raggiungevano l’obiettivo auspicato, una volta giunti nelle aule giudiziarie.
Tamagne, nel suo studio sull’omosessualità tra le due guerre, individua sia in Francia, che in Germania, che nel Regno Unito, oltre alle denunce e agli arresti, numerose operazioni condotte, nei confronti di semplici frequentatori di determinati luoghi, attraverso fermi e identificazioni che, sul piano generale, si ponevano coerentemente in linea con più decise operazioni, come la deportazione, sia in Germania (nei campi di concentramento) come in altri Paesi non oggetto dello studio di Tamagne, come l’Italia (con l’invio al confino). Tamagne individua anche le fasi della repressione, scandite dal graduale inasprimento delle convenzioni Sdn, senza però correlarle con quel fenomeno più ampio47.
Tuttavia, come era possibile coordinare questi provvedimenti a livello internazionale? Attraverso l’operato dell’Interpol48.

10. I protocolli Interpol

Il meccanismo procedurale che emerge è il seguente: l’Interpol, in quanto istituzione di carattere internazionale, non dipendeva dai governi dei singoli Stati e pertanto, per quanto vi fosse comunque un’attività di coordinamento, si relazionava direttamente con le polizie nazionali, che agivano quindi in sintonia, da un lato, con le disposizioni impartite dall’Interpol attraverso il capo della polizia, dall’altro con la legislazione nazionale che doveva uniformarsi alle direttive internazionali votate nelle assemblee Sdn, nel caso in cui si trattasse di Paesi membri. Questo spiega perché, come viene annotato in Italia dal Dipartimento generale di pubblica sicurezza all’interno delle camicie dei fascicoli Interpol nel 1949, all’indomani della sua ricostituzione, «non esistono circolari di massima della Cipc49». Per lo stesso motivo, tutti i provvedimenti di fermo, schedatura, detenzione, espulsione, deportazione, internamento (ma per la Germania nazista, aggiungiamo, anche sterilizzazione ed eutanasia “obbligatorie”50) erano considerate procedure operative di pubblica sicurezza, e in quanto tali, una volta individuate le persone (e le categorie sociali) alle quali applicarle, potevano essere eseguite senza che fosse necessario uno specifico ordine a livello politico o una sentenza del tribunale. Allargando lo sguardo alla deportazione egli ebrei, questo spiegherebbe anche perché, da lungo tempo, gli studiosi cerchino senza risultato una specifica disposizione da parte del nazismo, se non addirittura da parte di Hitler stesso, che dia ufficialmente una data di inizio alla “soluzione finale” contro di essi51 (ma, potremmo dire, anche contro tutti gli altri internati, omosessuali inclusi). È probabile che non esista niente del genere, se si tiene conto della definizione, a livello giudiziario (e giuridico) degli internati nei campi di concentramento, che erano considerati indistintamente autori di un crimine, e soprattutto se si tiene conto, per quanto riguarda gli omosessuali e la morale sessuale, che la legislazione tedesca, tra le pene inflitte, considerava già per i reati sessuali la castrazione e la pena di morte52. L’estensione della categoria di criminale dall’individuo a categorie sociali più ampie, dunque, poteva consistere in un semplice (e magari poco intellegibile) atto amministrativo. E, laddove fosse stato emanato, era di competenza non del capo dello Stato, ossia del Führer, ma delle figure gerarchicamente inferiori.
Che le attività dell’Interpol fossero inoltre parte, tra le due guerre, di un progetto più complessivo, di cui non viene esplicitata la natura, emerge da più punti proprio nella corrispondenza tra questo organismo internazionale e la polizia italiana, specie negli anni della guerra, durante i quali l’Interpol sarà sottoposto alla gestione nazista53.

11. La nazificazione dell’Interpol

L’Interpol, fin dalla sua nascita nel 1923, era stata posta sotto la guida del capo della Polizia austriaco, che per convenzione era automaticamente anche il capo dell’Interpol. Con l’annessione dell’Austria da parte della Germania il capo della polizia austriaca, pur rimanendo al suo posto e mantenendo il ruolo di cui era titolare, finì per operare, inevitabilmente, nell’orbita tedesca. Tuttavia il vero cambio di rotta avvenne a cavallo tra il 1940 e il 1941, quando, con la morte del capo della polizia austriaco, quest’ultimo non fu rimpiazzato, destinando così il titolo di capo dell’Interpol al capo della polizia tedesca, cioè a Reinhard Heydrich.
Da questo momento l’Interpol comincia a dare una nuova impostazione alle sue attività. In una sua lettera dell’agosto 1942, inviata al capo della polizia italiana, il nuovo capo dell’Interpol Arthur Nebe, l’ideatore di Aktion T4 per lo sterminio dei disabili tedeschi, succeduto a Heydrich dopo la morte di quest’ultimo, nel dare nuove disposizioni per lo schedario, riassume il funzionamento del precedente, risalente a un mansionario del 193554.
Lo schedario dell’Interpol era suddiviso in quattro settori di colore diverso. Uno di questi, di colore giallo, era dedicato ai sospetti. Tuttavia tale organizzazione non era più sufficiente: Nebe richiede nuove schede che riportino, tra i vari dati, anche razza e religione, secondo un modello già in uso in Germania55.
Quali fossero le finalità precise che si celavano dietro tale provvedimento non è dato sapere. Tuttavia, l’ipotesi che tali procedure fossero connesse con le attività dei campi di concentramento, prima ancora che porsi come conseguenza logica di quanto descritto, viene rafforzata dalla presenza di ulteriori documenti.
Il primo è una comunicazione del marzo 1943, firmata da Ernst Kaltenbrunner, succeduto a Nebe alla guida dell’Interpol. Kaltenbrunner chiede alle polizie di implementare lo schedario Interpol con tutte le schedature nazionali relative, tra l’altro, anche alla tratta delle bianche. Gli obiettivi di tale riorganizzazione non sono esplicitati neanche stavolta; tuttavia il capo della Polizia in Italia, Carmine Senise, già ai tempi dell’elezione di Heydrich, aveva ricoperto di elogi il nuovo dirigente, facendo esplicito riferimento a un grande progetto che la Germania stava attuando con tali disposizioni. Quale fosse questo progetto, ancora una volta, non è detto; ma sorge il dubbio che, attraverso le attività dell’Interpol, la Germania intendesse portare a compimento, anche nei territori occupati, la stessa “pulizia etnica” e la stessa repressione sociale che aveva condotto in Germania56.
Tesi sostenuta, tra l’altro, anche da Simon Wiesenthal57.
Tale accrescimento degli schedari Interpol ha inizio proprio pochi mesi dopo l’apertura delle operazioni che porteranno a un incremento delle deportazioni nei campi di concentramento. È giusto del gennaio 1942 la Conferenza di Wannsee, che viene tradizionalmente indicata come l’atto di inizio della “soluzione finale” dei campi di sterminio. In realtà, secondo molti altri studiosi, la pianificazione del genocidio era iniziata molto prima. Tuttavia in quell’occasione vennero prese decisioni fondamentali per il destino dei deportati nei campi di concentramento. Quello che però non viene generalmente ricordato è che quella riunione fu voluta dal capo dell’Interpol, cioè da Heydrich stesso58; e se si ricorda:

a) che i campi di concentramento erano stati suggeriti, come forma di detenzione, dagli stessi esperti nella Commissione sulla tratta delle bianche, e che:
b) la tratta delle bianche era stata demandata, per la sua gestione, all’Interpol, la stessa che nel 1942 si occupava degli ebrei nei campi di concentramento; e se si ricorda che:
c) con le leggi sulla razza, chiunque non appartenesse alla razza ariana diveniva, di fatto, uno straniero (cioè una delle categorie che si andava a colpire con la lotta alla tratta delle bianche), e che:
d) gli ebrei, divenuti stranieri in patria, non avevano una loro nazione presso la quale essere “rimpatriati”, vale a dire deportati, ma:
e) per il loro grande numero, ponevano come unica soluzione quella dei campi di detenzione, così come delineato dalle polizie europee per i grandi numeri di criminali,

sarà anche facile comprendere come, per quanto tali dati si dimostrino insufficienti a formulare una inequivocabile lettura degli eventi, essi siano tuttavia tali da stimolare ulteriori approfondimenti. La Germania nazista fu quella che applicò nella maniera più drastica e tragica quanto le convenzioni Sdn permettevano; ma anche gli stati democratici non furono da meno; lasciando per un attimo da parte le dittature, che intervennero nel fenomeno in maniera più rigorosa, gli stati democratici arrivarono comunque ad attuare, o almeno a progettare in forma attuativa, piani di detenzione e di deportazione (o di espulsione) delle categorie sociali sopra indicate, pianificando un’attività repressiva in cui tali operazioni erano sì viste come misura estrema, ma comunque ritenute praticabili; ed erano, generalmente, previste in particolare per i recidivi, dove anche una semplice segnalazione poteva essere considerata una recidiva59.
Per avere, infine, un esempio patente della sincronia tra le convenzioni sulla tratta e la legislazione nazionale prendiamo un unico esempio, parametrato sulla legislazione di Francia e Italia, cioè su una democrazia e una dittatura, e prendiamo proprio la Convenzione del 1938, che sarebbe quella fondante del progetto contro la tratta (le precedenti alla fine risultano essere atti preparatori di quest’ultima)60. Essa riprende tutte le istanze sessuofobiche, xenofobe e repressive delle precedenti, e, per limitarci ad ebrei ed omosessuali, ha una inquietante sovrapposizione cronologica non solo con il Decreto Regio sulla razza (addirittura nel mese, novembre 1938), ma soprattutto con le circolari sulla “repressione della pederastia”, sia italiana (gennaio 1939) che francese (dicembre 1938)61.

13. Il secondo dopoguerra

Con la nascita dell’Onu, e dopo l’esperienza antisemita, le istanze per la lotta contro la prostituzione furono epurate da ogni distorsione di carattere razziale che potesse consentire ancora la deriva nazista, giungendo alla Convenzione del 1949.
Vi sono numerosi riscontri che, incrociati fra loro, provano ancora che la tratta delle bianche era materia di competenza dell’Interpol, e che nel secondo dopoguerra era ancora un tema attuale: il più evidente è un appunto manoscritto, redatto nel 1946 in Italia, che, nel narrare la storia dell’Interpol, ricorda come le sue competenze specifiche, fin dalle origini, siano state «la lotta alla tratta delle bianche, al falso nummario e al traffico di stupefacenti62». Ciò si pone in sintonia con quanto detto all’Assemblea di Stoccolma del 1952, dove, nell’imminenza di nuove disposizioni operative, si deciderà di operare con maggiore incisività nella lotta contro i reati sessuali, che erano il tema scelto per l’Assemblea di quell’anno. In quell’assemblea fu discussa una relazione da Itzak Yumak, responsabile della sede Interpol di Ankara, e organizzatore di quell’Assemblea, che presentò un articolato e complesso studio sui reati sessuali nei vari Paesi del mondo, lavoro che aveva condotto districandosi in un ginepraio di differenti normative per oltre un anno. In esso Yumak, tra l’altro, ripercorreva le tappe della repressione del fenomeno, illustrando appunto l’evoluzione, sul piano legislativo e giudiziario, del fenomeno della tratta delle bianche63.
In un altro appunto italiano, sempre relativo alla tratta delle bianche, si narra come un unicum la cronistoria del fenomeno, analogamente a quanto fatto dalla polizia francese; ma la polizia italiana, differenziandosi in questo da quella transalpina,manifesta una certa reticenza sul periodo 1933-1945, durante il quale, secondo l’appunto, «non avviene nulla di significativo64». Tale affermazione è ampiamente smentita non solo dall’historique francese, che ricorda il progetto del 1938, interrottosi a causa dello scoppio della guerra, ma è smentita anche dalle varie convenzioni che si susseguono nel corso degli anni Trenta.
14. La NATO, l’Italia e la repressione dell’omosessualità negli anni del maccartismo I primi anni dell’Interpol “denazificata” si intersecheranno a loro volta con i rapporti con la Nato, che, parallelamente, influirà sulla legislazione di carattere giudiziario dei singoli stati, come fatto dalle altre organizzazioni internazionali di cui abbiamo parlato finora.
In Italia, se si escludono alcune rare riflessioni65, nessuno ha studiato nello specifico le implicazioni morali che hanno permeato la scelta dell’Italia di allearsi con gli Stati Uniti. Scelta che, nell’immediato finire della guerra, appariva tutt’altro che pacifica. Al di là dello schieramento sul fronte filoamericano, che finirà per divenire una scelta orientata anche da fattori di carattere geopolitico, uno dei punti che accomunava l’amministrazione Truman e, in Italia, la Democrazia cristiana, che nel 1949 avrebbe optato per l’ingresso nel Patto atlantico, era il problema del risanamento morale all’indomani della guerra. E per risanamento morale si intendeva essenzialmente la difesa dei valori della civiltà occidentale in chiave anticomunista. La necessità era espressa in primo luogo da Pio XII, che ne aveva fatto uno degli obiettivi del suo pontificato, e in questo il Papa aveva trovato un appoggio proprio nel presidente americano, che nel 1947 «esponeva al papa le motivazioni spirituali e morali della ferma politica americana», «auspicando l’unione di tutte le forze morali», in chiave anticomunista. L’avvicinamento era compiuto attraverso una lettera spedita da Truman a Pio XII poche settimane dopo un articolo comparso sull’Osservatore romano, dove si sembrava porre sullo stesso piano Stati Uniti ed Unione Sovietica. La cosa era dispiaciuta al di là dell’Atlantico perché, come riportato da Alfredo Tarchiani, ambasciatore per l’Italia a Washington, «l’America [era] convinta di difendere la civiltà cristiana contro il totalitarismo66».
A questa identificazione tra gli ideali cristiani e i valori occidentali, incarnati dalla politica degli Stati Uniti, si deve affiancare un fattore tutto interno alla politica statunitense: la convinzione, sempre più radicata, e deflagrata a partire del 1950, che gli omosessuali potessero essere un rischio per la sicurezza dello stato.
Un passaggio logico di tale portata necessita di alcune spiegazioni che esplicitino i passaggi che portano alla definizione degli omosessuali come socialmente pericolosi. In questo ci viene in aiuto lo studio di David K. Johnson, che analizza, in un arco cronologico che va dagli anni Trenta ai primi anni Settanta, il cortocircuito che si crea tra anticomunismo e repressione dell’omosessualità.
Il fenomeno dell’omosessualità, ci fa notare Johnson, era ampiamente entrato nel dibattito culturale e politico statunitense fin dagli anni Trenta, con le reprimende contro il cinema hollywoodiano67, ma sarà solo sul finire degli anni Quaranta, e in particolare dal 1947 in avanti, che assumerà il carattere di una esplicita persecuzione, con i licenziamenti di massa attuati dal Dipartimento di stato statunitense.
Nel giugno 1947 una lettera di una commissione del Senato americano, indirizzata al Segretario di Stato George C. Marshall, avverte quest’ultimo di un progetto per proteggere i comunisti impiegati in alte sfere e ridurre la sicurezza offerta dai servizi di intelligence; questo progetto prevede «l’assunzione sistematica in posizioni di alto rango di omosessuali dichiarati, storicamente noti per essere un rischio per la sicurezza68».
Johnson fa presente che in questo documento, ritenuto dagli storici americani come il cardine della vicenda della Guerra Fredda, nessuno ha mai fatto caso alla puntualizzazione circa il rischio rappresentato dagli omosessuali, rischio “storicamente noto”. A cosa si riferiva, l’estensore di quella lettera? Cosa rendeva gli omosessuali degli “storici” pericoli per la sicurezza? Certo, ma è un luogo comune, la loro debolezza relativamente al fatto di essere ricattabili, cosa che li rendeva spie ideali al soldo dei Sovietici. Tuttavia, per quanti avevano a cuore la sicurezza degli Stati Uniti, anche loquaci, bevitori, fedifraghi e pervertiti erano, in determinati casi, un rischio per la sicurezza; nonostante tutto, erano solo gli omosessuali ad essere ritenuti tali sempre, semplicemente in base al loro orientamento sessuale69.
Forse la spiegazione è in una vicenda relativa alla seconda guerra mondiale, poco conosciuta, e scoperta di recente, e che spiegherebbe l’accusa, rivolta sia a Franklin D. Roosevelt che a Truman intorno al 1950, di aver riempito di omosessuali, negli anni precedenti, il Dipartimento di Stato. Tra il 1941 e il 1942 i servizi segreti statunitensi, in vista dell’intensificazione della guerra in Europa, decisero di ristrutturare gli apparati di intelligence, creando, tra l’altro, un reparto di omosessuali dedito a specifiche attività di controspionaggio. La notizia in qualche modo era già nota, essendo stata riferita da Curzio Malaparte nel suo romanzo “La pelle70, ma si era creduto a una boutade narrativa fino al ritrovamento della documentazione relativa presso i National Archives statunitensi; notizia data dal quotidiano “La Repubblica” nel 2005:

«Servire e proteggere gli Stati Uniti d’ America. A tutti i costi. E con ogni mezzo. Anche con una task force impiegata in attività di controspionaggio formata esclusivamente da omosessuali, “patrioti motivati” e “maschi reclutati nel giro della prostituzione di basso livello”, squadre scelte da infiltrare nelle forze aeree tedesche e nelle ambasciate europee “con l’ obiettivo di ottenere informazioni vitali”. Il progetto nasce a New York City nel dicembre del 1941, appena undici giorni dopo l’ attacco a tradimento di Pearl Harbor, [… e] comincia a diffondersi una nuova rete di intelligence. Sarà presto operativa nei territori occupati dai nazisti, agenti sotto copertura disposti a tutto per la bandiera a stelle e a strisce. C’è anche un reparto speciale: spie tutte omosessuali. È una guerra nella guerra fatta di combattimenti sotterranei e silenziosi, di agganciamenti, di ricatti privati che a volte condizioneranno lo svolgimento delle vicende belliche. […] La storia è tutta nei dossier del Coi, il Coordinator of Information che appena qualche mese dopo diventerà Oss, l’ Office of Strategic Services del famoso generale William Donovan. […]»

Il 18 dicembre 1941 il ricercatore medico Alfred Gross, del “Comitato per lo studio delle devianze sessuali” di New York invia una lettera al Dipartimento della Marina, indirizzata a un funzionario dei servizi segreti:

«”[…] le scrivo […] per riprendere la discussione che abbiamo già avuto sulla possibilità di utilizzare omosessuali maschi in relazione a possibili attività di controspionaggio. Durante le nostre ricerche negli ultimi cinque anni, ci siamo imbattuti ripetutamente in situazioni di omosessuali che avevano relazioni con reclute delle nostre forze navali e occasionalmente con qualche ufficiale”. E aggiunge: “Per qualche ragione il personale della Marina sembra avere un interesse particolare per tali individui. Questo è un fenomeno abbastanza accettato, io direi forse tacitamente, da parte delle autorità pubbliche. Secondo me tale tesi ha una certa validità”. […] Il dottor Gross […] paventa il pericolo che “forze sovversive cerchino di sedurre membri delle nostra Marina”, invita a giocare d’ anticipo. E fa una proposta: “Reclutare omosessuali respinti dal servizio militare” […].
È il 15 [gennaio] 1942, quando un alto funzionario del Coordinator of Information Office affronta l’argomento […]. La lettera ha come oggetto “Uso degli omosessuali nel lavoro di intelligence”, un dispaccio interno. […] L’ alto funzionario del “servizio” americano racconta delle nuove frontiere dello spionaggio internazionale, è d’accordo con quei medici di New York, dà il suo ok al progetto. E conclude così la sua lettera: “In verità dovremmo prendere seriamente in considerazione l’idea di utilizzare gli omosessuali per obiettivi di intelligence politici e militari”.
Qualche mese dopo i primi agenti di quella task force saranno operativi. […].71»

Pertanto il timore che i funzionari governativi omosessuali potessero essere vittime di attività di spionaggio, alla luce dei fatti appena narrati, era un’ipotesi che, per quanto in realtà infondata, appariva ai politici del tempo tutto sommato giustificabile e non del tutto peregrina. In tutto questo si inseriva una forte ostilità, da parte Repubblicana, nei confronti di Eleanor Roosevelt, che da tempo si dedicava alla difesa dei diritti umani (tra i vari incarichi ricoperti, quello di presidente della Commissione che nel 1948 aveva promulgato la “Dichiarazione internazionale dei diritti umani” presso l’Onu).
L’idea che Eleanor Roosevelt potesse ergersi a paladina degli omosessuali, favorendoli socialmente e promuovendo la loro visibilità, doveva essere un concetto fortemente radicato nell’immaginario degli Americani, al punto che un’inchiesta giornalistica del 1952 l’accusava di aver trasformato Georgetown, un sobborgo di Washington, in un quartiere di «ricchi, rossi e devianti72». Lo stesso New Deal, negli anni Cinquanta, era ormai associato con la diffusione dell’immoralità sessuale. Da tutto ciò, quindi, derivava la convinzione che Franklin D. Roosevelt e Truman, suo vicepresidente e poi successore alla Casa Bianca, avessero riempito le agenzie americane di omosessuali, mettendo a rischio la sicurezza. Questa asserzione, secondo Johnson, creò non pochi problemi a Truman nella gestione della questione degli omosessuali e della loro epurazione, come richiesto da parte dell’opinione pubblica73. La vicenda delle spie gay come efficaci cavalli di troia del sistema informativo nemico, come praticato dagli Alleati in Italia durante la seconda guerra mondiale, doveva a sua volta aver lasciato traccia nell’immaginario americano: nel 1950 la stampa statunitense dichiarava che i Russi avevano acquisito una lista di spie omosessuali, compilata a suo tempo da Hitler (molto verosimilmente si trattava delle “Rosa Listen” utilizzate per i campi di concentramento), e la stavano usando per carpire informazioni sui dipendenti governativi74.
Quello degli omosessuali è il classico caso in cui una campagna mediatica diventa senso comune, alimentata dal fatto che l’omosessualità al tempo, non dimentichiamolo, era in più Paesi considerata un reato. La questione divenne così cruciale da rendere gli scandali omosessuali uno dei temi alla base della campagna elettorale del 1952, vinta poi dai Repubblicani con Eisenhower contro il Democratico Stevenson75.
Eisenhower portò a compimento l’operazione di epurazione degli omosessuali dalle agenzie governative, sistematizzando l’estensione delle purghe ai Paesi alleati. L’operazione, in realtà aveva già avuto inizio nel 1951, durante la presidenza Truman, quando “la questione omosessuale” era stata posta da alcuni funzionari del Dipartimento di Stato al “British Foreign Office”. Non è da escludere, vista la coincidenza temporale con le analoghe attività di Onu e Interpol, che vi fosse con esse un nesso causale, e non è dato sapere al momento quale delle parti sia stata di sprone all’altra. Rimane comunque accertato che, analogamente a quanto compiuto negli Stati Uniti, il programma di sicurezza relativo agli omosessuali venne esteso dapprima al Regno Unito, poi a Canada e Australia e, al termine, a tutti i Paesi interni alla Nato76.
Tuttavia, Johnson lascia irrisolta la questione relativa ai motivi per cui la Nato decide di entrare a gamba tesa in una questione che era già di interesse della Società delle Nazioni fin dal 1919 e rientrava, dal 1949 in avanti, nell’ambito di un progetto attuativo sotto l’egida delle Nazioni Unite. Come si inserisce in tutto questo il coinvolgimento della Nato e la data del 1952?
Per svelare i motivi per cui proprio in quell’anno la Nato avesse deciso di intervenire nei Paesi alleati riguardo alla morale pubblica (e non ad esempio nel 1949, anno della stipula del Patto atlantico) bisogna andare a guardare tra i documenti degli accordi Nato con l’Italia per l’installazione delle proprie basi sul territorio nazionale. Si tratta degli accordi Sharp (Superior Headquarter Allied Project), pubblicamente consultabili solo dal 2014.
La Nato, nella formalizzazione operativa dei rapporti con l’Europa occidentale, all’interno del Patto atlantico, ma anche, ad esempio, con la Spagna, che non ne faceva parte, dall’inizio degli anni Cinquanta inizia a prendere contatti per l’installazione di basi sul territorio europeo. Nel far ciò, dovendo aver bisogno di reclutare personale sul posto, chiede ai Paesi accettanti l’adeguamento della normativa nazionale in modo che essa sia compatibile con quella statunitense e non crei conflitti legislativi, essendo prevista all’interno delle basi Nato una forma di extraterritorialità, che però rimarrà limitata solo al personale militare e solo all’interno di dette basi. I documenti preparatori di tali insediamenti sono la Convenzione di Londra del 1951, ma soprattutto, per il caso che ci riguarda, il Protocollo di Parigi del 28 agosto 1952, che fissa i criteri per l’assunzione di personale esterno nelle basi77. Da allora le operazioni di polizia contro l’omosessualità, ad esempio con la promulgazione in Italia, da parte del capo della polizia, della circolare “Omosessualità – Repressione” del 195278, non subiranno una modifica sul piano amministrativo, ma solo di carattere statistico: ovvero, si passerà dalla definizione di “reati commessi da omosessuali” alla definizione di “reati tipici degli omosessuali”79, come peraltro avviene anche in Francia80, dando un primo compimento alla Convenzione Sdn del 1938, poi inclusa nella convenzione Onu del 1949, e completata con gli adempimenti legislativi dei vari Paesi membri tra il 1958 e il 1960. La questione dei rapporti tra stato italiano e basi Nato si prolungò per anni, praticamente per tutti gli anni Cinquanta e impegnò non poco il Governo. Uno dei nodi irrisolti, ma non il principale, era la gestione del personale Nato, che rimaneva soggetto alla disciplina del lavoro italiana. Il Protocollo, però, all’articolo 8, relativo alla disciplina dei rapporti di lavoro, indicava tra le cause di licenziamento la condotta morale, analogamente a quanto previsto negli Stati Uniti; ossia, come descritto da Johnson81, si poteva essere estromessi dagli ambienti lavorativi legati alla sicurezza per questioni come l’alcolismo, l’infedeltà coniugale o l’omosessualità82.
Non è un caso che anche i movimenti cattolici puntassero sulla repressione di determinati comportamenti. Al di là dell’identità di vedute che poteva sussistere su famiglia e orientamento sessuale, colpisce da parte di questi movimenti non solo l’allargamento di queste istanze ad alcolismo e tossicodipendenza83 (temi di interesse, rispettivamente, della Nato e dell’Interpol), quanto il fatto che essi entrino nell’agenda italiana, circostanza forse non casuale, proprio in coincidenza con l’ingresso dell’Italia nella Nato.
Alla fine il Protocollo fu ugualmente ratificato, ma la clausola relativa al licenziamento per questioni di moralità non fu mai resa nota nella sua effettiva portata, tanto più che, fin da una settimana dopo la stipula del Protocollo, l’Italia aveva già provveduto a stringere ulteriormente i controlli sulla moralità pubblica e a emanare la circolare riservata sulla repressione dell’omosessualità84.
È necessario tuttavia ricordare che anche negli Stati Uniti, circa la necessità di epurare gli omosessuali, non tutti i pareri erano unanimi; e non solo per quanto riguarda il fronte politico, ma anche quello degli ambienti militari85: il Crittenden Report del 1957, prodotto dalla Marina statunitense, confutava totalmente il “Lavender Scare”, definendo totalmente privo di fondamento il nesso creato tra i rischi per la sicurezza e l’omosessualità: purtroppo però il Crittenden Report venne occultato dal Pentagono fino al 197686, cioè fino al momento in cui le convenzioni cominciarono a essere impugnate dagli stati membri dell’Onu.

15. La nascita dei movimenti gay e la crisi del modello repressivo

Nell’analisi compiuta da Johnson gli anni Sessanta vedranno un aumento dell’allarme, da parte dell’opinione pubblica, nei confronti degli omosessuali, parallelamente a una maggiore pressione della polizia, protrattasi fino a quando nel 1969, anche a seguito di una causa di lavoro intentata da un ex dipendente governativo, licenziato perché gay, non venne a rompersi un muro; ciò avvenne in concomitanza con i disordini della “rivolta di Stonewall”, quando i clienti di un locale gay, stanchi delle vessazioni della polizia, allontanarono gli agenti con la forza. Johnson stabilisce un nesso causale tra i due avvenimenti: il secondo non si sarebbe mai verificato se non si fossero creati i presupposti giuridici del primo. Vale a dire che, paradossalmente, se gli Stati Uniti e l’Onu non avessero dato inizio alle purghe sia a livello interno che internazionale, scatenando lo sconcerto delle vittime e il loro ricorso alla legge per la tutela dei loro diritti, tutela che venne portata avanti creando delle forme organizzative, forse non avremmo neanche avuto, dal 1969 in avanti, la nascita di un movimento gay che si batteva per le discriminazioni sessuali: detto in altri termini, la “caccia alle streghe” del secondo dopoguerra contro gli omosessuali si risolse in un boomerang che finì per coalizzare i gay e le lesbiche in una comunità, una minoranza portatrice di diritti e presentatrice di istanze87.
Il lavoro di Johnson si ferma ai primi anni Settanta. Quali i paralleli col caso italiano, e quali i successivi sviluppi di quella vicenda? Per quanto riguarda la collaborazione dell’Italia del secondo dopoguerra alla repressione dell’omosessualità, all’interno dei programmi Nato, possono considerarsi fatti accertati: 1. la promulgazione, dal 1952 in avanti, di circolari riservate del Ministero dell’Interno aventi per oggetto la repressione dell’omosessualità; 2. l’attenzione riservata al tema, giusto due mesi prima, dall’Interpol a livello di coordinamento internazionale (e l’Italia, come paese membro dell’Interpol, integrava e modificava la propria legislazione in base a quanto votato in tali assemblee); 3. la coincidenza, sempre nello stesso anno, al temine del mandato presidenziale di Truman, con un inasprimento negli Stati Uniti delle tensioni che mettevano in correlazione comunisti e omosessuali. Cosa, quest’ultima, che farà capolino anche nelle proposte di legge presentate al Parlamento italiano88.
Quanto detto non deve però indurre, anche in questo caso, a chiavi di lettura che vedano l’Italia come una pedissequa esecutrice di ordini provenienti dagli Stati Uniti, come dimostra il lungo braccio di ferro sulla questione della extraterritorialità. Da una panoramica su come affrontino lo stesso fenomeno gli altri Paesi alleati emerge come anche in questo caso, intorno al discorso dell’omosessualità, pur percorrendo una comune direzione, ognuno degli stati alleati interpreti a suo modo, e con diversa valenza, le istanze repressive sulla moralità e omosessualità, fino a marcare in modo autonomo le tappe di una vicenda di carattere internazionale. Un percorso quindi a suo modo mediato dal contesto politico nazionale, analogamente a quanto avvenuto nei rapporti con L’Onu e l’Interpol.

16. Quei terroristi degli omosessuali

È interessante individuare alcune peculiarità spuntate nel caso italiano dal 1969 in avanti. La ricerca di Johnson, fermandosi appunto a quegli anni, non ci dice se il problema dell’omosessualità avesse subito una svolta, nella lettura politica che ne era stata fino allora offerta. Ci si limita a stabilire al 1973 il termine ufficiale delle epurazioni dei gay e delle lesbiche dagli incarichi istituzionali, senza considerare che comunque, come da più parti verificato a livello internazionale, l’attenzione sulla presenza degli omosessuali, in ambienti dove potevano costituire un pericolo per la sicurezza, rimase viva, ad esempio con i divieti imposti in ambito militare, che non sempre erano giustificabili col timore di disordini nelle caserme. Per quanto riguarda l’Italia, infatti, è emersa una particolare attenzione del Ministero dell’Interno, in quegli anni, per la dimensione politica della morale pubblica, dal momento che alcune relazioni dei prefetti sul tema, a partire da 1969, vengono inoltrate non più alla sezione III, quella della Polizia amministrativa e sociale, ma alla sezione IV, di competenza esclusiva dell’Ufficio Affari Riservati, in pratica il settore preposto alle attività politiche, sovversive ed eversive dello Stato89.
Vale giusto la pena di osservare che la data coincide con la nascita del movimento gay statunitense, quindi di un movimento politico che avrebbe giustificato l’interesse dei servizi di informazione, ma che tale evento In Italia era ancora lungi dal divenire, visto che il Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano (Fuori) nascerà solo nel 197190.

17. La difesa del flagello sociale diventa violazione dei diritti umani

Un ulteriore fatto che colpisce è che la repressione dell’omosessualità, un obbrobrio sul piano giuridico, condotto e attuato a livello giudiziario in violazione dei diritti umani, ha avuto un seguito che si è protratto, in forma pressoché identica, per tutto il secondo dopoguerra, attenuandosi, ma fino a un certo punto, solo negli ultimi anni; infatti l’Onu (espungendo tutti gli aspetti antisemiti, ma praticamente, sembrerebbe, solo quelli), riprenderà nel 1949 il progetto contro la tratta, interrottosi con lo scoppio della guerra, per portarlo a compimento nel 1958-60, quando si era finalmente riusciti a giungere a un punto fermo con la messa fuori legge della prostituzione nei principali Paesi membri (specie Europa Occidentale e Stati Uniti), e producendo, tra il 1960 e il 1973, la fase più virulenta del fenomeno repressivo, concentrato su prostituzione e pornografia; fino a quando avranno inizio le prime denunce delle convenzioni: la prima, in quell’anno, sarà quella della Germania Ovest sulla pornografia91; la seconda, quella sulla prostituzione, e quindi sull’omosessualità, che viene già a sostanziarsi a metà degli anni Settanta, con l’impugnazione delle convenzioni sulla pornografia, ma viene concretamente compiuta dalla Francia solo nel 1982, con l’avvento di Mitterrand alla Presidenza della Repubblica, in quanto questi aveva, fin dalla sua campagna elettorale, promesso l’eliminazione della schedatura degli omosessuali, qualora fosse stato eletto92. Circostanza che trova riscontro anche nelle variazioni operative della Polizia amministrativa italiana, che nel gennaio del 1983 cancella dai suoi statistici la voce “buon costume”93. Come passaggio intermedio, prima di giungere al 1982, a seguito appunto delle mutate disposizioni sulla pornografia, vi era stato nel periodo 1975-1976, sia in Italia che in Francia, una inchiesta parlamentare sul tema dell’omosessualità94; e, relativamente alla Francia, la destinazione della Brigade Mondaine di Parigi a differenti mansioni95.

18. Conclusioni. Sotto la punta dell’iceberg

Per quanto riguarda i dati relativi alla persecuzione degli omosessuali in tutte le sue forme, e in tutti i Paesi membri dell’Interpol (dalle sanzioni pecuniarie, alle denunce, al confino, ai campi di deportazione e sterminio), i numeri emersi finora offrono solo una visione parziale, ed estremamente ridotta, del fenomeno.
Limitatamente al caso italiano, tra il 1952 e il 1967, sono stati individuati circa 23.000 provvedimenti di polizia a carico di omosessuali maschi; un cifra in difetto, rispetto al fenomeno complessivo, sia nazionale che internazionale96.
Per gli anni del fascismo, sempre in Italia, abbiamo solo i dati del confino, che sono almeno il centuplo rispetto agli atti di confino comminati negli anni della Repubblica97. Ma se dovessimo applicare la stessa proporzione ai provvedimenti di polizia, le schedature di omosessuali nell’Italia del Duce assommerebbero ad alcuni milioni. Per quanto riguarda invece il caso francese, che è stato qui preso come pietra di paragone per evidenziare il carattere internazionale della crociata antiomosessuale, non vi è ancora allo stato attuale nessuno studio statistico sulla repressione del secondo dopoguerra, e l’unico lavoro che affronti il problema sul lato della repressione è quello di Tamagne, ma solo relativamente al periodo fra le due guerre98.
Tuttavia, i dati emersi per Italia, Francia, Regno Unito, Germania, Spagna, e pochi altri Paesi, sono presenti, con la stessa regolarità, in quasi tutti i Paesi del mondo; almeno in tutti quelli che hanno aderito all’Interpol; e quella che è finora uscita è davvero, come dice Chaumont, solo la punta dell’iceberg. Quanti nel mondo vorranno affrontare, negli anni a venire, i singoli casi nazionali, avranno un lungo e doloroso lavoro da compiere.

Note

  1. Loi no 60-773 du 30 juillet 1960 autorisant le Gouvernement à prendre, par application de l’article 38 de la Constitution, les mesures nécessaires pour lutter contre certains fléaux sociaux(consultato il 9 aprile 2021).
  2. Ordonnance no 60-1245 du 25 novembre 1960 «relative à la lutte contre le proxénétisme» (consultato il 9 aprile 2021).
  3. Camera dei Deputati, 1960, Atti Parlamentari, disegno di legge n. 1920 (22 gennaio 1960), pp. 1-3, (consultato il 12 aprile 2021). Cfr Dario Petrosino, Crisi della virilità e “questione omosessuale” nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, in: Alessandro Bellassai, Maria Malatesta (a cura di), Genere e mascolinità. Uno sguardo storico, Roma, Bulzoni, 2000, pp. 317-343.
  4. Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, disegno di legge n. 2990 (29 aprile 1961), pp. 1-10, (consultato il 12 aprile 2021). Cfr D. Petrosino, Crisi della virilità e “questione omosessuale”, cit.
  5. Archivio Centrale dello Stato (Acs), Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Polizia Amministrativa e Sociale 1940-1975, busta 619, fasc. 13600, Prostituzione. Fenomeni derivanti applicazione Legge 20 febbraio 1958, n. 75.
  6. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Polizia Amministrativa e Sociale 1925-1980, b. 972 . Si veda anche la traduzione in italiano elaborata dal Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell’Università di Padova: Convenzione internazionale sulla soppressione del traffico di persone e della prostituzione altrui (1949), cfr (ultimo accesso 9 aprile 2021).
  7. Sandro Bellassai, 2006, La legge del desiderio, Roma, Carocci, p. 19.
  8. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Centro Nazionale di Coordinamento Operativo di Polizia Criminale (Interpol) 1923-1961, b. 16.
  9. Marco Barbanti, La classe dirigente cattolica e la “battaglia per la moralità” 1948-1960. Appunti sul “regime clericale”, in: “Italia contemporanea”, Milano (S.N.T.), dicembre 1992, n. 189, pp. 605-634.
  10. Ivi, p. 614
  11. Archivio di Stato di Modena (ASMO), Prefettura, Gabinetto, Atti Generali 1862-1987, Atti classificati secondo il titolario del 1963 (1963-1987), Anno 1983, busta 8, fasc. 10.5, Relazioni semestrali del Prefetto, sottofasc. Segnalazioni dell’Ufficio Politico della Questura.
  12. Alla medesima constatazione è giunto parallelamente anche Giovanni Dall’Orto, Tutta un’altra storia. L’omosessualità dall’antichità al secondo dopoguerra, Milano, Il Saggiatore, 2015, pp. 534-535.
  13. Jean-Michael Chaumont, Le mythe de la traite des blanches Enquête sur la fabrication d’un fléau, Paris, La Decouverte, 2009; Florence Tamagne, Histoire de l’homosexualité en Europe (Berlin, Londres, Paris, 1919-1939), Paris, Éditions du Seuil, 2000.
  14. Per l’Italia, in particolare, l’Archivio Centrale dello Stato (Acs), l’Archivio di Stato di Modena (ASMO) e l’Archivio di Stato di Napoli (ASNA). Per la Francia, le Archives de la Prefecture de police de Paris (APP).
  15. Si veda l’opera di J.-M. Chaumont, Le mythe de la traite des blanches, cit.
  16. APP, Police Amministrative, b. 408.
  17. J.-M. Chaumont, Le mythe de la traite des blanches, cit.
  18. In Francia nel 1928, in Italia nel 1939, e ancora nel Regno Unito nel 1953 vi sono dichiarazioni rilasciate nei verbali e nei fascicoli individuali che provano come l’applicazione delle misure auspicate dagli esperti Sdn, almeno nei confronti dell’omosessualità, fossero un fatto concreto, che permaneva anche nel secondo dopoguerra. Nel 1928 a Parigi, nel caso di un arresto per presunta prostituzione minorile in un locale frequentato da omosessuali, vengono fermati e inviati agli uffici per la fotosegnalazione tutti i presenti nel locale all’atto dell’operazione. Nel 1939 a Firenze vi è il caso di un omosessuale destinato al confino (ma poi graziato), perché, dieci anni dopo essere stato sospettato, e risultato estraneo, per un caso di molestie su minori, viene fermato da una pattuglia, nottetempo, al Parco delle Cascine, ancor oggi noto come tradizionale luogo di incontri omosessuali e di prostituzione. A riprova del fatto che i metodi adottati tra le due guerre erano ancora utilizzati negli anni del secondo dopoguerra, si ricordi la vicenda dell’informatico Alan Turing, condannato nel 1953, nel Regno Unito, alla castrazione chimica solo per il fatto di aver dichiarato la sua omosessualità. Per la Francia si veda APP, Police Amministrative b. 432; per l’Italia, Acs Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati, Confino politico, Affari Generali, b. 63; per il Regno Unito, tra gli altri, Matt Houlbrook, Queer London. Perils and Pleasures in the Sexual Metropolis, 1918-1957, Chicago, University of Chicago Press, 2005.
  19. Ivi, pp. 45 e passim.
  20. F. Tamagne, Histoire de l’homosexualité en Europe, cit.
  21. Michael Burleigh, Wolgang Wippermann, Lo stato razziale. Germania 1933-1945. Trad. di Orsola Fenghi, Milano. Rizzoli, 1992 (ed. or.: 1991, The Racial State. Germany 1933-1945, Cambridge, Cambridge University).
  22. Si veda ad esempio, circa una certa sovrapponibilità tra stereotipi degli omosessuali e stereotipi degli ebrei nella stampa fascista, quanto accennato in: D. Petrosino, Traditori della stirpe. Il razzismo contro gli omosessuali nella stampa del fascismo, in Alberto Burgio, Luciano Casali (a cura di), Studi sul razzismo italiano, Bologna, Clueb, 1996, pp. 89-107.
  23. I termini “questione ebraica” e “questione omosessuale” nascono tra Ottocento e Novecento all’interno degli ambienti culturali tedeschi per definire il dibattito, di carattere culturale, razziale e morale, sulle due comunità in Germania. Si veda: Circolo Pink (a cura di), Le ragioni di un silenzio. La persecuzione degli omosessuali durante il nazismo e il fascismo, Verona, Ombre Corte, 2002, pp. 136 e 140-141.
  24. J.-M. Chaumont, Le mythe de la traite des blanches, cit., p. 45 e passim.
  25. Si vedano: Robert Aldrich, The seduction of the Mediterranean. Writing, art and the homosexual fantasy, London-New York 1993, Routledge, pp. 127-128; G. Dall’Orto, La rivoluzione contro gli omosessuali e la contro-rivoluzione del socialismo, in: “Lotta continua”, 14 gennaio 1981, pagine centrali.
  26. Véronique Willemin, La Mondaine. Histoire et archives de la Police des Mœurs, Paris, Hoebeke, 2009.
  27. APP, Police Amministrative b. 408, Coupures de presse.
  28. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Polizia Amministrativa e Sociale 1925-1980, b. 972. Si tratta di una raccolta di convenzioni Sdn e Onu che unisce tutte le attività, fino al 1952, dei due organismi internazionali, estrapolati dai loro fascicoli e trattenuti dal 1952 al 1957 da Giuseppe Dosi, capo della sezione italiana dell’Interpol. Si tratta del “fascicolo zero”, come chiamato in sede di inventariazione provvisoria, in quanto contiene documentazione proveniente dalla categoria 12985 (buon costume e pubblica morale) mai ricollocata al suo posto originario. Per un elenco completo delle convenzioni si rinvia a D. Petrosino, Il comune senso del pudore. La repressione dell’omosessualità nell’Italia repubblicana (1947-1981), in Vincenzo La Gioia, Umberto Grassi, Gian Paolo Romagnani (a cura di), Tribadi, sodomiti, invertite e invertiti, pederasti, femminelle, ermafroditi… Per una storia dell’omosessualità, della bisessualità e delle trasgressioni di genere in Italia, Pisa, ETS, 2017, pp. 219-238.
  29. All’art. 23.
  30. J.-M. Chaumont, Le mythe de la traite des blanches, cit, pp 249-290. Il tema è trattato in particolare nel Capitolo 14 (“Assister-Proteger-Reprimer”) e nelle Conclusioni. Per quanto riguarda la pornografia, si rimanda anche alla documentazione conservata in Acs relativa alla pornografia. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Polizia Amministrativa e Sociale (1960-1975).
  31. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Centro Nazionale di Coordinamento Operativo di Polizia Criminale (Interpol) 1923-1961 b. 9.
  32. Acs Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale Demografia e Razza, Affari Diversi 1938-1945, b. 1; M. Burleigh, W. Wippermann, Lo stato razziale, cit., pp. 141 e passim.
  33. J.-M. Chaumont, Le mythe de la traite des blanches, cit, pp 273 e passim.; APP, Police Amministrative b. 408. Dalla documentazione francese emerge chiaramente l’influenza degli ambienti cattolici e del movimento abolizionista fin dal 1903 (rilevata attraverso i ritagli stampa del convegno tenutosi quell’anno a Parigi, con l’obiettivo di rendere illegale in toto la prostituzione); Acs Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Polizia Amministrativa e Sociale 1925-1980, b. 972.
  34. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Polizia Amministrativa e Sociale 1925-1980, b. 972.
  35. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Polizia Amministrativa e Sociale 1925-1980, b. 972, cit.
  36. J.-M. Chaumont, Le mythe de la traite des blanches, cit, pp 249-290.
  37. J.-M. Chaumont, La concurrence des victimes. Génocide, identité, reconnaissance, La Decouverte, Paris, 1997.
  38. J.-M. Chaumont, Le mythe de la traite des blanches, cit,, in particolare, p. 274: «[…] meme s’ils avaient des manières de voyous, les nazis se bornaient à mettre le voeu de Maus [esperto belga della Commissione, nota mia] en pratique […]»; e p. 276: «[…] des nouvelles surprises nous attendent peut-etre dans les archives».
  39. Ivi, pp. 45 e passim.
  40. Luciano Arcuri, Maria Rosaria Cadinu, Gli stereotipi, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 64. L’emozionante vicenda biografica di Henri Tejfel è narrata in breve a p. 55.
  41. Il passo a cui si fa riferimento non compare nell’edizione ridotta italiana, pubblicata da Bompiani nel 1938; citiamo pertanto l’edizione integrale statunitense: Adolf Hitler, Mein Kampf. Complete and Unabridged. Fully Annotated, New York, Reynal & Hitchcock, 1941 (copyright Houghton Mifflin Company, 1930; ed. or. Verlag Franz Eher, 1925-1927), pp. 77-78.
  42. J.-M. Chaumont, Le mythe de la traite des blanches, cit, pp. 249-290.
  43. M. Burleigh, W. Wippermann, Lo stato razziale, cit., pp. 69 e passim.
  44. J.-M. Chaumont, Le mythe de la traite des blanches, cit, pp. 249-290.
  45. Ibidem
  46. Mathieu Deflem, Policing World Society. Historical Foundations of International Police Cooperation, Oxford, Oxford University Press, 2002; vedi anche Donatella della Porta, Herbert Reiter, Polizia e protesta. L’ordine pubblico dalla Liberazione ai “no global”, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 29-32.
  47. F. Tamagne, Histoire de l’homosexualité en Europe, cit.; si vedano in particolare il paragrafo sugli stranieri e i capitoli sulla repressione nei tre case studies.
  48. La prassi di chiamare Interpol anche l’organizzazione alle sue origini è adottata anche dai funzionari Cipc, almeno dal 1946 in avanti, e dall’Acs per tutta la documentazione a partire dal 1921.
  49. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Centro Nazionale di Coordinamento Operativo di Polizia Criminale (Interpol) 1923-1961 b. 9.
  50. M. Burleigh, W. Wippermann, Lo stato razziale, cit., pp. 98-100.
  51. Sul tema si veda Édouard Housson, Heydrich e la soluzione finale, La decisione del genocidio. Prefazione di Ian Kershaw. Traduzione di Mario Marchetti, Torino, Einaudi, 2010 (ed. or.: 2008, Heydrich et la Soluzione finale, Paris, Perrin, 2010), pp. 330-331, 365.
  52. M. Burleigh, W. Wippermann, Lo stato razziale, cit., pp. 98-100.
  53. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Centro Nazionale di Coordinamento Operativo di Polizia Criminale (Interpol) 1923-1961 b. 9.
  54. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Centro Nazionale di Coordinamento Operativo di Polizia Criminale (Interpol) 1923-1961 b. 9. Vedi anche M. Deflem, Policing World Society, cit.
  55. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Centro Nazionale di Coordinamento Operativo di Polizia Criminale (Interpol) 1923-1961 b. 9.
  56. Acs Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Centro Nazionale di Coordinamento Operativo di Polizia Criminale (Interpol) 1923-1961 b. 9.
  57. Si veda la corrispondenza intercorsa tra Deflem e Simon Wiesenthal, datata 1996: M. Deflem, Policing World Society. Historical Foundations of International Police Cooperation, Oxford, Oxford University Press, 2002, pp.192-193. Si vedano anche: Idem, The Logic of Nazification. The Case of the International Criminal Police Commission (“Interpol”), in “International Journal of Comparative Sociology, 2000, 43 (1), pp. 21-44 (in particolare pp. 34-35); Simon Wiesenthal, Giustizia, non vendetta. Trad. di Carlo Mainoldi, Milano, Mondadori (ed. or.: 1988, Recht, nicht Rache, Berlin, Ullstein), 1989, pp. 253-255.
  58. M. Burleigh, W. Wippermann, Lo stato razziale, cit., pp 98-100.
  59. J.-M. Chaumont, Le mythe de la traite des blanches, cit, pp. 249-290.
  60. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Polizia Amministrativa e Sociale 1925-1980, b. 972.
  61. Si parla del Rdl 17 novembre 1938, n. 1728; la lettera sulla «repression de la pédérastie» è conservata presso le APP, Police Amministrative, DB451; per quanto riguarda la circolare italiana sulla repressione della pederastia essa è menzionata sui fascicoli personali di alcuni confinati italiani come la Circolare Ministeriale del 14 gennaio 1939, n. 10.11500, Repressione della pederastia: Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati, Confino politico, Affari Generali. Cfr anche Gianfranco Goretti, Tommaso Giartosio, La città e l’isola. Omosessuali al confino nell’Italia fascista, Roma, Donzelli 2007; Lorenzo Benadusi, Il nemico dell’uomo nuovo. L’omosessualità nell’esperimento totalitario fascista. Prefazione di Emilio Gentile, Milano, Feltrinelli, 2005, p. 166.
  62. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Centro Nazionale di Coordinamento Operativo di Polizia Criminale (Interpol) 1923-1961 b. 9. Si tratta di un appunto manoscritto e firmato, probabilmente dallo stesso Giuseppe Dosi, dirigente della Sezione italiana, in occasione di una recensione pubblicata dalla rivista “Polizia moderna” nel 1946.
  63. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Centro Nazionale di Coordinamento Operativo di Polizia Criminale (Interpol) 1923-1961, b. 16.
  64. Acs Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Polizia Amministrativa e Sociale 1940-1975, b. 337.
  65. Guido Formigoni, La Democrazia Cristiana e l’alleanza occidentale (1943-1953), Bologna, Il Mulino, 1996.
  66. Ivi, pp 164-166.
  67. David K. Johnson, The Lavender scare. The Cold War Persecution of Gays and Lesbians in the Federal Government, pp. 41-43 ; per la repressione dell’omosessualità negli Stati Uniti degli anni Trenta vedi anche Vito Russo, Lo schermo velato. L’omosessualità nel cinema. Traduzione di Maria Teresa Carbone (ed. or.: The Celluloid Closet. Homosexuality in the Movies, Ney York, Harper & Row, 1981), Milano, Sperling & Kupfer, 1981.
  68. Nel testo originario: «the extensive employment in highly classified positions of admitted homosexuals, who are historically known to be a security risk». D. K. Johnson, The Lavender scare, cit, p. 21.
  69. Ivi, p. 8.
  70. Curzio Malaparte, La pelle, Milano, Mondadori, 1991 (prima ed. Oscar: 1978; prima ed. Aria d’Italia, Roma-Milano, 1949).
  71. Attilio Bulzoni, Tano Gullo, Così l’ America di Roosevelt creò una task force di 007 gay, in “La Repubblica”, 31 luglio 2005, p. 32. La citazione delle fonti è riportata dai due giornalisti come «Archivi nazionali di College Park nel Maryland, carte desecretate (registro 226, serie 92, busta 580, fascicolo 14)» (consultato il 10 aprile 2021).
  72. D. K. Johnson, The Lavender scare, cit., p. 90.
  73. Ivi, pp. 97-98.
  74. Ivi, p.80. Per le Rosa Listen si veda Gunther Grau (ed.), Homosexualität in der NSZeit, Dokumente einer Verfolgung und Diskriminierung, Frankfurt am Main, Fischer, 1993.
  75. Ivi, pp. 121-123 Il capo dell’Fbi J. Edgar Hoover sparse la falsa voce di un arresto di Stevenson per omosessualità.
  76. Ivi, pp. 131-134.
  77. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Polizia Amministrativa e Sociale 1925-1980, b. 802, Accordi internazionali. Nato.
  78. Tra i vari fascicoli in cui è possibile trovar la circolare si veda ad esempio: Acs, Ministero dell’Interno, Gabinetto, 1968-1970, busta 56, fasc. 11027, Buon costume e pubblica moralità, sottofasc. 2, Omosessualità. Repressione.
  79. L’espressione è nel testo della circolare.
  80. APP, Police Amministrative, DB451.
  81. D. K. Johnson, The Lavender scare, cit, p. 21.
  82. Ivi, p. 8.
  83. M. Barbanti, La classe dirigente cattolica, cit, p. 608.
  84. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Polizia Amministrativa e Sociale 1925-1980, b. 802. Si tratta dell’operazione Sharp, relativa all’installazione delle basi Nato in Europa. Asna, Questura, Gabinetto, Quarta Serie (1932-1971), Massime, Secondo versamento (1999), busta 34, fasc. Omosessualità – Repressione.
  85. D. K. Johnson, The Lavender scare, cit., p. 88.
  86. Ivi, pp. 114, 115.
  87. Ivi, pp. 209-214.
  88. D. Petrosino, Crisi della virilità e “questione omosessuale”, cit.
  89. Acs, Ministero dell’Interno, Polizia Amministrativa, 1960-1975, busta 229. Si tratta di una annotazione in calce ad alcune relazioni trimestrali dei prefetti.
  90. Sono state pubblicate varie memorie di quell’esperienza: tra queste si segnala: Gianni Rossi Barilli, Il movimento gay in Italia, Milano, Feltrinelli 1999.
  91. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Polizia Amministrativa e Sociale 1925-1980, b. 972.
  92. Antoine Idier, Les Alinéas au placard. L’abrogation du délit d’homosexualité (1977-1982), Paris, Cartouche, 2013.
  93. Asmo, Prefettura, Gabinetto, Atti Generali 1862-1987, Atti classificati secondo il titolario del 1963 (1963-1987), Anno 1983, busta 8, fasc. 10.5, Relazioni semestrali del Prefetto, sottofasc, Segnalazioni dell’Ufficio Politico della Questura.
  94. Acs, Ministero dell’Interno, Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza, Polizia Amministrativa e Sociale 1925-1980, b. 972
  95. V. Willemin, La Mondaine, cit., p. 215.
  96. Si rinvia a D. Petrosino, Il comune senso del pudore, cit. e Idem, La repressione dell’omosessualità nell’Italia repubblicana e nei Paesi del Patto atlantico. Da uno studio sulla documentazione conservata presso l’Archivio centrale dello Stato, in “Storia e futuro”, n. 10, febbraio 2006 (consultato il 10 aprile 2021).
  97. G. Goretti e T. Giartosio, La città e l’isola, cit.
  98. F. Tamagne, Histoire de l’homosexualité en Europe, cit.

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