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Strategia della tensione. Genesi e destino di un’espressione
di , numero 50, dicembre 2020, Note e Riflessioni, DOI

Strategia della tensione. Genesi e destino di un’espressione
Come citare questo articolo:
Francesco M. Biscione, Strategia della tensione. Genesi e destino di un’espressione, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 50, no. 12, dicembre 2020, doi:10.48276/issn.2280-8833.5267

L’origine

L’espressione strategia della tensione nacque in riferimento a alle bombe del 12 dicembre 1969 esplose a Milano e a Roma nel contesto giornalistico britannico, in particolare attraverso il gruppo editoriale del quotidiano «The Guardian» e del settimanale «The Observer» (che ancora oggi esce la domenica, quando «The Guardian» non esce). Entrambe le testate avevano seguito con attenzione le vicende della Grecia, denunciando la brutalità e l’attacco ai diritti umani del regime dei colonnelli. Ai primi di dicembre le due testate pubblicarono documentazione riservata che induceva a ritenere che il regime dei colonnelli stesse lavorando all’organizzazione di un colpo di stato in Italia, complice di settori militari italiani e di gruppi neofascisti1. Il governo greco era peraltro all’attenzione del comitato del Consiglio d’Europa, che avrebbe dovuto deliberare sull’argomento proprio il 12 dicembre 1969, a Parigi (la riunione si concluse, in un clima polemico, con l’annuncio delle dimissioni della delegazione greca dall’organismo).
L’espressione strategy of tension apparve per la prima volta sull’«Observer» del 14 dicembre nell’articolo degli inviati in Italia Neal Ascherson, Michael Davie e Frances Cairncross2 sulla strage di piazza Fontana. Pur tenendo conto della possibile influenza del governo greco sull’attentato, l’articolo sviluppava un ragionamento tutto interno alla politica italiana, enfatizzando la linea perseguita dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat a partire dalla scissione socialdemocratica del luglio 1969:

«I motivi per cui Saragat aveva provocato la scissione erano evidentemente sottili. Non stava cercando tanto di influenzare i suoi socialisti quanto di spostare a destra la Democrazia cristiana. Il calcolo era che il governo Rumor sarebbe stato messo in ginocchio da tumulti industriali, che nel nuovo anno vi sarebbero state le elezioni anticipate e che la paura del comunismo avrebbe annientato nelle elezioni la forte sinistra democristiana. Ciò avrebbe escluso ogni possibilità di una coalizione con i comunisti. Ma la previsione non si avverò. Chi l’aveva fatta aveva sottovalutato la prudenza dei comunisti. Lungi dall’incoraggiare il caos, i comunisti italiani si erano caratterizzati come “partito d’ordine”. […] Per l’intero schieramento di destra, dai socialisti di Saragat ai neofascisti, l’inattesa mitezza dell’“autunno caldo” minacciava di sgonfiare la paura della rivoluzione su cui essi contavano. Chi ha messo le bombe ha riportato quella paura in Italia».

Il cuore dell’articolo, per quel che qui interessa, è il seguente: «Nessuno è così pazzo da incolpare il presidente Saragat per gli attentati. Ma tutta la sinistra oggi dice che la sua [his, di Saragat] “strategia della tensione” ha indirettamente incoraggiato l’estrema destra a passare al terrorismo». Dunque, all’origine la strategia della tensione non conteneva alcun riferimento diretto alla violenza ma descriveva la linea tendente a isolare politicamente il Pci, forza uscita rafforzata dalle elezioni del 1968; in una situazione di conflittualità sociale e politica (rinnovi contrattuali, movimento degli studenti ecc.) l’isolamento politico del Pci predisponeva l’estrema destra all’avventura, alla violenza, alla provocazione.
La strategia della tensione entrò così nella discussione politica e giornalistica (lo stesso 14 dicembre «l’Unità» pubblicò un ampio resoconto dell’articolo, basato sulle agenzie di stampa); la discussione ebbe nei giorni successivi punte di asprezza, soprattutto per gli attacchi all’«Observer» dalla destra italiana, mentre i socialdemocratici eccepirono che Saragat non avesse avuto ruolo nella scissione socialista.

Un antefatto: la strategia dell’attenzione secondo Aldo Moro (febbraio 1969)

Neal Ascherson, inviato a Roma dell’«Observer» e uno dei firmatari dell’articolo, in un’intervista del 2014 rilasciata alla giornalista e ricercatrice romana Simona Zecchi, chiarì che quel discorso e quell’espressione gli erano stati suggeriti da colleghi italiani con i quali era in contatto, Antonio Gambino e Claudio Risé, entrambi dell’«Espresso». Ascherson fornì altresì un supporto alle sue affermazioni mettendo a disposizione dell’intervistatrice il taccuino contenente gli appunti presi durante alcune conversazioni del 12 e 13 dicembre 1969, tra lo scoppio della bomba e la pubblicazione dell’articolo. Il taccuino contiene anche la stesura manoscritta di due lunghi brani coincidenti, senza variazioni significative, con la metà circa dell’articolo pubblicato, incluse le parti qui maggiormente interessanti, dianzi tradotte (evidentemente si tratta della stesura originale, poi dettata per telefono alla redazione londinese che la fuse con i contributi degli altri autori)3.
Ma gli appunti di Ascherson forniscono indicazioni anche per altri riguardi. Il lettore potrà notare come sia in quegli appunti sia nell’edizione a stampa, strategy of tension è enfatizzata in quanto contenuta tra apici, come a indicare che quell’espressione conteneva qualche cosa di allusivo cui il lettore avrebbe dovuto prestare attenzione. Negli stessi mesi un’espressione singolarmente simile circolava nella discussione politica: strategia dell’attenzione. Era stata introdotta da Moro il quale, dopo aver scelto una posizione di minoranza nella Democrazia cristiana (novembre 1968), nella riunione della direzione del partito del febbraio 1969 caratterizzò la propria prospettiva come una strategia dell’attenzione verso il Pci, riproponendo la formula nella mozione congressuale (giugno 1969) come strategia dell’attenzione «a tutto il sociale ed a tutto il politico […] per dare nuovo slancio alla politica di centrosinistra», e in altre occasioni. È chiaro che Moro intendesse contrastare la tendenza della Democrazia cristiana a interrompere l’esperienza del centrosinistra e, anzi, volesse rilanciarla nei modi consentiti dalle nuove condizioni politiche e dai rapporti elettorali4.
Molti, nel tempo, hanno collegato la strategia dell’attenzione con la strategia della tensione per l’assonanza, la contemporaneità, la simmetrica opposizione nelle intenzioni e nella logica, quasi si trattasse di una sorta di binomio o di due termini dialettici divenuti drammaticamente indissolubili. Per esempio, Giovanni Pellegrino in una celebre intervista del 2000 affermava che

«Moro, ormai fuori del governo, cominciò a parlare della necessità di una nuova apertura politica, nei confronti del Pci, quella che fu chiamata la “strategia dell’attenzione”, anticamera del compromesso storico. Una strategia politica a cui fu contrapposta una strategia stragista, quella della tensione»5.

Le note di Ascherson, di lettura impervia anche per l’uso di una personale stenografia, indicano il tratto specifico della relazione tra i due termini. Nella seconda e nella terza pagina del taccuino vi è un passaggio, che sembra riferirsi a un colloquio con Gambino (di cui è riportato il nome); vi compaiono chiari riferimenti a Saragat, socialist split, strategy of tension, Repubblica conciliare (espressione entrata nell’uso nel 1967 e ancora presente nella discussione), Moro. Il riferimento a Moro indica che l’espressione strategia della tensione fu consapevolmente ideata sul calco della strategia dell’attenzione6. Del resto, ulteriormente interpellato per questo scritto, Ascherson ha confermato il quadro delineato: «I am pretty sure that it was Antonio Gambino who first used the phrase ‘strategy of tension’ to me»7.
Ciò ci convince che la fucina che forgiò quella risposta alla strage fu prevalentemente, se non esclusivamente, italiana. Si trattò di una risposta fine – non un mero gioco di parole – che rielaborava il materiale della crisi politica e forniva il primo argomento, linguistico e politico insieme, per respingere il brutale e sanguinario tentativo di spostare a destra l’asse del paese: ‘strategia della tensione’ sintetizzava un ragionamento che riconduceva la strage di Milano a una matrice di destra nel momento in cui era ancora estremamente difficile comprendere da dove fosse venuto il colpo e perché. Ma fu anche una risposta abile, che inserì quell’interpretazione in un contesto amichevole (gli articoli sulla Grecia e l’Italia già ricordati) suggerendo che fosse condivisa non solo nel Paese.

L’estensione e la modifica del significato

L’espressione strategia della tensione ebbe poi un singolare destino e sopravvisse di gran lunga alla contingenza per la quale era stata creata, ancorché mutando sostanzialmente di significato. Nel fortunato pamphlet del 1970 La strage di stato il significato originario era mantenuto, ancorché il senso fosse esteso a una modalità d’intervento generalizzabile anche ad altri contesti:

«Per la strategia della tensione quello che conta è di provocare, nell’opinione pubblica moderata l’immagine del vuoto politico, creare la psicosi della paura, della minaccia permanente, della incombente disgregazione dello Stato, lenta ma ineluttabile. Nel necessario contesto, di fianco agli attentati, agli scontri, alle provocazioni fasciste e della polizia, si inseriscono anche l’aggiotaggio politico fatto soprattutto dai socialdemocratici con i loro continui ricatti o minacce di scioglimento delle Camere; la messa in circolazione di voci su presunti o imminenti colpi di Stato; l’allarmismo economico provocato con artificiali crisi della Borsa, e con il trasferimento di capitali all’estero ampiamente pubblicizzato sulla stampa»8.

Nei mesi successivi, e soprattutto dal 1972, si verificò uno slittamento semantico per cui la stampa di sinistra, generalmente con un’accentuazione polemica e intento demistificatorio, utilizzò l’espressione per indicare quei comportamenti politici violenti – non solo le stragi ma anche le aggressioni, i ferimenti, gli attentati, i tentativi e le minacce di colpo di stato – che apparivano tra loro collegati in quanto a) operati da militanti dell’estrema destra; b) talora nascosti dietro linguaggi o modalità che potevano apparire di sinistra, affinché le responsabilità ricadessero sugli avversari (come la stessa strage di piazza Fontana, originariamente attribuita agli anarchici); c) coperti e talora sostenuti da apparati dello Stato quali la polizia, i carabinieri, i servizi segreti, in qualche caso la magistratura.
Dal punto di vista del significato, mentre nel dicembre 1969 l’elemento strategico era costituito dalla volontà politica di isolare il Pci, ora esso era individuato nella sequela di episodi politico-criminali che caratterizzavano l’eversione di destra. L’uso di strategia della tensione nel nuovo significato crebbe rapidamente toccando l’apice nel 1974. In questo senso si ottengono informazioni utili se verifichiamo le occorrenze sull’«Unità» – quotidiano del Partito comunista particolarmente sensibile al tema – utilizzando l’edizione in pdf reperibile on line. L’espressione compare a partire dal 1969: 2 volte nel dicembre (con riferimento all’articolo dell’«Observer»), 6 volte nel 1970, 29 nel 1971, 153 nel 1972, 170 nel 1973, 312 nel 19749.
Un’intervista di Pier Paolo Pasolini mostra come alla fine di quell’anno lo slittamento semantico fosse del tutto compiuto e come la strategia della tensione tendesse a rappresentare una modalità della lotta politica operante in un’intera fase:

«Prendiamo le piste nere. Io ho un’idea, magari un po’ romanzesca ma che credo giusta, della cosa. Il romanzo è questo. Gli uomini del potere, e potrei forse fare addirittura dei nomi senza paura di sbagliarmi tanto – comunque alcuni degli uomini che ci governano da trent’anni – hanno prima gestito la strategia della tensione a carattere anticomunista, poi, passata la preoccupazione dell’eversione del ’68 e del pericolo comunista immediato, le stesse, identiche persone hanno gestito la strategia della tensione antifascista. Le stragi quindi sono state compiute sempre dalle stesse persone. Prima hanno fatto la strage di Piazza Fontana accusando gli estremisti di sinistra, poi hanno fatto le stragi di Brescia e di Bologna accusando i fascisti e cercando di rifarsi in fretta e in furia quella verginità antifascista di cui avevano bisogno dopo la campagna del referendum e dopo il referendum, per continuare a gestire il potere come se nulla fosse accaduto»10.

Pasolini faceva dunque un uso per così dire empirico e funzionale del termine strategia della tensione al fine di un proprio discorso, peraltro non banale e (per quanto sia discutibile l’idea di una strategia della tensione antifascista) in grado di cogliere alcuni aspetti del drammatico passaggio di quei mesi di cui lo scrittore fu tra i primi e più acuti interpreti. Si trattava di un uso giornalistico, che comportava una qualche volatilità dell’espressione, che certamente non aveva un carattere definitorio o storiografico, ma era comunque immemore del significato originario.
L’indice del Servizio bibliotecario nazionale (SBN) segnala come dalla metà degli anni settanta la strategia della tensione sia entrata nei titoli di pubblicazioni di diverse aree della sinistra per indicare le modalità di un’intera fase11.

L’uso storiografico

Intesa come descrizione, più o meno generica, dell’insieme degli episodi violenti (in particolare le stragi e i tentativi o progetti di colpo di stato) accaduti nei primi anni settanta, l’espressione strategia della tensione ha avuto grande diffusione nel linguaggio comune ed è entrata anche nell’uso della ricerca storica. Sul punto ci concederemo solo rapidi cenni, ché ben altro lavoro sarebbe necessario per indagare su come essa è stata utilizzata. Per non dire che potrebbero pensarsi anche altre ricerche, per esempio sull’uso che ne è stato fatto nelle sentenze della magistratura e negli atti giudiziari.
Dagli anni ottanta, raccolte documentarie e studi critici – innanzitutto i libri di Gianni Flamini e di Vincenzo Vinciguerra12 – hanno assunto la strategia della tensione come riferimento fin dal titolo, mostrando quanto essa fosse necessaria e irrinunciabile. Sebbene siano da segnalare alcune obiezioni, non identiche tra loro, all’uso dello stesso concetto di strategia della tensione (per esempio in autori come Ernesto Galli della Loggia e Massimiliano Griner13), si può dire che l’espressione abbia perso il connotato “di sinistra” che la caratterizzò negli anni settanta ed è largamente utilizzata da studiosi di svariate tendenze politiche e culturali (è stata adoperata con una certa larghezza, per esempio, da Piero Craveri14). Ciò indica che la lingua e la cultura nazionali hanno accolto l’idea che vi fu effettivamente un tentativo di condizionare la democrazia e la convivenza civile attraverso le stragi, gli omicidi, la violenza.
Semmai, si può notare qualche tendenza a dilatare l’ambito di applicazione al di là dei limiti cronologici che direttamente la giustificano. Per esempio, Salvatore Lupo ha parlato della strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947) come della «prima strategia della tensione nella storia della Repubblica»15. Sempre a proposito di riferimenti cronologici, possiamo anche notare come l’arco abbia subito notevoli variazioni a seconda degli autori (per esempio, nel 1997 Nicola Tranfaglia proponeva la periodizzazione 1969-8416), e ciò depone in favore di una scarsa forza ermeneutica dell’espressione, nel senso che l’idea di strategia della tensione – anche per come si è formata – non pare in grado di rappresentare un fenomeno complesso al di là degli elementi più basilari. Si deve dire altresì che, più di recente, gli studiosi Mirco Dondi e Aldo Giannuli, in monografie ad hoc, convergono su una periodizzazione dalla metà degli anni sessanta al 197417, cioè il periodo cruento 1969-74 quale risultato di un’incubazione e di una preparazione maturate negli anni precedenti.
La discussione è comunque aperta anche su altri punti, il maggiore dei quali è forse costituito dal tentare di comprendere in che misura la strategia della tensione sia stata un fenomeno endogeno – cioè generato da conflitti interni – e in che misura la proiezione in Italia di conflitti mondiali18.

Note

  1. Vedi Cedric Thornberry, Greek advice for a coup in Italy, in «The Guardian», 6 dicembre 1969, p. 2; Leslie Finer, Greek Premier plots Army coup in Italy, in «The Observer», 7 dicembre 1969, pp. 1-2.
  2. 480 held in terrorist bombs hunt, in «The Observer», 14 dicembre 1969, pp. 1-2; più significativo il titolo di seconda pagina: Italy: fear of revolt returns. È frutto di un’incomprensibile svista l’affermazione secondo cui l’espressione strategy of tension compaia in un articolo di Leslie Finer del 7 dicembre: A. Giannuli, La strategia della tensione, Milano, Ponte alle Grazie, 2018, p. 11.
  3. Ascherson diceva nell’intervista: «È successo che alcuni giornalisti italiani mi hanno usato per pubblicare contenuti che non osavano pubblicare loro stessi per paura di essere accusati del reato di “calunnia”. Dopo che fu pubblicato il mio articolo […] la stampa italiana mi accusò di aver predisposto un attacco a Saragat. Insomma mi sistemarono». S. Zecchi, Piazza Fontana, 12 dicembre 1969: la giustizia è perduta, la verità ancora no, in “Gli Stati Generali”, 11 dicembre 2014. Simona Zecchi è poi tornata sull’argomento: S. Zecchi, L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini, Milano, Ponte alle Grazie, 2020, pp. 184-188. Le affermazioni di Ascherson sono commentate in modo pertinente in Davide Conti, L’Italia di piazza Fontana. Alle origini della crisi repubblicana, Torino, Einaudi, 2019, pp. VIII, 334.
  4. Le occorrenze di strategia dell’attenzione in A. Moro, Scritti e discorsi, a cura di G. Rossini, V (1969-73), Roma, Cinque lune, 1988, pp. 2666, 2712, 2744, 2774, 2802, 2832. Per una contestualizzazione vedi G.M. Ceci, Moro e il Pci. La strategia dell’attenzione e il dibattito politico italiano (1967-1969), Roma, Carocci, 2013; G. Formigoni, Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma, Bologna, Il Mulino, 2016, pp. 229-243.
  5. G. Pellegrino, con G. Fasanella e C. Sestieri, Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro, Torino, Einaudi, 2000, p. 59.
  6. Si direbbe che Moro fosse consapevole di questo passaggio. Non sembra che egli abbia mai usato nei discorsi pubblici o negli scritti l’espressione strategia della tensione, se non nel Memoriale steso nel carcere delle Brigate rosse. Qui l’espressione ricorre più volte sia intesa nel suo significato corrente sia nell’uso originario, riferita al proprio stesso partito: «Quando cominciava la strategia della tensione Rumor (dopo Leone) era diventato Presidente del Consiglio e Piccoli Segretario, quest’ultimo in modo molto contrastato, con e per la mia decisa opposizione, a memoria 85 voti e cioè meno della maggioranza assoluta. Invano si era presentato a me, per patrocinare accordi, l’ex Generale Aloya. Io fui intransigente e mi trovai in urto sia con il Presidente del Consiglio sia con il Segretario del Partito». Vedi Il memoriale di Aldo Moro. 1978. Edizione critica, a cura di M. Di Sivo et al., Roma, Direzione generale archivi – De Luca, 2019, p. 318 e nota relativa.
  7. Mail di N. Ascherson a S. Zecchi, 30 novembre 2020.
  8. La strage di stato. Controinchiesta, Milano, Samonà e Savelli, 1970, pp. 112 s.
  9. Vedi https://archivio.unita.news/. Si tenga conto che il numero delle occorrenze è qui dato probabilmente per difetto: la riproduzione del testo nel pdf non è sempre ottimale, ragion per cui alcune occorrenze potrebbero non essere state registrate; inoltre il file è costituito dalla singola pagina del quotidiano, nella quale l’espressione può ricorrere più volte.
  10. L’intervista – rilasciata a Massimo Fini e uscita sull’«Europeo» il 26 dicembre 1974 – precisava un’intuizione già espressa in un celebre editoriale del «Corriere della sera» (Che cos’è questo golpe?, 14 novembre 1974); entrambi gli articoli in P.P. Pasolini, Scritti corsari, Milano, Garzanti, 1975, pubblicato quando l’autore era ancora in vita. I riferimenti sono al referendum sul divorzio (12 maggio 1974), alla strage di piazza della Loggia (Brescia, 28 maggio 1974) e alla strage del treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro (nei pressi di Bologna, 4 agosto 1974).
  11. I primi due titoli in ordine cronologico censiti dal catalogo SBN sono: Lotta continua, L’affare Molino e le bande del SID a Trento. La documentazione completa di Lotta continua dal 1972 al 1977 sul ruolo dei servizi segreti della polizia e dei carabinieri nella strategia della tensione, della strage e della provocazione, Milano, Collettivo editoriale 10/16, 1976; Consiglio Regionale della Puglia, Consiglio Provinciale, Consiglio Comunale di Bari, Impegno delle forze democratiche ed autonomistiche per combattere la strategia della tensione. Seduta congiunta, 13 aprile 1977, Bari, Italgrafica Sud, 1977.
  12. G. Flamini, Il partito del golpe. Le strategie della tensione e del terrore dal primo centrosinistra organico al sequestro Moro, 4 volumi in 6 tomi, Bologna, Bovolenta, 1981-85; V. Vinciguerra, Ergastolo per la libertà. Verso la verità sulla strategia della tensione, Firenze, Arnaud, 1989.
  13. E. Galli Della Loggia, Italia. Tensione senza strategia, in «Corriere della sera», 18 agosto 2000, p. 29; M. Griner, Piazza Fontana e il mito della strategia della tensione, Torino, Lindau, 2011.
  14. Vedi, per esempio, P. Craveri, La repubblica dal 1958 al 1992, Torino, Utet, 1995, p. 467 e passim.
  15. S. Lupo, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Roma, Donzelli, 1996, p. 163.
  16. N. Tranfaglia, Un capitolo del «doppio Stato». La stagione delle stragi e dei terrorismi, 1969-84, in Storia dell’Italia repubblicana, a cura di F. Barbagallo, vol. 3, 2, Torino, Einaudi, 1997, pp. 7-80.
  17. M. Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione, Roma-Bari, Laterza, 2015; A. Giannuli, La strategia della tensione, cit.
  18. Intendo ringraziare Alfonso Alfonsi, Giovanni Mario Ceci, Franco Pignatti. Devo un particolare ringraziamento a Simona Zecchi che mi ha lasciato prendere visione della copia del taccuino di Ascherson (36 facciate di piccolo formato) e ha ripreso contatto con il giornalista britannico in occasione di questo scritto.

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