Bibliomanie

In tempo di isolamento
di , numero 49, giugno 2020, Note e Riflessioni,

In tempo di isolamento
Come citare questo articolo:
Andrea Broglia, In tempo di isolamento, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 49, no. 15, giugno 2020

‘Isolare’, leggo sul De Mauro, è ‘separare da tutto ciò che circonda’. Nel dizionario etimologico è ancora più duro, ‘staccare checchesìa attorno da qualunque corpo’. Eppure isolare viene da isola, e questa parola per me è sempre stata un sogno. Nato dopo la guerra non mi sfiorava l’idea di associarla al confino, come fu durante il fascismo. Pensavo piuttosto alla fuga in un posto meraviglioso, l’isola dei sogni, cantavo ‘l’Isola che non c’è’ di Bennato, ma soprattutto la parola mi accendeva l’idea di utopia, luogo estremo dove sperimentare il Nuovo. Un luogo da trovare, magari scrutando qualche mappa emersa dall’Archivio Generale delle Indie di Siviglia, in quel tempo in cui le mappe non erano solo una necessità ma anche una fonte di immaginazione.
Molti scrittori hanno disegnato mappe originali per costruirci intorno il proprio racconto. La prima opera narrativa contenente la mappa di un luogo non esistente fu “Utopia”,1 che significa il “non luogo”, scritto nel 1516 da Tommaso Moro. L’incisione su legno di Holbein, realizzata per l’edizione del 1518, ci mostra nell’angolo sinistro Tommaso Moro che ascolta il marinaio immaginario Raphael col dito alzato a indicare l’isola misteriosa. Già, sempre questi marinai, tesori di leggende, storie e luoghi incredibili. E Utopia è incredibile. Una speranza, un’aspirazione, un progetto. In questa città ideale non c’è miseria né disuguaglianza: il lavoro è obbligatorio per tutti e ognuno lavora per la comunità. La comunione dei beni libera ciascuno dal bisogno e dalla paura, assicura cioè a tutti la vera ricchezza. Le magistrature a Utopia sono elettive e ciascuno, dopo le sei ore di lavoro quotidiano, è libero di coltivare il proprio spirito. A Utopia non potrà mai accadere, come invece accade nelle altre città, che uomini ricchi, privi di cultura e di moralità, comandino su persone colte e virtuose, né che vi si accendano e si esasperino le lotte e gli egoismi. L’isola è diventata così un luogo ideale per immaginare e costruire nuovi modelli di vita sociale, e anche a noi piacerebbe incontrare il marinaio Raphael per farci indicare la rotta. Eppure altri marinai, in carne e ossa, liguri, hanno trovato l’isola che non c’è, fortuitamente, proprio quando cominciavano a temere per la loro vita, come in ogni degno romanzo di avventura. E lì da generazioni ci vivono, un’isola che è un po’ un’utopia, Tristan de Cunha, scoperta proprio mentre Tommaso Moro scriveva il suo libro.
Nel cuore dell’Atlantico, un vulcano si innalza tra le onde per oltre 2000 metri, lontano da tutte le terre: il primo approdo possibile è Sant’Elena, l’isola dove esiliarono Napoleone, molto più a nord, distante 2172 km. Ma se si cerca un po’ più di vita bisogna navigare oltre, percorrere 2810 km e sbarcare a Kaapstad, com’è chiamata in lingua afrikaans Città del Capo. L’isola vulcanica fu scoperta dal capitano portoghese Tristấo da Cunha negli stessi anni in cui Tommaso Moro stava scrivendo Utopia. Usata come punto di appoggio per i viaggiatori e poi per le baleniere, divenne abitata grazie a un americano, Jonathan Lambert, che si insediò nel 1811 insieme a un suo assistente e a un livornese, Tommaso Corri. Lambert, da quel piccolo punto dimenticato da Dio e dagli uomini, si autoproclamò proprietario dell’isola pronunciando parole perentorie, stabilì i colori di quella che doveva essere la bandiera, proclamando con enfasi «che nei nostri rapporti con tutte le altre nazioni, noi ci consideriamo, io e il mio popolo, legati da principi di ospitalità, di cameratismo e dai diritti delle leggi e delle nazioni». La prima Utopia si dissolse dopo un solo anno, quando i due americani morirono in un incidente di pesca, così a detta del livornese. C’è già materia per un romanzo. La toponomastica offre un altro buon contributo; le inaccessibili altre isole di questo piccolo arcipelago hanno nomi che sono già un inizio di storia: Inaccesible Island, Nightingale Island e Gough Island. Sono disseminate vicino al 40° latitudine sud, dove iniziano quelli che i velisti di oggi chiamano i 40 ruggenti, i terribili venti che soffiano da ovest intorno a Capo Horn per risalire l’Atlantico con la loro furia. Onde e venti perfetti per un naufragio, come quello che coinvolse una scialuppa avvicinatasi in cerca d’affari a un’imbarcazione più grande. Investita da violente ondate si rovesciò provocando la morte di 15 dei 19 occupanti, tutti abitanti dell’isola. Per la comunità di Tristan de Cunha, ridotti a poche unità, un colpo durissimo. Ma come in ogni buon romanzo, alle forti emozioni si alternano fasi più prosaiche. L’Inghilterra decise di insediarsi per affermare il proprio dominio. Sbarcò sull’isola un drappello di militari e civili: 38 militari, 7 civili, 10 donne e 12 bambini. Iniziò la costruzione dei primi edifici nello stesso posto dove ancor oggi sorge il villaggio. Ma un luogo così estremo bisogna amarlo, e questo gruppo di persone non riuscì a resistere a lungo. Fuggì lasciando sul posto chi invece ha avuto il tempo di restare ammaliato da Tristan de Cunha. William Glass, sua moglie e due scalpellini. William, scozzese, militare colmo di ideali diventò il primo governatore dell’isola e stabilì che sull’isola ogni cosa si doveva condividere, il lavoro, la fatica ma anche il profitto, derivante dalla vendita delle aragoste alle imbarcazioni che saltuariamente approdavano nei pressi. Poi convinse il duca della necessità di donne per i suoi compagni, e così arrivarono da Sant’Elena alcune ragazze di colore. Socialismo multietnico… Sembra impossibile che si possa naufragare su quest’isola, così lontano dalle rotte più battute, un punto pressoché invisibile che anche procedendo a occhi bendati non potrebbe mai capitare di incrociare. E invece successe. E così alla comunità si aggiunsero tre naufraghi, altri sbarcarono dalle imbarcazioni di passaggio, e tra loro anche chi sposerà una delle figlie di Glass. Un balletto dei destini incrociati. Legami che si annodano e si sciolgono, come quando un reverendo sbarcato sull’isola decise di portar via una quarantina di abitanti verso il Sud Africa. E così la comunità si ridusse di nuovo. 23 unità. Quand’ecco entrare in scena un battello italiano. Proviamo ad ascoltare il racconto in dialetto dei due marinai di Camogli… “O bregantin Italia o l’ea sarpou a-i 3 de agosto do 1892 da Greenok dirizzuo a-o Cao de Boña Speansa con un carego de carbon, a-o comando do ciavain Rolando Perasso. A mattin di 28 de settembre a-o peneise ghe pâ de vedde do fumme sciortî da-o boccapòrto de proa: o carego o l’aiva piggiou feugo.” Tutto cominciò il 4 ottobre 1892, quando il brigantino a palo Italia, che da giorni navigava con un principio di incendio in una stiva piena di carbone, in fiamme per autocombustione, puntò con decisione verso l’arcipelago. Al timone il chiavarese Rolando Perasso, che aveva ai suoi ordini un equipaggio composto in gran parte di Camogliesi, tra cui Andrea Repetto e Gaetano Lavarello. Le manovre di avvicinamento all’isola Tristan da Cunha furono ostacolate dal forte vento e dal mare grosso che, nonostante l’abilità del Perasso, causarono la collisione del brigantino contro le rocce e il suo conseguente naufragio che, tuttavia, provocò al fortunato equipaggio solo ferite e forti contusioni. Ad accogliere i naufraghi furono gli abitanti dell’isola, un variegato gruppo di individui. Sodali per storia, quasi tutti naufraghi o discendenti di naufraghi. Gaetano Lavarello, abile carpentiere e uomo d’ingegno, colonizzò Inaccessible Island, supplendo alle carenze agricole di Tristan da Cunha. Ad affiancare il Lavarello fu anche Andrea Repetto che nel 1892 aveva anch’egli deciso di restare sull’isola, nel villaggio di Edimburgh, contribuendo all’ampliamento della comunità. Lavarello e Repetto si unirono in matrimonio con due giovani cittadine di origine anglosassone, Frances Green e Jane Glass, dalle quali ebbero parecchi figli. Un terzo marinaio camogliese, tale Agostino Lavarello, pur essendosi innamorato anch’egli di una bella ragazza di nome Mary Green, preferì invece fare ritorno nella sua Liguria, assieme ad altri. In qualche modo mi piace immaginare la sua partenza dall’isola come quella di uno dei miei eroi preferiti, Arturo Gerace, salito sul piroscafo con l’intento di tagliare i ponti con l’isola di Procida dopo una travagliata adolescenza e un amore impossibile.

“Senti. Non mi va di veder Procida mentre si allontana, e si confonde, diventa come una cosa grigia…Preferisco fingere che non sia mai esistita. Perciò, fino al momento che non se ne vede più niente, sarà meglio ch’io non guardi là. Tu avvisami, a quel momento. E rimasi col braccio, quasi in un malore senza nessun pensiero, finché Silvestro mi scosse con delicatezza, e mi disse: Arturo, su, puoi svegliarti. Intorno alla nostra nave, la marina era tutta uniforme, sconfinata come un oceano. L’isola non si vedeva più.”2

Anche Agostino negli anni ‘30 scrisse un libro su quell’isola e sulla donna amata che aveva abbandonato. L’Isola dei sogni era ormai lontana.
Noi siamo della stessa sostanza dei sogni‘, scriveva Shakespeare nella Tempesta, ambientata, guarda caso su un’isola. Perché anche le isole sono fatte della stessa sostanza dei sogni, compaiono improvvisamente all’orizzonte e con la stessa repentinità possono dissolversi, vi si vive un’esperienza che si disegna in totale alterità rispetto alla vita sul continente, una magia tutta speciale che va imparata. Sì, perché anche nella Tempesta Prospero tratta con rudezza Calibano, ma ricorda anche di averlo trattato con benevolenza.
Il colto e l’ignorante.
Proprio Calibano, l’incolto, aveva iniziato Prospero/Shakespeare alla bellezza dell’isola:

“… e ti mostravo tutte le qualità dell’isola,
le sorgenti d’acqua dolce,
i fossi d’acqua salata,
i luoghi sterili e quelli fertili”3

In cambio Prospero aveva gli insegnato a parlare e, nonostante la sua bruttura fisica e morale, questo mostro era capace di poesia o forse è l’isola che l’aveva nutrito in tal senso:

“Non devi aver paura,
l’isola è piena di rumori,
suoni e dolci arie,
che danno piacere e non fanno male.
A volte sento mille strumenti vibrare
e mormorarmi alle orecchie.
E a volte voci che,
pur se mi sono svegliato
da un lungo sonno,
mi fanno addormentare di nuovo”

Ecco ancora la confusione fra veglia e sonno sotto il cielo di un’isola. Ma questo dà la forza di osare. La lontananza da tutto, quando non deprime, fortifica, è così per chi abita Tristan de Cunha. Ora ci vivono in 279, un pugno di cognomi, otto, di cui due italiani; le porte sono sempre aperte, si continua a condividere tutto, quasi una società ideale. Leon Glas, nel 2005 ha anche creato una squadra di calcio, la chiama la nostra nazionale, al momento può giocare solo in casa, contro chi passa da quelle parti. Nel 1971 si inaugurò anche un ospedale, il Camogli Hospital. Chissà se i discendenti sanno fare la mitica focaccia… Resta invece un’isola senza faro.
Come “L’isola dei senza memoria”4, dove a cadenze irregolari qualcosa scompare per sempre, gli uccelli, le rose coltivate sulla collina, i traghetti che facevano rotta verso la terraferma. E la gente nel breve rimuove, fa calare l’oblio. Ci si sveglia al mattino, si ha una sorta di presagio, si capisce cosa è scomparso ed entro poche ore ci si disfa dell’oggetto, del pensiero e del ricordo stesso dell’oggetto. Lo racconta una giovane donna che non ha dimenticato quanto le diceva la madre: “Molto tempo fa, quando non eri ancora nata, questo posto era pieno di tante cose diverse: trasparenti, profumate, svolazzanti, brillanti… cose belle, comunque, che tu non puoi nemmeno immaginare”. Una madre prelevata con la forza dagli agenti segreti dell’Isola. Si scopre così che in realtà esiste un piano occulto messo in atto da un regime totalitario che cancella il reale e la sua memoria. E la protagonista comincia a inquietarsi “Di questo passo, quando non saremo più in grado di compensare le cose scomparse, l’isola si riempirà di vuoti. Mi angoscia l’idea che diventi vuota, inconsistente e che all’improvviso scompaia senza lasciare traccia. Non ci hai mai pensato, nonno?”. Una fiaba nera, che ci ricorda come la memoria è una guida necessaria per costruire il nostro futuro.
Per questo non bisogna rimuovere quanto accaduto con l’emergenza sanitaria. Una ferita che non va nascosta con un cerotto, va tenuta aperta e curata.
L’abbiamo chiamato lockdown, forse per mimetizzarne l’effetto. E poi non si poteva parlare di quarantena, visto che non si sapeva quanto sarebbe durata. Forse la parola più consona era, è, isolamento. Allora ho deciso di far evadere la parola dal suo significato stesso, un ossimoro, provandola a declinare, prima nelle sue diverse accezioni, poi confrontandola con le storie sull’emergenza sanitaria che ho registrato in giro per l’Italia5.
ISOLAMENTO FISICO: Condizione in cui è impedito il passaggio di energia sonora o termica attraverso una parete oppure di correnti elettriche tra conduttori.
Ripenso alla scomparsa del rapporto medico e infermiere col paziente. Nascosti dalle tute, dalle maschere, dagli occhiali, dai guanti medici e infermieri sono diventati astronauti atterrati nelle terapie intensive tra corpi coscienti e incoscienti, malati che negli attimi di lucidità cercavano in quelle fessure, in quegli occhi dietro le maschere una consolazione. Ci ha detto Pedro Julio Garcia Alvarez, internista e medicina generale della squadra medica di volontari cubani che hanno lavorato all’Ospedale di Crema: “un medico a volte cura, spesso allevia, sempre consola”. Ma in questo caso non è stato possibile. L’isolamento totale ha tolto ogni umanità. Ci consola il fatto che, come ci racconta Clara Valsecchi, infermiera di terapia intensiva, l’arrivo dell’equipe cubana nel momento di massima crisi ha ridato forza a tutta l’equipe, ormai esausta e depressa per gli scarsi risultati.
ISOLAMENTO MEDICO: reparto di un ospedale in cui sono ricoverate persone affette da malattie contagiose.
Per la prima volta interi ospedali sono stati isolati, definiti “ospedali-covid”. Ma quest’isolamento era doppio. Al suo interno sono state create delle nuove linee di confine, di separazione ulteriore. Una vera e propria segnaletica, sulle porte, per terra, per dividere le “zone sporche” dalle “zone pulite”; per passare dall’una all’altra in un senso occorreva un’elaborata vestizione, nell’altro una svestizione con tanto di disinfestazione. All’inizio, come ci ha confidato Andrea Marudi, medico della terapia intensiva dell’ospedale di Baggiovara, “occorreva una persona al tuo fianco che ti ricordasse tutta la procedura, sia di vestizione che di svestizione”. Sporco/Pulito. Roberto Goisis, psichiatra colpito dal virus ci ha detto: “quando l’infermiera che è uscita dalla mia stanza e ha dichiarato che era sporca ho realizzato che anch’io ero sporco. E mi sono sentito in colpa”.
ISOLAMENTO NAZIONE: una nazione che per scelta politica non stringe relazioni con altri Paesi come l’atteggiamento isolazionistico che caratterizzò gli Stati Uniti dopo la Prima guerra mondiale o il Giappone per molti secoli.
Il covid 19 ha distrutto in pochi mesi la convinzione che una nazione possa isolarsi, far da sé, ottenere vantaggi dall’isolamento, dall’autarchia. I populisti che invocavano nazioni autosufficienti, slegate da ogni vincolo con altri paesi, hanno nascosto i loro slogan. Il virus ha attraversato tutte le frontiere e, purtroppo, anche tutte le zone rosse. Tutte le nazioni del mondo dipendono ora da un vaccino che dovrà essere universale e non proprietà di uno Stato, come goffamente ha tentato di fare il presidente Trump.
ISOLAMENTO FIDUCIARIO: condizione in cui viene messo un individuo dall’autorità sanitaria.
L’isolamento fiduciario domiciliare avviene sotto il controllo dell’Asl. Trascorso il periodo di 14 giorni senza il manifestarsi di sintomi del coronavirus, il soggetto si considera non affetto. Qualora si manifestino sintomi si sottopone a tampone faringeo. Nel caso di esito positivo, ma in assenza di sintomi importanti, la persona passa dall’isolamento fiduciario alla quarantena.
ISOLAMENTO GIOVANILE di chi vive appartato dagli altri per libera scelta o per costrizione. Solitudine, emarginazione, segregazione. In questi tempi si parla spesso di isolamento come risultato del bullismo.
I Ninja marketing, hanno raccolto quattro storie di vittime che sono riuscite a riscattarsi, come Sanah Jivani. La ragazza ha subìto atti di bullismo alle scuole superiori a causa della sua alopecia. Ecco il suo racconto. “Ho deciso di parlare di fronte a oltre 3000 studenti della mia scuola e condividere la mia storia con loro. Ho deciso di essere vulnerabile e di capire quanto coraggio ci vuole per amare e accettare chi sei. Dopo aver pronunciato il mio discorso, ho ricevuto una standing ovation da parte di tutti. Era bello vedere che il coraggio ispira coraggio. Quando fai pace con te stesso, sei più capace di portare la pace nel mondo. Quando sei gentile con te stesso, è molto più facile essere gentili con gli altri. Come puoi essere compassionevole verso gli altri se non sei in grado di mostrare prima la stessa compassione verso te stesso? Per tutti questi motivi, penso che l’auto-accettazione possa davvero cambiare il mondo”. Ancora una volta la condivisione. Anche tutto ciò che è stato vissuto con l’emergenza sanitaria deve essere elaborato collettivamente, proprio come un lutto. La condizione di isolamento da lockdown ha colpito soprattutto i più fragili. Barbara Montanari ci ha raccontato come sua figlia, con la sindrome di down, è regredita nelle sue capacità. La scuola a distanza non ha funzionato, la mancanza di supporto di specialisti l’ha penalizzata, l’assenza di relazioni l’ha intristita. Una bambina con una carica affettuosa da distribuire a chiunque incontrasse, baci, abbracci. Tutto cancellato dalla regola del distanziamento.
ISOLAMENTO SOCIALE PATOLOGICO La tendenza all’isolamento e la perdita di contatto con il mondo esterno sono manifestazioni che caratterizzano condizioni particolari, quali la depressione, la schizofrenia e l’autismo.
L’autismo è un disordine neuropsichico infantile caratterizzato, invece, dalla mancanza di connessione con la realtà esterna. Ciò può comportare gravi problemi nella capacità di comunicare, di entrare in relazione con le persone e di adattarsi all’ambiente. Vincenzo Cerami, scrittore e sceneggiatore, mi ha raccontato come in seguito a una malattia aveva contratto una forma di autismo. In classe, alle medie, quando facevano l’appello, non rispondeva. A volte commentava tra sé: “ma questo Cerami non viene mai!”. Venne bocciato. E così si trovò in cattedra un nuovo maestro, che giocava a calcio, leggeva le sue poesie in quella lingua dolce che è il friulano, ma soprattutto capì che al ragazzino Vincenzo piaceva raccontarsi delle storie mentre si astraeva dal mondo. Lo assecondò, lo stimolò, spesso leggeva i suoi racconti ad alta voce in classe. Un punto di svolta. Vincenzo Cerami divenne scrittore e il maestro continuò a chiamarsi Pier Paolo Pasolini.
La domanda da porsi oggi è: l’isolamento sociale del lockdown quali patologie ha generato? E quali maestri ci serviranno per superarle? Di certo, come ci ha riferito il dott. Marco Gemma, responsabile della terapia intensiva dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano ora riconvertito ‘no covid’, al pronto soccorso sono in crescita i pazienti per tentati suicidi o vittime di violenze, in casa come fuori. Uno studio shock pubblicato dal Sole 24 ore a firma Enrico Marra, prevede, nei soli Stati uniti, 75.000 suicidi a causa dell’emergenza sanitaria.
ISOLAMENTO ECONOMICO
Finora sembrava un fenomeno relativo agli Stati. Il covid 19 ha costretto alla chiusura imprese di ogni tipo, dalle grandi aziende al singolo negozio. Sono esplose le nuove povertà. Ma in realtà è emerso quanto c’è di malato nel nostro Paese. Carlo Giorgio Visconti, vicepresidente volontario della Croce Amica di Basiglio, ci ha raccontato che per la prima volta “abbiamo distribuito tra i 200 e i 300 pacchi alimentari alle famiglie”. Basiglio include il famoso quartiere di Milano3 ed è, da alcuni anni, in testa alla classifica dei comuni più ricchi. Ebbene, proprio qui, a causa del covid 19 badanti, colf, aiutanti di cucina nei ristoranti, perlopiù filippini, sono stati lasciati a casa. Tutti contratti irregolari e pertanto senza alcuna copertura. Questo a Basiglio, il comune più ricco d’Italia.
ISOLAMENTO DA 41 BIS: L’articolo (comunemente chiamato carcere duro) è parte della Legge della Repubblica Italiana n° 354/75 recante “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”. E’ stato introdotto nel 1975 nelle leggi che regolano l’ordinamento penitenziario italiano e, ai tempi, riguardava le emergenze interne alle carceri, come le rivolte o altri comportamenti ritenuti particolarmente gravi. Dal 1992 è applicato anche ai boss mafiosi, in seguito alla strage di via d’Amelio, in cui viene ucciso il giudice Borsellino e la sua scorta.
Lettera a ONLUS dal carcere di Reggio Calabria, sezione femminile,  17 maggio 20176:

Sono stata trasferita in questo carcere per motivi processuali. Ho ricevuto il vostro materiale e vi mando una mia testimonianza del colloquio avuto con mio figlio Francesco nella sezione a 41 bis di Spoleto. Era il 22 aprile del 2013 ed io allora ero libera ed andai con i miei due nipotini.
Il 22 aprile 2013, alle sei del mattino ero a Spoleto per fare il primo colloquio con mio figlio. Portai con me i suoi due figli Carlo e Nino, due gemelli di appena 6 anni. L’attesa fu snervante, dopo una minuziosa perquisizione, ci fecero entrare in una piccola saletta per il colloquio, l’impatto è stato devastante per me e i bambini. C’erano un tavolino, degli sgabelli, un grosso vetro, dietro quel vetro vidi mio figlio. Non lo vedevo da mesi e come madre il mio primo desiderio era quello di poterlo abbracciare forte, forte, che strazio! Ammutolita mi aggrappai a quel vetro, grosse lacrime inondavano il mio viso. Mio figlio era lì, davanti a me e non potevo abbracciarlo, baciarlo, avevo tanto bisogno di stringerlo forte e fargli sentire come batteva il mio cuore, avevo tanto bisogno di trasmettergli le mie emozioni. Mio figlio mi guardava, non diceva nulla, non volevo farmi vedere piangere da lui, ma non ho potuto fare nulla per trattenere le lacrime, scorrevano da sole, irrefrenabili. Anche i bambini salirono sul tavolino e si aggrapparono a quel vetro nella disperata ricerca di un abbraccio, di un bacio da parte del loro padre che immobile e senza parole guardava i suoi piccoli. I bambini nella loro ingenuità chiesero spiegazioni al loro papà, perché non potevano saltargli addosso come avevano fatto nei colloqui precedenti. Il loro papà esitò un attimo per trovare una risposta da dare alle proprie creature. Balbettando disse che stava lavorando e il datore di lavoro distrattamente lo aveva rinchiuso in quell’abitacolo. I bambini trovano sempre una soluzione, si guardarono intorno e chiesero un martello per abbattere quel vetro che li separava dal loro papà. Io li guardavo con grande tristezza, non potevo fare nulla, anche le guardie presenti al colloquio si intenerirono davanti ai bambini, fu solo un attimo, poi ripresero l’espressione di sempre, i sentimenti in questo ambiente hanno poco valore, la legge va rispettata. Nino, uno dei miei nipoti, con grande tristezza disse una frase che ancora oggi mi logora il cervello: “Vorrei essere una formica piccola, piccola e passare attraverso le fessure per poter abbracciare il mio papà!”. L’ispettore presente non disse nulla, guardò dall’altra parte, era commosso. Purtroppo al 41 bis queste scene si verificano nel quotidiano, bisogna che lo Stato intervenga, che i politici facciano qualcosa per porre fine alla violenza psicologica che subiscono tanti bambini, le lacrime dei piccoli, la loro sofferenza deve scuotere la coscienza di coloro che si ritengono i rappresentanti della giustizia.
Con stima e affetto Carmela Nava

Ad oggi è ancora impossibile parlare coi detenuti dopo le rivolte scoppiate in numerose carceri d’Italia durante il lockdown.
L’isolamento continua.

Note

  1. Libellus vere aureus nec minus salutaris quam festivus de optimo reipublicae statu deque nova insula Utopia che scrisse tra il 1510 e il 1515 e pubblicò a Lovanio nel 1516.
  2. Elsa Morante “L’isola di Arturo” Einaudi (1957).
  3. Nella traduzione pubblicata nella collana Meridiani da Mondadori – Shakespeare “I drammi romanzeschi”.
  4. Yoko Ogawa “l’isola dei senza memoria” il Saggiatore (2018).
  5. Progetto Mneo su Facebook e su Instagram.
  6. Dal sito AgoraVox.

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