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La strage di Ustica. Il tormentato cammino verso la giustizia e la necessità di tener vivo il ricordo
di , numero 49, giugno 2020, Note e Riflessioni,

La strage di Ustica. Il tormentato cammino verso la giustizia e la necessità di tener vivo il ricordo
Come citare questo articolo:
Daria Bonfietti, La strage di Ustica. Il tormentato cammino verso la giustizia e la necessità di tener vivo il ricordo, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 49, no. 11, giugno 2020

Mio fratello Alberto è morto sul DC9 Itavia verso le nove di sera di quel 27 giugno 1980; stava raggiungendo la figlia e la moglie che erano a Palermo per qualche giorno di vacanza.
Nelle orecchie mi suona ancora la frase di un funzionario dell’Aeroporto Marconi di Bologna che verso le cinque del mattino ci disse che non si sapeva nulla, che quell’aereo era “disperso”.

Ho incontrato così una delle più tragiche vicende della storia del nostro Paese: la Strage di Ustica.
Oggi possiamo dire che si è trattato di una verità subito nota che in ogni modo si è voluta nascondere.
Il tracciato radar della rotta dell’aereo, unico documento sopravvissuto alla totale distruzione di ogni prova, era stato ben esaminato: indicava chiaramente un attacco al DC9 Itavia.

Le conversazioni della notte tra le torri di controllo (ascoltate soltanto molti anni dopo) erano piene di preoccupazioni per la presenza di aerei militari attorno al volo civile e partirono allarmi.
È dimostrata una riunione d’emergenza presso l’Ambasciata americana a Roma. Ancor oggi non sappiamo il nome di tutti i partecipanti, anche italiani, quali documenti siano stati esaminati, ma rimane il fatto di una riunione all’Ambasciata Usa di Roma, inspiegabile per l’incidente di un aereo di linee italiano, nei nostri confini senza nessun cittadino statunitense a bordo. È convinzione generale che in quella sede si sia presa la prima decisione di nascondere, di non far sapere.

A Palermo l’indagine è affidata al Giudice Dottor Aldo Guarino, che nomina formalmente un gruppo di esperti.
Le indagini rimangono a Palermo pochi giorni, poi vengono trasferite a Roma. È la nefanda svolta giudiziaria.
Il giudice Guarino dirà negli anni successivi, di non aver avuto obiezioni formali su questo trasferimento, ma rimase perplesso sui modi: non un atto formale tra procure, ma una telefonata personale del suo “successore”, il dottor Giorgio Santacroce.

Le indagini romane saranno condotte senza l’ausilio di periti, dunque con il solo “sapere” personale del giudice, come per un banale incidente d’auto. L’Aeronautica militare, mettendo in campo tutta la forza del suo prestigio e del suo sapere, sostiene che l’incidente è dovuto a un cedimento strutturale, con questo mettendo sul banco degli imputati, davanti all’opinione pubblica, l’Itavia – proprietaria del DC9 – unica compagnia privata che volava in Italia.
Il Parlamento, che forse soffre ideologicamente la contrapposizione pubblico-privato, preme perché alla compagnia del dottor Davanzali venga ritirata la licenza di volare. Davanzali era un imprenditore di Ancona e si può considerare un’ulteriore vittima della Strage di Ustica. Questo provvedimento porterà al fallimento dell’Itavia.
Oggi con Sentenza definitiva la Cassazione condanna i Ministeri di Difesa e Trasporti a risarcire quel fallimento.

E così già alla fine del 1980 le indagini della Magistratura – come affermerà il Presidente Libero Gualtieri della Commissione parlamentare Stragi nella sua prima relazione alle Camere – perdono ogni determinazione in conseguenza delle indicazioni dell’Aeronautica.
Ustica è uscita dal dibattito parlamentare e dall’attenzione dell’opinione pubblica, e salvo alcune eccezioni, comincia un lungo silenzio.

Di Ustica, delle 81 vittime innocenti non si parla più per lungo tempo!

È iniziata anche per me una dolorosa vicenda di silenzio che mi ha sconvolto profondamente: non riuscivo ad accettare quella perdita, non riuscivo a pensare a cosa potesse essere successo al mio amato fratello.
E per lunghi anni, assieme a mio padre, abbiamo allontanato, rimosso ogni pensiero, ogni considerazione sull’evento!
Poi nel 1985 anche mio padre se ne è andato.
Ho iniziato a sentire una angoscia sempre più profonda. Ho iniziato a rendermi conto che non sapevo nulla sulla morte di mio fratello: così lentamente, ma inesorabilmente, il bisogno di verità si è fatto sempre più forte, ed è diventato più forte della disperazione, della rimozione, del dolore.
Ho iniziato a rendermi conto che la verità ufficiale – quella del il “cedimento strutturale” – consegnataci dalle Istituzioni nell’immediatezza dell’evento, era ben poco credibile.

Poche voci di giornalisti, cito per tutti Andrea Purgatori sul “Corriere della sera”, continuavano a dire che quell’aereo era stato abbattuto, nessuno ascoltava, nessuno reagiva.

La verità sostenuta dai vertici dell’Aeronautica soverchiava tutto, l’Itavia era fallita. C’erano però voci discordi. Carlo Luzzatti, presidente della Commissione governativa nominata dal Ministro dei Trasporti Rino Formica, già nella sua pre – relazione del dicembre ’80 escluderà il cedimento strutturale. L’aspetto sarà confermato nella perizia definitiva del 1982 confermando che solo un’esplosione esterna o interna poteva essere la causa della tragedia. Nonostante questa relazione, nulla accadde. Nessuno lesse, nessuno reagì, né il Parlamento, né la Magistratura.
Gli autori del delitto, della morte di 81 cittadini italiani, dell’occultamento di ogni prova hanno potuto davvero per lungo tempo dormire sonni tranquilli!
È questa mancanza di attenzione, questa sottovalutazione degli indizi, fin da allora ben consistenti, è davvero una grave colpa collettiva.

Cominciai a leggere quel che si era detto in quei primi cinque anni. Cominciai a voler sapere, conoscere lo stato delle indagini, e assieme ad un caro amico, l’Avvocato Romeo Ferrucci di Roma, sollecitammo un gruppo di intellettuali, di personalità della politica, della cultura, affinché ci affiancassero per far tornare attenzione sul caso.
Nacque così il Comitato per la verità su Ustica, composto da Francesco Paolo Bonifacio, Antonio Giolitti, Pietro Ingrao, Adriano Ossicini, Stefano Rodotà, Pietro Scoppola, Franco Ferrarotti, che fece pervenire una lettera al Presidente della Repubblica, che chiedeva che “si rimuovessero tutti gli ostacoli, tutti i motivi, che impedivano alla verità di farsi luce”.

È partita così la lunga battaglia per la verità: il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga inviò al Governo Craxi la lettera del Comitato, e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giuliano Amato, decise di stanziare i fondi per il recupero del relitto in fondo al mare, nel Mar Tirreno, nel Punto Condor, il punto più profondo del Tirreno.

Al recupero del relitto seguirono finalmente anche attività investigative fino ad allora mai compiute, come l’audizione del personale, allora ancora tutto militare, di stanza quella notte e nei giorni seguenti, nei vari siti radar del territorio nazionale.

Iniziarono ad essere rinviati a giudizio i primi militari per diversi reati, distruzione di atti veri e/o false testimonianze, i primi colonnelli, i primi generali.
Insomma, il coperchio cominciava a scoperchiarsi e lasciava intravedere quella verità così pervicacemente negata.

A questo impegno di eminenti personalità ho voluto aggiungere anche l’impegno dei parenti delle vittime.

Era il 20 maggio 1988 quando per la prima volta ci siamo riuniti a Bologna: questo nostro incontrarsi ha voluto significare soprattutto la volontà sempre più precisa che stava maturando in tutti noi degli obiettivi che volevamo e dovevamo raggiungere. Era il grande bisogno di verità e giustizia che ci aveva fatto incontrare e la necessità di dare battaglia per raggiungerli ci teneva uniti:
“Quanto è accaduto a Ustica non dovrà ripetersi è la premessa della battaglia civile che l’Associazione porta avanti. Forse è la prima volta in Italia che ai familiari delle vittime di un disastro aereo tocca pure l’onere della prova: sissignori, siamo stati noi a dover mettere sotto accusa radar e silenzi, deviazioni, depistaggi”.
Da subito abbiamo aperto il rapporto con la Magistratura, che aveva iniziato un percorso più attento alla vicenda mentre erano stati individuati i fondi per il recupero del relitto.
Già nel giugno del 1988 abbiamo incontrato il Giudice Istruttore Vittorio Bucarelli, che intanto aveva finalmente nominato nuovi periti, periti che nel 1989 scrissero per la prima volta la parola missile come causa dell’abbattimento del DC9.

Si è aperto un dialogo con le Istituzioni e la politica: la Commissione stragi presieduta dal Senatore Libero Gualtieri che aveva già indicato nell’Aeronautica e nella sua “scelta del cedimento strutturale” la causa principale del lungo silenzio sulla vicenda, nel 1990 affermerà “oggi si può cominciare a chiedere conto di quei comportamenti che all’interno della Pubblica Amministrazione hanno così a lungo ostacolato la ricerca della verità”.
Voglio ricordare gli incontri dell’Associazione con il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga: hanno fatto scalpore le due udienze “generali” nelle quali il Presidente condivise con forza le nostre richieste di verità: “m’hanno fatto fesso capite? Fatto fesso – cosi gridava il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga nel luglio 1990 -, ricevendo al Quirinale i parenti delle vittime dell’aereo abbattuto” riferì un autorevole testimone.
Quelle udienze misero il Presidente al centro di aspre polemiche con critiche più o meno velate, come un “consiglio alle portinerie del Quirinale di controllare meglio gli accessi” o come il famoso titolo del “Tempo” Un missile contro il Quirinale.

Con Rosario Priore, Giudice Istruttore che succede nel 1990 a Bucarelli, le indagini hanno una svolta, prendono determinazione e vigore.

Il compito mio, dei parenti, dell’Associazione era partecipare, contribuire alle indagini; non avevamo fondi e allora abbiamo chiesto aiuto ai cittadini e c’è stata una campagna che aveva come slogan “La verità ha un prezzo che vogliamo pagare” che la grande stampa ha sostenuto.
I cittadini, i sindacati, gli Enti locali hanno risposto.
Così come si è schierato al nostro fianco il mondo dello spettacolo.
Per l’iniziativa di Accademia Perduta Teatri di Romagna, non smetterò mai di ringraziare Ruggero Sintoni, in tanti Teatri del territorio si sono esibiti i più bei nomi dello spettacolo e della canzone d’autore.
Nel 1997 la trasmissione Caterpillar di Radio 2 Rai ha lanciato lo slogan Una risma per sapere e tanti, tanti cittadini hanno inviato un contributo per la nostra Associazione, per sostenere le spese legali1.

Con questa solidarietà concreta abbiamo potuto intraprendere il passo più significativo, io credo, nella vicenda giudiziaria: schierare a fianco dell’Associazione e dei suoi avvocati, il Politecnico di Torino, i Professori del Politecnico di Torino.

“In questa inchiesta purtroppo la conoscenza tecnica è altamente specializzata, sofisticata. Non solo presenta questo carattere, ma addirittura è patrimonio di una parte. Questa è una delle sofferenze più grandi che hanno colpito quest’inchiesta”.
Questo dichiarerà alla fine del suo lavoro il giudice Priore. Ma la consapevolezza precisa della inadeguatezza dei miei strumenti, di quelli dei miei validissimi avvocati, mi era chiarissima. Nessuno di noi poteva ad esempio leggere dati radar, o decrittare tabulati, era “un sapere” solo militare e che i militari usavano esclusivamente a loro difesa.

E il contributo più significativo da parte dei Professori del Politecnico di Torino (Mario Vadacchino, Mario Pent, Angelo Tartaglia, Franco Algostino), è stato individuare in quell’unico tracciato, ricordiamolo unico elemento sopravvissuto alla totale distruzione, con sofisticatissimi studi e strumenti, la presenza di un velivolo che si nascondeva sotto il DC9.
Si è sconvolto il campo; sono stati tutti obbligati a guardare con nuovi occhi un cielo che ci avevano assicurato completamente vuoto!

Le indagini del giudice Istruttore Rosario Priore, coadiuvato dai P.M Salvi, Roselli, Coiro e poi Nebbioso, sempre seguite con attenzione per conto dell’Associazione, dagli Avvocati Gamberini, Marini, De Maria, Benedetti, Piccioni, Galasso, Garraffa, Osnato, nel 1999 ci porteranno la verità sulle cause dell’evento.
Con l’ausilio di esperti della Nato (incontro reso possibile da un determinante intervento del Governo Prodi-Veltroni) si confermerà la presenza di aerei americani, francesi, inglesi, belgi e alcuni con il transponder spento, (probabilmente libici) nei cieli del Tirreno. Il Giudice Priore concluderà il suo decennale lavoro e nella sua Sentenza – ordinanza scriverà: “l’incidente al DC9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti. Nessuno ha dato la minima spiegazione di quanto è avvenuto”.
Come conseguenza di queste conclusioni il Giudice che aveva individuato, nel corso delle indagini, una serie molto consistente di reati, tutti consumati dopo la notte della tragedia, rinviava a giudizio uomini degli apparati militari, in specifico rinvierà a giudizio per Alto Tradimento: i vertici dell’Aeronautica, il Capo di Stato Maggiore Lamberto Bartolucci, il vicecapo di Stato Maggiore Franco Ferri, Corrado Melillo del 3° Roc di Martina Franca e Zeno Tascio capo del Sios Aeronautica, oltre ad una sessantina tra avieri, controllori di volo dei vari siti radar, per distruzione di atti veri, false testimonianze, ecc.

Devo dire che dopo “quella” Sentenza ordinanza, così chiara, cosi inequivoca, così pesante, mi sarei aspettata uno scatto d’orgoglio e di consapevolezza, una presa di posizione netta delle Istituzioni a difesa della dignità nazionale. Successe invece che la stampa parve accontentarsi, quasi a dire l’abbiamo sempre saputo, e le Istituzioni presero atteggiamenti “attendisti”, come se si dovesse aspettare gli esiti dei processi, mentre invece la verità era già acclarata.

Nel 2000 inizierà presso la Corte d’Assise di Roma il processo contro i generali rinviati a giudizio per il reato di Alto Tradimento che, proprio perché prevede la pena fino all’ergastolo, è imprescrittibile; tutti gli altri reati, compiuti dal personale dei vari siti radar, erano, dopo 20 anni, già prescritti, ovviamente.
Alla fine i Generali, con varie motivazioni, derubricazione del reato, prescrizione, mutamento della normativa furono assolti.
Mentre poi la Magistratura civile – partendo proprio dalla Sentenza ordinanza di Priore – condannerà in più procedimenti (intentati dai parenti) i Ministeri dei Trasporti e della Difesa al risarcimento per non aver salvaguardato la vita dei cittadini e per aver ostacolato la ricerca della verità.

Mancano ancora gli autori materiali, francesi, americani…, i loro aerei erano in quel cielo quella notte.
Francesco Cossiga dirà dal 2007 in poi che sono stati i francesi ad abbattere il DC9 dell’Itavia, come lo informava l’Ammiraglio Fulvio Martini, capo del Sismi a fine anni Ottanta.
Può darsi, intanto le indagini da parte della Procura di Roma, dopo le dichiarazioni fatte anche sotto giuramento da Cossiga, sono state riaperte, si fanno rogatorie, si cercano ancora risposte.
L’unica verità ormai acclarata è che l’INDICIBILE di quella notte è proprio quello che doveva avvenire. Chi doveva abbattere chi, questo è il motivo delle menzogne, dei depistaggi ancora in atto.
Gheddafi ha detto negli anni a varie riprese, che lui era la vittima designata, erano gli americani che volevano eliminarlo.
Saprà mai il mio Paese – il Governo del mio Paese – farsi dire da questi paesi, amici ed alleati, cosa ci facevano nei nostri cieli e perché perseverano nel mantenere questa menzogna contro il nostro Stato?

Dopo la “vicenda giudiziaria” l’impegno dell’Associazione si rivolge soprattutto al tema della Memoria, al tener vivo il ricordo della tragedia e delle vittime innocenti.
Era rimasta forte in me la volontà che comunque i resti del DC9 Itavia non fossero dispersi, buttati come inutile reperti: erano davvero gli ultimi testimoni della vicenda, avevano accompagnato gli ultimi attimi della vita dei nostri cari, erano stati ripescati dal mare, erano divenuti il simbolo della nostra battaglia, dovevano essere conservati!
Nacque da qui l’idea di un luogo dove poterli conservare, bisognava creare un Museo. Accettò questa mia idea l’allora sindaco di Bologna Walter Vitali, individuammo un luogo, portammo alla firma di una Convenzione i Ministeri della Cultura e della Giustizia e gli Enti locali dell’Emilia Romagna.
Per trasportare il relitto, con una operazione dei Vigili del Fuoco veramente grandiosa, si chiuse perfino l’Autostrada del Sole.
Poi incontrai più volte Christian Boltanski, uno dei più importanti artisti a livello mondiale, che ha sempre voluto operare per la memoria, alla fine, dopo un confronto umanamente profondo e incisivo, ci ha regalato un’opera che “dialoga” con il relitto del DC9, un’opera che emoziona, che commuove, che tocca le corde più profonde di ogni visitatore e riesce a dare davvero futuro alla memoria dei nostri cari.

Il Museo per la Memoria di Ustica è stato inaugurato il 27 giugno 2007, è conosciuto come una delle più importanti testimonianze dell’Arte contemporanea, è centro di riflessione e cultura. La struttura viene continuamente visitata dal mondo della scuola, grazie alla Convenzione con il Ministero dell’Istruzione, ed è diventata anche centro per ricerche storiche sugli anni Ottanta in collaborazione con l’Università di Bologna e l’Istituto Parri.
E attorno al Museo, dal 27 giugno, giorno dell’Anniversario della Strage, fino al 10 agosto, si svolgono attività di spettacolo, di musica, di prosa, di poesia, riannodando quei fili di collaborazione con il mondo dell’Arte, con le diverse espressioni artistiche in tutte le sue accezioni.

Note

  1. Una risma di carta con un contributo di 40mila lire per conoscere la verità su Ustica. Al di là di ogni previsione furono raccolti 20 milioni che vennero girati ai parenti delle vittime

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