Bibliomanie

Volti del Genio. Orientamenti d’iconografia mozartiana
di , numero 36, maggio/agosto 2014, Note e Riflessioni,

Come citare questo articolo:
Giovanna Degli Esposti, Volti del Genio. Orientamenti d’iconografia mozartiana, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 36, no. 6, maggio/agosto 2014

1. Fanciullo a corte

Wolfgang Amadeus Mozart fu un personaggio pubblico fin dalla prima infanzia. Dunque appare evidente che si sia presentata molte volte l’occasione di immortalarlo in effigi che ne hanno accompagnato l’esistenza e che, oggi, ci aiutano anche a valutare i cambiamenti repentini avvenuti nella società dell’epoca. Se, infatti, mettiamo a confronto la prima, documentata immagine del musicista ancora fanciullo con l’ultima, realizzata a un anno dalla morte, ci rendiamo conto di quanta strada egli abbia percorso, trasformandosi da azzimato giovane cicisbeo in uomo tormentato e dalla sensibilità palesemente vibrante e come, alle sue spalle, sia cambiato un intero periodo storico che dal narcisismo tutto esteriore delle parrucche e di ogni sorta di orpelli, pervenne ad una nuova estetica, questa volta dell’anima, attenta ai tormenti e agli spasimi del sentimento e dello spirito.
Nel complesso, un breve excursus fra i ritratti di Mozart consente di analizzare alcune opere di discreta qualità, che mostrano un giovane dalle fattezze sensibili e gentili, con grandi occhi azzurri e una bella massa di capelli biondi, sempre in ordine e spesso incipriati con eleganza. Il primo ritratto che di lui si conosce è quello di Lorenzoni. In esso il giovanissimo Mozart è rappresentato in un raffinato abito di gala, di “tessuto fine color lilla”, secondo la descrizione che ne diede il padre Leopold, “con panciotto dello stesso colore, giacca e giubetto con larghe bordature d’oro doppie”. Appare come un bambino aggraziato, dallo sguardo intelligente e dal volto paffuto, abbigliato secondo la moda del tempo e per nulla a disagio nelle vesti eleganti, prezioso dono dell’imperatrice Maria Teresa. Gli occhi puntati sullo spettatore, il codino appena smosso da un moto impercettibile del capo, Mozart fanciullo accenna un sorriso lieve, mentre con l’indice della mano destra addita un clavicembalo al suo fianco, unico elemento che colleghi il ritratto alla musica. Tutta l’impostazione dell’immagine richiama i modelli della ritrattistica di corte in voga per tutto il Settecento e, dal punto di vista stilistico, la leggerezza della pennellata, l’uso dei colori pastello e la luce chiara che investe la figura riconducono il dipinto pienamente nell’ambito del gusto rococò.
A fine dicembre 1763, durante il periplo per le Corti d’Europa, nel quale Leopold faceva esibire sia Wolfgang che la sorella Nannerl, la famiglia approda a Versailles, accolta affettuosamente dalla Delfina e dalle figlie che baciano e ribaciano i bambini. Sono ancora le parole di Leopold che servono da didascalia all’acquarello: “Wolfgang suona il clavicembalo, io, in piedi dietro la sua sedia, suono il violino, la Nannerl, con un braccio appoggiato sul cembalo, regge un foglio di musica con l’altra mano come se stesse cantando”. Interessante la figura dell’autore dell’opera, Louis Carrogis detto Carmontelle, dotato di un talento vario e fecondo e considerato una delle personalità più rappresentative di quello spirito enciclopedico che segnò la seconda parte del XVIII secolo in Francia. Pittore, incisore, architetto, autore drammatico, commediografo, organizzatore di feste, architetto-paesaggista, iniziò la sua carriera come insegnante privato di matematica nelle famiglie nobili e nel 1763 venne nominato “lettore” di Luigi Filippo duca di Orléans. Da questo momento riuscì ad entrare a far parte della vita quotidiana della famiglia reale, della quale realizzò vari ritratti con la tecnica dell’acquarello, specializzandosi soprattutto nell’uso del profilo. Se un ospite illustre, per un motivo qualunque, si trovava a dimorare per qualche tempo presso la corte francese, aveva l’onore di essere ritratto da Carmontelle che, in questo modo, prima della Rivoluzione francese, realizzò almeno 600 acquerelli, molti dei quali anche per la zarina Caterina di Russia. Gli acquerelli venivano poi divulgati tramite incisioni e ciò garantiva una notevolissima diffusione dell’immagine. L’opera che raffigura i Mozart fu incisa e messa in commercio nel 1764 da Jean-Baptiste Delafosse.
Un’altra garbata immagine, realizzata dal pittore francese rococò Ollivier, rappresenta un gruppo di nobili raccolto ed intento ad ascoltare il piccolo Mozart durante un tè organizzato dal principe Louis-François de Conti: il giovane appare nella parte sinistra del quadro, seduto al clavicembalo, nell’ultimo dei ritratti infantili che lo vede protagonista; la grande sala di un salotto nobiliare è teatro dell’esibizione di un fanciullo quasi perduto nella grandeur degli arredi e nello sfarzo, a tal punto carismatico nella sua esibizione da catturare repentinamente l’attenzione ed interrompere le dissertazioni e le chiacchiere dei presenti, “affascinati dalla magica arte del piccolo Orfeo”, come efficacemente sintetizzò Bernhard Paumgartner nella sua biografia dell’artista.

2. Adolescente e giovane in Italia

Veniamo ora al rapporto di Mozart con l’Italia. Tre viaggi, per un totale di oltre due anni, in quello che, all’epoca, era ancora il palcoscenico insuperato della musica contemporanea. Se i viaggi precedenti erano stati all’insegna delle esibizioni concertistiche dei fanciulli prodigio presso le corti europee, ora Leopold Mozart, uomo concreto e determinato, costruisce il viaggio in Italia del figlio come occasione professionale per far conoscere il ragazzo ad alcuni tra i più celebri musicisti del tempo e per procurargli eventuali scritture. Il primo viaggio ebbe inizio il 13 dicembre 1769 e durò quindici mesi. Padre e figlio partono nel dicembre 1769, arrivano a Rovereto il 24 dicembre e subito dopo sono a Verona, dove Mozart suona con successo nel teatro della locale Accademia Filarmonica. Qui gli furono assegnate prove di improvvisazione e di lettura a prima vista e il superamento di tale esame gli procurò immediatamente il titolo di maestro onorario di cappella dell’accademia cittadina. Ed è a Verona che, tra il 6 e l’8 gennaio 1770, su commissione di Pietro Lugiati, commissario generale di Venezia, Mozart venne ritratto da Giambettino Cignaroli.
Per molti anni attribuito a Saverio Dalla Rosa, il ritratto di recente è stato fondatamente ricondotto a Giambettino Cignaroli, maestro di Dalla Rosa, soprattutto “per la qualità formale dell’opera in cui nessun dettaglio è trascurato, dagli oggetti appoggiati sul piano dell’antico clavicembalo all’esatta scrittura della partitura, all’anello volutamente ostentato che impreziosisce il mignolo della mano destra” (Ottaviani). Il giovane musicista, ora non più fanciullo, “senza alcuna pretesa di prestanza nel fisico”, come scrisse di lui la sorella, ha un aspetto dolce e si premura di nascondere certe piccole imperfezioni (le orecchie quasi prive del lobo), desideroso di apparire nel portamento e nel vestire elegante e ben curato.
Lasciata Verona, Mozart e il padre si diressero verso Milano, prima tappa importante del loro viaggio, non senza sostare qualche giorno a Mantova e a Cremona, e raggiunsero poi Bologna per far visita a padre Giovanni Battista Martini. Fu proprio in seguito all’incontro con padre Martini che maturarono le condizioni per la realizzazione di un ritratto ancor oggi conservato a Bologna.
La prima volta i Mozart arrivarono a Bologna il 24 marzo 1770, prendendo alloggio nell’albergo del Pellegrino, allora il migliore della città (distrutto da un bombardamento nel 1943). Grazie alla lettera di presentazione del Conte di Firmian, governatore della Lombardia, che li aveva ospitati a Milano, i Mozart furono benevolmente accolti dal Conte Gian Luca Pallavicini, che il 26 marzo, in onore del quattordicenne ma già famosissimo musicista, organizzò un’accademia musicale nel salone di rappresentanza del suo palazzo in strada San Felice (oggi al civico 24). Padre Martini era tra gli invitati e fu in quell’occasione che avvenne la sua prima conoscenza col giovane salisburghese. Quando, il 29 marzo, i Mozart lasciarono la città alla volta di Roma, li accompagnava una lettera ugualmente benevola del conte Pallavicini per il cugino cardinale Lazzaro Pallavicini, segretario di Stato di Clemente XIV. Dopo una sosta a Firenze e alcuni giorni a Roma e a Napoli, di ritorno il 26 giugno a Roma Wolfgang ottenne l’ordine dello Sperone d’oro, conferitogli dal papa grazie all’interessamento del cardinal Pallavicini.
In seguito, dopo una breve sosta a Loreto, i Mozart ritornarono a Bologna nel mese di luglio e, all’inizio di agosto giunse loro, alloggiati all’albergo S. Marco, l’invito del conte Pallavicini per passare il resto dell’estate nella sua residenza di campagna alla Croce del Biacco, dove sarebbero rimasti fino a ottobre. Agli svaghi della vita in villa, il giovane musicista alternò lo studio per l’esame di aggregazione all’Accademia Filarmonica, che avrebbe sostenuto il 9 ottobre. Per superare questo esame bisognava sostenere una prova scritta, consistente in un contrappunto in stile severo su un Cantus firmus tratto dall’Antifonario gregoriano, estratto a sorte dalla commissione esaminatrice e da realizzarsi in clausura. A Mozart lo stile contrappuntistico ecclesiastico era complessivamente ignoto e per questo motivo durante l’estate prese lezione da padre Martini, già dal 1758 definitore perpetuo nella categoria dei compositori dell’Accademia Filarmonica, ruolo importantissimo che consisteva nel dirimere le eventuali controversie in fatto di materia musicale. Padre Martini, pur non facendo parte della commissione d’esame, aveva una tale autorità da condizionarne le scelte. Il buon esito dell’esame di Mozart si dovette, come è risaputo, proprio alle correzioni del francescano e così il musicista salisburghese, a soli quattordici anni, divenne il più giovane aggregato della prestigiosa Accademia.
Venendo al ritratto del museo bolognese, in una lettera del 18 dicembre del 1776, il francescano scrisse a Leopold affinché gli mandasse il ritratto suo e del figlio; l’invio del quadro è documentato da una lettera del 22 dicembre 1777, conservata alla Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, nella quale Leopold Mozart si scusa per il ritardo con cui invia l’effigie richiesta, ritardo causato dalla difficoltà di trovare un buon pittore, e nello stesso tempo dichiara la propria soddisfazione perché il ritratto infine era risultato “rassomigliantissimo” (Bauer-Deutsch). Questa notizia documentaria coincide con i dati riportati nell’iscrizione presente sul retro della tela, che attesta come l’effigiato abbia 21 anni e dunque, essendo nato nel gennaio del 1756, porta la realizzazione del quadro al 1777. Il pittore ritrae il musicista in una posa statica, con la croce dell’ordine dello Sperone d’oro ben in vista sul panciotto e con accanto l’immancabile clavicembalo sul quale è posato uno spartito musicale. Appare evidente la volontà di celebrare il giovane talento che già era riuscito a ottenere cariche e onori prestigiosissimi e che, vestito da gentiluomo, con una grigia parrucca sul capo, guarda verso lo spettatore fiero del proprio rango sociale. Dal punto di vista stilistico si tratta di un’opera risolta con una certa freddezza d’esecuzione che s’inserisce nel filone della ritrattistica ufficiale genericamente celebrativa, molto frequentato nel corso del XVIII secolo, raramente capace di indagare il personaggio in profondità, ma d’innegabile aderenza al modello.

3. A Salisburgo e a Vienna

Di alcuni anni dopo è l’esecuzione di un’altra opera, che sarà determinante per la codificazione dell’iconografia mozartiana.
Realizzato su commissione di Leopold tra il tardo autunno 1780 e gli inizi del 1781 a Salisburgo, il quadro di Nepomuk della Croce rappresenta Wolfgang e la sorella Nannerl, l’uno accanto all’altra, intenti a suonare un esercizio a quattro mani al clavicembalo. Accanto a loro Leopold, con il suo violino in mano e dietro un necéssaire da scrittura (calamai e penna d’oca), a suggerire il tema della composizione musicale. Ben in vista, in un elegante medaglione ovale appeso alla parete centrale, si nota il ritratto della madre Anna Maria Pertl, morta nel 1778. Una statuetta raffigurante Apollo citaredo appare in una nicchia sullo sfondo a destra quasi a voler enfatizzare la vocazione musicale dell’intera famiglia. L’autore dell’opera, Johann Nepomuk della Croce, pittore attivo nel genere della ritrattistica come in quello della pittura della storia (nella Baviera del Sud ha lasciato oltre 200 quadri di soggetto sacro), costruisce qui un efficace ritratto di famiglia nel quale ogni personaggio viene reso con un accurata indagine fisionomica, mentre l’ambiente è connotato assai genericamente. Il volto di Wolfgang è lungo e sottile, il naso pronunciato, lo sguardo malinconico; egli è abbigliato con una giubba rossa e ha i capelli raccolti sulla nuca, fermati con un nastro nero: tutti questi elementi saranno ripresi nel 1819 dalla pittrice Barbara Krafft che su incarico di Joseph Sonnleithner e grazie a Nannerl che mise a disposizione il quadro di famiglia (un quadretto di Joseph Lange andato perduto) e una miniatura realizzò un ritratto postumo di Mozart, divenuto in seguito icona ufficiale del musicista, utilizzata da tutto il merchandising ufficiale (compresi i celebri cioccolatini viennesi). Quest’ultimo dipinto è oggi conservato al Gesellschaft der Musikfreund di Vienna.
Il primo ritratto che esce dall’ufficialità e, quindi, non volendo codificare un ruolo, risulta certamente più intenso e vero dei precedenti, fu realizzato da Joseph Lange, marito di Aloysia Weber e cognato di Mozart, attore e impresario teatrale di fama, pittore per hobby. Dipinto nel 1782 a Vienna, questo di Lange è un abbozzo veloce, giocato su poche tinte marroni. Il musicista è ritratto di profilo e l’unica zona compiuta è il volto, evidentemente appesantito: gli abiti sono più informali che in tutti gli altri ritratti, i capelli più disordinati, ma l’espressione appare vibrante e intensa, tutta concentrata sulla partitura musicale che avrebbe dovuto completare l’immagine. Emerge così il temperamento dell’artista, rapito dalla propria musica che per lui, come confidava ad un anonimo interlocutore qualche mese prima di morire, è sostegno e fonte di ristoro più che il riposo.
Per concludere, vale la pena ricordare come nel gennaio 2006, in occasione dell’apertura delle celebrazioni mozartiane, sia stato presentato un ritratto di gentiluomo a lungo esposto come ritratto di ignoto nella Gemalde Galerie di Berlino, opera del pittore di corte John Edlinger. Basandosi sulla comparazione eseguita al computer con sofisticati mezzi di sovrapposizione ed analisi dei ritratti noti, il direttore del museo e lo storico mozartiano Sellier hanno identificato nell’uomo dipinto Mozart nell’anno che precede la sua morte. Se davvero fosse quella del compositore, questa immagine ci mostrerebbe un uomo ingrassato, ancora molto elegante, il volto luminoso e arrotondato caratterizzato da occhi sporgenti e appesantiti da borse. A differenza di tutti gli altri ritratti realizzati in vita, questo sarebbe l’unico che rappresenta Wolfgang senza clavicembalo e partiture.
Ormai entrato di diritto nell’immaginario comune, Wolfgang Amadeus Mozart ha visto la propria vicenda umana e artistica trasformarsi in commedie teatrali, musical e film. Dal celeberrimo Amadeus di Miloš Forman, vitale ed irriverente tratto dall’altrettanto celebre e omonima commedia di Peter Shaffer, al più delicato Mozart quattordicenne protagonista di Noi tre, il bel film di Pupi Avati (entrambi usciti nel 1984), il salisburghese non ha cessato di ispirare gli artisti: persino un pittore trasgressivo e d’avanguardia come Keith Haring (1958-1990), anch’egli morto giovanissimo poco più che trentenne, bruciato da una vita di eccessi, nel 1985 ha dedicato al volto di Mozart un’immagine dall’eccezionale forza iconica (oggi in collezione privata).
L’intervento presentato ha solo inteso ripercorrere le immagini più celebri del musicista, mentre per quanto riguarda l’intero corpus dei ritratti di Mozart si rimanda all’esauriente voce Iconography nell’edizione 2001 del The new grove.

Bibliografia essenziale

Lettera di Leopold Mozart a padre Giovanni Battista Martini, in Mozart Briefe und Aufzeichnungen. Gesamtausgabe, a cura di Wilhelm A. Bauer e Otto Erich Deutsch, Kassel-Basel-London-New York, Bärentreiter, vol. II, 1962, pp. 204-220.

GIOVANNA DEGLI ESPOSTI, La Galleria dei ritratti, in Aa. Dd., Collezionismo e storiografia musicale nel Settecento. La quadreria e la biblioteca di padre Martini, Bologna, Nuova Alfa, 1984, pp. 36-50: 43.

GEZA RECH, Das Salzburger Mozartbuch, Salzburg, Residenz, 1986, p. 92.

Aa. Dd., Ritratti di compositori, a cura di Giorgio Taborelli e Vittoria Crespi, Milano, Banco Iariano, 1990, pp. 101-102.

FRITZ HENNENBERG, Wolfgang Amadeus Mozart, Hanburg, Rororo, 1992, p. 28.

LUIGI VERDI, Mozart a Bologna, Bologna, s. e., 1997.

Aa. Dd., Le stanze della musica. Artisti e musicisti a Bologna dal ’500 al ’900, Cinisello Balsamo (Milano), Silvana, 2002.

BERNHARD PAUMGARTNER, Mozart, trad. di Carlo Pinelli, Torino, Einaudi, 1945, 1978, 2006.

MARINA BOTTERI OTTAVIANI, In posa a Verona. Due ritratti di Giambettino e Giandomenico Cignaroli, in Mozart. Note di viaggio in chiave di violino, catalogo della mostra a cura di M. Botteri Ottaviani, Antonio Carlini e Giacomo Fornari, Riva del Garda, Museo, 2006, pp. 107-127.

Questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International. Copyright (c) 2014 Giovanna Degli Esposti