Bibliomanie

Risonanze gaddiane
di , numero 1, aprile/giugno 2005, Saggi e Studi,

Come citare questo articolo:
Mauro Conti, Risonanze gaddiane, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 01, no. 11, aprile/giugno 2005

Mi sono soffermato a lungo, ier sera, sfogliando un catalogo dei dipinti del Van Eyck, sul ritratto del cardinale Albergati. Si tratta di un olio su tavola, della misura originale di circa 34 cm x 27 cm, databile attorno al 1438, molto ben fatto dal punto di vista dell’esecuzione e assai espressivo dell’individualità lucida e, al contempo, problematica, prima di Guicciardini, del cardinale toscano, il quale venne mandato ad Arras a mediare tra Filippo il Buono ed il re di Francia Carlo VII per porre fine alla guerra scoppiata in seguito all’assassinio di Filippo l’Ardito.
La mia riflessione, attraversato un primo momento di assorbimento empatico dovuto alla bellezza del dipinto, nasceva dalla convinzione che, in fondo, se oggi uno andasse con la macchina fotografica in giro per i caffé, per le piazze della pianura padana o, anche, dei centri toscani, non avrebbe difficoltà a trovare un volto simile, una faccia con gli stessi caratteri somatici dipinti dal fiammingo. Certo, si sa che variazioni significative del nostro patrimonio genetico, sia sul piano della filogenesi come quello dell’ontogenesi, vanno ben oltre i pochi secoli che ci separano dal periodo in cui l’Albergati visse, ma io trovo sempre stupefacente questa vicinanza col passato, la sequenzialità sincretica della storia che si spinge fin nelle pieghe del presente, della nostra memoria e che non ci fa sentire isole isolate nel gran mare dell’esistenza. Insomma, se ben si guarda, pur ammettendo che con le analogie non si costruiscono buone ipotesi storico scientifiche, anche dal punto di vista culturale, la distanza che ci separa da quella dimensione non appare così incolmabile come si potrebbe credere.
Preliminare ad ogni percorso, sia storico che letterario, mi pare sia proprio il tempo, il dialogo fra generazioni, l’attualità dell’opera di Gadda. Occorre collocare Gadda proprio qui, tra di noi, nei labirinti del nostro vissuto, nelle pianure, a volte noiose e assolate, del nostro ragionare; del resto come negare che, se non nei caffé, dato, per altro, il suo carattere schivo, tormentato, umbratile, Gadda sia attualità vivente e circoli ancora nei nostri pensieri, nelle nostre idee e come un fantasma agiti i tumulti del nostro animo, o le rabbie improvvise per certa imperizia tipicamente italica.
Sebbene non sia sempre corretto stabilire una connessione diretta tra biografia ed opera di un autore, – sarebbe un segno di determinismo interpretativo che non corrisponde alla realtà dell’atto creativo, il quale certo attinge dall’esperienza individuale ma anche da chissà quali altre fonti ed istanze che vanno oltre la contingenza storica localizzata – un certo rilievo al contesto storico e culturale affascina sempre ed è indubbia la sua utilità funzionale alla didattica di un autore. Di Gadda, della sua esperienza di soldato, delle sue vicende familiari, del suo essere scrittore ingegnere, della sua simpatia non si sa molto e, certamente, conoscerne i termini potrebbe favorire quella accessibilità all’opera che pare, al contrario, preclusa dalle asperità della sua lingua. Ma al di là dell’orizzonte individuale io credo che uno scrittore vada interpretato soprattutto in relazione alla sua opera, alla concretezza della sua pagina; insomma, una ermeneutica pragmatica che individua nel tessuto verbale il suo preciso luogo di dialogo e di confronto, una conversazione con la parola e le sue architetture narrative che si apre alla costruzione del senso in un dialogo libero da pregiudizi e, per quanto possibile, immediato. Lo studio della Letteratura potrebbe recuperare queste sue caratteristiche fondative: la fascinazione della parola narrata e letta ad alta voce, l’empatia indotta da un certo uso del lessico, da una certa configurazione immaginale; l’atto letterario che rappresenta una apertura e non una contrazione dell’esperienza del mondo. Certo, poi, ci sono le categorie critiche del leggere, le non meno importanti strutture e forme del letterario, la stilistica, la metrica, la retorica, la storia delle idee le quali devono avere un peso nel nostro operare e devono costituire importanti punti di riferimento, in modo da definire la curiosità, il cercare, una euristica, come se il leggere, la ricezione del testo nell’atto attualizzante della lettura chiarisse al contempo il modo in cui avvicinarlo. Modi e procedimenti che variano a seconda della varietà dei lettori evidentemente, e modi e procedimenti che si sono consolidati e definiti nel corso della storia.

Uno dei temi critici fondamentali riguarda la lingua: si attribuisce all’autore una aristocraticità, una oscurità elaborata di figure retoriche che tendono alla perfezione formale; con ciò giustificando l’ostilità ed il desiderio di non leggerlo che assale sempre le anime fiacche. Alla base delle scelte stilistiche di Gadda c’è piuttosto una necessità, una intuizione, l’imposizione della passione del momento, il bisogno di cogliere le persone e le cose nelle infinite relazioni che convergono su di esse, siano passate, future, possibili o reali. Gli oggetti sono punti da cui partono raggi infiniti, luoghi verso cui convergono infinite relazioni. In questo senso nominare, descrivere, percepire la contingenza e realizzarla in scrittura, obbedisce ad una sorta di approfondimento conoscitivo, ad una necessità che registra la forma geometrica degli oggetti nella loro differenziata molteplicità. Un sintagma, un vocabolo ha il compito di rispecchiare l’incessante molteplicità di rapporti in cui si articola l’organicità della vita. L’atto del conoscere, e l’atto dello scrivere può definirsi tale, è dunque un inserire alcunché nel reale, è un deformare il reale, è stabilire una relazione che significa reciproco condizionamento. Così, se leggere è conoscere e conoscere è deformare, formare, costruire, decostruire il reale, allora leggere significa anche attuarsi nella contingenza, attualizzare il reale nel suo momento necessario o nella sua intuizione. Gadda usa stilemi come “ raggiunti a volte dall’orror giallo e feroce delle cose furibonde “ oppure “la chiarità dell’estate infarinava le bianche miglia… ” in cui il sostantivo astratto ha lo scopo di sorprendere l’attimo del processo percettivo, essenziale ai fini della conoscenza, in cui la realtà appare come mutamento, deformazione e le cose, come nei poeti simbolisti di fine ottocento, accettano di rivelare all’io il segreto del loro farsi. Dice Gadda nella Meditazione Milanese: “Prima che le cose siano, esiste un quid morfologico che è loro comune, che consente loro di sporgersi verso l’abisso pauroso: ivi, in un attimo magico, il molteplice identico si determina e insieme si differenzia”.

Un’altra caratteristica dello stile gaddiano che si ricollega a questo operare è l’uso del infinito sostantivato al posto del nome come in “ e adesso già curvo, noiato sopra l’errare dei sentieri” . Le parole sono come dei momenti pausa d’un flusso espressivo e conoscitivo e quasi si spogliano del loro uso imitativo solito per cercare nella deformazione una modalità nuova, una tensione percettiva rivelante. E’ in questo senso che la critica e lo stesso Gadda hanno parlato di un uso spastico della lingua, di una duttile rappresentazione del modificarsi della percezione e del dato; e in questo senso che va intesa la ricerca di dissoluzione e rinnovazione del valore linguistico caratteristica della poetica gaddiana. Evidentemente qui si trova l’ espressionismo naturalistico osservato da Contini, perché c’è una esigenza di rapidità, di tensione estrema, di simultaneità, uno sforzo per rappresentare le interdipendenze di ciò che si contempla come in certa arte tedesca del primo novecento. Soggetto e oggetto, nell’esistere, mutano continuamente: l’espressione cerca di cogliere questa tensione, questa deformazione della realtà. Queste definizioni paiono caratteristiche della lingua gaddiana e potrebbero quindi trovare rispondenza sia sulla pagina dei più celebri romanzi che su quella dei testi cosiddetti minori. Un altro topos della sua prosa è la passione per l’enumerazione: quasi un genere letterario. L’enumerazione è il mezzo più adeguato per esprimere il caotico e precario convergere di interessi e cose; è il gioco combinatorio del caso tradotto in gioco verbale e questa convergenza è il risultato di una serie di cause la cui consecuzione deve essere analizzata. Celebre al riguardo la pagina del Pasticciaccio con la descrizione oggettiva e meticolosa del cadavere di Liliana assassinata o la fissazione del commissario Ingravallo che è così tipica e consiste nel risalire il deflusso delle significazioni e delle cause: “…a poco a poco, ricostruendo dai dati le loro cause, le loro connessioni, ricollocando in ordine certi fatti solo in apparenza disgiunti, avvicinando nomi e volti, venni a confermarmi nella mia titubante nozione, a integrarla in una storia… ”

Ma l’enumerazione, che è uno schema interpretativo del reale, non si snoda solo orizzontalmente, ma anche verticalmente, su diversi piani diacronici. C’è la preoccupazione di organizzare i dati dell’esperienza in serie causali, di indagare la causa efficiente, sia in senso biologico che spirituale, della creatura umana. Non un semplice accostamento per asindeton però, perché le cause sono molteplici e concorrono sempre più ragioni a determinare i fatti e le cose. Il celebre inizio del Pasticciaccio illustra al meglio il nostro discorso; con ciò Gadda non recupera il determinismo positivistico, perché il metodo ha solo una funzione strumentale ed euristica, ed il giudizio si basa anche su altre norme, dirà in un punto del Giornale di Guerra e di Prigionia. E, del resto, anche nei processi genetici si esprime una continuità che non è solo meccanicisticamente biologica, ma il segno di una misteriosa trasmissione, di un ininterrotto procedere verso una imprevedibile meta. La continuità, il non seguire il movimento della vita nel fatale succedersi delle generazioni è il vero dramma sia di Liliana nel Pasticciaccio, che di Gonzalo nella Cognizione del Dolore. Il reale è frutto di un incessante processo di sperimentazione: “Il raro fiore dell’evento – dice Gadda ne i Viaggi e la Morte – nasce da una molteplicità di tentativi e da un rinnovarsi di prove, come l’unicità pura d’un cristallo da una più vasta presenza della sua materia nella memoria delle rocce.”

Il reale consiste in una provvisoria complementarietà di concause e l’istinto di combinazione è legge dell’universo. Sul piano narrativo e stilistico ciò significa il superamento del naturalismo ed il passaggio a una scrittura che lo stesso autore definisce Barocca. Se il reale è prodotto di innumerevoli combinazioni allora esso può essere definito solamente da una lingua mobile, spastica, infinitamente allusiva. Occorre rispecchiare il dramma continuo della convergenza e della disgregazione che caratterizza la vita, occorre rappresentare la realtà degli elementi esplosi che talora perdono di vista il nesso unitario. In questa direzione ci sono delle pagine magnifiche nelle Meraviglie d’Italia, che presentano pezzi-inchiesta su luoghi, come il Mercato, La Borsa, Il Macello, etc… indicati come simboli che riflettono il meccanismo combinatorio, la plurale, multidirezionale rappresentazione delle possibilità della combinazione. Un altro luogo emblematico, ad esempio è l’antro laboratorio della Zamira, nel Pasticciaccio: “ Un punto d’incontro dei vitali compossibili (compossibles è voce leibniziana ): magia, maglieria, sartoria, pantaloneria, vino de li Castelli e de Bitonto…”. La vita come una virtualità che si attua e la morte invece come “ una discongiuntura o spegnimento d’ogni accozzo di possibilità” o, secondo Ingravallo, “ una decombinazione estrema dei possibili, uno sfasarsi di idee interdipendenti, armonizzate già nella persona. Come il risolversi d’una unità che non ce la fa più ad essere e ad operare come tale, nella caduta improvvisa dei rapporti, d’ogni rapporto con la realtà sistematrice.” Certo, nulla di nuovo, la vecchia teoria aristotelica della corruzione e della generazione su cui si innestano i principi della scienza combinatoria appresi da Leibnitz e anche la genetica mendeliana, ma almeno una concettualizzazione moderna che consente una riflessione sulla tecnica compositiva e sulla poetica.

In Gadda inoltre è sempre molto forte l’esigenza di una rappresentazione oggettiva ed esauriente della realtà nel sue strutture e deformazioni logiche, nelle sue combinazioni anche se queste possono apparire dei nonsense; e scrivere significa esplorare il differenziale semantico delle idee, delle immagini mentali, delle rappresentazioni in cerca di una combinazione possibile. Le parole dunque, come le cose, sono centri dinamici e provvisori di molteplici relazioni ed il linguaggio promuove una creazione logica attraverso l’interdipendenza, la permutabilità, degli elementi che lo compongono. Ecco forse è questo il senso dell’enumerazione gaddiana: esplorare gli elementi che compongono il gran teatro del mondo, per usare una metafora secentesca, al fine di controllare tutte le cose, omnia circumspicere, come il mito cinquecentesco della enciclopedia o come la mente di Dio. Andare verso una cultura che abbracci la totalità delle discipline, delle cognizioni al fine di costruire una sinossi del sapere che tenga presente anche tutti i dati dell’esperienza. Nella moltitudine dei rapporti e delle cause bisogna ricercare la ragione dei fatti; a ciò forse è riferibile anche la polemica per l’imperizia dei generali italiani in occasione della condotta della Grande Guerra, venata dal segreto risentimento di un uomo che comunque, anche in tarda età, non disconoscerà le ragioni del suo interventismo. Le cause delle sventure degli italiani non sono profonde ed indecifrabili ma sono il frutto di imprevidenza ed avventatezza; occorre affinare l’analisi, recuperando quasi una sorta di ortodossia positivistica. I dati ed i fatti dell’esperienza vanno inseriti nel quadro di un’analisi dei tempi lunghi e non sono semplice cronaca di superficie o la chiacchiera retorica di certa storiografia. In quest’ottica forse possono essere viste quelle amplificazioni dell’orizzonte a dimensioni cosmiche caratteristico di certi racconti e romanzi o quei personaggi, come nelle Meraviglie d’Italia, che vengono rappresentati immersi nella “salamoia gravitazionale” ed in un tempo geologico, astronomico. Anzi, nella Cognizione del dolore, la tematica e la simbologia astrale hanno un ruolo determinante.
“Ma che cosa era il sole? Quale giorno portava? sopra i latrati del buio. Ella ne conosceva le dimensioni e l’intrinseco, la distanza dalla terra, dai rimanenti pianeti tutti: e il loro andare e rivolvere; molte cose aveva imparato e insegnato: e i matemi e le quadrature di Keplero che perseguono nella vacuità degli spazi senza senso l’ellisse del nostro disperato dolore”.

Qui ci sono anche i temi della solitudine dell’uomo nelle infinità della spazio e l’idea della rivoluzione degli astri che scandiscono il tempo del mondo. La nostra vita è in simbiosi con quella dell’universo, anche se il nostro non è certo un universo alchemico. Ecco, il gioco del raziocinare, la ricerca della totalità delle cause postulatrici, è quello di denunciare e irridere le sbrigative connessioni di cui si appaga la logica comune, proponendo nuovi allacciamenti, nuove sintesi. E tuttavia la ricerca delle cause, l’analisi dei dettagli rischia di imprigionare non la verità ma lo scrupoloso investigatore che la inseguiva nei dettagli, nei particolari. “L’ordine – disse Gadda di sé – lo spirito meticolosamente analitico di un organizzatore di servizi tecnici, la precisione del nevrastenico che chiude tutto a chiave in bell’ordine e poi non riesce più a trovar quel che cerca e confonde le chiavi e i lucchetti e le chiavi delle chiavi, il sordo livore del domenicano contro la gazzarra senza senso contraddistinguono la mia persona”. Siamo dunque di fronte alla impossibilità di un ordine, immersi in un groviglio conoscitivo, in un reale refrattario a ogni sistemazione: “… il pasticcio e il disordine mi annientano. Io non posso fare qualcosa, sia pure leggere un romanzo, se intorno a me non v’è ordine. Ho qui tanta roba da vivere come un signore: macchina fotografica, liquori, oggetti da toilette, biancheria: e non mi lavo mai neppure le mani e non bevo neppure un sorso di grappa per non scomporre la disposizione della catinella di gomma e degli altri oggetti disposti sul fondo d’una cassa di legno, da birra. Le sgocciolature di stanotte nell’interno del mio baracchino mi hanno demolito quel residuo di forza volitiva che mi rimaneva. Io che mi sono immerso con gioia nelle bufere di neve sull’Adamello, perché esse bufere erano nell’ordine naturale delle cose e io in loro ero al mio posto, io sono atterrito al pensiero che il soffitto del mio abituro sgocciola sulle mie gambe: perché quella porca ruffiana acqua li è fuor di luogo, non dovrebbe esserci: perché lo scopo del baracchino è appunto quello di ripararmi dalle fucilate e dalla pioggia. Sicché per non morir nevrastenico, mi do all’apatia…”.

Insomma, il groviglio come convergere ed intrecciarsi di relazioni diverse da cui scaturisce un evento, un oggetto. Se non si vuole cedere alla faciloneria retorica, al calderone comunicativo che tanto contrista il nostro presente e che, magari, a livello didattico protesta contro la difficoltà dei testi, allora bisogna riconoscere che Gadda ha individuato uno dei caratteri principali del pensare, uno dei momenti e modi del divenire reale, e compito dell’uomo, è cogliere codesto aspetto problematico dell’essere senza infingimenti o banalizzanti, pasticcianti mediazioni. La letteratura, ricorda lo scrittore, è un indefettibile strumento per la scoperta e la enunciazione della verità; è ricerca del particolare, è costruzione del diverso, del difforme. Quando si analizza un testo gaddiano occorre una apertura dialogante, una disponibilità teoretica e metodologica perché tale è la ricerca gnoseologica della sua parola, perché multidirezionale è la realtà espressiva cui si riferisce. Aver affermato la storicità dell’io, e la relatività dell’oggetto vuol anche dire considerare la lingua in codesta prospettiva. Così il romanzo, così le parole, i vocaboli, risonanti di elazioni infinite, di molteplici significati.

Richiesto, in un intervista televisiva, della prediletta tra le sue creazioni artistiche, Gadda rispose: La Cognizione; così la sorella Clara. Chi l’ha conosciuto, come Roscioni, sembra quasi dire che l’opera non è stata creata, ma si è fatta da sé, talmente vasta è la molteplicità di immagini e particolari che Gadda prende dal proprio vissuto autobiografico e famigliare. Potrebbe essere l’oggetto ideale di una critica delle fonti di stampo ottocentesco, la ricerca delle corrispondenze tra finzione e realtà in Gadda. Da notare che Gadda usava quasi come sinonimi le parole costruire, inventare, scrivere, creare un testo letterario. Ma tuttavia, oltre questo esercizio critico, bisogna dire che forse non c’è scrittore italico, del secolo scorso almeno, che sia stato capace di fare del proprio mondo interiore una sorta di universale elegia domestica, della singola esperienza affettiva un riflesso mitico, una valenza archetipica, che si apre ad abbracciare le architetture fluide dell’immaginario umano. Certo, è della Letteratura questo carattere, dell’Arte e della Scienza, ma ci si lasci per un attimo nell’illusione che la commozione, che ogni volta ci prende quando rileggiamo questo romanzo, sia imputabile ad un autore, uno scrittore in carne e ossa, ad un signore come quell’Albergati che, all’inizio del nostro lavoro, ci è parso aggirarsi tra le piazze della pianura padana, di nome Carlo Emilio Gadda.

Bibliografia
Opere di Carlo Emilio Gadda, a cura di Dante Isella, Milano, Garzanti, 1989
Gian Carlo Roscioni, La disarmonia prestabilita, Torino, Einaudi 1969
Ezio Raimondi, Barocco moderno, Roberto Longhi e Carlo Emilio Gadda, Milano, Bruno Mondadori, 2003
Ezio Raimondi, Novecento e dopo, Considerazioni su un secolo di Letteratura, Carocci editore, Roma, 2003
Mauro Bersani, Gadda, Torino, Einaudi 2003, con videocassetta con le immagini e la voce dello scrittore per la regia di Antonella Zechini a cura di Rai International.
Gian Carlo Roscioni, Il duca di Sant’Aquila, Infanzia e giovinezza di Carlo Emilio Gadda, Milano, Mondadori 1997
Carlo Emilio Gadda, Per favore mi lasci nell’ombra, Interviste 1950-1972 Milano, Adelphi 1993
Piero Gadda Conti, Le confessioni di Carlo Emilio Gadda, Milano, Pan Editore, 1974
Carlo Emilio Gadda, Lettere a una Gentile Signora, Milano, Adelphi, 1983
Arnaldo Ceccaroni, Leggere Gadda, Antologia della critica gaddiana, Bologna Zanichelli, 1978

Questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International. Copyright (c) 2005 Mauro Conti