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La poesia di Margherita Guidacci tra Dante ed Emily Dickinson: analisi di alcuni testi con il metodo di lettura da “soggetto a soggetto”
di , numero 59, giugno 2025, Note e Riflessioni, DOI

La poesia di Margherita Guidacci tra Dante ed Emily Dickinson: analisi di alcuni testi con il metodo di lettura da “soggetto a soggetto”
Come citare questo articolo:
Monica Fabbri, La poesia di Margherita Guidacci tra Dante ed Emily Dickinson: analisi di alcuni testi con il metodo di lettura da “soggetto a soggetto”, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 59, no. 9, giugno 2025, doi:10.48276/issn.2280-8833.12788

Margherita Guidacci, poetessa e traduttrice, scrisse nel 1970 Neurosuite, che la critica definì uno dei suoi libri migliori, una sorta di viaggio nella “città murata” di dantesca memoria. È una silloge che racconta la sofferenza della follia dentro una clinica neurologica, come ebbe a dire lei stessa all’amico di penna Tiziano Minarelli 1. Gli spazi fisici si trasformano in luoghi dell’anima. Da questo libro si vuol partire per un’indagine da soggetto a soggetto, secondo il metodo proposto dalla studiosa Tat’jana Kasatkina, per la quale la via alla comprensione del testo segue la stessa logica dell’incontro tra persone. L’altro ti parla se lo ascolti, se non lo riduci ad uno sterile oggetto didattico. Il testo non è un riflesso di istintive emozioni, è una presenza viva che chiede di entrare nella nostra vita per rendercela più cosciente nella misura in cui cogliamo il nesso di un elemento con il contesto. È rivelativo delle intenzioni dell’autore, ma non abbiamo altro che il testo stesso per coglierle. Bisogna perciò andare in profondità, conoscere per compartecipazione e non divagare scivolando nell’opinabile. La lirica della Guidacci è piena di domande, le risposte stanno intorno. Non è tanto importante la sonorità della parola, quanto la drammaticità che è il soggetto del testo. È essenziale tramandare un messaggio immortale e onesto come quello di Saba. Il poeta è un albero con radici ben piantate a terra e la cima volta al cielo: non può essere un buffone con il ‘berretto di piume di gallo’. La voce della Guidacci invade la profondità senza chiasso o mondanità, è ordine, precisione, una sorta di lucida follia che insegue propositi etici. Il tema dell’impegno civile si intreccia con due testi fondamentali: la Bibbia e la Commedia. Fin dall’epoca di Caino la violenza sanguinaria si perpetua:

Alcuni hanno impugnato il loro grido
come un coltello per aprirsi un varco
nella foresta che tradisce i loro passi.
[…]
O forse è solo un grido
che continua nel tempo – ed Eva ancora
urla su Abele mentre ad Hiroschima
la torva cenere disegna nell’aria
l’ultima clava di Caino.2


Se si analizza la poesia, la comprensione del testo risulta immediata almeno all’apparenza: la Guidacci nei versi finali crea un ponte tra Eva, il suo mondo biblico e Hiroschima che con la sua cenere disegna l’ultima clava di Caino. Leggere è un’operazione complessa e semplice al contempo: per comprendere un testo, che cosa serve? In inglese si usa il verbo understand che vuol dire ‘star sotto’, cioè ascoltare da una posizione non di superiorità o di chi sa già. ‘Impugnare un grido come un coltello’: questo verso della Guidacci ha la forza di un fatto, di un’esperienza. E la poetessa non teme di mettere in poesia degli argomenti complessi come la minaccia nucleare. Ne La via Crucis dell’umanità narra la passione di Cristo nelle canoniche quattordici stazioni, che mostrano sanguinosi fatti storici dall’antichità fino alla contemporaneità. Nella XV stazione, che chiude la dinamica della violenza, Gesù risorge. In Caino e Abele rimbomba fragorosa l’eterna domanda:

[…] Cosa ha fatto Caino
di suo fratello, cos’ha fatto l’uomo
dell’uomo?3


La Guidacci assume il dolore del mondo nella poesia e lo incarna nei suoi versi. Dalla XII alla XIV stazione si susseguono Martin Luther King, («per il sogno che ha fatto lo hanno ucciso»), J.F.Kennedy («l’uomo giusto o che almeno tenta di esserlo») e Hiroshima («dove ogni poggio può diventare un Golgotha»), volti e fatti della storia. Non c’è oscurità nella sua poesia che è molto lontana dalla dimensione dell’ orfismo lirico di Alda Merini. La sua idea di scrittura si avvicina a quella di Vittorio Sereni: si scrive per necessità, quando non se ne può fare a meno. Afferma di aver corso il rischio di rendere sconosciute le sue opere. Tuttavia ognuna di loro doveva diventare un incontro tra lei e il suo lettore ideale. Ma il dialogo è anche tra la Guidacci e gli scrittori o scrittrici che lei ha frequentato nel corso della vita, fra i quali c’è anche Dante Alighieri soprattutto in Neurosuite, che è la raccolta che più di ogni altra racconta il disturbo depressivo che la porta in una casa di cura neurologica tra il 1968 e il 1969. Questo è il dialogo più fecondo per lei, quello che le ha dato più consonanza spirituale. Si può affermare che la raccolta sia interamente percorsa da ascendenze dantesche a partire dalla coralità e dal male che si insinua nel tempo e nello spazio, dove i medici risultano carnefici che attribuiscono un nome al dolore e i malati, osservati a volte da lontano, sono simili ai dannati. Anche il titolo è significativo: il suffisso neuro rimanda all’esperienza dell’ospedale e suite, riferimento musicale, indica una composizione orchestrale sul tema neurologico. È lo spazio in cui si eterna il male del mondo; il manicomio è una sorta di miniatura dell’intera società dove accadono fatti spaventosi. C’è una coralità tra i malati e talvolta la Guidacci si separa dagli altri per osservare da un altro punto di vista. Ogni poesia rimanda all’altra, lo spazio è lo stesso, il linguaggio è sempre drammatico e intenso con uno stile coeso e compatto. Le rime si rincorrono e l’occhio del lettore si fissa su parole o versi significativi. L’Inferno dantesco è richiamato in modi differenti a partire dalla dedica in cui si evocano le acque torbide dello Stige, gli scampati del Purgatorio e i dannati: «[…] a quanti conobbero le acque oscure/agli scampati, ai sommersi». Subito si rammenta la celeberrima terzina dantesca:

Di nova pena mi convien far versi
e dar matera al ventesimo canto
de la prima canzon ch’è di sommersi
(If. XX, 1-3)


I personaggi raccontati nelle liriche non sono evocati con i loro nomi, ma come compagni di viaggio.

A una compagna

Se un mio gesto potesse liberarti,
io pure sarei libera,
ancor prima di te.
Se una parola potesse salvarti,
cadrebbe come manna
nel mio deserto prima che nel tuo.
Ho le mani legate e la mia lingua è muta:
in questo ti somiglio.
Ma la tua anima
è una donna seminascosta dietro
una cortina a piangere in silenzio –
mentre sfida la luce delle piazze
il mio indurito demone
che non batte ciglio4


Quel se iniziale ha un valore ottativo, ma è un desiderio irrealizzabile ricevere un gesto che libera o una parola che salva. Un gesto non può liberare, perché le mani sono legate, una parola non può salvare, perché la lingua è muta. Che valore hanno quell’anima che sembra una donna seminascosta e un demone indurito che non batte ciglio, mentre sfila la luce delle piazze? Che potenza ha il pianto silenzioso di una pazza? La madre folle della poesia successiva, che si intitola La madre pazza, parla con una bambola e la culla, pensando che sia il suo fanciullo e non riconosce in quell’uomo grigio, flaccido e affranto che le sta accanto il bambino di un tempo. Nelle liriche si susseguono immagini distorte di persone che scivolano negli abissi dell’angoscia. C’è qualcosa o qualcuno che ti può ancora salvare? Se andiamo alla stazione XV de La via Crucis dell’umanità, la Guidacci scrive:

Gesù risorto

Affranti dalle nostre vie di morte
a te giungiamo, nostro Salvatore.
Tu che morendo hai distrutto la morte,
insegnaci la Tua resurrezione.5


Una resurrezione che sia possibile ogni istante di questa vita simile a una guerra di dantesca memoria.

Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno

m’apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra.
(If. II, 1-6)


Sfogliando le pagine di Neurosuite, si percorre in parallelo la vicenda di Dante personaggio, che osserva le anime dannate, ma spesso si riconosce in esse: la città murata è la città di Dite. L’ansia di cercare una porta in chi è dentro e in chi è fuori, se appena potessero vedere di là dal muro, forse scomparirebbe, perché nessuno vorrebbe entrare più da quella porta. In Soglia risuonano innumerevoli domande: chi ci attende e perché? Ospite amico o carceriere pronto a soffocarci in catene? Non c’è nessuna certezza, non si sa cosa ci sia al di là, ma se si potesse vedere, si pregherebbe di non trovare mai la porta della città murata.

Noi siamo qui (vi saremo per sempre?)
inchiodati davanti a una soglia
che non osiamo varcare o lasciare:
incerti sulla scelta
e sul potere di compierla.
Ma cosa importa dove siamo
se, essendo quel che siamo,
in nessun luogo ci sentiamo salvi?6


Questi versi sono le domande di molti lettori o rimangono quelle di una folle, che pure, lucidamente, domanda l’essenziale? Per la prima volta appare un noi, il poeta è dalla parte dei dannati, si inserisce nel gruppo e si ricava uno spazio per riflettere. La Guidacci si identifica con ciò che accade ed entra nella casa di cura per uscirne con la forza di una parola tagliente e luminosa. Nella lirica Accettazione si cita esplicitamente il canto V dell’Inferno e “quel conoscitore delle peccata”, Minosse, un medico disumano che nasconde la sua coda nel camice bianco.

Sorridici paterno,
battici sulla spalla,
scrivi qualche parola su un foglietto
e dallo a un infermiere
che ci accompagni premuroso
al nostro grado d’inferno! <=”” span=””>

Nella sua poesia la Guidacci concilia immagini liriche e cose assolutamente concrete e tangibili. In Madame X sa dirci quello che non è:

Io non sono il mio corpo.
Mi è straniero, nemico.
Ancora peggio è l’anima,
e neppure con essa m’identifico. 7


Un po’ come Montale in Non chiederci la parola:

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.8


I poeti sanno dire ciò che non sono e ciò che non vogliono e la Guidacci, come un’eco risponde:

io chi sono, e dove? 9

Il pellegrino della Guidacci (Clinica neurologica) non ha la certezza dell’homo viator dantesco, che pure si pone dei dubbi, che nascono “a guisa di rampollo ai pie’ del vero” (Pd IV, 131): è un essere umano che oscilla sempre tra «la fede, il dubbio, l’incredulità» (Fili). Molto interessante il saggio di P. Valesio dal titolo Poesia dell’austerità: Dante in Margherita Guidacci. Valesio evidenzia un cammino non sempre parallelo tra Dante e la Guidacci e talvolta la Commedia risulta proprio un antimodello, perché spesso i pensieri e le teologie dei due poeti non sempre collimano. Importante è la vicinanza con il capolavoro di Rimbaud, Una stagione all’Inferno: per entrambi i poeti, dentro alla disperazione del male, si desidera e si grida il Dio del Purgatorio. «Non è forse un caso che la poesia incipitaria di tutta la raccolta incominci con un ritmo di tipo dantesco: «Ombre convulse intorno ad una fiamma, | neri brandelli di nubi strappate, | erba dolente strappata dal vento, | e l’orrore». Dantesco nel senso di ritmo complesso e franto: tre endecasillabi le cui posizioni accentuative in sedi dispari non sono le più usuali, interrotti da un quaternario; sembra un’allusione alle variazioni ritmiche con cui Dante vivacizza il flusso della sua narrazione. Del resto, l’allusività ritmica è già chiara nel titolo di questa prima poesia della raccolta, Nero con movimento. Dantesco è poi il tema, che già appare fin dalle prime pagine, della terribile non-differenza tra il “dentro” e il “fuori” di tanti luoghi – tema che si prolunga nella letteratura moderna (basti pensare al citato dramma di Sartre o ai non-luoghi di cui parlano oggi le analisi sociologiche)».10
Altro dialogo bellissimo ed illuminante, quello tra la Guidacci e la Dickinson. Sono due i rimandi immediati ad Emily Dickinson, poetessa amata e tradotta: le farfalle e l’ostrica. Nella bellissima lirica Non voglio, la Guidacci scrive:

Io non voglio che mi tagliate un pezzo d’anima!
Se ne ho troppa per entrare nel vostro mondo,
ebbene, non voglio entrarci.
Sono un poeta: una farfalla, un essere
delicato con le ali.11


Un po’ più raffinata e leggera dell’albatro di Baudelaire, ma sempre poeta (non poetessa), che fatica a stare in mezzo a persone che sanno solo strappare le ali. Non per questo potrà diventare una lieta e disciplinata formica. Se si utilizza il metodo da soggetto a soggetto, ci si deve sempre interrogare su una possibile strada per comprendere a fondo il testo, facendo attenzione al dettaglio, cercando di individuare i nessi tra i particolari, perché ogni dettaglio pone domande sull’essere. Ad esempio chi sono coloro che potrebbero tagliare un pezzo di anima? Anche per la Dickinson la farfalla è colma di significato, in quanto la sua fugace bellezza dialoga con la natura:

South Winds jostle them–
Bumblebees come –
Hover – hesitate
Drink, and are gone–
Butterflies pause
On their passage Cashmere–
I–softly plucking–
Present them here
(c.1859) 12

Il vento meridionale li investe,
Giungono calabroni,
Indugiano esitanti,
Bevono e se ne vanno.
Vi sostano farfalle
Nel serico viaggio
Dolcemente cogliendoli
Ora qui ve li offro

Some things that fly there be–
Birds–Hours– the Bumblebee–
Of these no Elegy.
Some things that stay there be
Grief–Hills–Eternity–
Nor this behooveth me.
There are that resting, rise.
Can I expoud the skies?
How still the Riddle lies!
(c. 1859) 13

Vi son cose che volano–
Uccelli, ore, calabroni:
Non è per queste l’elegia.

Vi son cose che restano–
Il dolore ed i monti e l’eterno.
Nemmeno queste a me si addicono.

Altre sostano e sorgono.
Posso spiegare i cieli?
Come’è immoto l’enigma


Ebbe a dire la stessa Guidacci nell’introduzione alla raccolta di poesie della Dickinson da lei tradotte: «Era fatale che questa intimità con il mistero spingesse la poesia di Emily agli estremi limiti della «circonferenza» che a creatura umana sia concesso di toccare».14 Nella poesia Ostrica perlifera i rimandi sono molteplici, non solo alla Dickinson, ma anche a Cristopher Smart, poeta del Settecento che scrive dei carmi religiosi e al IV trattato del Convivio.15

Ostrica perlifera

Dio mi ha chiamata ad arricchire il mondo
decretandone il semplice strumento:
basta un opaco granello di sabbia
e intorno il mio dolore iridescente.16


Si è piccoli granelli di sabbia capaci di arricchire il mondo sebbene circondati da un dolore iridescente. La fine di Neurosuite segna una sorta di resurrezione, l’autrice scopre una nuova consapevolezza anche rispetto a questa dolorosa esperienza. «Gli ultimi due componimenti nascono nella risoluta determinazione di dare un senso al dolore […] sino a trasfigurare in iridescenza, con Ostrica perlifera, il segno della finitudine».17 In Promessa d’Adamo distingue animali, erbe, acqua e cielo, la parola ritorna incalzante sulle labbra del poeta.

Ora darò
a ogni cosa il suo nome
senza arretrare,
qualunque sia la cosa
e qualunque sia il nome
ch’io debbo darle.18


Non siamo più nell’Inferno, ma ci troviamo nel Paradiso (Canto XXVI), quando Dante insieme a Beatrice incontra Adamo sottratto dal Limbo e gli chiede della natura della lingua; finalmente in Neurosuite il poeta ritorna a parlare, anche se rimane la difficoltà del vivere in una società malata. Ma Dio ha dato il compito di arricchire il mondo anche a un semplice granello di sabbia.
Citerò da ultimo la conversazione con il prof. Paolo Valesio, che stimo moltissimo e con il quale lo scambio letterario è sempre molto stimolante e significativo. In seguito alla sua recente conferenza a Firenze su Margherita Guidacci, mi scrive: «La critica recente su Neurosuite ha elaborato una “teoria” secondo la quale la Guidacci non descrive un’esperienza biografica, ma quella di una “persona amica”. Questa versione non mi convince, ma è bene modulare il proprio linguaggio di conseguenza. Per esempio, già nel mio saggio su Dante e Guidacci che, molto rielaborato, è servito di base alla mia chiacchierata fiorentina del 10 aprile, io avevo per così dire aggirato l’ostacolo parlando di “voce nella poesia”, e del processo di finzionalizzazione. Non si tratta comunque di semplici eufemismi, ma di approcci per una prudente critica letteraria». Giuste osservazioni di uno scrittore e critico letterario profondissimo e ad esse aggiungo le mie riflessioni: «Leggendo Neurosuite si ha l’impressione di una voce osservante e quel noi che appare ad un certo punto, mi è sembrato molto simile all’idea di follia pirandelliana, cioè se si varca un oltre si è tutti un po’ folli».

Bibliografia
Guidacci 1991 = Margherita Guidacci, Emily Dickinson, Poesie, Bur, Milano, 1991.
Guidacci 2022 = Margerita Guidacci, Le poesie (a.c. d. Maura Del Serra), Le Lettere, Firenze, 2022.
Tamburini 2019 = Anna Maria Tamburini, Margherita Guidacci. La poesia nella vita, Aracneeditrice, Roma, 2019.
Valesio 2022 = Paolo Valesio, Poesia dell’austerità: Dante in Margherita Guidacci, in Dante e i poeti del Novecento, (a c. d. Simone Magherini), Società Editrice Fiorentina, Firenze, 2022.

Note

  1. «Il secondo periodo ebbe inizio traumaticamente, circa dieci anni dopo, con Neurosuite. Fu un libro che scrissi nel ’68/’69 e fu pubblicato nel ’70. In esso parlavo di un’esperienza di clinica neurologica […] anche Neurosuite aveva una sua coralità: c’era il senso che il male non era solo mio […] doveva guarire anche il mondo se si voleva che guarissero i singoli» (Tamburini 2019, p. 33).
  2. Guidacci 2022, p. 212.
  3. Guidacci 2022, p. 371.
  4. Guidacci 2022, p. 208.
  5. Guidacci 2022, p. 375.
  6. Guidacci 2022, p.172.
  7. Guidacci 2022, p.190.
  8. Montale 2016, p. 16.
  9. Guidacci 2022, p.190.
  10. Valesio 2022, p.17.
  11. Guidacci 2022, p.195.
  12. traduzione Guidacci 1991, p. 135.
  13. traduzione Guidacci 1991, p. 135.
  14. Guidacci 1991, p. 81
  15. «Ove è da notare che, sì come dice nostro Signore, non si deono le margarite gitare inanzi a’ porci, però che a loro non è prode, e alle margarite è danno; e come dice Esopo poeta nella prima Favola, più è prode al gallo uno grano che una margarita, e però quella lascia e quello coglie» (Cv, IV, XXX, 4).
  16. Guidacci 2022, p. 218.
  17. Tamburini 2019, p. 206.
  18. Guidacci 2022, p. 218.

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