Bibliomanie

Perdere la testa. Goya e una Bordeaux tinta di noir
di , numero 59, giugno 2025, Note e Riflessioni, DOI

Perdere la testa. Goya e una Bordeaux tinta di noir
Come citare questo articolo:
Monica Longobardi, Perdere la testa. Goya e una Bordeaux tinta di noir, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 59, no. 10, giugno 2025, doi:10.48276/issn.2280-8833.12763

«un pauc morbide, ne’n convene»
Lo pacient espanhòu di Joan Ganhaire ha l’apparenza di un semplice libriccino: piccolo formato, una novantina di pagine compresi Postfazione, Glossario, Bibliografia. E una strana avvertenza al lettore che non trattasi di un testo che possa finire nelle mani di chiunque, decisamente sconsigliato alle persone sensibili1. Ora la copertina: il titolo, una grafia corsiva che sembra vergata da una penna d’oca, vista anche la moscatura dello sfondo. Un ritratto di Goya con cilindro lo sormonta: è il Francisco Goya, peintre espagnol, di Jean-Ignace Grandville (1834) ̶ recita l’«Illustracion de cuberta» ̶ , esemplato sul Capricho No. 1: Francisco Goya y Lucientes, Pintor, che apre l’opera maledetta del Maestro. È lui il paziente spagnolo, paziente illustrissimo, afflitto da annose malattie, e in esilio in terra di Francia, a Bordeaux. Questo lo si sapeva. Sono numerose le biografie che lo riguardano. Seguono spesso il decorso delle sue misteriose infermità che sembrano contagiare il suo stile pittorico, piegandolo man mano verso le visioni infernali dei Caprichos e le Pinturas negras del suo ultimo periodo in terra di Spagna2. Fino alla morte a Bordeaux, alla sepoltura nel cimitero della Chartreuse e alla riesumazione, con la macabra scoperta della mancanza del suo teschio, spiccato chissà quando dal corpo. Non mancano gli studi, non mancano le ipotesi3. Ma occorre resistere alla personalità potente del nostro paziente pintor e alla galassia magnetica di studi che avvolge come un alone la sua vita accidentata, la sua morte e i misteri post mortem. E rimanere ben saldi al libro di Ganhaire, orbitando su Bordeaux4.
Joan Ganhaire è uno dei più grandi autori della letteratura occitanica dei nostri tempi, scrivendo esclusivamente in lingua limosina5. Laureatosi a Bordeaux negli anni Sessanta, ha esercitato la professione di medico di campagna nel Périgord. Appassionato dell’opera di Goya. Ed ecco che piano piano si compone il quadro del libro che tengo tra le mani, dove Ganhaire interna e squaderna in un tascabile gran parte della voluminosa nebulosa che avviluppa la vita maledetta di Goya, vista nel suo malinconico epilogo. E cui, con un colpo da maestro, riesce addirittura ad aggiungere un mistero.
Comprendo subito che mi occorrerà un filo d’Arianna che mi guidi nel piccolo (e infernale) labirinto della scrittura del Paziente spagnolo. Lo cerco nella «Postfàcia» (pp. 83-84). Vi si parla del ricordo personale di un autoritratto dell’artista (in copia, va da sé) che dominava nel salone della famiglia Ganiayre6. Il suo sguardo cupo, sotto la grotta delle folte sopracciglia, incuteva timore nel piccolo di casa. Nella biblioteca paterna, un libro illustrato delle opere di Goya, immagini di orrori e miserie, stregava gli occhi del bambino. Fu molto più tardi che i «negres sovenirs» di quell’incontro infantile con Goya riaffiorano, conoscendo i Caprichos. Biografie, mostre e il mistero della sparizione della testa dell’artista concorsero a riaccendere violentemente nel medico-romanziere una passione morbosa («un pauc morbide, ne’n convene»), impulso irrefrenabile a scriverne. «Òbra d’imaginacion totala» (p. 84), ci assicura l’autore. Siamo salvi, penso assolta. È la chiave fantastica quella che serve per penetrare in questo libretto sulfureo, l’amuleto per uscirne. Ma di seguito insinua: «Mischiando verità storica e immaginazione, l’autore ha inteso rendere credibile la storia della testa di Goya. E se fosse successo così per davvero?».
Ma allora? Di cosa parla «per de vrai» questo libro? Di molte cose, questo è certo. Iniziando da Deodat Passalaiga (che Ganhaire vuole originario della Dordogna, dove lui vive), e dal suo vecchio diario polveroso. Arruolato nelle armate napoleoniche nel 1812, due anni di prigionia in Russia, stando al «jornau de sa captivitat»7. Ritornato «marcha, marcha, marcha» in patria, completa la sua formazione in medicina a Parigi e poi a Bordeaux, dove importa la sua passione per la «verificacion post mortem» o autopsia. Alla storia di questo personaggio si appassiona il primo narratore della vicenda, uno studente di medicina («Bordeu, 1980») alla ricerca di un soggetto di tesi di argomento storico, e quel manescrich di Deodat gliene fornirà materia… Ne seguiamo le ricerche di archivio in archivio, dalla Dordogna a Parigi, finendo per ricongiungersi alle pagine del quasern di Passalaiga. Lo coglie, nel gennaio del 1823, in auscultazione dei polmoni dei suoi pazienti bordolesi: ronchi, sibili e pectoriloquia che cattura con lo stetoscopio, recente invenzione del suo maestro Laennec8. A quei tempi bastava la tisi per spedire cadaveri sulle «taulas de disseccion» del professor Brulatour9, «patron dau laboratòri d’anatomia de la Facultat de medecina». Medico nella Bordeaux dei primi anni Venti del XIX secolo10, Deodat ci trascina nei suoi animati andirivieni per le vie della città (lo seguiamo come dall’alto un topolino nel labirinto), curando con minuziose ricette di piante officinali11 le ordinarie malattie dei suoi pazienti bordolesi12.
Ecco, mi fermo un attimo e mi domando: ma perché interessarci, lungo più di un terzo del romanzo, alla vita di questo oscuro personaggio (per giunta inventato di sana pianta)? E quando, di grazia, arriveremo al Goya paziente illustrissimo?

Tra quadri artistici e quadri clinici
«Ma la vita di Deodat Passalaiga e la mia dovevano subire una svolta da non credere», ci annuncia finalmente lo studente (p. 29). La svolta del destino, stando al diario di Deodat, avviene esattamente il 5 di febbraio 1827, quando Mossur Moratín13 (il lungo volto butterato dal vaiolo – nota il medico al volo)14, che aveva già introdotto Passalaiga nell’ambiente degli spagnoli esuli a Bordeaux15, lo conduce da un nuovo paziente, al terzo piano del Cors de l’Intendéncia, numero 5716. Quel malato è Francisco José de Goya y Lucientes (Fuendetodos, 30 marzo 1746 – Bordeaux, 16 aprile 1828), vecchio e già affetto da annosi malanni e da sordità per una pregressa malattia misteriosa17. Condizione che nel tempo aveva influito anche sulla sua vita e la sua arte, popolandosi di ombre e di incubi oscuri. Quella volta dura fatica a respirare per l’«insufisença cardiaca» che lo affetta. Passalaiga trova «l’auguste pacient» di umore nero e diffidente18, e ne traccia all’impronta un “ritratto” diagnostico: un vecchio corpulento, faccia un po’ gonfia, fiato corto e sibilante, due occhi tenebrosi che lo fissano da sotto le folte sopracciglia. Gli è permesso di auscultargli il petto e i polmoni con «l’estetoscòpi». Medico e paziente cominciano a fare reciproca conoscenza.
Goya ha una storia clinica lunga e complessa e, con l’arte che gli è più congeniale, ha espresso già la sua gratitudine verso i suoi medici19. Nel racconto, infatti, troveremo, appeso al posto d’onore nella camera del Maestro, il quadro dedicato ad Eugenio García Arrieta, che lo aveva guarito in una grave circostanza. Là, medico e paziente figuravano nello stesso ritratto, in una lotta congiunta contro il morbo20. Quanto al Passalaiga, non sarà l’unico ritratto clinico che Ganhaire fa tracciare al medico bordolese e che s’intreccia prodigiosamente con uno artistico. Questo che segue, il caso più eclatante. Chiamato nell’estate del ’27 dal señor José Pío de Molina, sodale di Goya a Bordeaux21, che si duole di quello che crede un attacco di gotta, esaminando il suo volto pallido e scarno, prende a dubitare22. Quando il paziente gli mostra il suo ritratto pitturato dal Maestro, di una cupezza estrema, Passalaiga vi percepirà una predizione di morte: «Queu tableu me laisset coma una impression de mòrt» (p. 41). Quella viene considerata l’ultima opera di Goya23. Nella suggestiva ricostruzione del romanzo, quindi, il sentore della fine combacia nel quadro clinico e in quello artistico. Inoltre, tramite il comune medico bordolese, Ganhaire immagina il decorso fatale della malattia di Pío de Molina che “duetta” con quella che porta l’amico Goya alla morte24, così come si susseguono i loro decessi e la sepoltura alla Chartreuse25.
Da quel 5 di febbraio 1827 – dicevamo – e sino all’ultimo, Passalaiga diventerà il medico personale di Goya, con la devozione di un amico e con la fascinazione per l’artista. Rimeritato, a sua volta, dalla concessione del prestito di un libro prezioso del Maestro: sono gli orrorifici Caprichos26. Con grande turbamento, non vi troverà re e regine sfavillanti, ma «dau negre e dau gris». Visioni distorte e a tinte fosche dei vizi umani, in una Spagna dominata dall’Inquisizione. Natura dell’opera che non poteva non destarne i sospetti27, segnandone il destino28. Presto lo spavento arriva, per Passalaiga che ne sfoglia le pagine, con figure demoniache, stregonerie (brujerías) e superstizioni, asini-medici, scene di cannibalismo, impiccati…29 e un uomo che sogna («un raibaire») attorniato da pipistrelli giganti e uccelli malefici (p. 38)30. «È quanto è passato per la testa a Francisco…», pensa. Quel libro si apre con un’incisione che raffigura il pittore, più giovane, di profilo, che lancia uno sguardo ironico al lettore31. Quello sguardo sbieco guarda anche noi dalla copertina del libro di Ganhaire.

«Se potessimo aprirgli la testa». Presagi artistici da un «bòrd de còu»
Un’altra tecnica narrativa con cui felpatamente gioca la penna di Ganhaire (è anche scrittore di polizieschi), è quella di seminare indizi sul tema della decollazione.
Per esempio: un paziente bordolese muore a seguito di una strana malattia che a Passalaiga pare analoga a quella di cui fu affetto Goya, stando alla testimonianza del Moratín: violenti mal di testa, perdita della vista da un occhio, stati di agitazione come per fugare incubi e visioni. Il paziente, alla fine, era ormai divenuto sordo. «L’idea di aprire quel cranio per trovare il modo di comprendere cos’era successo mi venne naturalmente», è la curiosità scientifica del medico. Ecco il precedente clinico del caso-Goya.
Un giorno Passalaiga e Moratín sfogliano insieme gli spaventosi Caprichos e davanti all’angosciante «El sueño de la razón produce monstruos», l’amico esprime il suo pensiero: «Si li podiam drubir la clòsca, per comprener çò que i a dedins…» (p. 45) 32. E Ganhaire intensifica gli indizi di teste tagliate, premonizioni di quanto sarebbe accaduto anche al pittore. Una s’intreccia non a caso con la descrizione di un ritratto. Nella camera del Maestro, dicevamo, il medico nota due quadri: uno è l’ex-voto dedicato al “guaritore”, dottor Arrieta, l’altro un ritratto dove Goya figura con tavolozza e pennello in mano33. Lo riconosciamo nell’opera di Vicente López Portaña (1826 34. La testa del vecchio pittore posa su di una sorta di jabot («bòrd de còu de dentela blancha») che fascia il collo, risalendo fino alle orecchie: «La si direbbe come tagliata e posta su un panno bianco» ̶ è il presentimento di Passalaiga….
Anche il seguente indizio ha a che fare con un periodo artistico che si dice influenzato da uno stato psicofisico esasperato del pittore. Pío de Molina evoca al medico le pitture tracciate dal furor del pintor sulle pareti della sua casa di Madrid35: sabba di streghe, mostri e soprattutto un Saturno che divora uno dei suoi figli, gli occhi fuori dalle orbite, la bocca spalancata davanti al collo sanguinante «que la testa i es desjà pus»36. La testa del figlio non c’è più… E così l’amico: «Seriá curiós de veire çò que a dins la testa, nòstre Francisco»… (p. 47).
Infine, in una lettera riportata di Moratín, torna ad affacciarsi tra gli amici del Maestro l’idea di scrutare il cervello di Goya («de poder contemplar lo cerveu de nòstre amic») per trovare «quauqua marca de son geni» e si propone esplicitamente a Deodat Passalaiga di praticare anche su di lui la «verificacion post mortem» in cui il medico eccelle, per penetrare il mistero del pittore più grande di Spagna e forse del mondo (p. 48).
Intanto, il decorso fatale della malattia di Goya37 precipita, accelerato da una rovinosa caduta dalle scale38.

«La testa de Don Francisco es despartida dau còrs».
16 aprile, le 7 del mattino. «Don Francisco es mòrt questa nuech» (p. 53).
Chi spiccò la testa dal corpo di Goya? Qui Ganhaire prende posizione nel ventaglio delle ipotesi su questo mistero, schierandosi con chi ne addossa la responsabilità all’ambiente medico bordolese39. E quando, dunque? Nelle ore successive alla morte di Goya. Dove? Nella camera del pittore che giace già composto nella bara, vestito proprio a guisa del suo ritratto. Come fu materialmente possibile? Nel romanzo s’immagina tutta la scena della decapitazione. Al dottor Gaubric40 deve bastare lo stretto lasso di tempo in cui i familiari di Goya si assentano per accordarsi sulla messa, quindi alla Chartreuse per preparare la tomba. La pagina costruita sulla mezz’ora necessaria all’operazione clandestina41 è un piccolo capolavoro di tensione e celerità del narrato che asseconda l’incalzare degli eventi. E così, pinza emostatica dopo pinza emostatica, vena jugulara, carotida, esofage… si avanza con il minimo sanguinamento fino al taglio netto del collo «entre quatresma e tresesma vertebras». «È finita. La testa di Don Francisco è staccata dal corpo […] Rimettiamo la testa nella parte alta del busto, risistemiamo per bene le vesti e il colletto ben soffice» (p. 55).
Insomma, nulla è lasciato al caso nel racconto di Ganhaire: come per il ritratto di Pío de Molina, su cui aleggiava una sentenza di morte, così nel ritratto del Maestro di Vicente López Portaña sembra prefigurata una predizione, quella della sua testa tagliata e risistemata nel vaporoso abbraccio della bianca «corbata de chorreras» del suo abito «gris verdoso» da morto. L’Arte predice il destino. Tra un colletto e una decollazione.
Alle cinque giunge il falegname per chiudere la cassa. Pío de Molina lo trattiene in cucina offrendogli un bicchiere di vino, il tempo che serve a Passalaiga per rimuovere la testa e riporla in un sacco. Quindi si premura di sistemare il coperchio sopra la bara. «Don Francisco de Goya y Lucientes, il più grande pittore della corte di Spagna e dell’inferno se ne andrà domani senza testa alla Chartreuse». E in pochi lo sapranno.

«Quela clòsca clafida de miràudias e d’orrors». La maledizione dei Caprichos.
La testa piena di meraviglie e di orrori del Maestro dimora nel laboratorio anatomico del «Sent Andriu». Dalla sera, per cinque lunghe ore Gaubric si accanisce a colpi di bisturi sulle cervella del povero Don Francisco, senza che alcuna cosa, creste o solchi particolari, riveli la ragione del suo genio. Deluso, cerca almeno nel lobo frontale la sede dei colori che si presumeva tipica di un grande pittore (sono in auge «las elucubracions» frenologiche di Franz Josef Gall)42, ma nulla! Piuttosto, il merito di Gaubric, secondo Ganhaire, è quello di aver esaminato il corpus callosum di Don Francisco43, alla ricerca di una corrispondenza tra le anomalie che vi nota e i sintomi pregressi. Arrivando molto vicino a quella che oggi si considera la spiegazione più plausibile della malattia di Goya44.
Ma Leocadia, la sua ultima compagna, reclama ormai la testa di Goya45. Insieme al quadro che raffigura La lattaia di Bordeaux46, la porterà con sé in Spagna, dove si trasferirà per sempre. Questo il destino e la destinazione di tale reliquia secolare, secondo il romanzo.
A Passalaiga resta un lascito «muy precioso», ma anche molto pericoloso: il libro dei Caprichos che Goya gli prestò. In effetti, sotto gli occhi inorriditi dello studente alla ricerca di una tesi di storia della medicina, le ultime carte del diario medico di Passalaiga si riempiono di copie ossessive dei Caprichos47: un essere mostruoso che taglia gli artigli ad un altro con una forbice enorme48; due personaggi, occhi chiusi, bocca spalancata, testa e orecchie inchiavardate da un meccanismo a lucchetto, si lasciano imboccare da un terzo bendato, con orecchie d’asino49; due mostri che trattengono per le zampe posteriori un caprone che spicca il volo. Uno dei due zoccoli è ancora un piede umano50; una donna che strappa i denti a un impiccato51; un demone alato che vola nella notte trasportando sulle spalle una caterva infernale52; una strega nell’atto di torturare un uomo sotto gli occhi di un capro satanico53; una vecchia strega portata via da demoni54; vecchie infernali che si accingono a mangiare un paniere pieno di bambini55; fattucchiere a cavallo delle loro scope56… E, ripetuto almeno venti volte, l’uomo «endurmit», circondato da figure mostruose e pipistrelli giganti, come se Passalaiga si fosse immedesimato in quell’immagine che Don Francisco aveva intitolato «El sueño de la razón produce monstruos»57. E più di venti volte, il profilo beffardo dell’artista. Così, come il «pacient espanhòu» perso nelle sue visioni infernali, anche il suo medico bordolese in delirio… “perde la testa”.
Su questi obbrobri si chiude il manescrich. Dopo essere stato il “confidente” del medico di Goya tramite il diario di Passalaiga, anche lo studente resta a sua volta contagiato dall’ultima frenesia del suo predecessore. L’elaborato di una banale tesi sull’attività di un medico bordolese del XIX secolo resterà chiuso in un cassetto, mentre si precipita in Spagna sulle tracce del favoloso «pacient espanhòu».

«Goya, Goya, Goya». Di mano in mano
Il tempo, avvolgendosi nelle ultime spire del romanzo, prende a scandire sempre più velocemente le sue tappe, avvicinandosi a grandi passi ai nostri giorni. E la scena torna nell’amata Dordogna:

«Granges d’Ans, Dordonha, setembre 2017»
Cambia la voce narrante: il bordolese Mossur Talhandier si sta recando, per conto del «conselh generau de Dordonha», alla dimora di Madama Merlinjas, morta in casa di riposo ad Autafòrt. In particolare, è incaricato di valutare i libri che vi sono contenuti. I coniugi Merlinjas avevano avuto il figlio Adrian morto in un incidente d’auto in Spagna. Aveva interrotto gli studi proprio alla tesi per un «còp de testa», scappandosene là, da dove mandava ogni tanto cartoline raffiguranti solo quadri di Goya. Il curatore sale in soffitta dove trova due casse di libri di una ditta di trasporti di Madrid: Goya, Goya, e ancora Goya. Fra tanti, snida un libro antico: i Capricci, l’edizione originale del 1799. Il ritratto del Maestro con quello sguardo sbieco e derisorio «que semblava se voler fotre dau legeire». Una vera fortuna! Nell’oscurità calante della soffitta, intravvede delle scartoffie: ancora medici, ancora Goya… Da leggere a mente fresca.
Da un mese all’altro («Bordeu, ruá de la Pòrta Dijòus, octòbre 2017»), Talhandier diventa a sua volta depositario del segreto «de la decapitacion» di Goya: «Io lo so. Solo io lo so»58, apprendendo in quelle carte come già due uomini avessero “perso la testa” per la maledizione del loro incontro con Goya (p. 68).

«Bordeu, cai dau Malh, abriu 2022»
Dalla Dordogna, dunque, il libro maledetto e il suo contagio erano passati di mano in mano, ritornando a Bordeaux. Chi parla adesso è proprio un medico, Joan Loís La Farga, confessando la sua passione forsennata per i libri antichi, specie di medicina. Ha speso un patrimonio dal libraio Jaume Talhandier, proprio lui che gli aveva dato da leggere il diario medico del Passalaiga e la tesi interrotta del giovane Merlinjas. Fatalmente, dunque, anche lui diventa depositario di quei segreti su Goya nei suoi ultimi anni d’espatrio spesi a Bordeaux. Prendendo tra le mani il libro dei Capricci del 1799, confessa di sentire affiorare, non senza rabbrividire, la presenza di tante altre mani, in una spirale del tempo: quelle di Jaume Talhandier, il bouquiniste che morirà di una misteriosa febbre cerebrale; quelle del giovane Adrian Merlinjas, morto in Spagna, ammaliato dall’arte del pittore; del medico Passalaiga, perso negli orrori del Maestro, e alla fine il magnetismo di quelle potentissime di Goya. In una sorta di feticismo, arriva a baciare a lungo la copertina del libro maledetto, a salutare devotamente l’immagine iniziale di Don Francisco, ad immergersi nel suo mondo visionario. Benedetto quel morbo sconosciuto che aveva generato mostri e fantasmi d’infinita bellezza! Joan Loís mediterà di ingrandire quei disegni a penna che Passalaiga e Talhandier avevano copiato sino a “perdere la testa”, per popolarne le pareti di casa sua, fin nell’intimità della sua camera da letto, e, in sala da pranzo, quel Saturno che divora suo figlio: «Mi sorprenderebbe che Auda non lo trovasse di suo gusto»… (pp. 71-72).

«Madrid, casa de las Siete Chimeneas,
plaza del Rey 12 de feurier 2023,
a las once de la mañana
»


«Manuel, búscame a alguien que hable occitano, rápido!
̶ Excelencia, no he encontrado a nadie, pero aquí está Lluís que habla catalán»
Perché tanto fermento? Il Ministro della cultura spagnolo riceve inaspettatamente per posta il libro «muy precioso» del 1799… La lettera di accompagnamento, in occitano-lemosin, è firmata Auda La Farga de la Richardiera. Lo consegna alle autorità di Spagna perché intuisce che sia importante per loro, benché lei non l’abbia neppure aperto temendone gli effetti nefasti. Simulando un furto, infatti, lo ha sottratto al marito, Joan Loís, per timore che seguisse fino nella tomba o nella follia la sorte del libraio che gli ha donato i Caprichos. Si raccomanda di metterlo al sicuro e che non capiti nelle mani di chiunque (questa frase l’ho già sentita…).

«Bordeu, cai dau Malh, 4 de decembre 2023»
La scena ritorna a Bordeaux. Il medico Joan, amico di famiglia di Auda e Joan Loís La Farga, viene chiamato nel cuore della notte a constatare il suicidio dell’uomo. A casa dell’amico defunto, riordinando le sue carte sparse intorno al comodino, ne individua di due tipi: uno, più antico, le pagine ingiallite e l’inchiostro sbiadito (ne spicca una data: 1827), e uno, battuto a macchina, del 1980…. Da qualche tempo Joan Loís era diventato strano, lontano, stringendo sempre al petto un vecchio libro, cullandolo come un bambino e mormorando parole incomprensibili. Quando aveva cominciato a pitturare delle cose orrende sulle pareti, Auda aveva capito «la maujauvença de queu libre» (p. 81), ma la sua sottrazione aveva provocato una crisi di parossismo nel marito, sino al tragico epilogo. Mentre Joan Loís La Farga giace «sus son liech de mòrt», Joan legge quei fascicoli che attestano la filiera di iniziati (il diario di Deodat Passalaiga, antenato della famiglia de la Richardiera, era stato consegnato allo studente di medicina Merlinjas, ex-fidanzato di Auda), depositari del mistero di Goya e della sua testa. Ma Joan non perde la sua, decidendo saggiamente di disfarsi al più presto di quelle carte sventurate. A chi spacciarle? Magari ad un suo vecchio amico che è finito a fare il «medecin de campanha» nel profondo Périgord. «Sì, gli passerò tutto quanto. Qualcosa ne caverà di sicuro» (p. 82).
È questo il veleno nella coda della vicenda maledetta di Goya. Il libro che uccide59, tra bibliomani e medici che perdono la testa per un «còrs sens testa». Passioni un po’ morbose (ne convengo). Il colpo da maestro di Ganhaire cui accennavo in esordio.

Una Bordeaux tinta di noir. Amabili resti.
Questa l’ossatura (senza teschio) del libro di Ganhaire. La scarnificazione di un’opera gustosa proprio perché piena di dettagli saporosi e densa di fascino e di atmosfera… un po’ malsani, ne convengo. La storia della medicina e delle teorie del primo Ottocento non gravano mai come un cascame erudito sugli eventi. La rievocazione della Bordeaux d’inizi XIX secolo60, le sue vie e la colonia degli esuli spagnoli sono restituiti con dovizia storica61, ma senza mai perdere il suo fermento di vita (e di morte). Mai ricostruzione gratuitamente antiquaria, ma – trovata degna del medico-scrittore – vissuta sotto la guida del dottor Passalaiga, ovvero guadagnando il domicilio dei pazienti per i loro quotidiani morbi e patemi. Ricreata con calore anche la speciale intimità complice tra Goya e i suoi compagni d’espatrio, che la comune storia affratella e un gruppo di ritratti del Maestro illustra62. Ritratti di esseri mortali su cui, secondo il romanzo, Goya («con la chiaroveggenza di un sonnambulo», diceva Ortega y Gasset) pare pigmentare misteriosi segni e le avvisaglie della fine che un occhio clinico snida «nascoste nella tela»63. Un carosello di esistenze che pulsano in una Bordeaux corale e vibrante, a cui giunge il fervore del suo grande porto64, dove sbarcano coloniali, colera e vaiolo. Mentre un genio spagnolo, vecchio e ammalato, chiuso nella sua sordità, con il suo sguardo profondo e le rare parole nel suo idioma nativo, domina laconicamente come uno sciamano.
Ma chiediamoci, dunque: cos’è che campeggia in questo piccolo, ma densissimo libro? Sicuramente la fierezza per la scuola medica di Bordeaux65, di cui Ganhaire è stato a sua volta allievo. Per scelta consapevole, poi, medico di campagna, pieno di umanità e di abnegazione verso i suoi semplici pazienti, che ha raggiunto a ore diurne e notturne ̶̶ ci riconosciamo Deodat ̶ per tortuosi percorsi in un Périgord verde e boschivo. Corpi e menti fragili e vulnerabili che da medico ha curato, e da scrittore ha raccontato con le loro parole66, scegliendo di privilegiare una lingua minoritaria per la letteratura.
E allora, in fin dei conti, di cosa parla Lo pacient espanhòu? Di molte cose, dicevamo, ma in ultima analisi parla di Joan Ganhaire, dell’amore che porta alla sua terra, la Dordogna, e di Bordeaux, la città che lo ha formato alla professione di medico. Formazione universitaria che lo ha segnato anche traumaticamente, se vogliamo. Un solo esempio: il tema dell’autopsia che domina anche in quest’ultimo libro. La prima cosa che lo scrittore mi confidò, in occasione della nostra conoscenza, fu l’orrore e il ribrezzo per quella pratica cui era stato coinvolto da studente67. Così, obitori, cadaveri e autopsie ritornano ossessivamente nelle sue opere. Orrore che è riuscito ad elaborare con l’aiuto della letteratura. Lo viatge aquitan, per esempio, è un racconto magnifico e sconvolgente, ambientato proprio nell’obitorio della Facoltà di Medicina di Bordeaux68. Narra la catabasi clandestina di Joan e Miguel verso un vero inferno terreno, le vasche dei cadaveri di derelitti, lì conservati ad uso della medicina, per ripescare un amico barbone al fine di dargli degna sepoltura69.
La sua serie di polizieschi, d’altronde, naturalmente vocati alla morte inflitta, demanda al medico legale Masdelbòsc, alter ego mefistofelico («son double obscur») del commissario Darnaudguilhem, tutto il suo raccapriccio per le autopsie. Il suo laboratorio si chiama talvolta l’ “Inferno” o “regno dei morti”70.
È in questa continuità tra vita, medicina e letteratura71 che si colloca, buon ultimo, il caso di Goya: le infermità di quel paziente spagnolo, la follia, la visionarietà della sua opera disturbante, macabra, cauchemardesque non fanno che coronare i casi clinici del medico Ganiayre, dello scrittore Ganhaire. Un’attenzione mirata giocoforza alla bella testa del pintor sempre in ebollizione, da vivo, e alla sua testa tagliata sul tavolo anatomico e sottoposta a dissezione alla ricerca del suo genio; alle leggende che aleggiano sul suo teschio mancante nell’avello della Chartreuse. Trafugamento barbaro (si parlò di una mano sacrilega e di un rimpatrio «con cráneo o sin él»)72 o amorevole traslazione nella sua terra natia, come ama immaginare il nostro autore? Insomma, in certo qual modo, con Goya si tratta della ricostruzione non di un caso fittizio poliziesco, ma di un mistero storico relativo a un “cadavere eccellente” e agli artefici di una mutilazione eseguita in nome della scienza medica («E se fosse successo così per davvero?»).
Una cosa è certa: da questo libriccino promana una grande, oscura energia: l’amore viscerale per il suo paese, la visione totalizzante della medicina, e tutta la fascinazione per Goya che in quella terra fu accolto, curato e lasciò le sue spoglie. Passione che risale ai ricordi d’infanzia di Ganhaire e riaffiora fino a quest’ultimo omaggio da ottuagenario. Il medico Jean-Leopold Ganiayre che forse ha sognato di essere ammesso, nelle vesti di Deodat, tra le mura di quell’ultimo appartamento dove il meglio della Spagna liberale convergeva devotamente verso il suo genio in esilio. Ma ne trapela anche la profonda consapevolezza della potenza della morte che «a comun danno impera», imboccando le strade e salendo le scale dei casamenti di Bordeaux, prima che il povero Passalaiga tenti, con amore e dedizione, di arrivare a porvi rimedio. E capita che la morte salga al terzo piano di Cours de l’Intendance, n. 57 e insidi pazienti insigni come Goya, che sanno come ingannarla e sublimarla nella loro arte. A proposito di scale, di arte e di trionfo sulla morte: un giorno d’agosto del ’27, Passalaiga, salendo le scale del suo ammalato illustre, si sorprende di incrociare la loro lattaia («una jòuna femna […] que nos pòrta lo lach», «la lachiera»); arrivato all’appartamento del Maestro, ne vede il ritratto e lo descrive nei minimi dettagli, cogliendo due frasi del pittore ormai prossimo al suo epilogo: «Muy hermoso» e «puedo morir ahora» (pp. 43-44). Arte che, a sua volta, si fa ministra febbrile di morte, come in quei libri maledetti da cui forse l’Avvertenza del romanzo vorrebbe metterci in guardia. Che intenda, lo scrittore, giocare con noi al ruolo macabro dell’ennesima vittima dei Caprichos (della «maujauvença de queu libre»)? Nulla di più probabile, visto il suo humour nero. «Un pauc morbide? ne’n convene».


P. S. Come per un effetto domino, penso che sono l’ultima a tenere tra le mani Lo pacient espanhòu, che contiene il veleno dei Caprichos e la leggenda nera della testa tagliata che si trascina nei secoli. Ho sottovalutato l’Avvertenza… devo fare presto a chiudere questa recensione per non rimanerne contagiata e “perderci la testa”.


P.P.S. Nel 1999, il grande attore spagnolo, Francisco (Paco) Rabal, interpretò il pittore nel film Goya en Burdeos, di Carlos Saura. Vecchio e corpulento, molto somigliante al Goya esiliato. Il 29 agosto 2001, durante il volo Londra – Madrid, moriva nei cieli di Bordeaux73

Note

  1. Joan Ganhaire, Lo pacient espanhòu, Perigüers, Novelum – IEO Perigòrd, 2024.
  2. «È “una malattia di testa”, che coinvolge il corpo e la psiche: la persona intera e il suo essere artista. In realtà, la guarigione sta nell’accettare la propria malattia. Il Goya di prima non tornerà più. Il nuovo Goya è più consapevole, ma lacerato. Accetta una doppiezza, una scissione. E accetta che il suo tormentato modo di essere si manifesti nell’opera. I dipinti placidi, manierati e perfezionisti non torneranno più. Al loro posto, anche nelle opere dedicate a ritrarre regnanti e governanti, il giudizio critico e sardonico traspaiono. A questa produzione almeno in apparenza agiografica si aggiunge un lavoro segreto, la cui fruizione è riservata a pochi amici, o all’autore stesso: l’opera ‘nera’. Opera che Goya – nota il filosofo Ortega y Gasset – crea “con la chiaroveggenza di un sonnambulo”. Opera che ci parla del lato oscuro, doloroso, dannato dell’essere umano», Francesco Varanini, Goya e le mostruosità della ragione, «Tutte quelle cose», 15 settembre 2023, https://www.tuttequellecose.com/goya-e-le-mostruosita-della-ragione/.
  3. Una rassegna recente e documentatissima è a cura di Juan Carlos Lozano López, El misterio de la cabeza de Goya, https://www.youtube.com/watch?v=RY_UjUHbgGQ: «Juan Carlos Lozano López, profesor de la Universidad de Zaragoza, nos habla de la desaparición de la cabeza de Goya y de lo que pudo haber pasado con ella» (Instituto Cervantes Burdeos, 29/04/2021).
  4. La bibliografia su Goya è immensa, ma il mio lavoro sul testo di Ganhaire intende omaggiarne l’opera, senza soffocarla. Trattandosi, però, di letteratura occitanica non nota ai più, e dato che il romanzo, completamente calato nella vicenda, non fornisce schede biografiche dei personaggi storici, né altre relative all’ambiente medico bordolese, mi è stato necessario approntare una bibliografia orientativa che agevolasse una lettura informata. La mia recensione, di fatto, segue pedissequamente la narrazione del romanzo, parafrasandola, e senza prendere posizione nelle scelte narrative dell’autore.
  5. Joan Ganhaire, diversitat dels genres e unitat de l’òbra, «Plumas», 6, 2025, https://plumas.occitanica.eu/, tra cui si veda la «nòta de lectura» di Felip Gardy, Joan Ganhaire, Lo Pacient espanhòu, «Plumas» [Online], 6, 2025, Online since 14 March 2025, connection on 12 May 2025. URL : https://plumas.occitanica.eu/1832.
  6. Ricordiamo che in Occitania vige la doppia grafia del nome: Jean-Leopold Ganiayre (Agen, 1941), la francese, e Joan Ganhaire, come sceglie di firmare le sue opere l’autore che scrive in limosino.
  7. Ganhaire dice di essersi ispirato al diario di Désiré Fuzellier, Journal de captivité en Russie 1813-1814, Présentation de Raymond Fuzellier, Boulogne, éd. du Griot, 1991.
    «Bien rares sont les témoignages directs que nous possédons sur la captivité des Français en Russie après la désastreuse retraite de 1812. Celui de Désiré Fuzellier publié d’après le manuscrit conservé dans les archives familiales est donc très précieux. L’auteur, né à Abbeville le 25 mai 1794 dans une famille de propriétaires terriens aisés et cultivés, était donc un tout jeune homme lorsqu’il vécut cette aventure et cette épreuve. Elève chirurgien à Montreuil-sur-Mer en 1811, il fut nommé chirurgien sous-aide à la Grande Armée le 9 août 1812; il avait tout juste dix-huit ans. Il participa à la campagne et fut fait prisonnier en Prusse orientale le 13 janvier 1813. Libéré à la fin de la guerre, il rentra en France en novembre 1814, acheva ses études de médecine en 1818 et exerça son art à Montreuil», https://www.persee.fr/doc/bec_0373-6237_1993_num_151_1_450689_t1_0201_0000_001.
  8. «LAENNEC René Théophile Hacinthe. Naissance: 17 février 1781 à Quimper (Bretagne) (Finistère) – Décès: 13 août 1826 à Kerlouarnec (Finistère) […] René Théophile Laennec inventa le stéthoscope […]. Cette découverte lui permit de donner des descriptions détaillées des affections pulmonaires (tuberculose, gangrène, bronchectasie) et cardiaque. Il renouvela d’ailleurs la méthode d’auscultation», https://cths.fr/an/savant.php?id=2503.
  9. Pierre Brulatour: «Naissance: 5 mars 1777 à Saint-Martial-d’Artenset (Guyenne) (Dordogne) – Décès: … 1858 à Bordeaux? (Gironde) […] Brulatour effectue sa formation médicale à Bordeaux puis à Montpellier où il est diplomé chirurgien de la faculté de médecine en 1805. Il est ensuite nommé médecin du bureau central de la charité à Bordeaux en 1807. Avec Elie Gintrac, il est à l’origine de la création de l’Ecole de médecine et de pharmacie de Bordeaux, résultant de la fusion des deux écoles de Saint-Côme et de Saint-André. Professeur adjoint de médecine opératoire en 1810, il y est également chargé de cours d’accouchement en 1815 et 1816 et professeur titulaire de médecine opératoire (1810), poste pour lequel il est réélu en 1829. Brulatour est également nommé chirurgien adjoint à l’hôpital de Bordeaux (1821), puis chirurgien en chef (1824). À partir de 1821 et jusqu’à la fin de sa carrière il est directeur de l’École de médecine et de pharmacie de Bordeaux (1821-1847)», https://cths.fr/an/savant.php?id=3099.
  10. Jean-François Tessier, Le milieu médical bordelais en 1824, «Revue historique de Bordeaux et du département de la Gironde», 35, 1993, pp. 59-84.
  11. Delle piante per i rimedi fitoterapici (Glossario, pp. 85-89), riporto una sintesi: l’«aristolòchia» utile per la gravidanza e il parto. La «betonha» (Stachys officinalis), betonica, utilizzata in polvere contro la gotta; il «calament aromatic» (Clinopodium nepeta subsp. Spruneri), clinopodio o mentuccia di Spruner, efficace in molteplici affezioni, dalla bronchite alle malattie femminili; la «convallaria», fiore medicinale molto odoroso, sorta di mughetto; l’«erba a l’uelh» (Chamaemelum nobile), camomilla «bona per las irritacions ocularas»; l’«erba de las cinc còstas» (Plantago lanceolata), piantaggine, utile per lo stomaco, l’anemia, l’asma; l’«eschilha» (Drimia maritima), scilla, conosciuta per il suo potere cardiotonico; l’«estranglachens» (Colchicum autumnale), pianta tossica, conosciuta per le sue virtù antigottose; l’«ipecacuanha» (Carapichea ipecacuanha), pianta arbustiva originaria dell’America del Sud, efficace per l’apparato digestivo; la «sang-lacha» (Euphorbia helioscopia), contiene nel gambo un lattice utile per eliminare le verruche; il «Trisgalan» (Hypericum perforatum) o erba di San Giovanni, fiore medicinale le cui foglie sembrano traforate (in fr Millepertuis), adatto a molti scopi: asma, coliche, cattiva digestione. E ancora il laudanum «preparacion liquida d’opium» e la «podra d’Alhaud», sorta di panacea, per cui si veda Robert Caillet, Le remède universel du docteur Ailhaud, «Revue d’Histoire de la Pharmacie», n. 141, Année 1954, pp. 251-266 e Nicole Bardiot, Médicament et négoce à Marseille au XVIIIe siècle. La poudre d’Ailhaud dans les réseaux marchands et les sociétés maritimes, in La mer en partage, Sociétés littorales et économies maritimes. XVIe-XXe siècle, Sous la direction de X. Daumalin, D. Faget et O. Raveux, Aix-en-Provence, Presses universitaires de Provence, 2016, pp. 227-240, https://doi.org/10.4000/books.pup.44210.
  12. Parafraso riassumendo il lunghissimo ( e toccato da fine ironia) brano del romanzo: In «plaça de la Borsa», per i dolori al petto di un certo Anselme Labòrda; in «ruá dau Parlament Senta Catarina», al capezzale di un Lalana che tossiva a più non posso; in «ruá de la Cordariá Vièlha», per un certo Daupoi, grande bevitore, che era agli ultimi; «ruá Mairinhac», dove un figlio Lacòsta si era beccato una bella pertosse; «ruá dau Putz daus Casaus», dove il signor La Vath si svuotava causa una diarrea maleodorante; «ruá daus Fossats», dove una bimba di sei anni gli morì tra le braccia di croup; […] ; «ruá de la Cort de las Ajudas», dove un certo Fernand Larriu era in preda a una colica di renella. E fuori dal quartiere di Passalaiga, in «ruá de Sèsa», dove la meningite si portò via un piccolo Daufau; […]; «ruá de las Trilhas», dove Javier Martínez non poteva più fare aria né i suoi bisogni […], pp. 28-29.
  13. Leandro Fernández de Moratín (Madrid, 1760 – Paris, 1828), poeta e drammaturgo. https://www.cervantesvirtual.com/portales/leandro_fernandez_de_moratin/autor_biografia/.
  14. Ganhaire fa esprimere a Passalaiga un giudizio da medico sul volto di Moratín, affezione desumibile, per noi, dalla sua biografia, nonché dai suoi ritratti: si veda il ritratto del primo anno bordolese di Goya, https://fundaciongoyaenaragon.es/eng/obra/leandro-fernandez-de-moratin/191 e un altro del 1799, https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/leandro-fernandez-de-moratin-1/408.
  15. Juan Carlos Lozano López, Goya, Burdeos y los otros «exilios», in I. Real López, Goya. Valor y símbolo del exilio republicano español, Gijón, Ediciones Trea, 2022, pp. 9-23. «La colonia española en Burdeos no era menos numerosa que la de la capital francesa, y en ella había gente de muy diversa condición, como aristócratas, militares y hombres de negocios, cuya presencia preocupaba especialmente a las autoridades. Al círculo de Leandro Fernández de Moratín y de Manuel Silvela pertenecían, entre otros, ricos comerciantes como Fermín Remón o Juan Ramón Ruiz de Pazuengos, cultos afrancesados como Estanislao de Lugo y José Lira, Pedro Sainz de Baranda (primer «alcalde» de Madrid en 1808) José Pío de Molina (primer alcalde constitucional de Madrid durante el Trienio Liberal), el banquero Jacques Galos y el joven artista Antonio Brugada. Este, tal vez el último discípulo de Goya —si no consideramos como tal a Rosario Weiss, por la relación cercana y “familiar” que les unía—, acompañó y cuidó al artista en sus años bordeleses», pp. 16-17. Ringrazio di cuore lo studioso per l’invio dei suoi contributi su Goya.
  16. Ricordiamo che è l’attuale sede dell’ Instituto Cervantes de Burdeos.
  17. «Las enfermedades de 1790 y sus consecuencias marcan un antes y un después en la trayectoria personal y artística de Goya, y suponen un claro ejemplo de exilio interior. Ya en el otoño de 1792, a los cuarenta y seis años de edad, Goya estuvo en cama aquejado de “dolores cólicos”, tal vez el llamado “cólico de Madrid”, producido por la contaminación metálica y la ingestión del plomo usado en la elaboración de utensilios cerámicos y cacerolas, pero también presente en alguno de los pigmentos usados para pintar, como el albayalde (blanco de plomo). Seguramente con el propósito de recuperarse, hace un viaje repentino, sin su familia —y sin la preceptiva autorización—, a Andalucía, pero sufre una recaída en Sevilla en febrero de 1793, aunque el carácter de esta enfermedad no ha podido ser determinado con precisión (saturnismo, síndrome de Susac, sífilis…), y es acogido y cuidado por su amigo Sebastián Martínez en su residencia gaditana durante varios meses. Las secuelas, que le duraron toda la vida, fueron un zumbido en la cabeza y una sordera casi total», Lozano López, Goya, Burdeos y los otros «exilios», cit., p. 11.
  18. Nel passo del romanzo di Ganhaire, Moratín si premura di menzionare a Goya, tra gli espatriati a Bordeaux già curati con successo da Passalaiga, Manuel Silvela y García de Aragón: «Silvela may have met Francisco de Goya through Moratín. When the French government in Madrid fell in 1813, and despite the offer of important posts by the new government, Silvela left Spain for exile in France. After years of penury in Bordeaux, during which he survived by teaching Spanish, he opened a grammar school for the children of expatriates […] This portrait of Silvela was traditionally considered to be from the period of the Peninsular War. Later it was dated to Goya´s years in Bordeaux, between his arrival there in 1824 and Silvela´s departure for Paris in 1827, although this claim does not take into account the evidence of style and technique nor the age and circumstances of the sitter. In fact, the portrait looks nothing like the concise, brilliant, modern -almost romantic- technique with which Goya portrayed his sitters during those last years of his life», https://www.museodelprado.es/en/the-collection/art-work/manuel-silvela-y-garcia-aragon/2b2dcd7c-d733-4673-ad63-625b99f51c3c?searchid=eb59bd75-1232-d8de-812a-792c67672e0f.
  19. «Nel 1819 il pittore spagnolo Francisco Goya (1746-1828), affetto da una cardiopatia verosimilmente di natura luetica, andò incontro ad un episodio di ortopnea come da insufficienza ventricolare sinistra, provando l’esperienza della morte imminente. Chi lo curò in quell’occasione fu un tale dottor Arrieta, e anche grazie alle sue cure l’illustre paziente riacquistò un soddisfacente stato di compenso. Goya resterà talmente grato al suo medico da dedicargli dopo un anno questo quadro […], quasi un ex voto di commossa riconoscenza, secondo una consuetudine pittorica molto popolare e frequente a quell’epoca», Francesco Fiorista, L’asma cardiaca di Goya, «Giornale Italiano di Cardiolologia», 12, Ottobre 2011, N. 10, doi 10.1714/945.10357, https://www.giornaledicardiologia.it/archivio/945/articoli/10357/.
  20. «Don Francisco, gli occhi chiusi, il ritratto del dolore, riverso all’indietro, sorretto da un altro uomo che tiene un bicchiere in mano nell’intenzione di far bere il Maestro», p. 46. Per il ritratto, si veda https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/goya-a-su-medico-arrieta/200. «vi si può infatti leggere la relativa dedica di ringraziamento, come riportata nell’iscrizione autografa nella parte inferiore della tela: “Goya riconoscente al suo amico Arrieta: per la capacità e l’attenzione con cui gli salvò la vita durante la sua acuta e pericolosa malattia insorta alla fine del 1819 all’età di settantatré anni. Lo dipinse nel 1820”. Il dipinto è dunque insieme sia un ritratto (del medico che lo cura) che un autoritratto (di se stesso ammalato e sofferente). Tra medico e paziente si è creato un legame indissolubile, che la malattia sancisce e isola nella sua unicità: un’alleanza tra colui che soffre e colui che cura, come nel V secolo a.C. sosteneva il medico greco Ippocrate di Kos: “Malato e medico combattano insieme contro la malattia”.
    Nel dipinto il pittore-ammalato è seduto, sofferente e in preda a fame d’aria, con la cute del volto, della fronte e del collo pallida e sudaticcia, sfumatamente subcianotica; la sua mano sinistra stringe il lenzuolo; dalla sua bocca semiaperta sembra quasi di udire il fine gorgoglio del liquido trasudatizio che gli sale dai bronchioli. Il medico lo sorregge e insieme gli porge un bicchiere con un farmaco (un oppiaceo?) per quietargli il respiro e ridurre così la congestione dei suoi polmoni. […]. Ma Goya supererà quella crisi, e vivrà fino all’aprile del 1828», Fiorista, L’asma cardiaca di Goya, cit..
  21. «José Pío de Molina fue alcalde de Madrid durante unos meses del trienio liberal, en 1820. Tras el fin del mismo en 1823, se exilió en Burdeos. Allí fue vecino de Goya, con quien compartió amistad durante los últimos años de la vida del pintor. El día de la muerte de Goya, 16 de abril de 1828, José Pío de Molina estaba junto a su lecho y fue él el encargado de firmar el certificado de defunción.», https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/jose-pio-de-molina/187.
  22. «Pertant, de veire sa chara magra e severa, un es lonh de l’ habitus tradicionau dau gotós», p. 40.
  23. «Generalmente se ha considerado este retrato como la última obra realizada por Goya antes de su fallecimiento», https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/jose-pio-de-molina/187.
  24. È interessante riportare, in questa prospettiva, il brano seguente della scheda di cui sopra; vi si esprime una suggestione circa il volto cupo del de Molina, dove “si rifletterebbe” forse la morte imminente del pittore che lo ritrae: «El rostro, también sugerido por medio de toques de pincel, no da la sensación de haber quedado inconcluso pues ya refleja una intensa expresión, quizás la de preocupación por la inminente muerte de Goya».
  25. Seguendo la puntuale relazione medica di Ganhaire-Passalaiga, nell’ottobre 1827, Pío de Molina si aggrava vomitando sangue; accusa mal di stomaco e forte dimagrimento. A marzo 1828, i sintomi persistono ed esiteranno poi in un’emorragia fatale. «25 d’abriu. Lo señor Pio de Molina es mòrt questa nuech. S’es perdut per sang», p. 59. Goya era defunto, lo ricordiamo, nella prima mattina del 16 aprile, ed era stato Pío de Molina (che, secondo il romanzo, «en despiech de sa feblessa», lo aveva vegliato) a firmarne il certificato di morte. Del resto, tra gli amici di Goya, lo stesso Moratín, che nella realtà storica pativa, dal 1825, le gravi conseguenze di un’apoplessia, morirà il 21 giugno dello stesso anno.
  26. https://fundaciongoyaenaragon.es/catalogo/caprichos-estampas-y-dibujos-1797-1799/serie:628. https://www.realacademiabellasartessanfernando.com/goya/goya-en-la-calcografia-nacional/caprichos/.
  27. «Fin da giovane si era dedicato alla storia naturale dei demoni e sul conto loro ne sapeva più di qualunque altro artista e poeta di Spagna, anche più dei demonologi, dei competenti professionisti dell’Inquisizione. […] Conobbe gli gnomi, le mandragore, i folletti, i lemuri, i diavoli, i lupi mannari, gli elfi, le fate, i farfarelli, i revenants, gli ogres e i basilischi. Conobbe anche i soplones, soffioni e spie, i più disgustosi fra tutti i fantasmi che giustamente portavano lo stesso nome dei delatori della polizia e del Sant’Uffizio. […] Molti di questi fantasmi avevano facce umane nelle quali si mescolavano lineamenti di amici e avversari. […] Spesso e volentieri i fantasmi si presentavano in veste talare […] Volentieri scimmiottavano i riti della Chiesa», Lion Feuchtwanger, Goya o L’amara via della conoscenza, Roma, Castelvecchi, 2015, p. 368.
  28. «L’aristocrazia parassitaria, il clero reazionario, un popolo facilmente manipolabile sono il bersaglio delle critiche feroci dell’artista, ma anche i fautori della immediata notorietà che accompagna l’opera. È così che, nonostante la cautela di Goya, l’annuncio pubblico, l’esposizione e le notizie che subito iniziano a girare provocano polemiche, sconcerto e scandalo. L’Inquisizione ha condannato l’opera, la notizia non può non giungere all’orecchio dell’artista, primer pintor de cámara del re Carlos IV. Goya reagisce rapidamente. Evita di essere posto formalmente in stato d’accusa. Le stampe rimangono in vendita solo per 14 giorni. Goya sceglie di ritirarle dal mercato. Nel 1803, per salvare l’opera – già leggendaria, ma non mostrabile in pubblico – dona e lastre e le 240 stampe esistenti al re, affinché tutto sia conservato nella Real Calcografía», Varanini,Goya e le mostruosità della ragione, cit..
  29. «Le chinchillas, i ratti enormi, i grandi e i preti, i bradipi senza cervello che hanno gli occhi incollati, le orecchie chiuse con enormi lucchetti […] Disegnò la massa infingarda e oscura degli infimi, dei sudditi che se ne stanno accovacciati, intontiti e immobili […] Sempre più audaci, sempre più ambigui diventavano i parti della sua fantasia e a questi fogli non dava più il nome di “satire”, ma li chiamò idee, trovate, “Caprichos”. Spiava i fantasmi nelle loro più intime occupazioni, quando si ubriacavano, quando facevano la toilette, quando si tagliavano a vicenda il pelo e gli artigli. Dovevano mostrargli come cavalcano per recarsi al sabba, all’aquelarre, come le flatulenze di un lattante servono ad alimentare il fuoco per cuocere la loro zuppa; dovevano iniziarlo al cerimoniale che bisogna osservare in occasione del baciamano del caprone […] E spesso si portava nell’ermita, a mezzogiorno, il suo pasto, pane e cacio e un bicchier di manzanilla. E invitava anche gli spettri a spartire quel suo desco, pane e cacio. Allor chiamava “mio amigo” il capro o “chico” un demonio gigantesco e coi mostri chiacchierava e scherzava, li tirava per la coda, ne palpava grinfie e corna», Feuchtwanger, Goya o L’amara via della conoscenza, cit., p. 369.
  30. «En esta estampa, Capricho 43, comienza una serie de composiciones destinadas principalmente a flagelar la ignorancia del pueblo, los vicios de los monjes y la estupidez de los grandes. Las creencias en la superstición, todavía extendidas entre el pueblo durante aquellos años, y alimentada por los monjes, nutrió al pintor de una gran parte de sus temas. La estampa ofrece un mundo de pesadilla; Goya no convierte a la razón en verdad, no juzga los monstruos, sólo los expone; presenta así el mundo de la noche, que caracteriza la totalidad de los Caprichos: una inversión del día», https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/el-sueo-de-la-razon-produce-monstruos/e4845219-9365-4b36-8c89-3146dc34f280.
  31. https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/autorretrato-francisco-goya-y-lucientes-pintor/16d0d5d4-ac78-4295-9d32-31d8c9646c13. «Goya tiene en esta imagen unos cincuenta años y se autorretrata de perfil, con la expresión serena, el gesto adusto y la mirada aguda que se encuentra en consonancia con el gesto satírico que se apunta en el manuscrito de Ayala y en el de la Biblioteca Nacional. El personaje de este grabado es el fino observador que irá desplegando ante nuestros ojos el panorama social y político de su tiempo desde la perspectiva del sarcasmo y la ironía», https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/fran-co-goya-y-lucientes-pintor/869.
  32. Concentrato sulla descrizione della testa del pittore, anche il brano seguente del romanzo storico di Feuchtwanger sembra assumere toni di presagio di quanto succederà in terra di Francia: «In testa ai Caprichos doveva stare un Goya rappresentativo e dignitoso […] Si mise al collo una sciarpa chiusa fino al mento, infilò la giacca grigia da passeggio e mise sulla testa grossa e tonda il superbo cilindro, il bolívar a larghe tese. […] Rigida, possente, la grande testa leonina si presenta sotto le ampie tese scure del bolívar […] Alzò gli occhi con dispetto e firmò: “Francisco Goya y Lucientes, dipintore”. E vi fece il suo commento: “Guarda un po’ quale sussiego! Ma provatevi a levargli il cappello, a scoperchiargli questo cranio: rimarrete sbalorditi e stupirete nel veder ciò che c’è dentro!”», Feuchtwanger, Goya o L’amara via della conoscenza, cit., p. 405.
  33. «Brave ’bilhament gris, paleta e pinceu en man» e, dopo la descrizione fisica, il medico traccia il ritratto psicologico del vecchio pittore: l’espressione severa del volto, la piega amara della bocca, le palpebre pesanti, tutto sembra indicare un desgost de la vita, p. 46.
  34. «En el año 1826 el aragonés hizo un rápido viaje a Madrid desde su exilio en Burdeos para arreglar su pensión como pintor de cámara; ocasión que aprovechó el maestro valenciano para pintarle esta efigie -sin duda la más emblemática del genio de Fuendetodos-, con destino al Museo Real, como homenaje y reconocimiento a su figura, que quedaría así consagrada para siempre entre los muros del Museo del Prado. Goya posa ante López sentado en una butaca, con las piernas cruzadas, vestido con levita y pantalón gris verdoso, chaleco a rayas y corbata de chorreras. Está retratado de medio cuerpo, sujetando la paleta en la mano izquierda y en la derecha el pincel, ante un lienzo sobre un caballete, en el que se lee la dedicatoria. Este retrato, en el que Goya tiene ochenta años, es sin duda la efigie más difundida del genial aragonés», https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/el-pintor-francisco-de-goya/d24dba94-d730-44c5-8b46-1f1732d2b571.
  35. https://www.museodelprado.es/en/the-collection/art-works?searchObras=goya%20pinturas%20negras. https://fundaciongoyaenaragon.es/catalogo/pinturas-negras-pintura-mural-y-bocetos-ca-1820-1823/serie:637.
  36. https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/saturno/18110a75-b0e7-430c-bc73-2a4d55893bd6.
  37. Nell’estate del 1827, Passalaiga va in visita da Don Francisco e lo trova in preda a forti dolori addominali. Esclude la «colica dau miserere», ma, palpando l’addome in profondità, sente una massa sull’intestino cieco. Intuendo trattarsi di un tumore, gli prescrive una lunga ricetta fitoterapica, con aggiunta di laudano, per contenere almeno i dolori, ma prevede che non gli resti molto da vivere, p. 42.
  38. «15 de març. Don Francisco es tombat dins l’eschalier», p. 52. «Goya murió hacia las dos de la madrugada del 16 de abril de 1828, al parecer como consecuencia inmediata de una caída en la escalera de la casa y pocos días después de cumplir ochenta y dos años, en el tercer piso del número 39 (actual 57) de la calle Fossés de l’Intendance (actual Cours de l’Intendance), su último domicilio en Burdeos. En el momento del deceso, el artista estaba acompañado por el citado José Pío de Molina, que vivía en el mismo inmueble, y por el joven pintor Antonio de Brugada», Lozano López, Goya, Burdeos y los otros «exilios», cit., p. 18.
  39. Juan Carlos Lozano López, La cabeza de Goya ¿un enigma sin solución?, «Publicaciones de “La Cadiera”», núm. 652, Zaragoza, abril 2020, pp. 1- 43, in particolare, pp. 26-27.
  40. Storicamente risultano due medici che portano questo cognome: Jean-Baptiste-Emile Gaubric, autore di una Dissertation sur les fractures du crâne, https://www.idref.fr/231257538, «A Montpellier: chez Jean Martel aîné seul imprimeur de la faculté de médecine», 1820», https://www.sudoc.abes.fr/cbs/DB=2.1/SRCH?IKT=12&TRM=118048856, e «GAUBRIC Charles Henri. Naissance: 1er avril 1815 à Bordeaux (Gironde) – Décès: juin 1846 à Bordeaux (Gironde) […] Chef des travaux anatomiques de l’École de Médecine de Bordeaux en 1845», https://cths.fr/an/savant.php?id=105583.
  41. Un po’obliqui gli accenni all’autorizzazione familiare: «Evoquí l’autorizacion eventuala de la familha e Jose me disset qu’en l’abséncia de Javier, quò era a Leocadia de decidir», p. 50; «Leocadia aviá pertant acceptat de laissar far los medecins», p. 53; «Si pòde escartar familha e amics […] I a nonmàs tener Leocadia e Rosario en defòra de la chambra», p. 54.
  42. https://www.treccani.it/enciclopedia/la-frenologia_%28Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco%29/. Lozano López, nella sua conferenza El misterio de la cabeza de Goya, citata sopra, si sofferma sulle teorie frenologiche che si guadagnarono molti seguaci, anche presso la scuola medica bordolese, e che in generale provocarono riesumazioni e decapitazioni in gran copia, sia nel caso di cadaveri eccellenti che di assassini. Ganhaire, da parte sua, spende due pagine (pp. 58-59) a far bollare come fandonie tali pseudoteorie.
  43. «Corpus callosum: partida de las cervelas que junh los dos emisferis, plaça d’eschamges nombrós e plan importants», chiosa Ganhaire a p. 86.
  44. Nella Postfàcia del romanzo, parlando di Gaubric, si afferma che «ha giocato un ruolo tra i più rilevanti nella sparizione della testa di Goya e, senza saperlo, scoprendo le lesioni del “corpus callosum”, si è avvicinato alla sindrome di Susac, che ora sembra spiegare la malattia di Don Francisco», p. 84. «La sindrome di Susac (SuS) è una malattia sistemica o reumatologica rara, caratterizzata dalla triade disfunzione del sistema nervoso centrale (SNC), occlusioni di branca dell’arteria retinica (BRAO) e sordità neurosensoriale (SNHL). La malattia è causata da occlusioni immuno-mediate dei microvasi del cervello, della retina e dell’orecchio interno», https://www.orpha.net/it/disease/detail/838#:~:text=La%20sindrome%20di%20Susac%20%28SuS,e%20sordit%C3%A0%20neurosensoriale%20%28SNHL%29.
  45. «ven me far la requesta, si quò es possible, d’emportar la testa de Don Francisco en Espanha», pp. 59-60.
  46. «No se sabe cómo el cuadro quedó en posesión de Leocadia y su hija, ya que todas las pinturas, miniaturas, dibujos, estampas y otras pertenencias de Goya fueron recogidas de inmediato por su hijo y único heredero Javier, que sólo dejó a la madre y la hija “una cédula de 1000 francos y le queda a Ud. las ropas y muebles” (carta de Leocadia Zorrilla a Moratín, 28.4.1828)», https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/la-lechera-de-burdeos/b531f836-85c4-4cf3-b76a-70f3106d9e41. Come che sia, pare che sia stata la stessa Leocadia a vendere il quadro l’anno successivo alla morte di Goya, e ancora in terra di Francia: «Cuando Goya falleció la heredó Leocadia Zorrilla quien la vendió a Juan Bautista de Muguiro, buen amigo de Goya en Burdeos. Se conserva la carta que Leocadia escribió a Muguiro el 9 de diciembre de 1829, publicada íntegramente por Sánchez Cantón en 1947, en la que pone a su disposición este cuadro por un precio no inferior a una onza, tal como Goya le había indicado. Estuvo en la familia Muguiro hasta que el sobrino nieto del comprador, Fermín de Muguiro y Beruete, III conde de Muguiro y de Alto Bacilés, la legó al Museo del Prado. Allí ingresó el 5 de diciembre de 1945.», https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/la-lechera-de-burdeos/b531f836-85c4-4cf3-b76a-70f3106d9e41.
  47. Quanto segue si limita alla parafrasi dell’elenco dei disegni stilato a p. 61 del romanzo, di cui noi forniamo semplicemente i rimandi ai rispettivi Caprichos.
  48. Capricho No. 51: Se repulen (Si agghindano). https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/se-repulen/bc866132-9bbb-47e2-9df3-af18f5b6f436. https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/se-repulen/921.
  49. Capricho No. 50: Los Chinchillas (Cincillà). https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/los-chinchillas/22577aaa-4f12-4478-8e53-e1811fa4043e. https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/los-chinchillas/920.
  50. Capricho No. 67: Aguarda que te unten (Attento che ti ungono). https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/aguarda-que-te-unten/c5cb32f4-9c8d-4eab-8c66-bb20215f2467. https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/aguarda-que-te-unten/937.
  51. Capricho No. 12: A caza de dientes (A caccia di denti). https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/a-caza-de-dientes/c2375bcb-6ddc-4fe8-8765-73de3487e1e0. https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/a-caza-de-dientes/890.
  52. Capricho No. 64: Buen viaje (Buon viaggio). https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/buen-viage/9ac304d6-7604-42a1-91f3-442896927ac1. https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/buen-viage/934.
  53. Capricho No. 60: Ensayos (Tentativi). https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/ensayos/6c99ad67-7d3c-4471-b21c-6ff31ce32062. https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/ensayos/930.
  54. Capricho No. 65: ¿Dónde va mamá? (Dove sta andando mamma?). https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/donde-va-mama/51e38a80-2597-4df8-8ab1-3f03134c489e. https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/donde-va-mama/935.
  55. Capricho No. 45: Mucho hay que chupar (C’è molto da succhiare). https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/mucho-hay-que-chupar/67b6ca83-4bad-4375-b47e-92766adde7ae. https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/mucho-hay-que-chupar/915.
  56. Capricho No. 68: Linda maestra (Bella maestra). https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/linda-maestra/50d8b8e8-61c8-4e83-ab16-3efc9dedf0f9. https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/linda-maestra/938.
  57. Capricho No. 43: https://www.museodelprado.es/coleccion/obra-de-arte/el-sueo-de-la-razon-produce-monstruos/e4845219-9365-4b36-8c89-3146dc34f280. https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/el-sueno-de-la-razon-produce-monstruos/913.
  58. Alle pp. 67-68 Ganhaire fa stilare a Talhandier una trattazione rapida delle leggende circa l’eventuale localizzazione del cranio di Goya, a Bordeaux come in Spagna, bollandole come «fòlas» e «conariàs».
  59. Alberto Castoldi, Il libro che uccide, Bergamo, Bergamo University press; Edizioni Sestante, 2002: « Il libro che uccide prende spunto da alcuni racconti dell’Ottocento francese, riportati nel testo (Le Bibliomane di Charles Nodier, Bibliomanie di Gustave Flaubert, La fausse Esther di Pierre Louÿs) per svolgere una riflessione sulla bibliomania come passione divorante, spinta fino all’assassinio e sugli “effetti di scrittura”, che possono produrre effetti non meno devastanti. Agli esordi dell’editoria di massa l’intellettuale, perplesso, dà forma attraverso la figura “arcaica” del bibliomane alle proprie inquietudini», https://www.sestanteedizioni.com/il-libro-che-uccide/.
  60. Nella bibliografia del romanzo viene menzionato Louis Desgraves, Évocation du Vieux Bordeaux, Paris, Editions de Minuit, 1960. «Cette Evocation du Vieux Bordeaux se propose de faire revivre la vie et les monuments de la cité jusqu’au milieu du XIXe siècle» (Avant-propos). Goya è citato alle pp. 302 (n. 57 – Maison mortuaire de Goya), 389 ( altra abitazione di Goya, rue de la Croix-Blanche, n. 23), 402 (cimitero della Chartreuse, cenotafio di Goya).
  61. Merita ricordare che Ganhaire ha dimestichezza con il romanzo storico, essendosi cimentato con il genere di “cappa e spada”, in un dittico ambientato a Bordeaux nel XVII secolo, i cui protagonisti salpano poi verso l’Inghilterra di Cromwell: «1648. Joan Francesc Barnabeu Segur de Malacomba, 18 ans, a pas qu’un sòmi: venir mosquetièr […] De las Charentas a Bordèu […] Es d’alhors sus un batèl navegant cap a Londres que s’acaba Dau vent dins la plumas (publicat en 1992) al moment ont nòstre eròi s’avisa qu’a doblidat darrièr el la letra que deviá portar a Oliver Cromwell. E al legèire li caldrà esperar 14 ans per conéisser la seguida de las aventuras de Barnabeu amb la parucion de Las islas jos lo sang en 2006 […] Qual ditz roman de capa e d’espasa ditz contèxte istoric. Lo moment causit per Ganhaire es pas innocent. En plaçant l’accion dins las annadas 1648-1649, al moment de la Revolucion anglesa, a Londres, mas tanben a Bordèu, pòt abordar las debutas de l’Ormada dins l’encastre de la Fronda dels princes e, solide, los ligams de la capitala de Guiana amb l’Anglatèrra. En mai d’aquò, en se trapant confrontat a son istòria familiala e a la de sos companhs d’aventuras, Barnabeu descubrís las guèrras de religion, las revòltas dels Crocants o encara lo comèrci triangular qu’enriquesís los pòrts de França e d’Anglatèrra», Yan Lespoux, Joan GanhaireDau vent dins las plumas e Las islas jos lo sang, nòtas de lectura, «Plumas» [Online], 6, 2025, Online since 09 March 2025, connection on 12 May 2025. URL : https://plumas.occitanica.eu/1767 e Jaume Figueras i Trull, Hic dracones sunt, «Plumas» [Online], 6, 2025, Online since 30 March 2025, connection on 12 May 2025. URL : https://plumas.occitanica.eu/1714. Omaggio ai moschettieri di Dumas, Ganhaire inaugura dunque il romanzo di cappa e spada scritto nella lingua naturale dei suoi eroi. L’orizzonte geografico dei personaggi, prima di lasciare le rive della Garonna per l’Inghilterra, è il medesimo di Deodat: «Dau vent dins la plumas (1992, 137 paginas) e Las illas jos lo sang (2006, 197 paginas), son dos romans de capa e d’espasa, qu’es un sos-ensem del roman istoric […] Lo primièr nos mena de Peiregòrd a Bordèu, lo segond de Londres en Irlanda, abans de tornar en Peiregòrd […]», Jean-Claude Forêt, Joan Ganhaire: la mòrt, l’amor, l’umor, «Plumas» [Online], 6, 2025, Online since 09 March 2025, connection on 13 May 2025. URL : https://plumas.occitanica.eu/1679.
  62. Jacques Fauque, Ramón Villanueva Etcheverría, Goya y Burdeos, 1824-1828, Zaragoza, Oroel, 1982. Per una trattazione dell’ultima produzione del pittore e una ricostruzione storico-culturale dell’ambiente bordolese, Jonathan Brown, Susan Grace Galassi, Goya’s Last Works, New Haven, Yale University Press, 2006.
  63. Paolo Zamboni, Nascoste nella tela. Tra arte e medicina, un’indagine sui segreti delle opere più famose, Milano, Mondadori, 2021.
  64. Desgraves, Évocation du Vieux Bordeaux, pp. 412-415.
  65. G. Pery, Histoire de la Faculté de médecine de Bordeaux et de l’enseignement médical dans cette ville, 1441-1888, Paris, O. Doin, 1888.
  66. Ganhaire racconta di aver imparato la parlata limosina, non trasmessagli dai genitori, dai suoi pazienti, in prevalenza anziani e dialettofoni. «Les corps, fragiles, sont quelquefois déficients dès la naissance, et toujours, quoi qu’il en soit, menacés de maladies ou de malformations. On trouve dans l’univers littéraire de Ganhaire toutes sortes d’infirmes: borgnes, aveugles, bossus, manchots, muets… De nombreux personnages souffrent de handicaps mentaux plus ou moins graves, liés à des anomalies physiques. […] Les pensionnaires du roman Un tant doç fogier sont diversement affectés par toutes sortes de déficiences. Certaines victimes de malformations génétiques, comme le fils du général Freydefont, ont un aspect monstrueux qui effraie leur entourage et le questionne», Fabienne Garnerin, Joan Ganhaire, Entre rire et désespoir, un regard occitan sur l’humaine condition, Montpellier, PULM, 2022, p. 108.
  67. «la première est une image choquante, sous forme de vision cauchemardesque, mais qui correspond à une réalité: celle des cuves de la morgue où nagent les corps qu’on conserve pour les dissections. À l’époque où Joan Ganhaire fait ses études, il n’y a en effet ni frigos, ni tiroirs, et les employés de la morgue ramassent effectivement les cadavres des vagabonds pour les faire servir aux travaux pratiques des étudiants. Il s’agit, pour l’auteur, d’un souvenir visuel inoubliable. La seconde sensation est olfactive: c’est l’odeur de la mort, avec laquelle les étudiants font obligatoirement connaissance, une odeur qui s’attache à toute la personne et dont on ne peut se défaire», Fabienne Garnerin, Joan Ganhaire: l’expérience du médecin au service de l’œuvre littéraire, «Plumas» [Online], 6, 2025, Online since 19 March 2025, connection on 12 May 2025. URL : https://plumas.occitanica.eu/1792.
  68. «1.5 Morts, mais toujours humains
    C’est par la cérémonie d’enterrement que les vivants reconnaissent la dignité de leurs morts et resserrent leurs liens. Il est donc particulièrement choquant de refuser aux morts les funérailles auxquelles ils ont droit. C’est ce sur quoi insiste la nouvelle «Lo viatge aquitan», qui oppose les corps anonymes ramassés dans la rue, voués à être disséqués, et le corps de celui qu’on ensevelit pieusement, avec les membres de sa famille, dans un cimetière qui évoque le retour à une nature maternelle.
    Très souvent dénoncés, l’irrespect du cadavre et l’indécence des pratiques atteignent leur acmé dans la nouvelle «Releva» [Relève], dont l’action se déroule dans une morgue», Garnerin, Joan Ganhaire, Entre rire et désespoir, cit., p. 117.
  69. Joan Ganhaire, Lo viatge aquitan, s. l. Institut d’Estudis Occitans, 2000, pp. 5-23. Per un estratto in traduzione: «La lampada ci ha rivelato le passerelle di ferro e, sotto, riflessi scuri d’acqua stagnante. Ci siamo chinati, come quelli che la domenica sputano nell’acqua dei fiumi o seguono con l’occhio il sughero di qualche pescatore. Ma noialtri, i nostri occhi non erano abbastanza grandi né abbastanza aperti per l’orrore che ci covava sotto i piedi: una folla di annegati di cui s’intravedevano gli occhi semichiusi, le facce scarnite, le membra livide, i capelli che fluttuavano lenti … La lampada di Miguel andava e veniva, incredula: un’altra passerella, un’altra vasca, altri annegati … un’altra passerella, un’altra vasca, altri annegati … Quel liquido di morte sembrava uno stagno dove nessuna ninfea, nessun crescione d’acqua avrebbe avuto il coraggio di germogliare. La sola lordura era, qua e là, una mosca morta che avrebbe aspettato a lungo la gola tonda di un pesce o il colpo d’ala obliquo di una rondine. Mai acqua fu più immobile, mai specchio rifletté più nitidamente i nostri visi. Dovemmo pur strapparci a quella contemplazione malsana. Tu, dov’eri? E io che pensavo di trovarti tranquillamente sistemato con un’etichetta all’alluce, avevo letto che si faceva così. Abbiamo seguito le passerelle, osservando i cadaveri. Non vedere nient’altro: sei tu o non sei tu? Abbiamo fatto il giro senza trovarti. Benché tu fossi fra gli ultimi arrivati, non facevi parte della superficie. Eri già caduto nel fondo di una di quelle cisterne soffocanti. Miguel accennò col mento a due traverse appoggiate al muro. Ce n’era una che terminava con un gancio. Ne abbiamo preso una per uno e abbiamo cominciato. Non so se ti rendi conto di quello che ci stavi facendo fare. Eccoci lì occupati a frugare in quelle fosse comuni simili a vivai di trote. E i morti disturbati si giravano di lato con lenti movimenti delle spalle, ancor piu molli di quelli del dormiente che viene scosso e non vuole svegliarsi. Poi sparivano per far posto ad altri. Altri visi, fra i quali cercavamo il tuo, come all’arrivo di un treno. E alle nostre domande mute, qualche sguardo vuoto, gesti che sembravano d’ignoranza, i passanti colavano di nuovo nella profondità del loro abisso. È dal fondo della terza vasca che ti abbiamo visto affiorare. Avevano dovuto vuotarti il ventre, perché era diventato tutto piatto. Insomma, vuoi che te lo dica? Non eri tu il piu orrendo…», Fausta Garavini, ‘Lo sol poder es que de dire’. La letteratura occitanica oggi, «Paragone», 117-119, 2015, pp. 15-120, citato da pp. 78-79.
  70. «Masdelbosc est à la fois un paria et un initié. Il travaille dans un lieu mystérieux et effrayant, appelé tantôt “lo depositòri”[la morgue], tantôt l’Institut medicolegau, tantôt même “lo reiaume daus mòrts”[le royaume des morts] ou l’Enfer, interdit au profane, mais pas au commissaire, qui partage une partie des savoirs indicibles de son ami. Dans cette mesure, on peut interpréter Masdelbosc comme la face inavouable de Darnaudguilhem, en quelque sorte son double obscur: les pratiques du légiste, que Ganhaire connaît par sa profession de médecin, ne peuvent être révélées hors de leur contexte sous peine de paraître obscènes et de susciter l’incompréhension. Masdelbosc use d’un humour provocateur que Darnaudguilhem juge indécent, même s’il comprend qu’il permet au médecin une indispensable distanciation», Garnerin, Joan Ganhaire, Entre rire et désespoir, cit., p. 86.
  71. Evelyne Faïsse, Jean Ganhaire, médecin et écrivain, «Plumas» [Online],, 6, 2025, Online since 22 March 2025, connection on 12 May 2025. URL : https://plumas.occitanica.eu/1912.
  72. Per la risonanza della notizia circa l’eventuale profanazione della tomba, si veda ancora Lozano López, La cabeza de Goya ¿un enigma sin solución?, cit., pp. 30 ss..
  73. Ne dava notizia “l’Unità” di giovedì 30 agosto 2001: «L’aereo sul quale volava da Londra a Madrid è stato immediatamente dirottato sull’aeroporto più vicino, quello di Bordeaux: ma non c’è stato nulla da fare, nella città francese Francisco Rabal è arrivato già deceduto».

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