Bibliomanie

M. Dondi, La resistenza tra unità e conflitto
di , numero 6, luglio/settembre 2006, Letture e Recensioni

Quando si affrontano problemi storici non è forse ortodosso spostare il punto di vista dell’analisi nell’ambito della scienza fisica, ma si leggano queste parole: “…a scale minori di quelle di Planck, sia spaziali sia temporali, l’incertezza quantistica rende la trama del cosmo così irregolare e spiegazzata che non è più possibile servirsi dei normali concetti di spazio e di tempo.” ... continua a leggere

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E. Boncinelli, L’anima della tecnica
di , numero 6, luglio/settembre 2006, Letture e Recensioni

Dai pezzi sbalzati e aguzzi di carcasse ossute d’animale, con cui all’alba dell’uomo si producevano utensili, per giungere alle sofisticatissime macchine volanti che volteggiano - giusta l’iconologia kubrickiana - per gli spazi ampi e desolati della vastità siderea al ritmo di Strauss, la tecnica ha trovato un ruolo di primo piano nel nostro pensare di esseri viventi. ... continua a leggere

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Mauro Conti: ritratto dell’artista da adulto
di , numero 6, luglio/settembre 2006, In ricordo di Mauro Conti

Mauro Conti: ritratto dell’artista da adulto

«Non è facile presentare sé stessi attraverso le normali strutture dell'argomentazione perché generalmente s'incorre in due pericoli opposti: da una parte quello di dare un'immagine irreale di sé, fantasiosa […] dall’altra quello di ricercare una sorta di obiettività, una verità assoluta […] sempre inattingibile». Così introduceva Mauro Conti - il nostro amico Mauro - la sua Piccola autobiografia portatile, un bilancio di crescita poco dopo la soglia degli «anta». Esiste una via mediana tra la fantasia e un algido realismo vestito di imparzialità? Ovviamente sì. Mauro era un uomo di molte strade, di molti interessi, ma attento a evitare che la sua voracità di sapere si diluisse in nozionismo o in superficiali infarinature. Più di altri, Mauro ha sperimentato il desiderio come sofferenza - non a caso rifletteva su Schopenhauer - avendo provato sulla sua pelle e senza colpe il peso di percorsi disarmonici, illogici e contraddittori. La sua autobiografia è il resoconto di una generazione alla continua ricerca di un lavoro, di aspirazioni frustrate da orditi dove il padrinaggio domina su... continua a leggere

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Licia Giaquinto, Cuore di Nebbia. Intervista di Mauro Conti
di , numero 14, luglio/settembre 2008, Note e Riflessioni

Conosco Licia Giaquinto fin dai tempi, anni ’70, dei reading di poesia bolognesi organizzati da Niva Lorenzini. Vi partecipavano le avanguardie di allora, poeti o artisti come Giuseppe Conte, Cesare Viviani, Edoardo Sanguineti, Tomaso Kemey, Milo De Angelis o quella meteora anarchica della poesia italiana di cui si conosce ancora pochissimo, ma molto amata anche dal gruppo di persone, come Lucio Vetri e Anna Maria Andreoli, che stavano attorno a Luciano Anceschi e alla rivista Il Verri, di nome Adriano Spatola. Bellissima ragazza, Licia, con due occhi grigio perlacei da lupa, quando faceva i suoi interventi, metteva un’anima, una passione particolare ogni volta, e, se capitava di ascoltare o leggere le sue poesie, c’era da restarne incantati. Io non avevo mai incontrato un’artista come lei capace di usare le parole simili alla brace, alla lava, alla materia incandescente scagliata dal vulcano, e c’era una completa identità di suono e senso nel suo declamare, c’erano dei vocaboli, una lingua così stupefacenti che sembravano provenire dalle viscere perigliose dell’inconscio, di un comune ricettacolo, che poi erano l’espressione più semplice e immediata, lo specchio di quel particolare sentimento del tempo di una Bologna che non c’è più, di una primavera della nostra vita e del sentire che oggi ormai risultano dimenticati. Non sarei mai stato capace di farmi avanti per conoscerla se non me la avesse presentata Lino, il propr... continua a leggere

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Chiara Santini. Il Giardino di Versailles. Natura, artificio, modello
di , numero 14, luglio/settembre 2008, Note e Riflessioni

Dopo l’estate tumultuante della nostra coscienza ambientale per via del martirio inflitto dagli ampi incendi del meridione d’Italia e della Grecia, forse non sarà tempo sprecato per il lettore impegnato il bel libro di Chiara Santini dal titolo Il Giardino di Versailles. Natura, artificio, modello, uscito da Olschki nell’aprile 2007. L’autrice, che svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Discipline storiche dell’Università di Bologna, e attualmente collabora con l'Ecole Nationale Supérieure du Paysage (ENSP) di Versailles, ci aiuta a considerare, tra l’altro, come le stagioni del nostro rapporto con la natura abbiano avuto ben diversi orizzonti rispetto alla follia devastante degli incendiari, e come il sapere e l’immaginazione umana alleati di madre Terra abbiano potuto produrre quella meraviglia della progettazione che appunto prende nome di Giardino di Versailles. Il giardino come luogo della rappresentazione e della esperienza della natura ha, ovviamente, trovato diverse declinazioni nel corso del tempo. Ogni epoca, più o meno consapevolmente, ha proiettato le proprie forme ideali, o la propria idea di spazialità nella forma del giardino. Con Versailles la natura perigliosa, la vertigine ossessionante di ombre e fantasmagoriche parvenze tipiche della visione medievale, viene ripensata al punto di piegarsi a rappresentazione simbolica di un intero Stato, divenire ontologia speculare della Regalità francese, assumere i... continua a leggere

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